Vita da cani è un mediometraggio di Charlie Chaplin uscito nel 1918. È la storia di Charlot, vagabondo disoccupato, che nel suo girovagare incontra un cagnolino abbandonato, attaccato da altri cani. Charlot e il cucciolo meticcio si assomigliano nella disgrazia della vita da strada e condividono le difficoltà che la loro condizione comporta. Randagi che cercano le soluzioni per sopravvivere, ma insieme diventano branco unito nelle asperità. Il finale vede finalmente Charlot, la sua compagna e il cane vivere in serenità. Trovo nel mediometraggio una grande empatia e tenerezza nel rivelare due identità, ridotte ai margini, due personaggi di strada che con leggerezza, uno accanto all’altro, riescono a trovare il lato comico e divertente dell’essere liberi, randagi e autentici.
Questo articolo non ha il fine di giudicare trame, competenze attoriali, sceneggiature o scelte registiche. Questo articolo non ha neanche la pretesa di prendere posizione positiva o negativa sul coinvolgimento del cane nel mondo cinematografico né di valutare se durante le riprese i soggetti animali siano stati o meno vittime di coercizione, anche perché per valutare tutti questi aspetti ci andrebbe tanto altro spazio che non voglio rubare agli altri articoli. Questo articolo non vorrebbe divagare sul triste epilogo frutto dell’uscita di questi film, ovvero le nostre città invase da razze canine lanciate da produzioni cinematografiche, cani di razze impegnative o ai più sconosciute nelle loro caratteristiche motivazionali, acquistate in allevamento solo perché “l’ho visto al cinema ed era tenero/bello/simpatico”. Su questo argomento sarebbe bello avere la possibilità di scrivere un secondo articolo.
Questo articolo ha la semplice funzione di valutare brevemente e in pochi accenni in alcuni film, di periodi diversi, la relazione cane-proprietario, come è stata sviluppata e come si evolve.
Vita da Cani, Charlie Chaplin, 1918
Vita da cani è un mediometraggio di Charlie Chaplin uscito nel 1918. È la storia di Charlot, vagabondo disoccupato, che nel suo girovagare incontra un cagnolino abbandonato, attaccato da altri cani. Charlot e il cucciolo meticcio si assomigliano nella disgrazia della vita da strada e condividono le difficoltà che la loro condizione comporta. Randagi che cercano le soluzioni per sopravvivere, ma insieme diventano branco unito nelle asperità. Il finale vede finalmente Charlot, la sua compagna e il cane vivere in serenità. Trovo nel mediometraggio una grande empatia e tenerezza nel rivelare due identità, ridotte ai margini, due personaggi di strada che con leggerezza, uno accanto all’altro, riescono a trovare il lato comico e divertente dell’essere liberi, randagi e autentici.
Bombón El Perro, Carlos Sorin, 2004
Coco alla guida, accanto Bombón, sguardi che si intrecciano, nella Patagonia più sconfinata e scarna, silenziosa, come loro, esseri fieri l’uno dell’altro e liberi, forse, finalmente, da qualsiasi strumentalizzazione, ai margini, inetti, non produttivi, non asserviti alle logiche di profitto e mercato. Questa l’immagine che più mi è rimasta impressa di un film, Bombón el perro, 2004, diretto da Carlos Sorin, dove purtroppo vediamo il cane in primis come strumento per fare soldi. Juan Villegas, detto Coco, è un uomo argentino sulla cinquantina, disoccupato che tenta invano di vendere coltelli e vive in un piccolo appartamento con la figlia e i suoi figli. Un giorno Coco incontra per strada una donna con l’auto in panne e la aiuta a ripararla. Per ringraziarlo di questa gentilezza la madre della donna gli regala un dogo argentino con pedigree, figlio di un grande campione di bellezza che allevava il marito prima di morire. Bombón era legato a catena in un angolo del giardino di quella casa. È lui il Bombón che Coco chiama Lechien, non sapendo che significa semplicemente “cane” in francese. È l’incontro di due solitudini quello fra l’uomo e il cane. Coco viene cacciato da casa dalla figlia per la sua decisione di tenere quel cane, così Coco e Bombón iniziano a girare in Patagonia con la macchina dell’uomo il quale da personaggio mediocre inizia ad acquisire fama e clamore grazie a Bombón, suo biglietto da visita nel mondo delle esposizioni canine, vincendo il terzo posto alla prima expo. L’allenatore di Coco e Bombón vede nel cane una buona macchina da profitto e cerca di coinvolgerlo in monte con femmine di dogo alle quali però Bombón si mostra disinteressato. Deluso, l’allenatore propone a Coco di lasciargli il cane ed andarsene. Coco, senza riuscire a dimostrare in quel momento l’amore che prova per Bombón, glielo lascia e continua il suo giro per la Patagonia a vendere coltelli. Dopo poco tuttavia Coco si sente malinconico e perso senza il suo cane e torna a cercarlo. Bombón però è scappato da casa del suo allenatore e Coco inizia a cercarlo. Quando lo ritrova Bombón si stava accoppiando con una meticcia nera in una fabbrica a cielo aperto di mattoni. Coco accetta di nuovo Bombón e ripartono in macchina insieme e finalmente sereni e senza vincoli.
Dentro di sé Coco sente l’affezione verso Bombón ma si fa trascinare dall’allenatore in questo mondo di strumentalizzazione e sfruttamento del cane, solo alla fine capisce che sia lui che Bombón sono davvero felici nel momento in cui sono liberi e insieme, senza ambizioni o esiti grandiosi.
Un film delicato, ritmi lenti, minimalista.
Un road movie dai ritmi lenti come sono i pensieri di Juan che – silenzioso – osserva il mondo disincantato e crudele che lo circonda e come Bombòn, il cane che tutti giudicano forte e aggressivo e che, invece, non riesce ad avvicinarsi ad una femmina. Dicono che i Dogo non provano neanche dolore. Ma non è così: Bombòn, come il suo padrone, è semplicemente estraneo all’insensibilità e alla volgarità.. Bombòn, Juan e tutti quelli come loro sono davvero di “un’altra razza” (mymovies.it)
Sorridono Coco e Bombòn, seduti l’uno accanto all’altro nell’inquadratura che chiude il film, sereni e appagati dal non avere una meta e dall’essere semplicemente uno vicino all’altro.
( Fine Prima Parte - Link alla 2° parte )
di Stephania Giacobone per www.siua.it