La Ricotta di P.P.PasoliniDissacrante e spietato, il cortometraggio di Pier Paolo Pasolini uscito il 19 febbraio del 1963 anticipò di quarant'anni la satira della serie cult. 

Pochi sono i cult anomali come Boris, la fuori serie italiana che si è caricata sulle spalle lo scomodo ruolo di spartiacque della serialità nostrana. Prima di Boris nessuno aveva mai avuto il coraggio di gridare che il re è nudo, e cioè che la fiction italiana avesse vizi e meccanismi che potevano essere dissacrati, come avveniva con la borghesia, la classe lavoratrice e, qualche volta, persino con il potere. Probabilmente perché quello che il capolavoro messo in scena dal trio Ciarrapico-Torre-Vendruscolo andava a scardinare era proprio un teatro dove il potere si faceva sentire forte e chiaro, popolato dai “Romanelli” che personaggi come l'indimenticabile Itala prendevano in causa per ricordare che le cose non sarebbero potute cambiare finché certe ingerenze non fossero cessate. L'audacia che sorregge Boris ha radici antiche, legate a un mondo vicino a quello del piccolo schermo e caratterizzato da molti degli stessi problemi: tali radici appartengono a Pier Paolo Pasolini, e al suo La Ricotta sbarcato nelle sale italiane esattamente sessant'anni fa, il 19 febbraio 1963.  

Pasolini Welles in Wired corto cortometraggioIl contesto è quello di Ro.Go.Pa.G., un'antologia di cortometraggi firmati da alcuni dei più grandi nomi del cinema del periodo, tra cui Rossellini e Godard, oltre allo stesso Pasolini. Al regista friulano spetta una mezz'ora occupata da La Ricottail segmento più memorabile della pellicola e punto di svolta nella carriera pasoliniana. In maniera speculare a Boris, protagonista della vicenda è una troupe intenta a girare nella periferia romana un film sulla passione di Cristo, una cornice sacrale profanata da comparse e maestranze, che al raccoglimento suggerito da un lavoro di questo spessore preferiscono sfottò, battute e spogliarelli. A spiccare è la presenza di Orson Welles, per l'occasione alter ego del Pasolini-regista capace di offrire scene come questa dove il dialogo spolmonato con gli attori non può che ricordare quello di René Ferretti con Stanis, Corinna e il resto della banda.

La Ricotta Pasolini corto cortometraggio 3Il protagonista de La Ricotta è un uomo del quale conosciamo solo il nome, Giovanni Stracci, e il ruolo, quello di comparsa nei panni del ladrone buono crocifisso al fianco di Cristo. Nei trenta minuti durante i quali lo vediamo destreggiarsi sul set ad affliggerlo sono soprattutto i morsi della fame, che lo porteranno a compiere atti spregiudicati come la vendita del cagnolino dell'attrice principale in cambio di mille lire, sufficienti per acquistare un'abbondante porzione di ricotta. Nel frattempo il resto della troupe lo tratta con scherno, incluse le altre comparse, e anche un momento consolatorio come lo spogliarello della procace interprete della Maddalena è da lui vissuto letteralmente in croce, steso a terra, nell'attesa di essere issato in favore di cinepresa. A concludere in maniera emblematica la vicenda di Stracci vi è la sua stessa morte per indigestione, avvenuta dopo aver finalmente consumato la tanto agognata ricotta e aver così compiuto, a modo suo, il martirio.

La Ricotta Pasolini corto cortometraggio 2In questa reinterpretazione profana del sacrificio cristiano è ampiamente condivisa la lettura in chiave marxista di Stracci come eroe del proletariato, morto per produrre la ricchezza altrui sulle spalle per giunta della tradizione religiosa. Altrettanto spontanea può essere l'assimilazione della figura di Stracci a quella del precario, rappresentata in Boris con crudeltà ineccepibile dalle figure di Alessandro e Lorenzo (non a caso apostrofati sul set coi soprannomi di Seppia e Schiavo, quasi a cancellarne ulteriormente l'identità). 

Un paragone, quello tra Stracci e la figura del precario, che in Boris 4 trova il suo completamento: a essersi mangiato la ricotta, ad avere cioè ottenuto la stabilità e il prestigio lavorativo a lungo bramati, è Alessandro, che vive la sua morte di aspirante creativo per diventare un uomo d'azienda, in giacca e cravatta, perennemente in videochiamata con manager internazionali e filodiffusore del gergo corporate, quasi una sorta di yuppie trasteverino. 

Ed è proprio con Boris 4 che si completa il parallelismo tra due opere così lontane nel tempo eppure vicinissime nell'intento e nell'Italia che raccontano: il grande motore narrativo della stagione uscita lo scorso anno sono proprio le riprese di una fiction sulla vita di Gesù, prodotta e recitata con mille fanfare da un incontenibile Stanis La Rochelle il quale a un certo punto arriva a ribattezzarla “Gli occhi del cuore sacro di Gesù”. A fare da scenografia non sono questa volta gli esterni della periferia romana con l'edilizia popolare sullo sfondo, ma gli interni a due passi dal raccordo anulare del teatro di posa che fin dal 2007 è il grande contenitore dell'epopea borisiana.

La Ricotta Pasolini corto cortometraggio 4 Si mantiene in questo modo intatto il contesto periferico rispetto alle grandi sedi del potere, dove si decide in ultima istanza cosa può essere girato o meno da registi ridotti a poco più che oggetti di scena, come rappresentato dall'emblematica scritta “regista” sulla sedia di Orson Welles. Questa volta il potere, che nelle serie di fine anni Duemila era stato rappresentato come ne La Ricotta dalla politica, ha il volto di zio Michele, ‘ndranghetista in società col produttore esecutivo (già delegato di rete) Lopez che porta sul set numerosi “ragazzi di vita” che contribuiscono al caos delle riprese. C’è anche spazio per una fugace citazione allo stesso Pasolini, menzionato da Stanis come riferimento culturale che Martellone, in cerca della svolta drammatica, dovrebbe leggere in pubblico per migliorare la propria credibilità: il regista torna ad essere un oggetto, questa volta non più da usare come esecutore di direttive stringenti ma come accessorio di lusso.

La Ricotta Pasolini in Tribunale corto cortometraggioL'intesa tra Boris e La Ricotta si spinge dove opere successive non hanno più osato avventurarsi nei rispettivi ambienti: l'industria cinematografica italiana non ha mai ritrovato il coraggio di sfidare la censura e la sensibilità pubblica per mettere alla sbarra le proprie ipocrisie, come fatto da Pasolini al punto che in tribunale per vilipendio religioso ci finì di persona, uscendone con una condanna ripulita in seguito da un'amnistia. Alla stessa maniera Boris, interpretata da molti come un auspicio di rinnovamento della televisione italiana, non è stata capace di aprire una nuova stagione della serialità nostrana, sottolineando così per contrappasso la propria unicità e pregio autoriale. 

Trasmessa inizialmente dal canale satellitare Fox, quindi a distanza di sicurezza da un establishment che non avrebbe visto di buon occhio una critica così feroce al proprio sistema, la fuori serie arrivò solo con grande fatica e in seconda serata su Rai 3: un percorso che stride con la popolarità di un cult ormai nazionalpopolare. Non è infatti un caso che Boris sia vista e apprezzata in larghissima parte da spettatori giovani, sotto i 35 anni, ormai indifferenti alla televisione e che, ulteriore ironia della sorte, una serie tv sulle serie tv l'hanno vista dallo schermo di un computer (spesso illegalmente, una via fondamentale al successo della serie come riconosciuto dagli stessi produttori). 

La Ricotta Pasolini corto cortometraggio 5L'altro grande asse concettuale che unisce La Ricotta e Boris è quello della metatestualità: in un gioco di scatole cinesi entrambe le opere ci parlano di sé stesse mettendo a nudo i meccanismi che le governano, non solo quelli fatti di intrighi e soprusi, ma anche di cineprese, carrelli, microfoni e ciak. L'opera nell'opera, il film sulla passione di Cristo da una parte Gli occhi del cuore dall'altra, è vista con sufficienza dal regista, conscio dell'industria che sta richiedendo quel prodotto e del livello intellettuale modesto del pubblico a cui si rivolge: è con sprezzo che Orson Welles (nella finzione un regista italiano) definisce i suoi connazionali un popolo analfabeta, con la borghesia più ignorante d'Europa. Allo stesso modo René sa benissimo che quella che gira è “merda”, ben lontana dall'afflato artistico del suo cortometraggio d'autore La formica rossa, ma al contrario di Welles gli è concesso il tempo per riconciliarsi con la sua stessa opera, al punto da prorompere nella memorabile battuta "Viva la merda!". 

La Ricotta Pasolini corto cortometraggio Tutto è mercificato, svilito, spogliato di ogni ambizione per portare a casa il prima possibile un'altra scena, al punto che ne La Ricotta perfino la croce di spine è consegnata nella scatola di un pastificio, come fosse un anello del conte qualsiasi, e in Boris il talento del veterano Serpentieri va smorzato per il timore di René che emerga troppo chiaramente il divario tra un vero attore e un cast ai confini dell'amatorialità. Traspare così una forte sfiducia nei sistemi all'interno dei quali sono inserite le opere, ai quali mancano gli anticorpi per un vero cambiamento: una considerazione profetica da parte di entrambi i lavori, con le medesime istanze de La Ricotta riviste e amplificate in Boris e confermate nell'ultima stagione poco più di tre mesi fa.  

Ambiziose, irriverenti, brillanti, audaci: La Ricotta e Boris non hanno avuto paura di trasmettere un messaggio importante a un pubblico che, soprattutto nel caso della fuori serie, lo ha recepito chiaramente, associando a tempo indeterminato i gesti, le battute e le situazioni del cast a un mondo lontano dai riflettori. Ed è proprio l'ironia di questo paradosso, un mondo di riflettori lontano dall'occhio del pubblico, che pervade un cortometraggio come La Ricotta, a distanza di sessant'anni più attuale che mai.

Articolo di  in wired.it PARALLELISMI del 

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