Niente più del cinema in Italia ha saputo dare l’idea della straordinaria articolazione di differenze che formano il nostro Paese. Visconti andava da Milano in Sicilia e nascevano La terra trema e il Gattopardo, Fellini dalla Romagna arrivava a Roma e la reinventava, Rossellini rendeva il viaggio in Italia un’esperienza di rivelazione dell’anima, Pasolini ci restituiva le periferie nel rapporto con la grande pittura dei secoli passati. E Antonioni, che trasfigurava il delta del Po in un emblema dell’inquietudine contemporanea? E Rosi, senza il cui cinema non si potrebbe capire Napoli? Mentre Olmi faceva vibrare la vita nelle brume del Nord, De Seta filmava quella estrema dei pescatori siciliani. Vediamo formarsi l’Italia nuovissima degli anni ’70 con i film di Bertolucci, di Bellocchio, di Ferreri. Nell’intimità delle famiglie italiane penetriamo con Monicelli, Pietrangeli, Germi, Comencini.
L’esplorazione della complessità del nostro paese non ha fine, considerando i così tanti nostri registi di ieri e di oggi. C’è chi ci ha portato in viaggio attraversandola, l’Italia, come Risi nel Sorpasso, correndo su un’automobile prepotente, che oggi leggiamo come una prefigurazione dell’Italia dei nostri tempi. Ma c’è chi ci ha portato su un treno fra gli emigranti, come Ettore Scola in Trevico-Torino. A proposito di Ettore Scola: un amico appena tornato da Parigi mi ha detto di aver visto una lunghissima fila per entrare in un cinema dove si proiettava La famiglia, al modo in cui si accorre a vedere nei musei i capolavori della pittura di tutti i tempi: ecco, si va nel mondo a vedere i film di un maestro come Scola per tuffarsi in una Italia amata e ammirata, facciamolo ben presente a chi vuole mortificare le politiche di sviluppo del nostro cinema. Ma voglio tornare a quel film di Scola ambientato, come recitava il sottotitolo, nel Fiat-nam, per proiettarmi da lì verso Lamerica di Gianni Amelio di vent’anni dopo, su quella indimenticabile nave gremita di migranti albanesi. Qualche settimana fa il Presidente della Repubblica Napolitano ha voluto ricordare il nostro trascorso di emigranti, così grande e sofferto. E allora consideriamo che anche i Coppola, gli Scorsese, i Tarantino, figli di italiani approdati negli Stati Uniti, con l’Italia nel cuore hanno fatto grande il cinema americano. Se è vero, come è vero, che le differenze sono il sale e non l’ostacolo della nostra unità, confidiamo in un Paese unito il cui cinema venga arricchito nel prossimo futuro da registi italiani dai nomi tunisini, libici, bengalesi, rumeni. Desideriamo un grande Paese che sostenga e valorizzi la propria cultura sapendo che essa è viva quando è aperta, quando non ha paura, quando ha il coraggio di non piegarsi alle abitudini e convenzioni più stanche. L’Italia unita è stata sognata dai poeti e per essa si sono battuti dei ragazzi. E’ dunque un sogno di apertura, di vitalità, di democrazia. Il cinema italiano, coi suoi mille meravigliosi volti di attrici e di attori, di questo sogno è come fosse lo specchio.
L’esplorazione della complessità del nostro paese non ha fine, considerando i così tanti nostri registi di ieri e di oggi. C’è chi ci ha portato in viaggio attraversandola, l’Italia, come Risi nel Sorpasso, correndo su un’automobile prepotente, che oggi leggiamo come una prefigurazione dell’Italia dei nostri tempi. Ma c’è chi ci ha portato su un treno fra gli emigranti, come Ettore Scola in Trevico-Torino. A proposito di Ettore Scola: un amico appena tornato da Parigi mi ha detto di aver visto una lunghissima fila per entrare in un cinema dove si proiettava La famiglia, al modo in cui si accorre a vedere nei musei i capolavori della pittura di tutti i tempi: ecco, si va nel mondo a vedere i film di un maestro come Scola per tuffarsi in una Italia amata e ammirata, facciamolo ben presente a chi vuole mortificare le politiche di sviluppo del nostro cinema. Ma voglio tornare a quel film di Scola ambientato, come recitava il sottotitolo, nel Fiat-nam, per proiettarmi da lì verso Lamerica di Gianni Amelio di vent’anni dopo, su quella indimenticabile nave gremita di migranti albanesi. Qualche settimana fa il Presidente della Repubblica Napolitano ha voluto ricordare il nostro trascorso di emigranti, così grande e sofferto. E allora consideriamo che anche i Coppola, gli Scorsese, i Tarantino, figli di italiani approdati negli Stati Uniti, con l’Italia nel cuore hanno fatto grande il cinema americano. Se è vero, come è vero, che le differenze sono il sale e non l’ostacolo della nostra unità, confidiamo in un Paese unito il cui cinema venga arricchito nel prossimo futuro da registi italiani dai nomi tunisini, libici, bengalesi, rumeni. Desideriamo un grande Paese che sostenga e valorizzi la propria cultura sapendo che essa è viva quando è aperta, quando non ha paura, quando ha il coraggio di non piegarsi alle abitudini e convenzioni più stanche. L’Italia unita è stata sognata dai poeti e per essa si sono battuti dei ragazzi. E’ dunque un sogno di apertura, di vitalità, di democrazia. Il cinema italiano, coi suoi mille meravigliosi volti di attrici e di attori, di questo sogno è come fosse lo specchio.
Discorso di Mario Martone alla cerimonia dei David di Donatello