Per raccontare il precariato, che sta divorando l’Italia e creando sconforto in molti individui, il regista Kristian Xipolias mette in scena, con pochi tocchi narrativi che lambiscono il documentario, una storia esemplare, delicata ma allo stesso tempo molto amara.
Il protagonista Manfredi (già di per sé un nome che rimanda alla gentilezza) è un uomo che è costretto a vivere ancora con la madre. Ha appena compiuto quarant’anni, è insicuro, e pur di lavorare accetta di fare il rider, mestiere poco gratificante.
Vestito in modo elegante, per far credere alla madre di cominciare un lavoro di valore, per poter cominciare questo lavoro è costretto a rubare – maldestramente – una bici. Tutto il giorno pedalerà per la città, vestito elegante, contento di poter essere utile alla società, ma al medesimo tempo triste per la precarietà.
La sua mansione di rider è quella di recapitare fiori, e prima di consegnarli al destinatario, si mette a leggere i bigliettini d’accompagnamento. Un ulteriore particolare narrativo per mettere in rilievo la solitudine del personaggio, che cerca per un attimo d’immergersi in quelle frasi altrui, e vivere per un secondo quelle vite – migliori – che lui non può vivere.
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