A) Definizione dei generi considerati
Al posto di "giallo" potremmo usare termini diversi, come: mistery, poliziesco, detective-story, ma si tratta di sfumature, il genere di riferimento è sempre quello e il nome che gli è stato dato in Italia , sulla base delle copertine di colore giallo della storica collana della Mondadori, ha una sua sintetica efficacia. Il Giallo è un tipo di racconto che si fonda su un’indagine. Può essere un poliziotto a svolgerla, oppure un detective privato, un investigatore dilettante, comunque il tirante narrativo è lo stesso: la ricerca del whodunnit, cioè della risposta alla domanda: “Chi è l’assassino?”
Al posto di "nero" potremmo usare termini diversi, come noir o thriller. Il termine italiano è di per sé efficace, il colore allude alla notte, al buio dell’anima, al lutto, al brancolare nelle tenebre, però in questo caso ha una storia meno lineare. Infatti il termine Nero veniva usato nella critica letteraria del dopoguerra per indicare il racconto gotico o l’horror, solo più tardi, mutuandolo dai francesi (la Serie Noire di Gallimard) e dagli americani di Black Mask, finì per indicare un genere di racconto giallo a forti tinte e particolarmente crudo nella rappresentazione, il che però può ingenerare qualche confusione: molte detective story del genere letterario più propriamente detto hard boiled vengono considerate nei testi di storia e di critica del cinema come esempi di noir. Troverete dunque spesso citato Il Falcone Maltese film di John Houston del 1941 con Humphrey Bogart tratto dal romanzo omonimo di Dashiell Hammett come tipico noir, mentre a rigore non lo è affatto, è anzi una tipica detective-story. Dunque puntualizziamo, per differenza da quello che abbiamo definito Giallo: il Noir non si basa su un’indagine esterna e distaccata. Il protagonista può anche essere un detective o un poliziotto, ma le circostanze lo coinvolgono a tal punto che egli finisce per essere implicato nei fatti in quanto persona, non in quanto professionista. Viene insomma, tragicamente, ingoiato dalla vicenda fino a che essa non è più qualcosa che riguarda altri, ma lui stesso e il proprio fato. ( Un esempio, il film Seven di David Fincher, 1995). Ma nel Noir classico, la polizia o l’investigatore non ci sono neppure. Il protagonista è un uomo comune che si trova, senza strumenti professionali, coinvolto in una catena di delitti. Il suo scopo non è tanto quello di scoprire la verità, ma di uscire vivo da un’esperienza da incubo, che ha regole del tutto sconosciute per lui. Il protagonista può essere un innocente, ingiustamente accusato di un delitto, oppure l’assassino stesso che cerca di farla franca. Una prima differenza fondamentale dal giallo classico, giustamente sottolineata da un grande autore di Noir, James Hadley Chase, è che mentre il giallo classico tende alla serialità (il protagonista investigatore, si suppone abbia svolto e svolgerà altre inchieste, e dunque non può morire), il Noir tende alla vicenda esemplare che nasce eccezionalmente e lì si conclude ( dunque il protagonista può morire ed è da questo elemento di tensione che la narrazione acquista pathos). L’interrogativo non è “ Chi è l’assassino?” (con il correlato “ E perché?”) , anzi il più delle volte l’assassino lo
conosciamo subito, ma è “ riuscirà il protagonista a cavarsela?” (con il correlato “E come?”)
Entrambi questi generi, dunque, si fondano su una domanda. In altre parole, lo stato emotivo cui fanno riferimento ( e che intendono esaltare) è la curiosità. Nel Giallo si tratta di una curiosità intellettuale e/o morale, nel Noir si tratta di una curiosità viscerale.
Altra importante differenza. Nel Giallo l’indagine, e dunque il racconto, prendono le mosse dopo che i fatti (il delitto originale) si sono verificati: si tratta dunque di ricostruire quanto è avvenuto prima. Nel Nero, invece, i fatti vengono presentati mentre accadono, nell’istante in cui accadono, e spesso il delitto non costituisce affatto l’inizio della vicenda. Ad esempio nel Noir classico, è spesso l’incontro con una donna (la Dark Lady, la Femme Fatale) a segnare l’inizio del movimento dalla stasi esistenziale del protagonista, al suo precipitare nel gorgo degli eventi , via via sempre più delittuosi. Mentre nel Giallo il movente del delitto ci appare sconosciuto (e si tratta di ricostruirlo a posteriori) nel Noir il racconto del movente precede il racconto del delitto.
Da quanto detto sopra emerge anche una differenza importante nell’impostazione stessa del racconto.
Nel Giallo si parte da un evento, oltre che già avvenuto, di per sé misterioso e indecifrabile e si tratta di ricostruirne razionalmente la causa e i motivi, restaurando cioè l’ordine logico in cui si sono svolti i fatti.
Nel Noir invece i fatti sono evidenti e di per sé chiari. Il protagonista non giunge al delitto per scelta razionale, ma trascinato dall’occasione e cioè dal caso. Il primo evento casuale comporta una serie di conseguenze a catena che avviluppano sempre più strettamente il protagonista.
In altri termini il Giallo e il Nero si trovano a dover equilibrare, nel corso del racconto, due elementi opposti.
Nel Giallo si passa da un fatto apparentemente gratuito, misterioso e inspiegabile, fino ai limiti dell’assurdo, alla minuziosa spiegazione logico-razionale del fatto stesso.
Nel Noir si passa dalla casualità dell’evento, alla ferrea , persino tragica, necessità degli sviluppi.
Nel Giallo il protagonista agisce orientato dalla Ragione e domina gli eventi ricostruendone la dinamica. Il suo approccio ai fatti, cioè, è intellettuale e distaccato.
Nel Nero il protagonista è dominato dal Fato, la dinamica dei fatti lo travolge. Il suo approccio ai fatti è emotivo e partecipe.
Nelle indagini di Sherlock Holmes, il delitto iniziale appare assurdo, spesso venato addirittura di sfumature sovrannaturali (Il mastino di Baskerville). La scena del crimine è caotica e stipata di tracce (Uno studio in rosso) che non sembrano portare in alcuna direzione definita. L’indagine discrimina, divide, analizza e lentamente ci porta alla geniale spiegazione che si manifesta sempre come estremamente logica, unica e incontrovertibile. Al principio c’è l’enigma, alla fine la soluzione. Inizio e fine sono termini opposti e contrari: tanto più inspiegabile e oscuro è il principio, tanto più argomentata e chiara dev’essere la conclusione.
Nei racconti neri di James Hadley Chase l’inizio ci appare invece chiaro, conosciuto, persino prevedibile. Non c’è praticamente nulla di insolito in quanto ci viene raccontato. Ma il primo guaio che giunge ad inceppare il normale scorrere degli eventi, ne trascina altri a valanga che generano conseguenze imprevedibili. Il realismo dell’inizio lascia il passo a un irrealistico accumulo di eventi nefasti, in omaggio al noto adagio “le sfighe non vengono mai sole” o “ al peggio non c’è mai fine” , o se vogliamo essere più filosofici, “le cose non vanno mai come vorremmo che andassero.” Anche qui si deve raccontare insomma tenendo presente che inizio e fine sono, devono essere, due contrari. La prevedibilità dell’inizio si rovescia nell’imprevedibilità della fine. L’energia si comunica tra poli opposti. Senza opposti non c’è scintilla.
B) Struttura e senso della narrazione
La struttura base del Giallo è sempre la stessa:
1. C’è una vittima, un cadavere, al principio della storia.
2. Il protagonista/investigatore indaga . Si raccolgono indizi, si ascoltano testimoni, ci si perde in qualche pista secondaria e/o falsa.
3. Altri delitti complicano la vicenda e insieme circoscrivono la pista giusta.
4. Il caso viene risolto e l’assassino punito.
Da un punto di vista filosofico elementare potremmo dire che :
1. L’ordine sociale viene turbato da un delitto.
2. La razionalità si misura con il caos e cerca di riordinare gli elementi.
3. La ricostruzione razionale (ipotetica) viene confermata dai fatti, dalle prove, e l’ordine sociale viene ricostituito tramite la punizione del colpevole.
La struttura base del Nero è la seguente:
1.C’è un vivente al principio della storia, che si trascina nella sua routine quotidiana.
2.Un incontro, un evento apparentemente casuale cambia direzione alla vita del protagonista.
3. Le conseguenze di quel primo evento ne trascinano altre a catena, che avviluppano sempre più strettamente il protagonista e ne minacciano la sopravvivenza.
4. L’accumulo straordinario di reazioni a catena, acquista la forma di una necessità esterna, di un vero e proprio Destino.
5. Il protagonista, cercando di sopravvivere, da un lato cerca di liberarsi dal Destino che lo intrappola, salvo scoprire che le sue stesse reazioni sono parte di quel Destino.
Che lui si salvi o che lui soccomba, in ogni caso il finale era già scritto.
Dal punto di vista filosofico si potrebbe dire:
1. Irrompe il caos.
2. Non è la razionalità a condurci fuori dal caos, è anzi la totale immersione emotiva nel caos che ci stimola a reagire, per istinto di sopravvivenza.
3. C’è un solo ordine che si impone sull’apparente casualità degli eventi: è l’ordine governato dal Destino e dal Fato. Questo ordine non ha bisogno di essere restaurato perché domina e prevale sempre sulla storia collettiva e in particolare sulla vita del singolo.
C) Il Giallo e il Nero sono generi classici
Il Giallo e il Nero, come si evince da quanto detto sopra, sono due forme di racconto compiuto, che come tale comporta delle tappe (un inizio, uno sviluppo e una fine) e un equilibrio interno di struttura. E la loro stessa leva emotiva (suscitare e soddisfare la curiosità) è molto diversa da quella dell’horror (suscitare paura e/o ripugnanza), del comico (suscitare riso) dell’erotico (solleticare la libidine). La curiosità umana è un tipo di stato emotivo che ha a che fare con l’intelletto, più che con gli istinti cosiddetti ancestrali, ed è inoltre necessaria a qualsiasi racconto compiuto, anche quando il tema centrale non è un crimine: un racconto lo si segue perché si vuol capire”come va a finire”. Insomma: il Giallo e il Nero non sono generi riconducibili allo stadio pre-narrativo e non si basano sulla frammentarietà. Sono varianti particolari dei tre generi classici: Commedia, Tragedia ed Epica.
Che il Giallo sia strettamente legato alla Commedia, lo si può vedere chiaramente da queste caratteristiche:
1. E’ fondamentale la creazione del personaggio/maschera dell’investigatore.
L’investigatore precede i fatti. Apparentemente sembra il contrario (deve esserci un delitto perché l’investigatore entri in scena) ma in realtà lo scrittore costruisce i fatti in modo tale da consentire al protagonista di mostrare le proprie virtù e i propri difetti. Poirot si troverebbe molto a mal partito nella Parigi di Maigret o nella New York del 87° Distretto. Poirot opera in un ambiente che gli corrisponde. E i delitti che deve risolvere sono costruiti in modo tale da collimare perfettamente con la sua tecnica investigativa.
2. Nello sviluppo dell’indagine, la vicenda si complica per accumulo di indizi e di nodi irrisolti, che rappresentano altrettanti ostacoli che il protagonista deve superare, ricorrendo al suo acume, ma anche a una buona dose di mascheramento delle proprie intenzioni e dei propri ragionamenti. Sherlock Holmes, Nick Carter e molti altri investigatori giungono persino a travestirsi (proprio come personaggi da commedia) per potersi per esempio infiltrare in certi ambienti. E molti investigatori hanno accanto una spalla, che di solito non capisce gran che di quel che essi fanno: classico ruolo servile da commedia.
3. Il giallo classico alla Agatha Christie (ma non solo quelli scritti da lei) si conclude quasi sempre con una seduta collettiva nella quale l’investigatore svela compiutamente e pubblicamente (cioè di fronte alla società) quale sia stata la sua strategia occulta e insieme smaschera definitivamente il colpevole, che viene inchiodato “di fronte a tutti”. Anche questo è un tipico finale da Commedia come abbiamo visto nelle precedenti lezioni. Inoltre l’investigatore, non si limita in queste sedute collettive a indicare l’unico colpevole, ma si prende un po’ sadicamente la briga di smascherare anche tutti gli altri presenti, denunciandone le ipocrisie e le debolezze morali. Dunque egli non si limita a restaurare l’ordine originale, suggerisce in qualche modo un’istanza di cambiamento dei comportamenti sociali, mostrando che il delitto del singolo è comunque parte integrante di un ambiente e che l’inevitabile punizione, se si vuole evitare che casi del genere si ripetano, deve accompagnarsi a una presa di coscienza generale, sociale: tutte le persone coinvolte debbano trarne un ammaestramento morale e cambiare attitudini.
Che il Nero sia intimamente legato alla Tragedia lo si vede da questi elementi:
1. Il protagonista è totalmente suddito dei fatti che l’autore gli fa piovere addosso.
Nel suo dibattersi per trovare una via d’uscita, non è agente, ma agito.
2. I fatti si presentano in successione come manifestazione di un Fato, di un Destino in genere affliggente. Tutto pare nascere dal caso, ma le conseguenze sono talmente coincidenti, che assumono la forma di una necessità. (Ricordate la Statua di Miti? Cfr. la lezione XIII).
3. C’è un indubbio effetto catartico nel patire con il protagonista ( che sia esso una vittima innocente o un criminale braccato) confidando fino all’ultimo in una salvezza che temiamo impossibile, ma che speriamo possibile.
D’altro canto, per altri aspetti, Giallo e Nero sembrano scambiarsi le parti:
1. Il protagonista di un Giallo (l’investigatore) tende ad essere un personaggio sopra la media, dotato di intelligenza e sensibilità superiori e spesso anche di un linguaggio (vedi appunto Poirot o Holmes) particolarmente forbito. In altre parole: un personaggio che parrebbe più caratteristico della Tragedia che della Commedia.
2. Viceversa il protagonista del Nero è spesso un individuo comune o di modesta estrazione, legato a passioni e a reazioni istintive e costretto a mobilitare risorse nascoste che spesso non presume neppure di possedere. E in questo sembra più caratteristico della Commedia che dalla Tragedia.
Abbiamo già considerato questa sorta di scambio trattando del film d’azione. In effetti sia il Giallo che il Nero riservano un ruolo di preminenza alla successione dei fatti e delle azioni e hanno l’andamento del racconto “eroico” perché il protagonista deve sormontare una serie di ostacoli in direzione della Verità (nel Giallo) o della Salvezza (nel Nero). A partire da una radice diversa, giallo e nero finiscono entrambi per strutturarsi secondo moduli tipici del racconto Epico, che come abbiamo visto nella Lezione XIV, sta a fondamento di ogni contaminazione di genere.
Epos in greco, significa né più, né meno che Racconto. L’espressione “racconto epico” parrebbe dunque una tautologia. In realtà ci indica che si tratta di storia narrata, cioè che il nostro racconto fonde in sé fatti storici (eventi reali) e leggende (eventi tramandati, ma non si sa se realmente avvenuti, e punti di vista/testimonianze contraddittori).
Il Giallo, in quanto ricostruzione logica dei fatti attraverso indizi e testimonianze, intreccia costantemente eventi reali e narrazioni più o meno verosimili di quegli stessi eventi.
Il Nero ci presenta gli eventi come significativi ed esemplari, cioè come manifestazioni e tappe di un Destino coerente. Questo Destino costituisce la narrazione. In altre parole, i fatti non sono a se stanti, significano anche altro da sé: raccontano una storia. Il Noir, tra l’altro, usa più frequentemente di altri generi la voce fuori campo: è spesso il protagonista stesso a raccontarsi e a trarre un bilancio della propria esperienza. Anche il Nero dunque intreccia strettamente fatti e narrazione/ricostruzione del senso profondo dei fatti stessi.
Se invece della parola “epico”, usiamo la parola “avventura” troviamo un’ulteriore specificazione. Deriva dal verbo latino advenire che significa arrivare. In altre parole, il finale ha una grandissima importanza. Tutto ciò che accade acquista senso perché perviene a un finale, anzi proprio a quel finale, non un finale qualsiasi. Senza un finale, la nostra storia resta incompiuta. E il finale deve risultare tanto sorprendente quanto coerente. E’ questo finale ad ordinare gli elementi del racconto. Insomma: sia nel Giallo che nel Nero la narrazione va condotta dal punto di vista del finale.
Vediamo ora come.
D) LA FUNZIONE ORDINATRICE DEL FINALE
L’ordine reale dei fatti in un delitto perfetto è questo:
1. Qualcuno ha motivo di uccidere un’altra persona.
2. Programma il delitto nei dettagli.
3. Si assicura un alibi.
4. Esegue il delitto.
Come corollario: può seminare sulla scena del delitto falsi indizi, tali da portare la polizia sulla pista sbagliata.
Questo è l’ordine in cui vediamo accadere le cose, prima dell’inchiesta, nei telefilm del Tenente Colombo. Li esamineremo nella seconda parte di questa lezione, ma come eccezione che conferma la regola. Nel giallo classico infatti il pubblico non conosce l’assassino fino alla fine.
L’ordine narrativo di un Giallo classico non è affatto quello reale in cui si sono svolti i fatti, ma è capovolto. Si parte dal delitto. Si valutano gli alibi. Si cerca di ricostruire la dinamica del delitto e si indaga sul possibile movente. Insomma, quando scrivete un Giallo dovrete forzatamente procedere all’inverso rispetto alla cronologia reale dei
fatti, cioè dalla fine all’inizio. Voi state cominciando a raccontare la storia dalla fine.
Il vostro racconto è una ricostruzione a posteriori. Si parte dagli effetti, per individuare le cause.
Ma in pratica come si scrive un Giallo? Molti scrittori amano condividere le difficoltà del detective e quindi cominciano a raccontare accumulando dei misteri e, pur avendo una traccia di soluzione in testa, preferiscono individuare lungo il percorso una spiegazione razionale e a volte persino l’identità dell’assassino, tra i tanti indiziati e possibili colpevoli. Per uno sceneggiatore cinematografico, questo procedimento è quanto mai sconsigliabile. Anzitutto c’è una maggiore esigenza di chiarezza nell’esposizione: il racconto cinematografico vive in un tempo molto concentrato e il pubblico deve poter cogliere con estrema precisione ogni singolo passaggio, perché non può tornare indietro a controllare e rileggere, e nemmeno può fermarsi a pensare perché se si distrae rischia di perdersi i nuovi sviluppi. In particolare, più indizi contrastanti accumulate all’inizio e più spiegazioni sarete costretti a dare nel corso e soprattutto alla fine della narrazione. Troppe spiegazioni (soprattutto verbali) sono terribilmente noiose in un film. In alcuni film tratti dai romanzi di Agatha Christie, (per esempio Assassinio sull’Orient Express di Sidney Lumet, 1974) per rendere più vivaci queste spiegazioni, si è scelto di mostrare gli eventi in flash back: di ogni indiziato vediamo cosa aveva fatto e come si era mosso sul luogo del delitto. In questo modo l’azione annulla l’effetto noia, ma ne procura un altro, di tipo strutturale: il finale-spiegazione finisce per durare un terzo del film. Se consideriamo che un altro terzo se ne va per la presentazione dei personaggi, sempre molto numerosi in questo genere di gialli, e per il verificarsi del delitto, ecco che allora la parte centrale del film ne risulta molto contratta: in pratica lo sviluppo vero e proprio della vicenda, con tutte le complicazioni del caso, l’indagine del detective, la sua raccolta di prove e di testimonianze, eventuali nuovi delitti e colpi di scena … tutto questo dovrebbe venire compresso in mezz’ora. I film tratti dai gialli di Agatha Christie in effetti sono sempre più lunghi del normale (Assassinio sull’Orient Express dura 128 minuti). E la spiegazione finale, per quanto animata dalla rappresentazione,
risulta spesso estenuante.
E’ evidente comunque che se siete chiamati a sceneggiare un romanzo giallo, avete già la storia a disposizione in tutti i dettagli e potrete limitarvi a scegliere quali approfondire e quali trascurare per non complicare troppo il racconto e per trovare il giusto equilibrio tra le parti. Ma se invece quello che dovete sceneggiare è un giallo originale, pensato da subito per il cinema , allora il modo migliore per farlo è avere perfettamente in testa come si è svolto il delitto e chi è l’assassino (cioè l’ordine reale dei fatti) prima di mettere mano alla scrittura del film (dove dovrete raccontare in ordine inverso). La scoperta dell’assassino, che è il finale del vostro film, deve essere una scoperta per l’investigatore e soprattutto per il pubblico, non per voi che scrivete il film. Non potete raccontare bene il film senza conoscere in anticipo questo finale.
Uno scrittore di gialli può cominciare il suo libro, tornare indietro, correggere delle parti, chiarirsi man mano le idee, fino a trovare un finale persuasivo e poi magari controllare e rivedere il tutto sulla base di quel finale. Se per questo lavoro ci mette un anno, nessun editore si scandalizza . Ma se uno sceneggiatore cinematografico impiega più di un mese a completare una sceneggiatura, difficilmente un produttore lo chiamerà un’altra volta. Ogni giorno che passa, per un film rappresenta un costo.
Non potete certo pretendere di bloccare una produzione perché non avete ancora trovato la soluzione alla vostra complicata storia, per quanto attraente essa sia.
Dovete assolutamente aver chiaro come va a finire per poter sistemare in ordine, e in un tempo di scrittura ragionevole, i singoli elementi e snodi del racconto. D’altro canto, non potreste proprio fare altrimenti, perché prima di scrivere la sceneggiatura dovrete in ogni caso presentare un soggetto in cui raccontate in breve la storia svelando molto chiaramente come va a finire e una volta che quel progetto viene approvato a quello dovrete attenervi. Poi vi toccherà lavorare sulla base di una scaletta davvero di ferro che conducendo all’unica soluzione giusta, logica e coerente, la sappia efficacemente occultare e insieme rivelare con dei segnali ben distribuiti nel corso del racconto.
Scrivere un Giallo non è facile. Scrivere un whodunnit per il cinema è difficilissimo.
Non provateci neppure se non avete una mente matematica, se vi da fastidio l’idea di lavorare entro una gabbia predeterminata, se non vi piacciono i giochi enigmistici.
Anche un enigmista quando per esempio lavora a uno schema di parole crociate, parte dalla costruzione del finale, cioè dalle parole, trova gli incastri tra di esse e sistema gli intervalli (le caselle nere). Poi scrive le definizioni. Il pubblico si troverà invece di fronte all’esatto opposto: le definizioni e le caselle nere, gli incastri orizzontali e verticali, lo guideranno alla scoperta delle parole, cioè alla tavola compiuta e finale che corrisponde in realtà all’originale costruito in anticipo dall’enigmista.
In teoria questo non dovrebbe valere per il Nero, dove raccontiamo la sequenza reale degli avvenimenti in ordine cronologico. Anche qui ci sono robuste eccezioni, cioè film tipicamente noir, veri classici del genere, che sono in realtà raccontati in flash back. Esamineremo la prossima volta queste eccezioni, valutando se anch’esse confermano la regola. Qui rimarchiamo un punto. Abbiamo detto che un Nero racconta/rivela attraverso una sequenza di eventi, un Destino. Questo Destino chi scrive deve conoscerlo prima, non può trovarlo per strada. Prendete come esempio l'ottimo film noir Layer Cake di Matthew Vaughn , 2004 (uscito in Italia con il titolo The Pusher che purtroppo crea confusione con una serie di film omonima).
Studiatevelo bene. Il film ci presenta un protagonista che fa un turpe mestiere, ma che è capace comunque di suscitare la nostra simpatia, tanto più se lo confrontiamo ai figuri da cui è circondato. Attraversa una serie sempre più intricata e pericolosa di peripezie e riesce in qualche modo non solo a cavarsela, ma a fare carriera, rivelandosi un vincente. Il finale lo coglie nel momento del suo trionfo, ma proprio quando pensiamo che la vicenda si sia conclusa, sbuca fuori un criminale da quattro soldi che lo fulmina a pistolettate. Dunque il finale è tragico. L’happy end era solo la falsa pista che ha assecondato la nostra speranza di salvezza mentre ci stavamo sempre più identificando con il protagonista, ma questa speranza (ora lo capiamo) contraddiceva l’evidenza (tragica) di un vicenda senza speranza alcuna. E qual è il Destino beffardo? Il protagonista ha eliminato pezzi più grossi di lui, mentre ha trascurato una figura che riteneva (ed era) minore. Usando una metafora, si potrebbe dire che il suo rivelarsi vincente contro i giganti, lo ha reso vulnerabile a un nano. Questo non è uno di due finali possibili, è l’unico finale rigoroso e coerente con quanto l’autore ci ha voluto raccontare. Anche qui, l’autore, nello svolgimento della narrazione, ha da un lato mascherato il finale tragico, dall’altro ce lo ha fatto presentire per tutto il film. Da dove deriva la nostra sorpresa? Che mentre per tutto il film abbiamo assistito a delle situazioni terribilmente rischiose da cui il protagonista è riuscito ad uscire indenne, sul finale abbiamo subito il meccanismo esattamente contrario: appena il protagonista ha assunto lo status di vincente, è stato ucciso.
Insomma anche qui è il finale che ci permette di dare ordine agli elementi della narrazione, alla successione dei fatti e al modo stesso di raccontarli: i fatti acquistano senso perché corrono verso quel finale, la scelta narrativa di rivelare e/o di occultare, la dinamica in crescendo delle singole situazioni, tutto ciò nasce e si sviluppa a partire dalla nostra idea di finale.
E) Il Realismo nel Giallo e nel Nero e l’esigenza di equilibrio narrativo
Apparentemente il Giallo è più realistico del Nero: i gialli si basano spesso su episodi di cronaca, ci presentano ambienti reali (il commissariato, la società criminale, il contesto sociale in cui maturano i delitti), ci fanno conoscere metodi d’indagine realmente in uso. Il Nero invece tende a presentarci situazioni limite, marginali, tanto esemplari quanto rare ed estreme, sulle quali si può liberamente intervenire di fantasia, finendo nel puro racconto d’avventura. Ma le cose stanno davvero così?
Nella vita, non ci capiterà mai di trovarci nei panni di Poirot o di Maigret, ma potrebbe capitarci benissimo di ritrovarci incastrati in una situazione senza apparenti vie d’uscita, di venire accusati di un delitto che non abbiamo commesso, o di venire scoperti per qualche colpa di cui siamo davvero responsabili, o di sentirci come burattini in mano al Destino. La cosa risulta ancor più evidente se consideriamo questi due generi non per singole storie, ma nell’insieme.
Il Giallo. La narrativa gialla è dilagata negli ultimi anni. L’esigenza di ciascun narratore di dare una qualche originalità e riconoscibilità al proprio investigatore, ha prodotto innumerevoli personaggi di cui non è stato ancora neppure tentata una catalogazione sistematica: investigatori di tutte le epoche storiche, di tutte le razze e nazionalità, di ogni classe, ceto e categoria sociale, di tutte le età, di ogni genere di appartenenza/preferenza sessuale, di ogni tipologia fisica (dai giganti ai nani, dagli obesi agli anoressici) e psicologica (razionali, istintivi, grigiamente normali o psicotici), persino investigatori del regno animale (cani poliziotto, gatti e topi detective, eccetera). Se si considera che ciascuno di questi investigatori indaga su parecchi delitti, la rappresentazione del mondo che ci viene offerta dal Giallo è di un universo in cui il delitto è una pratica più che comune, ma non per questo normalizzata, e in cui l’investigazione non è più un ambito professionale definito, ma un’attitudine diffusa. Inoltre in questo mondo la quasi totalità dei delitti risulta risolta e i colpevoli puniti secondo giustizia.
Nel cinema in particolare, l’esigenza di condensare la narrazione e di stringere i tempi della vicenda spinge da un lato ad isolare la vicenda crimine da ogni altra vicenda parallela o concomitante, dall’altro nell’attribuire al lavoro della polizia e degli investigatori una rapidità e una precisione da fantascienza: perizie, indagini delle scientifica, costosissime attrezzature, tutto viene messo all’opera e fornisce risultati praticamente istantanei.
Non c’è nulla di più fittizio di questa rappresentazione dello stato delle cose: qualsiasi banale statistica, e minima conoscenza delle procedure può smentirla.
L’universo del Giallo è all’origine una pura e astratta convenzione. Il realismo nel Giallo è fondamentale proprio per equilibrare questo assoluto non-realismo di base. Il giallo investigativo, fondandosi sulla ricostruzione di una logica, è racconto eminentemente astratto. Ma siccome nessun racconto può risultare appassionante se ridotto alla sua pura struttura, ecco che il realismo diventa indispensabile nella costruzione dei personaggi, degli ambienti, dei moventi delittuosi e delle tecniche d’indagine. Il Giallo va alla ricerca della verità come un matematico va alla ricerca della soluzione di un’equazione, ma per il lettore comune verità e realtà sensibile sono due termini coincidenti. Dunque raccontando un Giallo, l’elemento astratto deve sempre venire equilibrato da un elemento contrario di concretezza.
Il Nero. Anche questo genere si è sviluppato quantitativamente negli ultimi anni al di là dei normali standard di produzione. Il Nero ci presenta un mondo perennemente sconvolto e sull’orlo del collasso in cui non ci si può più fidare di nessuno: la maestra elementare, la baby sitter, la vecchina, il timido vicino di casa, il giovane di buona famiglia, le persone apparentemente più innocue e normali tra quelle che ci circondano, possono rivelarsi insospettabili portatrici di allucinanti sventure e di patologie caratteriali devastanti. Non è ovviamente questa la realtà prevalente del mondo, ma è tuttavia la realtà delle nostre ansie interiori, quel substrato di paranoia che sottende le nostre vite e che può venire risvegliato da eventi esterni, magari solo letti sul giornale, e che improvvisamente avvertiamo come possibili minacce anche per noi. Nella percezione del pubblico e prima ancora nella sua esperienza di vita, due sono gli elementi dominanti: la grigia ripetitività del vissuto quotidiano e la parallela sensazione della totale precarietà su cui si fonda questa apparente normalità.
Essendo questi i temi prediletti del Nero, appare evidente che il suo fondamento narrativo non sta nella messa in scena concreta di una struttura astratta, ma nel suo esatto contrario e cioè nella messa in scena simbolica (e dunque astratta) della realtà concreta delle cose (o meglio quella da noi percepita e temuta). In altri termini, il Nero ha l’esperienza della realtà, il vissuto e le paure di ciascuno, per fondamento, e la strutturazione formale ne è il necessario contrappeso. E’ fondamentale che il caos che raccontiamo diventi un caos organizzato e regolato da una dinamica conseguente.
Se tutto ciò che accade è insensato, come potremo mai identificarci con quanto accade al protagonista? Come potremo sentire la vicenda come possibile anche per noi?
In conclusione: entrambi i generi debbono per loro natura trovare al loro interno un equilibrio. Questa ricerca di equilibrio li porta a controbilanciare il loro fondamento con l’elemento contrario: quanto più un Giallo è astratto tanto più necessita di realismo nella messa in scena, quanto più il Nero è realistico tanto più deve trovare una sua struttura e una sua rappresentazione simbolica. Entrambi i generi si reggono su un gioco ben bilanciato degli opposti.
D) Un paio di modelli operativi per esercitarsi.
Per il Giallo.
Scrivete una scaletta particolareggiata di un delitto perfetto. Chi è la vittima , chi è
l’assassino e quali sono le sue motivazioni. Come l’assassino attua il delitto. Come si
garantisce un alibi. Come, eventualmente, semina falsi indizi in modo che il delitto
venga giudicato dalla polizia un mero incidente oppure attribuito ad altri.
Costruite poi lo schema contrario. Il vostro investigatore (che dovrete caratterizzare
molto bene negli aspetti salienti della sua personalità) comincia l’indagine.
Conducetelo gradatamente alla verità nell’ordine contrario,cioè a partire dagli indizi,
fino alla ricostruzione del movente. Attorno al nocciolo principale ( la sfida tra
assassino e investigatore) sistemate gli altri personaggi. Se volete scrivere un giallo
classico, questi altri personaggi devono avere avuto tutti un possibile movente per
quel delitto e la possibilità teorica di averlo commesso. Se buttate giù questo primo
schema pensando non a scrivere un romanzo, ma un film, badate (è un consiglio, non
un vincolo) che i personaggi non siano troppo numerosi. Ricordatevi sempre che alla
fine o nel corso del racconto vi toccherà spiegare tutto di tutti.
Per il Nero.
Prendete come base un fatto di cronaca. Per esempio: una coppia è scomparsa, i loro
corpi vengono trovati fatti a pezzi, infilati in sacchi di plastica e gettati in fondo a un
burrone. Gravi indizi conducono la polizia a identificare il possibile responsabile in
un loro parente, tra l’altro convivente. Appuntatevi tutte le prove, le evidenze, i
dubbi, i testimoni coinvolti, riprendendoli dal giornale. Avrete così come base un
autentico giallo, perché i giornali fanno la cronaca dei fatti solo dopo che essi sono
avvenuti e seguono scrupolosamente il procedere delle indagini.
Adesso mettetevi a scalettare il vostro nero, capovolgendo quest’ordine. Provate a
considerare colpevole il principale accusato e raccontate la sua storia. Per far questo
dovrete necessariamente conferire al personaggio una psicologia credibile e
rappresentarlo in un ambiente realistico, dunque ben documentato. Poi delineate per
punti come ha concepito il delitto, come lo ha eseguito, come ha cercato di occultare i
corpi. Sforzatevi di identificarvi in lui. Immaginate la sequenza dei fatti minuto per
minuto. I fatti importanti e i personaggi coinvolti li conoscete già, sono lì sul
giornale. Ma ora dovete approfondire anche i momenti morti, le più minute
operazioni possono essere un’occasione di tensione, per esempio la necessità di
procurarsi gli attrezzi per sezionare i corpi, le operazioni necessarie a rimuovere le
tracce, un viaggio con due cadaveri nel bagagliaio,un rifornimento di benzina
imprevisto, la sosta in un albergo. Cercate insomma di immaginarvi,dal punto di vista
dell’assassino, ogni singolo momento. Quali difficoltà, quali imprevisti potrebbe aver
attraversato? Oltre agli indizi che ha seminato sul campo, è riuscito ad occultarne
altri? Quali azioni lo hanno incastrato? A quali altre potrebbe aggrapparsi per
difendersi? Non abbiate paura di inventare fatti non documentati, se servono ad
aumentare la tensione. Usate liberamente l’immaginazione, badando però a non
debordare troppo dagli eventi essenziali della vostra scaletta.
Ma tutto questo non basta. Dovrete chiedervi: cosa voglio raccontare? La mera
cronaca di un delitto oppure un caso esemplare di una condizione tragica? Se è questa
seconda la vostra scelta, quella cioè più tipicamente nera, la cronaca potrà non
bastarvi. E’ il Destino del protagonista che dovete mettere in scena . I fatti vi devono
servire a rimarcare questo Destino. E questo Destino lo dovrete scegliere voi in
anticipo: è il punto di vista dell’autore sulla vicenda narrata. La vicenda reale , nella
cronaca, può anche non essersi conclusa affatto, ma voi una conclusione dovete
prevederla e conoscerla in anticipo. Il protagonista muore o sopravvive? Scampa alla
condanna o viene incastrato? Confessa o si intestardisce nella menzogna? Insomma le
caratteristiche psicologiche del vostro protagonista devono corrispondere al finale.
Un Destino infatti è insieme un percorso oggettivo verso un finale necessario e la
natura soggettiva, intima di un essere umano.
di Gianfranco Manfredi