Il mestiere di Produttore? Difficile, quasi impossibile da definire. Troppe le competenze e nessuna; troppi i volti, cangianti, polimorfi e sconosciuti. Così, invece di tracciarne l'identikit, cominciai un diario di lavorazione. Sperando che il "particulare" gettasse luce sulle mansioni e sul gioco delle parti.
Giovedì, 22 luglio. Negli uffici della produzione regna, appunto, il caos: Beth e la segretaria si arrabattono per completare gli organici, la decoratrice e il capo-attrezzista sono incollati al telefono, io ricevo i candidati, controllo le referenze e pago in contanti i materiali acquistati dai carpentieri, mastice, bulloni, chiodi, graffette. Nessuno ci conosce, nessuno ci fa credito e così perdo un sacco di tempo ad approvare, registrare, archiviare i pagamenti. Nel tempo libero (poco), cerco di ingraziarmi l'équipe dei carpentieri e il personale dei teatri di posa: telefono ai ristoranti in zona per il pranzo, offro un caffè, una ciambella, un sorriso. Dal ruolo della "mamma" a quello del "gendarme": soprintendo alle riunioni — del regista con i capireparto, di ciascun capo-reparto con il suo staff —, traduco le decisioni sul piano di lavorazione e le diramo al resto della troupe. Continuiamo il casting e i sopralluoghi, che avremmo già dovuto ultimare e che si trascinano invece fino alle riprese.
Mercoledì, 27 giugno. Con il direttore della fotografia, giunto finalmente a LA, discutiamo la rosa degli operatori, degli assistenti, degli elettricisti. Nel pomeriggio convochiamo la troupe e distribuiamo i fascicoli con gli indirizzi e i numeri di telefono, gli "ambienti", le località", il piano di lavorazione, il contratto a termine e le procedure contabili. Mark e Kathleen cedono alla retorica; Benedicte Naudin, aiuto-regista pro tempore, ed io ci limitiamo a dare istruzioni e consigli pratici: niente fumo, niente alcol, firmate i cartellini di presenza, parcheggiate davanti al Teatro 2...
Venerdì, 29 giugno. Se ne vanno i carpentieri, arrivano i macchinisti e gli elettricisti. Che fanno le ore piccole per sistemare il parco lampade.
Sabato, 30 giugno. Esausti, con gli occhi gonfi, siamo arrivati al nastro di partenza. Ciak, si gira! E ci vanno tutte storte: i walkie-talkie gracchiano, il dispositivo-video non funziona, la segretaria di edizione non sa fare il suo mestiere, la troupe non va d'accordo. E poi i ragazzini di Watts: pensavo che il maestro e due assistenti li avrebbero tenuti a bada, invece scorrazzano nel teatro di posa, imbrattano i muri, fanno razzia delle bevande e degli snack. Johanna frantuma il lavabo e lascia sul marmo una pozza di sangue. Chiamiamo l'ambulanza, l'accompagnamo in ospedale, telefoniamo agli assicuratori, plachiamo i dirigenti del teatro. Vedo nero: il set è un porcile e un campo di battaglia. Faccio acquistare giocattoli e videocassette, ma i ragazzi si annoiano. Strillo al megafono, niente. Licenzio i più facinorosi, niente. E la troupe mi guarda in cagnesco, come fossi responsabile di quell'inferno. Che fare? Rassegnarsi. Per due settimane arriverò sul set prima degli altri, disattiverò l'allarme, aprirò l'ufficio, ascolterò la segreteria telefonica, darò una mano alla ragazza che ci prepara la colazione e il caffè, butterò giù due note per il meeting con il regista, l'aiuto, il direttore della fotografia e la segretaria di edizione. Stessi compiti la sera, ma alla rovescia: ispezionerò i locali, chiuderò a chiave, attiverò la segreteria e l'allarme. Poi quaranta minuti di macchina e quattro-cinque ore di sonno. Nulla di eroico: durante il giorno mi rifugerò in ufficio e magari schiaccierò un pisolino. O mi nasconderò al secondo piano per un break, per sbollire, per mandare tutti a fare-in-culo, per dimenticare i centomila problemi che aspettano una soluzione. Odio il set e ci farò soltanto delle capatine: quattro chiacchiere con l'aiuto-regista e la truccatrice, una strigliata ai ragazzini, una parola d'incoraggiamento per tutti (ancora nel ruolo della "mamma"!) La vigilanza effettiva (il ruolo del "gendarme") sarà invece delegata agli ispettori di produzione. Andrò in banca di mattina; nel pomeriggio, con l'assistente alla regia, studieremo il bollettino-pellicola del giorno prima, il giro-macchina, il programma di lavoro e il fabbisogno-scena di quello successivo (il ruolo? Quello ingrato dell'amministratore"). Infine guarderemo i giornalieri, faremo il punto della situazione con il regista e i capi-reparto, aggiusteremo — se necessario — il piano di lavorazione già rabberciato. Cercando l'equilibrio (il compromesso?) fra le ragioni dell'Arte e quelle del Dollaro. Tre i problemi quotidiani: la canicola, la macchina da presa, la troupe. Ottengo un segretario di produzione per fare gli acquisti, per mettere in ordine le scartoffie, e subito me lo rubano, perché ne hanno bisogno sul set. Come rimpiazzare i volontari? Come assicurarsi le maestranze e i tecnici? Quando non ci riesco, toccherà a me, a Beth, a Kathleen ramazzare, raccogliere le immondizie e gettarle nei cassonetti. ll ruolo? Quello di "Cenerentola" dopo la mezzanotte. Soltanto un paio di volontari ci resteranno fedeli dall'inizio alla fine, senza un contratto per la paga dilazionata, senza l'indennità giornaliera, senza la speranza di un credit sotto i riflettori. Matt Berger, trent'anni, si è laureato in legge, ma vuole fare lo sceneggiatore; Mark Banducci, ventidue, studia recitazione all'Università. Entrambi faranno i lavori più umili e meno creativi, pur di imparare il mestiere. Più umili, ma necessari: guideranno i furgoni, accudiranno i ragazzi, faranno lo shopping, smonteranno il set, suppliranno gli assistenti alla regìa, i segretari di produzione e gli aiuti-operatore.
Venerdì, 5 agosto. È il primo giorno di riposo dopo tre settimane filate. Riposo? La mattina consegno al contabile i cartellini di presenza. Nel pomeriggio continuiamo i sopralluoghi per il teatro e la casa. La sera sbrigo la posta e mando un fax a "Segnocinema".
Lunedì, 8 agosto. Dissimuliamo lo stress e ci facciamo belli per la troupe televisiva. Kathleen si è truccata per l'intervista, i ragazzi sorridono al fotografo. Tutto va liscio, poi si ripiomba nel caos.
"Colpevole" la segretaria di edizione, perché abborraccia il bollettino e i fogli di continuità, rendendoli inutilizzabili. "Colpevole" chi scrive, perché ho esitato a licenziarla e a rimpiazzarla con Liliana che facciamo venire dalla Florida. "Colpevole" la costumista, perché ha fatto indossare ai ragazzi le T-shirt e due settimane dopo si è accorta di non avere i diritti per mostrarne i logo (Nike, Superman...). Proveremo ad elemosinarli ed incarico il mio assistente delle questioni legali. Che altro fare? Cominciare daccapo? "Colpevole" il regista, perché ha firmato una sceneggiatura troppo lunga e un piano di lavorazione troppo corto; perché si è ostinato a recitare e a dirigere nello stesso tempo; perché ha sopravvalutato le sue forze e sottovalutato i problemi.
Mercoledì, 17 agosto. Ultimo giorno nel teatro: il giorno più lungo, il giorno — e la notte e l'alba — dell'elefante (ci costa $3.000). Finiamo in bellezza: grippa la seconda macchina da presa, una Mitchell che abbiamo noleggiato per gli effetti speciali; l'elefante caca sul set; la troupe si ammutina alle 2:00 di notte. Discuto con l'aiuto-regista il giro-macchina per gli "esterni", do disposizioni per il trasloco, per le roulotte (del caste dell'ufficio), per gli autocarri (con i mezzi tecnici) e per il gruppo elettrogeno. Infine alzo i tacchi, per tornare alle 9:00 e soprintendere alla demolizione del set. Kathleen resterà nel teatro fino all'alba, andrà a letto di mattina e in spiaggia alle 18:00 per gli "esterni".
Sabato, 20 agosto. Nuova la località: la Scuola Media Florence Nightingale. Nuovo il direttore della fotografia: Clyde Smith. Nuovo lo staff intorno alla macchina da presa. Abbiamo voltato pagina, mi dico: degli enfant terrible restano solo i protagonisti, Liliana se la cava e le riprese in "esterni" promettono bene. Invece la costumista ci pianta in asso, Kathleen è a casa con il cellulare, io ho un telefono pubblico scassato e decine di chiamate urgenti (agli attori, ai noleggiatori, al laboratorio...).
Mercoledì, 24 agosto. Dopo una notte interminabile, traslochiamo nel Teatro Giapponese, spossati e assonnati. Ma i clown ci restituiscono il sorriso, il palcoscenico ci ristora le forze.
Venerdì, 26 agosto. Quinta — e ultima — settimana: ci sposteremo dal loft all'ospedale alla casa; faremo le ore piccole, gireremo sei pagine al giorno. Restituiamo la roulotte e destiniamo un angolo del giardino all'ufficio della produzione: sul prato, il telefono cellulare, i libri contabili, gli archivi, le fatture. Che importa? Non elaboriamo più nulla al computer, non ne avremmo il tempo. A malapena riusciamo a distribuire i quattrini, a compilare i moduli, a raccogliere le ricevute e a ficcarle nei bustoni. Procediamo alla cieca, ormai incapaci di controllare le spese, di totalizzarle e di raffrontarle al preventivo. Clyde Smith se ne va, Mark Lowentha decide di sospendere le riprese, Kathleen ed io ci opponiamo: troveremo un altro direttore della fotografia — il terzo — e condurremo The Elephant in porto. Nonostante le falle, nonostante le defezioni del capo-attrezzista, della decoratrice (che accorre al capezzale della madre), dei volontari (che non si fanno più trovare). Mercoledì, 31 agosto. Beth ed io ci improvvisiamo macchinisti, diamo una mano con la gru, il mobilio e le lampade. Sbaracchiamo alle 2:00 del mattino, troppo stanchi per farci una birra. Entro le 10:00 andranno restituiti i mezzi a nolo: Beth si occuperà delle caffettiere, Matt dei furgoni, i macchinisti degli autocarri. Io consegnerò il mixer, i microfoni, i walkie e — controvoglia — riaprirò l'ufficio nel pomeriggio.
Le ultime due fasi non hanno bisogno della traduzione: inevitabili con gli studio, non fanno al caso nostro. D'accordo, parecchie cose ci sono andate storte, ma nulla che non mi aspettassi fin da quella prima colazione il 15 giugno. A metà settembre, Kathleen dà alla luce un maschietto ed io il bilancio consuntivo. Rispetto a quello preventivo, abbiamo risparmiato $11.000: ci serviranno nell'aprile del 1995, per filmare alcune scene ed integrarne altre. Aprile del '95? Sì, finiamo il premontaggio elettronico mentre scrivo queste note. Gireremo per una settimana, torneremo alla consolle, ci occuperemo del missaggio, del taglio del negativo, della copia-campione e dei materiali per la vendita (la colonna internazionale, il video master, ilpress-book, le stampe, le diapositive, il visto di censura... ). Poi comincerà il vero tour de force, cominceranno i festival e le trattative con i distributori. Perché il lavoro del produttore — come quello del genitore — non finisce mai: ha le sue stagioni, i suoi alti e i suoi bassi. Licenziato un film, se ne mette in cantiere un altro: Kathleen ne ha ben tre, io ho opzionato uno script e con due partner diamo la caccia ai finanziatori. Avevamo giurato che non avremmo più lavorato a un film low-budget, che non avremmo più sfacchinato, supplicato, rubato, barato. Ma i triboli si dimenticano e si comincia daccapo. Ne vale la pena.
di Luca Norcen
Testo ed immagini da L'altra faccia di Hollywood in SegnoCinema n. 73 Mag/Giu. 1995