Zima Blue è l’artista protagonista dell’omonima puntata della serie Love, Death and Robots, prodotta da Netflix. 10 densi minuti di cortometraggio, dove la parabola artistica ed esistenziale di Zima sembra sfiorare, senza esplicitamente nominarle, diverse tematiche inerenti alla storia e alla filosofia dell’arte.
Quanto lontana si trova la verità sulla nostra esistenza? Domanda a dir poco complessa, cruccio dell’uomo da quando il suo intelletto è stato in grado di sollevare il dubbio fino alla superficie della coscienza: da quel momento non l’ha più abbandonato. Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Il quesito posto da Paul Gauguin nel suo celebre dipinto ha la duplice utilità di condensare il problema secolare in una formula immediata e di introdurci all’arte come possibile percorso da seguire per giungere a delle risposte circa la nostra esistenza. L’arte ha da sempre provato a porsi come intermediaria conoscitiva della realtà, provando a riprodurla secondo intenti mimetici, in modo da rilevare/rivelare il segreto della natura insito nella sua perfezione.
Al tentativo partecipa anche l’artista Zima Blue, protagonista dell’omonimo corto animato realizzato da Netflix e inserito nella serie antologica Love, Death and Robots. Figura dal passato misterioso, sembra aver iniziato la carriera artistica eseguendo degli ottimi ritratti. Ma il soggetto umano, per quanto interessante, è presto diventato insufficiente per l’ampiezza della sua riflessione. Si è così cimentato nella realizzazione di gigantesche opere murali dedicate al cosmo, la cui infinita profondità meglio si adattava al sentimento di vuoto immenso che Zima Blue andava colmando grazie alla sua arte.
A questo punto la storia del corto si muove sovrapponendosi alla storia dell’arte e sceglie di proseguire la propria parabola in modo inaspettato. Zima Blue ha esposto quadri di dimensioni monumentali in teatri gremiti di gente, la sua rappresentazione del cosmo sembra superare i limiti stessi dell’universo e sondare lo sconosciuto dell’animo umano. Eppure per lui non è ancora sufficiente. Come la mimesis ha nel corso dei secoli ceduto il passo ad un’interpretazione espressionista delle realtà – in modo da sfruttare al massimo la potenzialità artistica di portare alla luce ciò che del reale non si vede, piuttosto che trovare conferme nella verosimiglianza dell’imitazione – così l’artista ha proceduto ad esplorare, nel suo caso il cosmo, un aspetto sconosciuto della nostra dimensione; come la forza espressionista si è poi spinta nella storia dell’arte a superare se stessa, a muoversi in modo sempre più deciso verso i confini dell’esistenza, tanto da scivolare infine nell’etereo regno della rappresentazione astratta, così nelle opere di Zima Blue fa capolino, al centro di un impressionante paesaggio stellare, un piccolo quadrato blu.
Assomiglia più al blu del cielo o al blu del mare? Se lo chiede la giornalista a bordo di una navicella mentre si muove nell’atmosfera afro-futuristica che la serie Netflix – dai toni cyberpunk, incline ad esplorare diversi mondi fantascientifici – ha scelto per questo particolare episodio: è da oltre 200 anni che Zima Blue non concede interviste e ora, alla vigilia della presentazione della sua ultima opera, ha deciso di raccontare a lei la sua storia. Proprio lei ci narra dell’incredibile carriera che Zima Blue ha avuto dopo l’intuizione del blu. Dopo quel primo approccio, la porzione di blu è costantemente cresciuta nelle sue opere, assumendo forme geometriche e conquistando spazio pittorico, fino ad arrivare ad occupare l’intera superficie delle grandi tele. È la nascita dell’astratto, in particolare del quadro monocromo. È, inoltre, l’inizio di una delirante e tracotante esaltazione professionale da parte dell’artista, che non si accontenta di aver introdotto il mondo ad una riflessione pura e spirituale attraverso le sue opere, ma continua la sua inarrestabile crescita diffondendo il suo giganteschi pannelli blu per tutto lo spazio, dipingendo il nero di blu cielo, sfruttando i satelliti come supporto, colorando asteroidi e meteoriti. Anche se nell’episodio non viene fatto direttamente riferimento ad alcun artista o movimento artistico – e anzi sembra soffermarsi brevemente sull’ascesa economica e artistica di Zima Blue – è possibile rintracciare significativi dettagli che rendono questa puntata ricca di spunti artistici oltre che filosofici.
Per esempio, nell’ingerenza con cui le opere di Zima invadono il territorio cambiandone radicalmente l’ambiente estetico non sono estranee al fenomeno della Land art, nato e cresciuto nel magmatico rapporto tra natura e arte. Le opere di questo tipo, seppur in modo effimero e provvisorio (al contrario di ciò che fa Zima), intervengono in modo deciso nell’ambiente in cui sono inserite, alterandone la conformazione al fine di ricavarne il messaggio artistico. Su questa stessa linea, è possibile apprezzare un certo richiamo al filone della Neon art – arte che sfrutta la luce neon come medium, per l’appunto – quando Zima illumina di blu un’intera cerchia di asteroidi, creando uno spettacolare effetto visivo. Puro impatto estetico, proprio come i neon artistici contemporanei. Nell’impressionante quantità di fondi economici, di cui Zima deve necessariamente disporre per realizzare le sue opere interstellari, possiamo infine ritrovare la figura dell’artista imprenditore. Semplificando, anche a rischio di banalizzare, viene piuttosto spontaneo portare alla mente la figura di Damien Hirst. Tra gli artisti più celebri e ricchi del nostro tempo, Hirst sembra potersi muovere – fin dal 2008, quando alla vigilia della crisi finanziaria americana vendette in asta le sue opere, per milioni di dollari, senza la mediazione di una galleria – al di fuori di qualsiasi consuetudine o regola, operando su livelli accessibili solo grazie al suo status di artista e alle sterminate disponibilità monetarie.
Niente di tutto questo viene però approfondito e forse, a ben guardare, nemmeno si adatta al personaggio di Zima Blue, che mano a mano si fa più chiaro. Probabilmente, l’artista che maggiormente di avvicina al personaggio è Yves Klein: in primo luogo, e non potrebbe essere altrimenti, per via della passione per il blu; inoltre, come l’artista francese si è cimentato in lunghi viaggi in oriente, soprattutto in Giappone, dove ha potuto affiancare alla sua pratica pittorica una profonda e seria ricerca spirituale su se stesso, così Zima Blue ha esplorato gli angoli più nascosti dell’universo – grazie ad alcuni interventi che hanno lentamente trasformato il suo corpo in quello di un cyborg – immergendosi letteralmente nelle profondità del cosmo. Così l’arte astratta si fa simbolo – e pratica quotidiana – di un percorso filosofico ed esistenziale che è prima di tutto umano: l’incolmabile spazio tra il nostro desiderio di verità e l’impossibilità di raggiungerla si colora di un blu infinito, senza forma né tempo, senza spazio né variazioni. Il quadro si configura allora come il contenitore di informi riflessioni complesse, un quotidiano esercizio verso l’assenza di turbamento, la pienezza del vuoto, l’eternità dell’attimo. La dimensione senza limiti del blu è lo specchio di una verità senza volto, possibile da comprendere tramite facoltà e sensi forse non disponibili all’uomo; il blu è la possibilità, la grandezza, il tutto, il nulla, l’immensità, il dettaglio, la luminosità, l’oscurità; è il luogo dove poter scorgere, infine, uno squillo di eternità. Lontano dell’essere solo parole Klein e Zima hanno ricercato il loro blu ogni giorno, portando il proprio corpo in luoghi impensabili, portando il proprio spirito ancora più lontano.
Dove sono arrivati? Yves Klein ha probabilmente trovato la morte (1928-1962) prima di giungere ad una qualsiasi soluzione, lasciando la sua ricerca sospesa come il suo corpo nell’iconico tuffo che ci ha lasciato. Al contrario, la vicenda artistica ed esistenziale di Zima Blue raggiunge un epilogo inaspettato. È la giornalista la famosa destinataria della confessione di Zima, che prima della sua ultima opera le confessa le sue vere origini: Zima Blue è il risultato di secolo di interventi robotici volti a rendere sempre più complesso (e umano) un robot ideato per la pulizia di una piscina. L’artista è dunque un cyborg estremamente avanzato, che nel corso del tempo si è evoluto a tal punto da sviluppare una coscienza, una mente pensante in grado di porsi dei dubbi sulla propria natura, sul senso della propria esistenza. Scienza e arte sono state le due linee esplorative che hanno portato Zima ad approfondire ogni luogo dell’universo, a diventare ricco, ad ottenere successo, a migliorare costantemente il proprio corpo, a vivere come una star e a ritirarsi da eremita. La sua è un parabola fiabesca e semplicistica che esalta, ponendola in parallelo con la scienza e con la vita, l’arte come mezzo di conoscenza. Alla luce della semplicistica ma esemplificativa parabola di Zima Blue, ci appare più comprensibile la svolta astratta dell’arte, unico approdo quando la figura si è inevitabilmente riscoperta insufficiente.
Niente, a dire il vero, si è probabilmente confermato sufficiente per definire alcuna verità; o almeno Zima Blue non è stato in grado di trovarlo. Così ha deciso, per la sua ultima opera (a tutti gli effetti una Performance, attuata davanti a un grande pubblico) sceglie di fare ritorno dove tutto è cominciato: nella piscina dov’è nato. Fatta rimuovere e trasportata al centro di un teatro, ricostruita nei dettagli proprio come era stata un tempo, la vasca è pronta ad accogliere l’ultima opera di Zima. Lui, con un tuffo di testa, fa così marcia indietro fino ad un ideale spazio uterino dove l’artista-filosofo-uomo comprende di dover far ritorno. Che sia un segnale di resa o una definitiva presa di coscienza di quale fosse il suo luogo (con annessa funzione) nel mondo si potrebbe dibattere all’infinito, come difatti da secoli sta accadendo. La frase di commiato che Zima Blue pronuncia mentre rinuncia, nel blu della piscina, alle sua maggiori capacità intellettive è esemplificativa della verità che crede di aver raggiunto:
Mi immergerò nell’acqua e mentre lo farò annullerò lentamente le mie maggiori facoltà intellettive. Distruggerò me stesso. E lascerò quanto basta per apprezzare il mio ambiente. Da questo otterrò il semplice piacere di un compito bene eseguito: la mia ricerca della verità alla fine si è conclusa. Sto tornando a casa “
Tutto ciò che Zima Blue ha ricercato nella sua secolare esistenza non è stato in grado di restituirli l’immediatezza e la semplice della sua funzione originaria. Il complesso passaggio all’umano, al senziente, per quanto probabilmente indispensabile si è infine rivelato inconcludente. Zima rinuncia a tutto questo, sceglie per un improvvisa inversione e invece che continuare a cercare il dettaglio (la verità) nell’universale (lo spazio), si indirizza verso una ricerca dell’universale (la verità) nell’acqua tranquilla della sua piscina (il dettaglio). Allo stesso modo possiamo apprezzare il tentativo dell’arte di muoversi fra queste due tendenze esattamente come qualsiasi altra disciplina umana, e in particolare quello dell’arte astratta di trasportare sulla tela (dettaglio) un sentimento tanto irraffigurabile da non essere nemmeno presente in natura (l’universale).
La vita incredibile di Zima Blue si configura allora come una parabola straordinariamente efficace sia della pratica artistica (contemporanea ma non solo) e dell’esistenza stessa. Quanto in là siamo disposti a spingerci per avere risposte? Quante angosce abitano la nostra vita? Siamo noi, siamo soli, chi siamo? è maggiore lo spazio fuori di me o quello dentro di me? C’è chi le risposte se le è date da solo, chi si affidato ad una religione, una filosofia, all’arte, per venirne a capo; c’è chi prova a spingersi sempre oltre, affondando nelle profondità dell’ignoto, per giungere alla stessa risposta che forse troviamo nella piscina di casa. Un vecchio monaco buddista, interrogato sulla verità della vita, rispose: “Tre libbre di lino, un cipresso nella corte”. Una complessa metafora? Assolutamente no. Tre libbre di lino, un cipresso nella corte, ovvero esattamente ciò che egli aveva davanti al momento della domanda. La forma umana, la forma del cosmo, la forma dell’astratto, la forma del blu che Zima ha sempre ricercato come risoluzione ai propri quesiti si rivela così, infine, come la prima cosa che ha visto nella sua vita: la piastrella blu, marchiato Zima Blue, che tappezzava la piscina che era solito pulire nella sua infanzia cibernetica.
L’assoluto è qui, non altrove.
di Davide Landoni per artslife.com