"Questo film è una fantasia. Parla di qualcosa che non è mai accaduto ma che avremmo desiderato che accadesse. Sono stanco del montaggio. Non voglio fare esperimenti con il tempo. Voglio portare sullo schermo il tempo reale. Non bisogna avere paura dello scorrere del tempo". Alexander Sokurov

Un film vorticoso e rarefatto dal più estetizzante fra i registi russi di oggi. Qui Sokurov (Madre e figlio, Moloch) con un unico, straniante piano sequenza proietta lo spettatore all’interno d’un mondo passato: secoli di storia attraverso l’arte. L’arca è il museo Hermitage a San Pietroburgo, dove un regista contemporaneo e un diplomatico francese di due secoli fa compiono una visita attraverso il tempo e gli ambienti, incontrando via via, dentro i corridoi del potere , personaggi famosi, fra il fasto di corte e i segni di tragedia. Film “difficile”, a metà tra l’affresco e il saggio, ma trabordante d’una vocazione cinematografica personalissima, forte e sconcertante.

(Russian Arc) Russia-Fr.-Germ., 2002 - Regia: Alexander Sokurov - Con: Sergej Dreiden, Maria Kurnetsova - Storico-visionario - Durata un’ora e 36’ - Distr. Mikado

arca russa kolossal unico piano sequenzaL’arca russa è un kolossal con mille personaggi che si aggirano nelle auguste sale dell’Hermitage di San Pietroburgo. Sarà un genio o un pazzo questo Alexander Sokurov che grazie a incredibili acrobazie tecnologiche è riuscito a imbastire nel tempo reale di 1h.40’, senza stacchi né interruzioni, una cavalcata di tre secoli? Scoperto nel suo vagabondare da un personaggio pretestuale, il dispersivo Sergei Dreiden dalla chiacchierata divagante, fra un dipinto e una statua prendono vita Pietro il Grande, Caterina, i due zar Alessandro I e II colti ora in rituali pubblici e ora in una crepuscolare intimità. Da una sala all’altra approdiamo a un ballo tanto affollato e travolgente che in confronto quelli del Gattopardo sembrano quatto salti in famiglia. Nel gran finale siamo nel 1913 e l’esodo dei fantasmi dal palazzo diventa una potente metafora dell’uscita dalla storia. Nel suo aspetto di grande sogno questo strabiliante non film avrebbe deliziato C. G. Jung e Fellini. Da non mancare.

 Arca Russa è il film che Orson Welles avrebbe voluto girare se avesse conosciuto l’era del digitale e, alla stesso tempo, è il film che fa pensare cosa avrebbe fatto Stanley Kubrick se fosse vissuto quel po’ di più per mettere mano a una macchina di ripresa digitale a 24p. Dai nomi evocati si capisce che l’ultimo lavoro del regista russo Aleksandr Sokurov, inventore geniale e sperimentale, per quanto lui si definisca classico, di immagini e mondo poetici - già autore di film come “Moloch” e “La madre e il figlio” è il meraviglioso e riuscito tentativo di coniugare il classicismo con il futuro. Il gusto per l’Arte e la Storia, raccontati attraverso un unico piano sequenza di 96 minuti, ovvero tutto il film. Sembra un sogno, come il film che apre su un’immagine nera resa viva da una voce fuori campo, attrice principale e invisibile del film, che dice: “Apro gli occhi e non vedo niente. Nessuna finestra, nessuna porta... ricordo che è accaduta una disgrazia e tutti si mettevano in salvo come potevano”. È già sogno e incubo, bellezza e paura. E come per magia, in un’atmosfera onirica lucente, ci troviamo dentro l’Ermitage, nella San Pietroburgo del 1700.
A condurci in questo viaggio sono due personaggi: il primo, uomo contemporaneo, presente solo attraverso la soggettiva in piano sequenza del film, che sentiremo parlare e dialogare con un altro personaggio, un marchese dell’Ottocento, anche lui catapultato in una epoca non sua e in un periodo non suo. Sono Virgilio e Dante nel ventre della storia russa, che conducono un viaggio attraverso le epoche entrando in contatto con Pietro il Grande e Caterina II, con la famiglia dello Zar e con il direttore d’orchestra Valery Gergiev. Ogni stanza un’epoca, un evento e soprattutto una galleria di opere d’arte sublimi. L’Arca di Sokurov è un elogio dell’Arte e una critica della Storia come sequenza di eventi tutti umani, di morte e diplomazia, come se l’Arte non fosse prodotta dagli uomini ma fosse una sorta di divinazione, immagine di un “oltre” fatto di bellezza e armonia, di cadute e voli, di sangue e elegia. Come se l’uomo fosse la materia della Storia e l’artista un medium che riesce a far vedere quello che c’è ma non si percepisce, il marchese, che sposa i punto di vista dell’occidentale europeo contro il regista russo e contemporaneo, a un certo punto, vedendo dei soldati, dice: “Mi piace lo splendore delle divise ma non mi piacciono i militari”. Metafora perfetta di un’idea e della sua realizzazione. La lucente bidimensiondità del digitale trova in Arca Russa il luogo ideale per la sua massima espressione. Solo Rohmer con “La nobildonna e il Duca” era riuscito a rappresentare perfettamente le istanze del digitale. Li erano dei tableaux vivants, qui sono movimenti all’interno di simili tableaux. La camera passa morbida di sala in sala, indugia sui quadri e con essi coincide, immagine su immagine, forma su forma.

 

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