Anche la barzelletta è arte: un saggio di Holt sulla storia del motto di spirito. Raccontare la storia delle barzellette e chiarire perché fanno ridere. Quando la rivista americana New Yorker gli commissionò un articolo su questo tema Jim Holt pensò che non avrebbe avuto problemi a scriverlo.
Una rapida ricerca sul web gli fu sufficiente a dimostrargli che si sbagliava: nessun giornalista o esponente della comunità accademica aveva mai affrontato in maniera esaustiva l’argomento. Per colmare la lacuna Holt si mise al lavoro e il risultato della sua indagine è ora in un volume tradotto in Italia da Isbn (Senti questa. Storia e filosofia della battuta di spirito, 93 pagine, 12 euro) in cui si risale sino alla Grecia del V secolo per definire che cosa nel corso dei secoli abbia significato lo humour e quali meccanismi di natura psicologica inneschino effetti comici.
Non ha avuto bisogno di molto tempo Holt per mettere a fuoco i motivi dell’assenza di una analisi complessiva e articolata della barzelletta. Perché si tratta, dice, di una forma di umorismo che va e viene con il nascere e il morire di una civiltà. Si tratta, dunque, di una sintetica esplosione verbale con radici in un momento storico con precise caratteristiche, un fuoco d’artificio linguistico debitore nei confronti situazioni contingenti. Ovvio che ci sia comunque dell’altro, visto che il meccanismo è sempre identico sul piano psicologico. E’, dunque, all’origine del riso che occorre indagare. E proprio su questo tema Jim Holt ha deciso di soffermarsi, oltre a proporre una efficace sintesi delle battute maggiormente significative per ogni epoca, illustrandone in dettaglio il senso.
Se le barzellette esistono e circolano da secoli incardinate soprattutto su due temi (sesso e potere), filosofi e psicoanalisti hanno cominciato a dibattere sui loro effetti in tempi molto più recenti, visto che il filosofo francese Henri Bergson decise di dedicare un trattato al significato del comico nel 1900, cinque anni prima che Sigmund Freud pubblicasse il suo saggio sul motto di spirito e la relazione che intratteneva con l’inconscio. In precedenza nel canone filosofico non si registrano indagini approfondite ma solo sguardi fugaci e di stampo negativo, visto che in molti (a cominciare da Platone e Aristotele) ritenevano il riso una conseguenza del vizio e della follia o una ricaduta della spontanea volgarità popolare.
Nel corso del Novecento, osserva Holt, un numero maggiore di studiosi ha affrontato l’argomento. Senza tuttavia raggiungere conclusioni univoche. E visto che sul tema non esistono certezze il giornalista americano offre il suo personale contributo al dibattito in corso, teorizzando che «le barzellette sono un prodotto dell’ingenuità umana che, nella loro forma più essenziale e raffinata rientrano nel dominio dell’arte, anche se purtroppo tutti noi siamo spesso torturati da comici professionisti non sempre intelligenti che non resistono all’impulso di regalarci le loro battute e le loro barzellette». Un modo elegante per concludere un libro serio che, per fortuna, induce anche al riso in un’epoca in cui le barzellette (e le vignette satiriche) sono diventate oggetto di violentissime controversie di natura politica o religiosa.

di Roberto Bertinetti  da:  http://www.ilmessaggero.it

 

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