Quando finisce un film le luci si accendono, ci alziamo dalle poltrone e non leggiamo quasi mai i titoli di coda. Facciamo male perché in qualche caso il film non è davvero finito. Ci sono ancora immagini che ci attendono e che così perdiamo. Nel film “Cenerentola” di Kenneth Branagh, ad esempio, al termine dello scorrere dei titoli di coda è proprio la sua voce, quella di Cenerentola, che dice: “Ma dove sono andati tutti?” sottolineando così che la sala si è nel frattempo svuotata.

Perché invece bisognerebbe soffermarsi a guardarli (se non a leggerli)? Perché cosi ci si renderebbe conto direttamente che il cinema è composto da due termini che fanno rima: passione e professione.

L'assistere allo scorrere di, a volte apparentemente interminabili, liste di nomi può sembrare un’inutile perdita di tempo. Non è cosi.

L’attore Charlton Heston (protagonista del primo ”Ben Hur”) una volta ha detto: "Il problema del cinema come industria è che i film sono un'espressione d’arte e il problema dei film come espressione d'arte è che il cinema è un’industria".

Compito di chi fa cinema è il coniugare questi due elementi e non dimenticare mai né I'uno né l’altro. Gli autori dei corti che avete visto potrebbero già dirvi quanto lavoro stia dietro pochi minuti di proiezione, quante competenze, quanto tempo impiegato.

Tutto questo però richiede sempre e comunque (se si vuole toccare il cuore dello spettatore) il rispetto di un ammonimento che I'anziano Alfredo in “Nuovo Cinema Paradiso” dava al piccolo Salvatore: “Qualsiasi cosa farai amala, come amavi la cabina del Paradiso, picciriddu”.

Intervento di Francesca Garavante, giurata alla Rassegna "I corti del Gattopardo" a Sciacca (12-9-2017)

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