Definire chi è l’attore sembrerebbe un falso problema: anche un bambino sa chi è un attore e sa se da grande preferirebbe fare il pompiere, il calciatore, il pilota o, appunto, l’attore. Si tratta di un mestiere, dunque? Senz’altro. Eppure, a parte l'importante funzione che anche oggi ha il teatro non professionistico, per secoli il teatro è stato fatto da attori dilettanti, in gruppi omogenei di intellettuali, aristocratici, cortigiani, accademici, che potevano di volta in volta essere gli attori o gli spettatori degli spettacoli, “giochi chiusi”, di cui essi erano allo stesso tempo i produttori e i fruitori.
Se chiediamo a un semiologo ci risponderà che l’attore è «un’emittente multicanalizzata di messaggi a funzione poetica». (Eco 1973) 
Ineccepibile. Ma questo poco ci dice di quei fenomeni (il divismo in primis) che ci mostrano come l’attore, anche in scena, sia riconoscibile e riconosciuto, oltre il personaggio, come individuo, persona reale di cui si possono eventualmente conoscere anche carriera e vita privata. E poco ci spiega anche del come e del perché una macchina per molti aspetti “manchevole” possa produrre performances eccellenti (e viceversa). …(omissis). C’è dunque qualcosa di non poi così ovvio nella natura e nella qualità di questo strano mestiere che nei secoli tanto variamente è stato considerato…Cerchiamo di orientarci nell’intrico delle problematiche che riguardano l’attore, seguendo, dopo qualche altra riflessione introduttiva, tre percorsi principali:

  •  le concezioni
  •  il lavoro
  •  la formazione

Iniziamo il nostro ragionamento prendendo in considerazione le definizioni d’attore che si trovano in enciclopedie e dizionari. Scegliamone una tra le più recenti, accorte e tutto sommato complete: nel suo Dizionario del teatro , alla voce “attore”, Pavis esordisce:
L’attore, recitando una parte o dando vita a un personaggio, si pone al centro dell’evento teatrale: esso costituisce il legame vivente tra il testo dell’autore, le direttive di recitazione del regista e lo sguardo e l’ascolto dello spettatore. (Pavis 1998, sv).
Alcune osservazioni:a parte il fatto che la prima parte dell’enunciato introduce, incidentalmente e dando per scontati, dei concetti come quello di “parte” e di “personaggio” che sono invece tutt'altro che ovvii, la seconda parte dell’enunciato, pur pertinente e adeguata alla gran parte della attuale realtà occidentale, esclude esperienze quali quelle in cui l’attore improvvisa, creando un testo che non ha un altro autore e che non preesiste alla performance “dimentica” che della pur significativa figura del regista il teatro ha fatto a meno per secoli (e si ricordi che il termine “regista” non è entrato nella lingua italiana prima del 1932). Nel Sei-Settecento, ad esempio, c’è l'attore completo, di volta in volta commediante, poeta, musicista, saltatore, trasformista, burattinaio; così come l’attore ottocentesco è il signore assoluto e unico della scena.Mettere dunque l’attore in immediata relazione con le figure dell’autore e del regista rischia di far passare in secondo piano quello che è il dato fondamentale relativo all'attore, a prescindere dalle epoche, dai contesti e dalle diverse tradizioni e poetiche: la sua centralità nell’evento teatrale. L’attore (come unità corpo-mente) è il perno su cui si costituiscono, come coessenzialità significanti, parola, spazio, tempo e la partitura visiva, acustica e gestuale dello spettacolo.

I testi di Laura Peja sono tratti dal sito "Gli elementi del teatro. Attrezzi per capire la scena"
reperibile all'indirizzo: www.piccoloteatro.org/elementi


 

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