Era il 1979 quando il viaggio nelle tenebre del cuore umano firmato Francis Ford Coppola strabiliò il pubblico al Festival di Cannes e vinse la Palma D’Oro. Una discesa lungo il fiume nero del Vietnam, il Mekong (in realtà la maggior parte delle riprese del film si tenne sul fiume Pasangjan, nelle Filippine) che è un naufragio senza appello nei gironi danteschi dell’Inferno: questo era “Apocalypse Now”, affresco monumentale e allucinato del lato oscuro della coscienza umana cui la guerra in Vietnam fa da cornice e la degenerazione dell’io corre parallela alla carneficina umana. A quasi vent’anni dalla prima proiezione di quel capolavoro, Vittorio Storaro, che ne fu direttore della fotografia, ha affidato alla custodia di CSC-Cineteca Nazionale una copia speciale del film, realizzata nel ’99 con l’aggiunta di 49 minuti rimasti fuori dal montaggio della versione precedente. E a Bologna, in un incontro con il pubblico durante il festival del cinema del passato “Il Cinema Ritrovato”, ha ricordato aneddoti e curiosità di quell’anno e mezzo di riprese che lo impegnarono, insieme al regista e alla troupe, dal marzo del 1976 all'agosto del 1977.
“Rifiutai il film due volte. La prima, temevo che accettando l’offerta di Coppola avrei fatto un torto a Gordon Willis, storico direttore della fotografia e suo stimatissimo collaboratore. Volli parlarne personalmente, e fu lui stesso a rassicurarmi: preferiva cedermi il posto, perché non voleva lasciare gli studi a New York e non si ritrovava nel genere di storia che avremmo girato. La seconda volta, invece, non riuscivo a capire cosa c’entrassi io, che venivo dai film con Bertolucci, con un film di guerra. Coppola in quel caso fu straordinario: ‘ Non è un film di guerra, mi disse, ma sul senso di civilizzazione. Voglio dire la verità su quel che è accaduto, nella storia dell’umanità, ogni volta che una cultura si è sovrapposta ad una diversa’. Mi suggerì di leggere 'Cuore di tenebra' di Joseph Conrad, in cui veniva descritto magnificamente questo clash di civiltà. Accanto al bene siede anche il male, il conscio si accompagna all’inconscio come l’ombra alla luce.
Il materiale girato nelle Filippine veniva inviato e sviluppato in Italia, alla Technicolor di Roma. Ma all’epoca un solo aereo a settimana copriva quella tratta, mentre le macchine da presa non prevedevano alcun sistema di visione anticipata o video controllo delle riprese: per questo motivo, per rivedere il lavoro svolto e eventualmente intervenire, era necessario aspettare due settimane. A nulla valse il tentativo della produzione di affidare lo sviluppo del girato agli studi di Los Angeles, collegata con un volo ogni tre giorni. Questa soluzione avrebbe consentito di rivedere in tempi più rapidi i nastri, tanto più che si stavano girando scene delicate (e costose) come la distruzione dei templi. Ma il direttore della fotografia Storaro fu irremovibile e continuò a lavorare con la troupe italiana.
La celebre scena di “Apocalisse Now” in cui Coppola fa una fugace compassata insieme a Vittorio Storaro e al celebre scenografo Dean Tavoularis come membro di una troupe televisiva sotto i bombardamenti, arrivò dopo una serie di tentativi fallimentari. Il regista non era pienamente soddisfatto del lavoro degli attori, così il direttore della fotografia gli suggerì di scendere in campo e lui lo fece insieme alle “due persone di cui lui stesso aveva ammesso di non poter fare a meno” ricorda Storaro. Un terzetto che, quarant’anni dopo, mutatis locis, si è ritrovato lo scorso maggio alla prima romana della Traviata diretta da Sofia Coppola. I tre premi Oscar si sono divertiti a ricreare la scene delle tre scimmiette (“non vedo, non sento, non parlo”).
Per il montaggio del film Coppola si avvalse di cinque persone, prima di decidere di affidarlo definitivamente al montatore Richard Marx, che ricominciò tutto da capo. Nel caos di un lavoro che triplicò i tempi previsti, suggerendo alla stampa titoli come “Apocalypse When?” o “Apocalypse Tomorrow”, il regista “arrivò alla a Cannes con una copia del film “incompleta”, in progress”, racconta Storaro, “Si fermava al momento in cui il capitano Martin Sheen uccide il generale Kurtz, senza titoli di coda. Questo perché Coppola, sul finale, voleva una risposta dal pubblico, cosa impensabile nel cinema italiano. Si inventò un formulario per tastare gli umori di chi aveva visto il film, poi mi disse: ‘Ho capito che non si può prendere qualcuno, condurlo in un viaggio nel cuore della tenebra e lasciarlo lì. Bisogna riportarlo indietro. Perché l’ombra è parte della luce, senza di essa non esisterebbe”. Vent’anni dopo arriverà “Apocalypse Redoux”, un nuovo montaggio con materiale scartato che cambia leggermente il finale dell'originale del 1979. “Pensò che il pubblico era pronto ad accettare anche quel che all’epoca era stato tolto”.
La scena in cui il colonnello Kurtz affiora dalla penombra in tutta la sua monumentale onnipotenza arrivò al termine di una giornata di scoramento, di fronte a un Marlon Brando riluttante e un Francis Ford Coppola esausto, “steso su una torretta a guardare il cielo mentre la pioggia gli bagnava il volto”, racconta Storaro. “Avevo già provato alcune scene per tenere impegnati i tecnici e lo convinsi a scendere giù per fare un tentativo. All’inizio non voleva, era veramente sconfortato, ma poi si convinse. In quella scena confluirono influenze caravaggesche e platoniche, con il mito della caverna”.
Di Silvia De Santis per huffingtonpost.it