In conclusione del corso pongo una domanda (chi è lo sceneggiatore?) che in teoria avrebbe dovuto essere preliminare. Non ho voluto appositamente offrire una risposta a priori, chiarendo la specifica competenza professionale richiesta a uno sceneggiatore, né definirne le caratteristiche ideali come una specie di assioma vocazionale.Non esiste per gli sceneggiatori un Giuramento di Ippocrate. E' assai più frequente che gli sceneggiatori siano tendenzialmente (o inguaribilmente) spergiuri. Nella realtà esistono ovviamente sceneggiatori di tutti i tipi e livelli: preparati o improvvisati, ingenui o smaliziati, geniali o banali, cinici o sinceramente appassionati. E come in ogni ambiente professionale c'è , tra gli sceneggiatori, una diffusa prevalenza di mediocri. Ho cercato di farvi comprendere la natura del lavoro dello screenwriter, anzitutto sulla base dell'analisi dei film realizzati e dal confronto con le loro sceneggiature originali, per mostrarvi in concreto quale sia lo specifico compito dello sceneggiatore nell'ambito della realizzazione di un film.
E' anzitutto importante capire cosa NON E' lo sceneggiatore. Spesso si aspira a diventare sceneggiatori giudicando questo lavoro come una porta per entrare nel mondo del cinema, senza averne ancora una conoscenza specifica dall'interno, ma in realtà, sotto sotto, si aspira a un ruolo autoriale, cioè a raccontare le proprie storie, quelle che ci piacciono, per cui ci sentiamo orientati. Potreste restare amaramente delusi, in questo caso. Al principio e nel corso della vostra carriera, sempre che vogliate averne una e non occasionale, non fatevi venire troppe velleità da autore. Sono legittime, in certi casi, come ad esempio nelle serie TV che originano dall'ideatore e principale sceneggiatore e trovano in lui la figura di riferimento fondamentale, ben più che nel regista o nei registi che si alternano alla realizzazione del prodotto. In televisione, da sempre, conta di più l'autore del programma che il regista. Dato che un esorbitante numero di film viene oggi prodotto da e per i network televisivi, è evidente che questa centralità del ruolo dello sceneggiatore/ideatore non è affatto casuale, né momentanea. D'altra parta qualunque sceneggiatore cominci a lavorare in televisione si rende subito conto che se il suo obiettivo è quello di accreditarsi e farsi valere come autore, la realtà risulta ben diversa: si entra in un pool di sceneggiatori più o meno esperti, più o meno in grado di scrivere dei testi, delle scene o dei segmenti narrativi, di proporre idee e soluzioni. Questi pool sono in genere disorganici e caratterizzati dal precariato più assoluto. Chiunque è facilmente sostituibile. Si lavora con la costante e frustrante sensazione di far parte di una catena, di un ingranaggio, sovente più competitivo che collaborativo. Le scelte e le soluzioni che proponete sono sempre dipendenti da scelte fatte da altri, scelte che vi si chiede soltanto di eseguire. Nel cinema vero e proprio, quello delle grandi major , come quello del vivace e variegato mondo delle produzioni indipendenti, destinato alle sale, alla grande distribuzione, al mercato dell'home video e/o alla distribuzione autonoma in rete, la figura di riferimento è ancora quella del regista, che sia esso un regista-autore o un regista-tecnico non fa gran differenza. Un vecchio detto tetrale recita: "Il regista va rispettato anche se è fesso." Lo sceneggiatore deve evitare qualsiasi atteggiamento competitivo, tantomeno aspirare a sostituirsi al regista. Uno sceneggiatore non è un regista. Deve saper restare al suo posto. E' il regista a coordinare il lavoro collettivo, è lui a decidere sul set e prima del set, e deve essere lui ad assumersi il compito di trattare e mediare con la produzione. Non fatevelo scaricare addosso, questo ruolo, nemmeno sotto lusinga. Il motivo non è semplicemente etico, ma strettamente funzionale. La troupe deve sapere chi comanda, altrimenti ciascuno fa come gli pare e il film viene una porcheria.
I limiti entro cui lavora uno sceneggiatore hanno d'altro canto un vantaggio. Nella sua vita professionale lo sceneggiatore può (anzi dovrebbe) cimentarsi con i generi più diversi, cosa che a ben pochi filmaker è concesso di fare. Se come sceneggiatore prediligete un genere e intendete specializzarvi in quello, significa che non possedete una qualità specifica dello sceneggiatore: la capacità di raccontare qualsiasi genere di storia. E non si tratta soltanto di conoscenza dei generi e dei sotto-generi, ma anche e soprattutto della trasversalità dei temi rispetto ai generi. Prendiamo un tema a caso: un complotto ordito ai danni di un personaggio. Questo tema può essere al centro di un dramma, di una commedia o di un film epico, di un film di denuncia sociale o d'inchiesta, di una storia d'amore, di un thriller ansiogeno su una persecuzione privata, o di una fantasia complottistica sul genere dei film tratti dai romanzi di D.Brown, insomma di qualsiasi genere di film. Ma la descrizione di un complotto comporta una certa dinamica drammaturgica, in sè, a prescindere dai generi. E lo sceneggiatore deve impratichirsene, per fare un buon lavoro. Questa attitudine gli consente di vedere al di là dei limiti di genere, di individuare i modi di racconto appropriati al tema in sè, autonomamente dal singolo film o filone di film di immediato riferimento. Un bravo sceneggiatore deve avere questa attitudine esplorativa, sentire come propria specifica virtù e passione, il nomadismo culturale attraverso i film più diversi, i registi più inconciliabili tra loro, gli stili più vari, le tecniche narrative più disparate: da quelle tradizionali alle insolite, mantenendosi sempre aperto alla sperimentazione.
Il cinema digitale è oggi il veicolo principale, anche se non esclusivo, della sperimentazione di nuovi format cinematografici e di nuovi tipi di racconto visivo. Non lasciatevi però ingannare da chi sostiene che il cinema cosiddetto digitale abbia fondato strutture e tecniche narrative inedite, sul piano del racconto in sé. Su questo piano, infatti, non c'è nulla che la letteratura propriamente detta non abbia già esplorato. Il cinema è erede di un'arte della narrazione che lo precede di secoli e ha le sue fonti nel teatro e nella letteratura. Lo sceneggiatore, in quanto a suo modo scrittore, dovrebbe esserne consapevole. Il retaggio latterario non è cosa da esibire per sfoggio narcististico, ma certamente non è cosa di cui vergognarsi, perché senza retaggio letterario perde senso la figura stessa dello sceneggiatore. Può capitare che uno sceneggiatore sia o si senta un romanziere mancato. Capita assai più spesso che un romanziere si senta ingiustamente ignorato dal cinema. Non sono queste le cose importanti. E' importante che lo sceneggiatore sappia prendere sul serio il suo inevitabile, necessario ruolo di cerniera. Lo sceneggiatore è al contempo un esperto di narrazione in generale e un tecnico della narrazione cinematografica in particolare.
Il cinema ha attraversato numerose rivoluzioni tecnologiche. Nel passaggio tra il muto e il sonoro, per dirne una, sono sorte nuove specializzazioni e figure professionali e molte altre sono state sacrificate. La figura dello sceneggiatore è rimasta, perché fondante, ineliminabile. Lo sceneggiatore è un tecnico non soggetto a obsolescenza. Finché esisterà il cinema, ci dovrà essere qualcuno che lo scrive. Ma per scriverlo bene e corrispondere alle trasformazioni continue del mezzo, lo sceneggiatore non può limitarsi allo studio-imitazione-ridefinizione delle tecniche in atto in un certo momento. Deve fondare il suo studio e il suo approfondimento sulla drammaturgia che ha preceduto e poi accompagnato il cinema, sulle tecniche narrative inerenti ad altre forme di comunicazione (giornalismo, pubblicità, videoclip, video-art eccetera), e inoltre riservare questa stessa apertura conoscitiva alla vita reale, per la quale dovrebbe nutrire una curiosità onnivora. Il materiale di uno sceneggiatore, il suo bagaglio, non sta soltanto nella tradizione e nella consapevolezza dei suoi sviluppi attuali, ma in ciò che vede e sente intorno a sè, nell'esistenza quotidiana. Nel corso, ho usato la definizione roussoiana di "Occhio Vivente". Significa saper trovare occasione di racconto in qualsiasi cosa si veda e si senta, in qualsiasi emozione si percepisca direttamente o indirettamente. Per uno sceneggiatore è più importante imparare a essere ladri di situazioni, di linguaggi, di costumi, che esserne protagonista o autore.
Sorge dunque spontanea una domanda: uno sceneggiatore può mirare a un suo stile personale che lo renda unico e inconfondibile? Suso Cecchi d'Amico dixit: Non posso scrivere un film, se non so prima chi sarà il regista. Lo stile di uno sceneggiatore sta nella sua capacità di aderire allo stile altrui. Il pubblico non leggerà la tua sceneggiatura. La giudicherà sulla base del film realizzato. La tua scrittura è scrittura invisibile, al pubblico. Ma è importante per questo: esiste prima del film e nel film sparisce. Senza lavoro di scrittura , o di organizzazione narrativa del materiale girato, non esiste opera cinematografica definibile tale. Lo stile di uno sceneggiatore e la sua eccellenza si misurano sulla capacità di narrare ogni tipo di storia e secondo gli stili più diversi, traendo ispirazione da qualcosa d'altro che da se stessi e persino a prescindere dai propri orientamenti di gusto e dalle proprie preferenze. E' a partire da questa curiosità per la narrazione in sè e da questa disponibilità ad ampio raggio che lo sceneggiatore può, nel tempo, e se lo desidera, diventare autore cioè dedicarsi a generi, temi, moduli narrativi per cui si sente particolarmente motivato e che sente nelle sue corde espressive più e meglio di altri.
A un certo punto, se le cose vanno bene, potreste anche scoprire che sono gli altri , a partire dai vostri colleghi, a riconoscervi in quanto autore. Non ci si nomina autori da soli. Se il vostro specifico tocco diventerà inconfondibile, sarà perché gli altri hanno imparato a riconoscerlo per tale. Proclamarlo a priori, battezzandosi autori da soli o come si suol dire: in pectore, è velleitario. Servirebbe solo a farvi apparire presuntuosi. Non ho approfondito come avrei voluto e dovuto certi generi cinematografici. Non l'ho fatto o perché li ho affrontati poco (il documentario, per esempio) o per il motivo opposto, cioè perché li conosco troppo a fondo. Qualcuno di voi mi ha chiesto perché io non abbia approfondito l'analisi del western o dell'avventura in generale, in tutte le sue innumerevoli varianti, pur avendo scritto per anni e scrivendo ancora fumetti western e d'avventura. Ora: a prescindere dal fatto che il cinema è strutturalmente diverso dal fumetto, non sono entrato nei dettagli proprio perché ho frequentato così a lungo questo genere di racconto, che il corso sarebbe diventato eccessivamente specialistico e ben poco utile per voi, soprattutto se si considera che in Italia questo tipo di film non si producono più da decenni. Il filo conduttore del corso e l'aspetto su cui ho particolarmente insistito per orientare il vostro lavoro di sceneggiatori è riassunto nel titolo The Fuckin' Point. In sostanza: cercate sempre di centrare il punto.
La narrazione cinematografica è di per sè concentrata. In un film possiamo raccontare un passaggio di decenni in pochi minuti. Il cinema è eminentemente sintesi. Quando raccontate in cinema, cioè per immagini in movimento e dentro un format prefissato, bisogna cercare sempre in ogni singola scena il focus narrativo e concentrarsi su quello. Non ditevi mai: be' questa è solo una scena di passaggio. Nessuna scena è un mero passaggio, nemmeno le scene di passaggio. Bisogna imparare a essere intensi in ogni singolo momento narrativo. Tra tutti gli esercizi che vi ho consigliato, quello fondamentale è l'esercizio a ridurre. Cioé: prendete la scena che avete scritto e provate a riscriverla dimezzandone la durata e poi dimezzandola ancora e ancora, fino ad arrivare al nocciolo. Solo una volta trovato il nocciolo, preoccupatevi di dargli una polpa. Ogni azione deve avere ovviamente un suo tempo di preparazione e di sfogo per poter funzionare. Dunque una volta che avete centrato l'essenziale, sforzatevi di renderlo espressivo. Qui si entra su un terreno creativo che non può essere prescritto da un corso. Sarà utile, per chiarire ulteriormente, un altro esempio tratto da un'intervista di Billy Wilder, che illumina molto bene come si può centrare e sviluppare il fuckin' point durante le discussioni preliminari tra regista e sceneggiatori. Ecco cosa dichiara Wilder a proposito di Ninotchka di Lubitsch film per cui lui lavorò come sceneggiatore insieme a Charles Brackett.
1. Punto di partenza: le caratteristiche del personaggio protagonista.
Ninotchka was to be a really straight Leninist, a strong and immovable Russian commissar, and we were wondering how we could dramatize that she, without wanting to, was falling in love. How could we do it? Charles Brackett and I wrote twenty pages, thirty pages, forty pages! All very laboriously.
Ninotchka doveva essere una leninista tutta d'un pezzo, un commissario russo di una durezza incoercibile, e noi ci stavamo chiedendo come esprimere drammaturgicamente il fatto che lei, senza alcuna intenzione, si innamorasse. Come esprimerlo? Charles Brackett ed io scrivemmo venti, trenta, quaranta pagine! Una gran fatica.
2. Problema: il punto di rottura.
La difficoltà di cui sopra si presenta inevitabilmente quando si tratta di mettere i un scena un cambiamento di carattere del personaggio. Questa esigenza non matura solamente nel genere "commedia". Un personaggio per essere davvero interessante, dove "svoltare", a un certo punto del racconto, cioè aprirsi alla contraddizione, mostrare un lato diverso, persino opposto, del suo carattere. E' così che diventa dinamico. Come si può evidenziare questo cambiamento senza ricorrere a monologhi interiori, senza dover esplorare il vissuto biografico del personaggio, senza creare nel racconto un cambio di tono e di stile troppo brusco e ingiustificato?
Lubitsch didn’t like what we’d done, didn’t like it at all. So he called us in to have another conference at his house. We talked about it, but of course we were still, well . . . blocked. In any case, Lubitsch excused himself to go to the bathroom, and when he came back into the living room he announced, Boys, I’ve got it.
A Lubitsch non piacque quello che avevamo scritto, per niente. Così si chiamò per riparlarne, a casa sua. Ne discutemmo, ma naturalmente ci sentivamo un po' bloccati. A un certo punto, Lubitsch si scusò di dover andare in bagno e al ritorno ci annunciò: Ragazzi, ho trovato.
It’s funny, but we noticed that whenever he came up with an idea, I mean a really great idea, it was after he came out of the can. I started to suspect that he had a little ghostwriter in the bowl of the toilet there.
E' bizzarro, ma notammo che tutte le volte che se ne veniva fuori con un'idea, intendo una grande idea, era reduce dal gabinetto. Cominciai a sospettare che si tenesse un ghostwriter nella tazza del cesso.
I’ve got the answer, he said. It’s the hat.
Ho trovato la soluzione, disse. E' il cappello.
The hat? No, what do you mean the hat?
Il cappello? Che significa, il cappello?
He explained that when Ninotchka arrives in Paris the porter is about to carry her things from the train. She asks, Why would you want to carry these? Aren’t you ashamed? He says, It depends on the tip. She says, You should be ashamed. It’s undignified for a man to carry someone else’s things. I’ll carry them myself.
Ci spiegò che quando Ninotchka arriva a Parigi, il facchino si mette a scaricare i suoi bagagli dal treno. lei gli chiede perchè l' faccia, se non provi vergogna. Lui risponde: dipende dalla mancia. Lei ribatte: dovresti provare vergogna. Non è degno di un essere umano trasportare i bagagli di un'altra persona. Li porterò da sola.
At the Ritz Hotel, where the three other commissars are staying, there’s a long corridor of windows showing various objects. Just windows, no store. She passes one window with three crazy hats. She stops in front of it and says, “That is ludicrous. How can a civilization of people that put things like that on their head survive?” Later she plans to see the sights of Paris—the Louvre, the Alexandre III Bridge, the Place de la Concorde. Instead she’ll visit the electricity works, the factories, gathering practical things they can put to use back in Moscow. On the way out of the hotel she passes that window again with the three crazy hats.
Al Ritz Hotel, dove gli altri tre commissari sono in attesa, c'è un lungo corridoio di vetrine con vari oggetti in esposizione. Non sono in vendita, soltanto in mostra. Lei passa di fronte a una vetrina con tre cappellini folli. Si ferma e guardarli e commenta: " E' ridicolo. Come può un popolo civilizzato sopravvivere infilandosi in testa roba del genere? " In seguito, pianifica un tour per Parigi (Il Louvre, il Ponte Alessandro III, Place de la Concorde), ma sceglie invece di visitare le centrali elettriche, le fabbriche, per ricavarne suggerimenti pratici da imitare di ritorno a Mosca. Uscendo dall'albergo, passa di nuovo davanti ai tre buffi cappellini.
3. Il nocciolo e la polpa.
Lubitsch trova il nocciolo in un cappellino che pare a prima vista un elemento totalmente estraneo alla vicenda. Ma nel cappellino buffo possiamo già ravvisare simbolicamente tutto il contrario di quello che finora abbiamo visto essere il carattere di Ninotschka. Abbiamo identificato il punto di rottura. Ora il problema diventa un altro. Come sviluppare racconto a partire da questo nocciolo insieme simbolico e concretissimo? Anzitutto, a che punto ci troviamo della scaletta del racconto?
Now the story starts to develop between Ninotchka, or Garbo, and Melvyn Douglas, all sorts of little things that add up, but we haven’t seen the change yet. She opens the window of her hotel room overlooking the Place Vendôme. It’s beautiful, and she smiles. The three commissars come to her room. They’re finally prepared to get down to work. But she says, “No, no, no, it’s too beautiful to work. We have the rules, but they have the weather. Why don’t you go to the races. It’s Sunday. It’s beautiful in Longchamps,” and she gives them money to gamble.
A questo punto comincia a svilupparsi la storia tra Ninotchka, cioè la Garbo, e Melvyn Douglas. Queste piccole cose aggiunte, non ci erano ancora sembrate un grande cambiamento. Lei apre la finestra della sua stanza d'albergo con vista su Place Vendôme. E' uno scorcio bellissimo e lei sorride. I tre commissari entrano. Sono finalmente pronti a mettersi al lavoro. Ma lei dice: "No, è una giornata troppo bella per lavorare. Noi abbiamo , ma loro hanno il clima. Perché non ve ne andate alle corse? E' domenica. E' bellissimo a Longchamps". Detto questo, dà loro dei soldi per scommettere.
As they leave for the track at Longchamps, she locks the door to the suite, then the door to the room. She goes back into the bedroom, opens a drawer, and out of the drawer she takes the craziest of the hats! She picks it up, puts it on, looks at herself in the mirror. That’s it. Not a word. Nothing. But she has fallen into the trap of capitalism, and we know where we’re going from there . . . all from a half page of description and one line of dialogue. “Beautiful weather. Why don’t you go have yourselves a wonderful day?”
Appena i tre se ne sono andati, lei si chiude a chiave nella suite, torna in camera da letto, apre un cassetto e ne estrae il più folle dei cappellini! Se lo mette, si controlla allo specchio. Tutto qui. Non una parola. Niente. Ma ormai è caduta nella trappola del capitalismo, e sappiamo cosa ci aspetta da qui in avanti... tutto a partire da mezza paginetta di descrizione e da una singola battuta: "E' un tempo bellissimo. Perché non andate a godervelo?"
L'esempio è geniale e raccontato con fine umorismo da Wilder, che sottolinea come spesso le idee migliori vengano al cesso. Il bisogno fisiologico richiama, di nuovo, alla concretezza estrema, fisica. Un concetto deve perdere la propria astrattezza incarnandosi in qualcosa di estremamente oggettivo. Nel caso, un cappellino, il cui significato simbolico e metaforico, nel contesto, si impone senza alcun bisogno di spiegazioni. L'idea, però, deve dispiegarsi in tappe successive del racconto. Una piccola notazione che al principio pare casuale, deve essere rimarcata, e infine svelata compiutamente in un gesto. L'azione, in questo modo, racconta di per sè e si spiega da sola.
Il fuckin' point ideale fonde in sé consapevolezza tecnica e istintività espressiva. In pratica, quando rileggete una scena che avete scritto, chiedetevi: cosa volevo esprimere e significare? Sono riuscito a centrare il focus? Sono stato chiaro descrivendo la situazione e il suo sviluppo oppure mi sono rifugiato nel vago e nel generico? Quali immagini suscita ciò che ho scritto? E' davvero fondamentale una certa scena nel contesto del film o è una scena che se venisse tagliata non cambierebbe granché nell'impianto generale? Ci ho messo troppo o troppo poco per arrivare al punto?
Imparate a giudicarvi lucidamente e a correggervi. Se ci riuscite, le inevitabili richieste di modifiche che riceverete in seguito per i più diversi motivi, dalla produzione, dai registi, dagli attori, non vi peseranno. Le vostre scelte consapevoli e ben motivate vanno certo difese: non siete un tappetino su cui passano tutti all'ingresso del set. Ma nel difendere le vostre opinioni, la vostra visione del film, le vostre soluzioni, non trascendete i limiti del vostro compito. Voi non state né dietro, né davanti alla macchina da presa. Voi state prima del film. Non potete pretendere di dettar legge. Potete, dovete pretendere, anzitutto da voi stessi, di svolgere una narrazione rigorosa, coerente ed efficace. Se poi i vostri suggerimenti, le vostre indicazioni vengono trasgrediti durante la realizzazione del film , non è affar vostro. E non potete farci proprio niente: anche la battuta più efficace può risultare moscia se recitata da un attore cane, e anche la scena più espressiva può diventare insignificante in mano a un regista maldestro. Non preoccupatevi di questo. Dovete invece cominciare a preoccuparvi quando la scena che avete scritto viene cambiata e risulta in proiezione assai più bella di quella che avevate scritto. Questo significa che qualcuno ha dovuto badare a correggere un vostro sbaglio. In questo caso, cercate umilmente di capire dove e in cosa avete sbagliato. O semplicemente cosa non avevate previsto, quale diversa opportunità narrativa vi era sfuggita. Non spaventatevi mai delle revisioni e dei cambiamenti : uno sceneggiatore è un tecnico delle variazioni. Molto spesso dei limiti anche ingiusti che vi vengono posti, sono degli ostacoli che è importante ci siano, in modo da poter trovare il modo di aggirarli.
Non è un difetto per uno scrittore di cinema, anzi è un pregio apprezzare l'aspetto cangiante, fluido, e (perché no?) astuto, della narrazione. Non accontentatevi mai della prima scrittura, altrimenti andrà a finire che qualcun altro dovrà assumersi l'incombenza di riscrivere il film al posto vostro, magari riadattandolo in concreto, giorno per giorno, e rischiando di perdere il bandolo dell'insieme (esperienza frequentissima in Italia). Dunque imparate a tollerare i peggioramenti di cui non siste responsabili e a incorporare i miglioramenti frutto dalla genialità altrui, in modo da affinare costantemente le vostre capacità. Saper essere duttili è davvero fondamentale in questo mestiere. Ma se lavorando cercherete di tenere sempre presente il fuckin' point, in ogni singolo segmento narrativo e nell'insieme della sceneggiatura, diminuirete di molto il rischio degli errori, vostri e altrui.
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