Cosa rende Aguirre, furore di Dio tanto affascinante alla visione? Di certo non la narrazione avventurosa, che elude ogni struttura di genere, con tempi morti e un’allucinatoria sospensione dell’azione. Tanto meno la critica al colonialismo. E’ piuttosto la percezione di una natura immensa e mortifera, lo sprofondare consapevole di Aguirre nel cuore delle tenebre per carpirne il segreto. Ciò che Herzog vuole, e che deputa al suo attore feticcio Klaus Kinski nel ruolo di un conquistatore folle e visionario, è sentire il paesaggio. Aguirre, e la macchina da presa con lui, vogliono penetrare la natura e compiere un’azione tanto grande e maestosa da entrare in una sorta di fusione panica con essa. Qual è la principale azione di Aguirre nel film, in fondo. Aguirre non uccide, non combatte, Aguirre guarda. E lo spettatore lo vede guardare, con gli occhi della cinepresa. Herzog ha voluto realizzare un percorso dello sguardo. La cinepresa osserva prima dall’esterno, poi entra nella visione soggettiva del personaggio e, nel vorticoso finale, se ne distacca per vedere coi propri occhi. E’ ciò che Herzog ha sempre cercato: la capacità di mostrare la visione del nuovo. E, infatti, le vicende legate alla realizzazione del film sono indiscernibili dalla finzione stessa. Seguendo Deleuze diremmo che Aguirre è l’immagine-pulsione di un mondo primordialema anche un superamento dell’immagine-azione in direzione dell’immagine-tempo.

Qui il link alla tesina completa:  https://www.ilcorto.eu/images/files/Lo sguardo di Aguirre di Treleani.pdf

 

 

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