Ma possibile che siano così pochi i registi che fanno un film da un’idea tutta loro!? La gran parte – e parlo ovviamente di registi di gran livello – ha bisogno di un autore da cui prendere un’idea, una storia. Come se uno scrittore scrivesse un romanzo traendo spunto o addirittura “prelevando” la trama di un racconto scritto da altri. Naturalmente parto dalla convinzione che un regista è un narratore che si esprime con il linguaggio delle immagini in movimento.

Mi pare proprio che sia così. E allora un po’ di orgoglio! I registi partano da cose proprie, elaborino una propria storia da raccontare!

Per quali condizioni un regista può essere giustificato se porta sullo schermo una storia preesistente espressa con il linguaggio letterario? Come accadeva ai grandi pittori di un tempo, ai quali veniva affidato il compito di narrare con le immagini e i colori vicende raccontate da altri o eventi storici reali di forte rilievo, così accade che si affidi a un regista la versione filmica, per esempio di un’opera di Omero oppure di un dramma di Shakespeare, o di un romanzo di un autore contemporaneo di successo. In questi casi, al di là delle motivazioni, culturali oppure commerciali, è comprensibile che un regista sia stimolato quasi a competere con l’autore dell’opera originaria.

Non è un caso che specie quando si tratta di un romanzo ci siano commenti che pongono a confronto il film con il romanzo da parte di chi ha visto l’uno e letto l’altro. Ne scaturisce appunto una sorta di competizione. Una dimostrazione che sono entrambi, scrittore e regista, considerati dei narratori che utilizzano linguaggi differenti.

Perché accade questo? Il linguaggio delle immagini e il cinema e la televisione che lo veicolano sono alla portata di tutti sia per il costo, un film costa meno di un libro, sia per la comprensione, perché il linguaggio analogico è più facile da decodificare, sia - soprattutto - per l’abitudine a tale linguaggio e il rifiuto di accostarsi a quello letterario. Ecco allora che si spiegano queste operazioni commerciali di trasferimento da un linguaggio all’altro. Non accetto però quando tali operazioni vengono coperte da scopi culturali. Spesso si sente dire: è meritorio portare sullo schermo e far vedere l’Odissea a gente che altrimenti non la conoscerebbe mai. Anche per questo m’incazzo. Come se le vicende di Ulisse fossero l’Odissea ( al di là del nome Odisseo che vuol dire appunto Ulisse ). Le vicende di Ulisse sono la storia narrata nell’Odissea, ma non sono l’Odissea di Omero. Sullo schermo non è Omero che narra, ma il regista cui è stato dato il compito di raccontare le gesta dell’Ulisse di Omero.

Chi non legge – a rigore il greco – non conoscerà mai Omero. Allora dobbiamo avere coraggio, non si scappa da questa alternativa: o ce ne freghiamo di chi non legge, resti pure coi suoi limiti! o ce ne freghiamo di Omero, ha troppi anni!

A parte dunque queste condizioni bisognerebbe entrare nell’ottica che un regista è un autore… sarà perché ho alto il senso dell’arte cinematografica che non accetto la subalternità all’opera letteraria.
Ma il primo a convincersi di essere un autore deve essere il regista. Altrimenti farà sempre ricorso alle idee altrui.

E dunque la formazione del regista deve partire dallo stimolare e sviluppare la capacità di pensare e scrivere soggetti.

L’affermazione convinta ( e spero convincente ) espressa nelle righe in corsivo suggerisce che
gli aspiranti registi devono essere aiutati a soffermarsi su tutte quelle opere che raccontano qualcosa, qualunque sia il linguaggio utilizzato, quindi opere di scrittori, poeti, registi che hanno filmato storie loro, fotografi, pittori e scultori e architetti, tutti insomma quegli artisti che
“ hanno cose da dire “. Aiutare gli aspiranti registi a risalire dalle storie alle idee che ne sono alla base, discutere sulle idee, discutere sulle storie. Formare una cultura delle idee e delle storie che possono esprimerle. Se questa fase è carente, il rischio è grave. I registi continueranno ad andare alla ricerca di idee e di storie altrui. E c’è un rischio più grave. Un regista non abituato a risalire dalla storia all’idea, abituato invece a soffermarsi alle vicende, alla trama, può non comprendere e travisare per esempio un romanzo. Una cosa del genere è accaduta, ne sono stato osservatore impossibilitato a intervenire. E’ accaduto che non venisse colto il senso di un racconto proprio di un autore noto per essere un indagatore dell’animo umano. Una buona cultura di base avrebbe potuto mettere in guardia il regista che si apprestava a realizzare un film da quel racconto e gli avrebbe evitato di ridurre una storia di profonda introspezione psicologica a una vicenda senza spessore.

Se consideriamo da una parte i film delle grandi produzioni e dall’altra i film dei video maker, questi ultimi sicuramente battono i registi del cinema quanto a coraggio di mettersi in gioco come autori e quindi realizzare film con idee loro e soggetti originali.
di Maurizio Mazzotta