Se sentite l’urgenza di narrare qualcosa di forte e non avete i mezzi, da oggi potrete creare la vostra opera grazie ad un semplice telefonino. Con il costo di una cena tra amici, vi sarà possibile raccontare storie avvincenti per il grande schermo con una ottima qualità fotografica.
I due film più rappresentativi del nuovo Cinema 3.0, girati con un iPhone, sono “Searching for Sugar Man” che ha vinto un Oscar, e “Tangerine” che ha conquistato il Sundance. Ma il dispositivo della Apple ucciderà l’industria di Hollywood? - PARTE PRIMA
La rivoluzione in atto, quella che offre la possibilità a ciascuno di noi di diventare un regista e di realizzare un prodotto professionale senza una attrezzatura prosumer da migliaia di euro, porta con sé un grave rischio. Che tutti possano illudersi di essere registi grazie a gioiellini all’avanguardia e si improvvisino novelli Truffaut. La democratizzazione dell’arte non vuol dire imbarcarsi con uno smartphone in un’avventura per cui non si hanno né le competenze, né la vocazione o le capacità.
Fatto questo preambolo, non si può negare che l’audiovisivo oggi stia vivendo una profonda mutazione estetica.
Un precursore della new wave digitale è stato sicuramente Rage, realizzato con uno smartphone della Mela nel 2009 da Sally Potter, la regista di Orlando.
Nel 2011 il regista Hooman Khalili, 37 anni, gira un altro lungometraggio con uno smartphone: Olive. Il film vede come protagonista niente meno che l’attrice vincitrice del Golden Globe, Gena Rowlands. Khalili usa un cellulare Nokia N8, adatta la fotocamera ad alta risoluzione con una lente da 35 mm e infine monta lo smartphone su un treppiede. E il gioco è fatto.
Olive racconta di “una bambina che trasforma la vita di tre persone senza pronunciare una sola parola”. L’intero budget, non molto a dire il vero, perché ammonta a meno di 500.000 dollari, è stato fornito da due benefattori estranei alla comunità dello spettacolo e noti per la loro filantropia.
Poi è stata la volta del maestro coreano Park Chan-Wook con Night Fishing, un cortometraggio a basso budget che vince il Festival di Berlino nel 2013. Il regista di Old Boy ci riprova con Paranmajang, un horror costato meno di 100mila euro, e interamente realizzato con un iPhone4.
Nello stesso anno esce The Commuter, un corto girato con un Nokia N8, con tanto di cammeo con Pamela Anderson.
Ma a segnare un vero e proprio spartiacque è nel 2013 il successo planetario di Searching for Sugar Man. A metà tra mockumentary, dramma e thriller, Searching for Sugar Man racconta la leggendaria epopea di Sixto Diaz Rodriguez, un cantautore folk americano. Due suoi fan ricostruiscono la sua vita avventurosa, il fallimento negli Usa e il successo in Sud Africa dove è diventato un’icona popolare, e cercano di appurare la verità sulla sua morte, aiutandosi con i testi delle canzoni e frammenti di interviste. Il regista Malik Bendjelloul documenta i loro sforzi, che daranno esiti imprevedibili.
«Ho cominciato a girare su Super 8», spiega Bendjelloul. «Ma la pellicola è molto costosa e ho esaurito il budget del film. Rimanevano altre scene da filmare, poi mi sono accorto che il risultato che cercavo poteva essere raggiunto con un’app da un dollaro». Cellulare alla mano, lo svedese Bendjelloul ci ha impiegato quattro anni per realizzare la sua docu-fiction sospesa tra la realtà e la finzione, usando la app 8MM Vintage Camera. Si tratta di una specie di Instagram per il video, che applica filtri capaci di dare un tono retrò ai filmati iPhone. Quello che Bendjelloul non poteva certo immaginare è che il suo Searching for Sugar Man avrebbe vinto un premio al più importante festival del cinema indipendente USA, il Sundance, e avrebbe conquistato l’ambita statuetta degli Oscar, e poi avrebbe mietuto tante recensioni positive su carta, sul web e su siti specializzati come “Rotten Tomatoes”, dove ha registrato punteggi altissimi.
Nel 2014 Uneasy lies the mind sfrutta ancor una volta le capacità dell’iPhone 5, il più attrezzato dal punto di vista dell’hardware per lavorare le immagini, e racconta un classico plot a tinte horror.
La premessa è abbastanza convenzionale. Un gruppo di amici si riunisce in una casa di montagna, per il compleanno del protagonista.
Dopo poco cominciano ad emergere invidie e paranoie fino a livelli estremi, alimentati da alcol e droghe.
Dal punto di vista tecnico, il regista Ricky Fosheim ha aggiunto all’Apple solo un obiettivo Turtle Back per ottenere un look modaiolo “a fuoco/sfocato” da cinema ed evita il piattume della lente in dotazione.
Per girare Fosheim ha optato per Filmic Pro, un’app che rispetto alla videocamera standard consente di personalizzare diverse impostazioni (come il frame rate) e può impostare livelli di compressione del filmato. Uneasy lies the mind ha raccolto tramite Kickstarter i 10.000 dollari necessari alla sua realizzazione ed in breve è diventato un caso mediatico.
Nel 2015 arriva Tangerine. Il film è presentato al Sundance Film Festival, un festival che conferma il suo apprezzamento per la tecnologia povera, ed è girato con un iPhone 5S. E’ stata una decisione che lo scrittore e regista Sean Baker ha adottato per mantenere ridotto il budget. Tangerine è stato girato in widescreen 2:35:1, e con una fluidità che non ci si aspetterebbe da un dispositivo portatile.
Baker dice che lo smartphone è stato un “buon partner”. “E’ stato sorprendentemente facile. – spiega il regista indie. – Non abbiamo mai perso alcun filmato”. Oltre all’iPhone, Baker ha utilizzato una app da 8 dollari, la Filmic Pro, che gli ha permesso un maggiore controllo sul fuoco, sull’apertura e sulla temperatura del colore.
Tangerine è ambientato in un’assolatissima Los Angeles ben lontana dall’iconografia classica. Alla vigilia di Natale una ragazza transessuale, prima di tornare sul marciapiede, apprende dalla sua migliore amica che il suo ragazzo/protettore l’ha tradita con una donna cisgender bianca (“una donna con vagina e tutto il resto”). Da questo momento la protagonista andrà a caccia della rivale, ferita nei sentimenti e nell’orgoglio personale. In Tangerine il colore viene reso con una qualità sorprendente, in maniera anti-naturalistica. Nelle inquadrature infuocate c’è un arancione carico, di un cromatismo esasperato, che spiazza lo spettatore.
Davvero la gloriosa tradizione di Hollywood morirà per colpa di un telefonino? Televisione, cinema, pubblicità e web cambieranno pelle? L’intero reparto produttivo si evolverà in virtù dei nuovi supporti tecnologici? E’ ancora presto per dirlo. Intanto, i comparti fotografici di Apple e Samsung stanno sviluppando nuove risorse – basti pensare che i nuovi top di gamma registrano video in 4K. Con l’ausilio di lenti ottiche, una steadycam e qualche app di supporto, i filmaker della new wave 3.0 sono in grado di creare video di fattura professionale, con immagini nitide e senza movimenti bruschi. Quindi è lecito pensare che un domani lo smartphone diventerà lo strumento preferito per fare cinema.
Nel circuito festivaliero stanno correndo ai ripari e si moltiplicano le competizioni per una nuova generazione di cineasti, i cosiddetti “registi col cellulare”. Il Festival Pocket Films in Francia, il Festival del Cinema di iPhone, il Mobile Film Festival negli Stati Uniti e il Festival Internazionale del Film Smartphone in Sud Corea sono tutti dedicati a film girati solamente con un telefonino.
E le novità italiane? Ci sono film nostrani realizzati con uno smartphone?
Un titolo per tutti. Wax - We are the X del 36enne Lorenzo Corvino è stato girato attraverso la soggettiva di un cellulare. Il regista ci racconta la storia di due giovani italiani e di una ragazza francese inviati a Montecarlo per le riprese di uno spot. Il viaggio si trasforma in un'avventura inaspettata. Tra gli attori, oltre ad Andrea Sartoretti, spicca la partecipazione di Rutger Hauer.
Wax - We are the X mescola diversi generi e il risultato è molto interessante. “La tecnologia è il pretesto per capire cosa mi permette nella mia linea espressiva di sentirmi a mio agio; nel mio caso, è stato il cellulare. – dice Corvino. – Nei vari sopralluoghi che facevo, quando mi trovavo a vampirizzare e voracizzare i set dove mi trovavo per imparare, filmavo tutto con un cellulare e mi portavo sempre dietro una penna con cui scrivevo su un taccuino: cellulare e taccuino proprio come quelli di Livio e Dario nel film. Ho applicato il mio modo di essere pioniere di me stesso nelle esperienze che facevo per poi usarle come mezzo espressivo. Sono partito da un unico intento, quello di raccontare una storia, ma non ho mai pensato: Uso lo smartphone per creare un linguaggio nuovo. Mi sono semplicemente chiesto quale fosse il mezzo migliore per raccontare una storia.”
Un altro esperimento degno di nota è il film Zero Bagget, nato da un’idea di Michele Coppini, che per realizzarlo ha utilizzato il suo Samsung Galaxy S5.
Il fiorentino Coppini non ha trovato produttori che promuovessero la sua idea di una serie TV e allora ha creato una storia che ruota attorno al suo tentativo di vendere l'idea, alle delusioni patite nell’ambiente dello spettacolo e alla voglia di non arrendersi. Zero Bagget risulta così uno sgangherato atto d’amore rivolto alla creatività in generale, un inno alla passione per il cinema. Una passione che non si esaurisce neppure dopo l’ennesima porta che ti chiudono in faccia. E questo grazie al piccolo insignificante cellulare che porti nella tasca.
Articolo di Alessio Billi del 19 ottobre 2016 per colpidiscena.blogspot.com