La città sospesa

Presentazione del progetto di Andrea Piretti


La necessità di raccontare una storia nasce da ciò che questa storia può dare agli altri. Seguendo e rivisitando i canoni di un certo cinema contemporaneo, fatto di solitudini, inettitudine e inadeguatezza, ho scritto questo film raccontando la storia di un uomo solo in cerca di redenzione.
Per raccontare questo dolore ho scelto un tema di grande attualità: l’immigrazione clandestina. Il protagonista infatti pur partendo da un presupposto di sfruttamento nei confronti di chi arriva in Italia, riuscirà, proprio in relazione ad una ragazza africana, a redimere se stesso e ciò che ha fatto per tanti anni.
La scelta di questo tema non è dovuta al semplice racconto di un fenomeno così attuale con il solo scopo di attirare lo sguardo dello spettatore. Bensì il tutto è in funzione del racconto della storia del protagonista.
Il rapporto che si crea tra i due, spesso silenzioso a causa della differenza di nazionalità, diventa sempre più forte basandosi su ciò che capita ad entrambi durante l’avanzare della trama. L’uomo diventa per la ragazza una figura paterna e prende a cuore il dolore e il desiderio di fuga per una vita migliore che la muovono.
Pur ambientando il film a Napoli, ambiente saturo (cinematograficamente parlando) di un certo tipo di storie, in questo caso, pur rasentando un ambiente criminale, la violenza non è mai fine a se stessa. Ciò che è mostrato è sempre giustificato dal processo di crescita e cambiamento dei protagonisti.
Il film non si pone in nessun modo come atto di denuncia nei confronti di un fenomeno quale l’immigrazione, ma cerca di raccontarlo in modo asciutto e mai banale. Le difficili condizioni di vita, l’impossibilità di trovare un lavoro e la diffidenza nei confronti di queste persone, sono le ragioni per le quali spesso essi si trovano a dover accettare forme di sfruttamento e di maltrattamento.
Il film resta comunque un atto politico e morale nei confronti di un problema che esiste e che in qualche modo deve essere affrontato. L’etica dei personaggi, sempre mossi da un buon senso, si piega alle deviazione di una società malata e priva di qualsiasi forma di empatia.
Grazie alla conoscenza dell’altro, inteso come essere umano al di là di qualsiasi differenza, i personaggi riescono a salvarsi o almeno ci provano, per il bene di chi hanno, con difficoltà, imparato ad amare. La solitudine dunque si trasforma in condivisione ed emancipazione morale, volta al miglioramento del mondo.


Andrea Piretti