Thelma Dickinson è una giovane casalinga piena di vita e fantasia, ma frustrata da un marito aggressivo e imbecille; Louise Sawyer, meno giovane, una brutta esperienza alle spalle e un "fidanzato" che non la sposerà mai, fa la cameriera. Decidono una breve vacanza insieme, una scappatella libertaria e innocente per andare a pesca. Travolte dalle circostanze, determinate a sfidare il destino, le due amiche si ritroveranno ben presto impegnate in una fuga per la propria stessa sopravvivenza, il cui esito puo essere solo la resa o la fine.
Thelma & Louise (si faccia caso all'importanza di quella & commerciale, ad indicare un sodalizio inscindibile, quasi una società per azioni nel ramo del rischio e della trasgressione) è un film profondamente minaccioso, disperato, cupo, prodotto di un'epoca densa di interrogativi senza risposte e manifesto programmatico di un cinema che stempera nell'epica tragica l'orrore per la mediocrità e la paura del futuro.
In fin dei conti il leit-motiv del cinema di Scott rimane sempre quello dello schiacciamento, dell'annichilimento dei personaggi su sfondi divoratori, mostruosi o comunque enormi, si chiamino essi Storia (I duellanti), spazio siderale (Alien), mito (Legend), Metropoli (Blade Runner e il magnifico, non abbastanza compreso Pioggia sporca) e — ora — America. Certo, il dato nuovo qui è fornito dalla distruzione dell'eroe, anzi delle eroine: proprio il loro soccombere, anzi, le rende tali, ne sancisce la statura mitica progressivamente aumentata durante un film che inizia, non dimentichiamolo, con tutte le caratteristiche di una commedia on the road.
Nel cinema di Scott, forse, l'happy end non è piatta acquiescenza alla regole del botteghino o di una pretesa classicità narrativa, ma faticosa conquista dei personaggi e ineluttabile necessità mito-poetica. Sigourney Weaver in Alien ed Harrison Ford in Blade Runner giungono a fissare la morte in faccia, sono ad un passo dallo scacco definitivo: ma la loro condizione d'eroi era già stata predeterminata, rendendo così inutile ed anzi contraddittorio il sacrificio finale. Stesso discorso vale per Michael Douglas in Pioggia sporca, personaggio ancora più a rischio in quanto bisognoso di redenzione e quindi molto vicino all'olocausto, al punto da essere costretto a veder morire — quasi in sua vece — il proprio amico e collega.
Thelma Dickinson e Louise Sawyer, invece, sembrano due donne qualunque. Nulla farebbe pensare che possano (ri)costituire una "strana coppia": a cominciare dalle attrici, la malinconica e sfiorita Susan Sarandon e la spiritata, gigionesca Geena Davis. Pochi tocchi, dialogo veloce e sobrio, ed ecco che Scott ci introduce velocemente al nocciolo: casalinga piena di verve, giovane e "caliente", Thelma è però oppressa da un marito cretino e possessivo; cameriera in un drugstore, perennemente scontenta e fidanzata con un corpulento vagabondo che probabilmente la mena, Louise ha nel proprio passato anche un orribile ricordo di violenza carnale.
Con queste credenziali è evidente che le due amiche hanno dinanzi a sè un destino di riscatto-redenzione che non può non passare diegeticamente attraverso la catastrofe. E catastrofe sarà, infatti, puntualmente, in un magnifico finale tragico che immobilizza alla lettera l'istante della fine per consegnarlo alla memoria e al mito, ma anche al rimpianto e alla rabbia. La decisione ultima di Thelma e Louise di non cedere, di non arrendersi, è anche la loro estrema possibilità di recuperare finalmente una supremazia e un dominio su quel paesaggio che sembrava volerne inghiottire le coscienze e che dovrà invece accontentarsi di inghiottire, in uno dei suoi maestosi crepacci, i loro corpi di ribelli. Il paesaggio, il décor — sempre fondamentali, autentici deuteragonisti nei film di Scott — devono così arrendersi alla determinazione delle due donne, anche se certamente la grandiosità degli scenari naturali di marca nettamente fordiana rimane l'elemento principale del film, non diversamente dagli "arredi" biologico-futuristi di Alien e dal Giappone fumigante e astratto o dalla Los Angeles futuribile e decadente di Pioggia sporca o Blade Runner.
Nel paesaggio, per l'appunto, si compie la trasformazione di Thelma e Louise da svitate qualsiasi a ribelli con la causa. Il problema, per molti, sembra essere allora: qual è questa causa? Da più parti, con maggiore o minore soddisfazione a seconda dell'ideologia dominante, si è letto il film in chiave di criminalfemminismo, o comunque di femminilità a mano armata, sul modello del bessoniano Nikita e sulla scorta di altri film americani della stagione in cui le donne sparano, e sparano prima e meglio degli uomini, tipo Terminator 2 e V.I. Warshawski. In realtà, senza perdersi tanto in vacue dietrologie, anche questo elemento — reale, ma non da enfatizzarsi — fa parte di quell'esproprio del mito che le due protagoniste effettuano nel corso di un vero e proprio progress drammaturgico.
E questo impossessamento dei caratteri dell'eroe in fuga viene attuato, si badi, rimanendo costantemente dentro gli stereotipi di partenza. Così Thelma rimane sino in fondo la più stupidella delle due, la più incosciente, quella che all'inizio civetta con uno stupratore e poi se la spassa con un borsaiolo, ma anche quella che con maggior freddezza punta la pistola addosso ad un poliziotto e lo chiude nel bagagliaio della macchina (memorabile, nella propria dichiarata assurdità ma anche nella potenza simbolico-vendicativa, il gag del ciclista "rasta" che spunta dal Canyon e soffia nel cofano dov'è rinchiuso lo sbirro il fumo della propria sigaretta); mentre Louise è e rimane pedinata dalle malinconie e dai propri cattivi pensieri, ed è certo la più 'socialmente pericolosa" delle due, come suggerisce la rapidità — da autentico riflesso condizionato — con cui fredda con un colpo in fronte l'uomo che le aveva indirizzato un'oscenità.
La struttura del road movie, dichiarata anche nella scelta di una sontuosa colonna sonora country-rock che è anch'essa in qualche modo viaggio nella musica americana, non si appaga dunque in se stessa, connotando ancora una volta in Scott (non inferiormente a Kubrick, da questo punto di vista) l'insufficienza, l'inadeguatezza del genere-contenitore prescelto a raccogliere tutte le spinte e gli impulsi provati. Per questo il film è generoso di stereotipi maschili laddove questi possono essere spesi senza incidere nel tessuto dell'immaginario (il marito odioso e idiota, il poliziotto ragionevole, il ladruncolo sexy, lo stupratore arrogante o il camionista volgare) e senza fare della banale ideologia, mentre è del tutto imprevedibile — quasi la sceneggiatura fosse improvvisata sul campo dalle due protagoniste — nelle scelte di Thelma e Louise, fino a quella finale, mano nella mano, sguardo avanti per l'ultimo balzo di stoicismo.
Padrone del proprio destino, esse percorrono — insieme ad un ipotetico tratto d'America — anche tutte le tappe che vanno dall'innocenza alla dannazione, sino ad un sacrificio affrontato da autentiche 'irriducibili"; ci insegnano, in un film eversivo e geniale, che la voglia di stare all'opposizione è ancora più forte quando è perdente.
Thelma & Louise (Thelma & Louise) Regìa: Rydley Scott Orig.: U.S.A., 1991 Sogg. e Scenegg.: Callie Khouri. Fotogr.: Adrian Biddle, David B. Nowell. Musica: Hans Zimmer. Mont.: Thom Noble. Scenogr.: Norris Spencer. Costumi: Elizabeth McBride. Suono: Jimmy Shields (superv.). Interpr.: Susan Sarandon (Louise Sawyer), Geena Davis (Thelma Dickinson), Harvey Keitel (Hal Slocombe), Michael Madsen (Jimmy), Christopher McDonald (Darryl), Stephen Tobolowsky (Max), Brad Pitt (J.D.), Timothy Carhart (Harlan), Lucinda Jenney (Lena, la barista), Jason Beghe (guardia statale), Sonny Carl Davis (Albert). Prod.: Ridley Scott e Mimi Polk, per Pathé Entertainment Inc./Percy Main prod. Distr.: IIF. Durata: 129 min.
(ro.pu.)
da SegnoCinema n. 52 Nov.Dic. 1991