SINOSSI:  Susanna è una madre single che vive con la madre e il figlio in un paesino di provincia. Un pomeriggio va assieme alla madre Liliana al vecchio casale, dove questa è cresciuta, per incontrare l’agente immobiliare che si sta occupando della vendita della casa. Lì si accorge che la madre, in un momento di crisi, non ricorda più il casale.  Una volta tornata a casa, Susanna, turbata dall'accaduto, cerca supporto nel figlio Giulio. Il ragazzo, comprendendo lo stato d'animo alterato della madre, prova a farle indossare il proprio visore VR, che usa per studio e per svago, in un goffo tentativo di distrarla. Susanna all’inizio reticente si lascia distrarre dalla nuova esperienza che la porterà a riflettere sulla precedente crisi della madre.

Partendo da una dinamica familiare quotidiana, come la visita alla vecchia casa e la volontà di venderla di fronte ad una necessità, raccontiamo la storia di Susanna, una donna che si trova a dover fare i conti con la malattia incipiente della madre e con i sensi di colpa riguardo al rapporto con lei. Il momento infatti in cui l’anziana non ricorda più il casolare farà sì che Susanna, una volta scoperta la realtà virtuale tramite il figlio ed il suo visore VR, colleghi l’episodio accaduto alla nuova scoperta, cercandone un senso. Infine la speranza di poter utilizzare il visore come terapia per curare la madre la porterà a riflettere sulla propria memoria, nonché sulla caducità del corpo e delle sue facoltà. 

Emanuele Di Luccio sul personaggio: Susanna appartiene a una generazione, che è poi quella dei nostri genitori, che ha vissuto il boom degli anni 80’ e 90’ e le innovazioni tecnologiche che ne sono conseguite. Passati da un mondo ermetico, legato a realtà contadine e provinciali, ad uno interconnesso e cosmopolita, culturalmente figli del 68’, sono però cresciuti in una società caratterizzata dall'idea di poter impugnare il mondo e le sue possibilità. Oggi ci sembra di vivere un disicanto, in cui le medesime scelte dei nostri predecessori sembrano dover passare per riflessioni più approfondite, ora che siamo consapevoli delle conseguenze che queste potrebbero avere, non solo per il singolo individuo, ma per l’intero genere umano. 

Affascinati dai luoghi del centro Italia cosparso da paesi e casali abbandonati, testimoni di un passato esodo urbano, ci siamo chiesti che cosa ne sarà delle verità che questi luoghi racchiudono, una volta che chi ne ha conoscenza diretta non ci sarà più. Abbiamo cercato di porre questa riflessione a confronto con quelle che sono le più recenti possibilità di fruire luoghi che il mondo di internet e delle tecnologie ci offrono.

Ci incuriosisce infatti l’evoluzione storica che hanno avuto le ambizioni di conquista di spazi nuovi e sconosciuti, che si esemplifica oggi, oltre che nella volontà di conquiste spaziali, anche nella creazione di luoghi virtuali ed astratti, fenomeno che potrebbe significare l’ampliamento esponenziale dei luoghi fruibili da un essere umano.

Gabriele Dibenedetto sulla scelta delle location: “Ghizzano rappresenta per me un luogo di memorie felici e significative. La mia famiglia ha passato lì uno dei suoi periodi migliori, in un casale in affitto non lontano dal paese dove abbiamo trascorso ogni fine settimana per vent ’anni, fin dalla mia prima infanzia. Ogni domenica era un’occasione di festa con ospiti dalle provenienze più disparate. Il cortometraggio vuole infatti parlare, tramite il rapporto di una donna con l’anziana madre, ed all'interno di una riflessione sul rapporto che manteniamo con i luoghi, della memoria storica che i membri più anziani della nostra comunità hanno di quei territori. La location che infatti useremo per rappresentare il contesto è un casale disabitato, avvolto nella zona della Bonifica ai piedi di Ghizzano, simbolo di un tempo perduto.”

NOTE DI REGIA: Le sfumature di cui siamo alla ricerca necessitano di un preciso lavoro con gli attori, al fine di costruire l’immaginario di cui abbiamo bisogno e di avvicinare i candidati a quella condizione emotiva di cui siamo in cerca. Vogliamo infatti che diventino loro stessi, con la propria persona, protagonisti della messa in scena e non solo interpreti passivi di un'astrazione.
Sarà infatti durante le prove che lavoreremo le intenzioni e miglioreremo i dialoghi rendendoli propri di ogni attore, valorizzando anche, quando necessario, il dialetto e la cadenza toscana per garantire l’indissolubile legame che il progetto ha con il territorio.

La regia si porrà, nei confronti degli eventi, in uno stato di osservazione. L’intenzione è infatti quella di accentuare un punto di vista arbitrario sulla realtà, che restituisca l'impossibilità della protagonista e degli spettatori di cogliere il tutto, anche in una vicenda così piccola. La macchina da presa sarà infatti sempre su cavalletto o su supporti fisici. Le inquadrature ed il suono saranno pensati per valorizzare il rapporto fra luoghi e personaggi, che riteniamo fondamentale.

dal sito produzionidalbasso.com

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