Riportiamo dal sito key4biz.it un articolo di Angelo Zaccone Teodosi del 27 Novembre 2023, che è interessante anche oggi.
È cosa buona e giusta che le sovvenzioni italiane del Ministero della Cultura vadano ad arricchire multinazionali straniere? La riforma dell’intervento dello Stato nel cinema e audiovisivo deve essere radicale e coraggiosa. Anche perché nel 2023 il box office italico è ancora a quota -23 % rispetto al 2019…
In Italia, abbiamo scritto tante volte, si continua a governare l’intervento della mano pubblica nel sistema culturale con grande (troppa) approssimazione: e le patologie del “governo nasometrico” della cultura emergono ogni tanto, ma i quotidiani ed i media “mainstream” appaiono distratti.
Un esempio classico: la quasi totalità dei giornalisti sembrano esaltati per il gran risultato del film “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, che verosimilmente raggiungerà quota 30 milioni di euro di incasso, ponendosi così tra i film italiani di maggior successo degli ultimi anni…
Senza nulla togliere ai meriti artistici e commerciali del film, qualcuno si sta ricordando che una rondine non significa necessariamente primavera, per il cinema italiano?!
Box office del cinema in Italia: da gennaio a novembre, 436 milioni di euro di incasso, corrispondenti al -19 % rispetto al 2019. E gli spettatori sono -25 % rispetto all’anno pre-Covid
I dati del botteghino cinematografico italiano sono impietosi: dal 1° gennaio 2023 a domenica 26 novembre 2023 (quasi 11 mesi) sono stati incassati da tutti i cinematografi italiani complessivamente 436 milioni di euro (fonte Cinetel, dati relativi ad oltre il 90 % del mercato totale nazionale, circa 3mila schermi di circa 1.000 sale cinematografiche in tutta Italia).
Un dato che registra senza dubbio un +73 % rispetto al 2022, ma ancora un -19 % rispetto all’ultimo anno pre-pandemia ovvero il 2019. Ancora peggiori i dati se si guarda alla quantità di biglietti venduti: siamo a quota 62 milioni di spettatori, con uno sconfortante -25 % rispetto al 2019.
E qui affrontiamo un ulteriore questione, osservando quali sono le quote di mercato delle società di distribuzione per… nazionalità (qui analizzate per quantità di spettatori): prevale su tutte la multinazionale Warner Bros (che appartiene al gruppo Wb Discovery) con il 19,8 %, seguita dalla multinazionale Disney con il 17,8 % ed Universal con il 17,8 % (gruppo Nbc-Universal ovvero Comcast), e poi Vision Distribution (gruppo Sky, a sua volta controllata da Comcast) con il 10,3 %, Eagle Pictures (9.7 %), 01 Distribution (gruppo Rai, con l’8,7 %, Medusa (gruppo Mediaset) con il 4,2 %, Lucky Red con il 2,5 %, I Wonder col 2,1 %, Bim (gruppo tedesco Wild Bunch) con l’1,2 %… Per un totale di 94,1 %. Tutte le altre società di distribuzione assieme raggiungono meno del 6 %.
Di queste società, anche formalmente tutte con sede in Italia, quelle italiane vere sono assai poche: la Eagle (9,7 %), Medusa (4,2 %), Lucky Red (2,5 %), I Wonder (2,1 %)… per una quota cumulata del 18,5 %…
Al di là della quota di mercato del cinema “made in Italy”, che è attualmente salita grazie al “boom” del film di Paola Cortellesi, si dovrebbe sviluppare un ragionamento critico sul concetto di “italianità” dei film: e partiamo proprio dal caso tipico del tanto (troppo) decantato “C’è ancora domani”. Il film è prodotto da Wildside, con distribuzione Vision: la prima è una controllata del gruppo lussemburghese Fremantle (a sua volta facente parte della multinazionale tedesca Rtl Bertelsman), la seconda è parte del gruppo statunitense Sky (gruppo Comcast). Il film è stato girato in esterni nel quartiere Testaccio di Roma ed in interni a Cinecittà. Si ricordi che Fremantle ha un accordo triennale con Cinecittà, di cui occupa parte significativa degli “studios” di Via Tuscolana. E si ricordi che Nicola Maccanico, prima di essere nominato nel 2021 dal Ministro Dario Franceschini alla guida di Cinecittà, è stato Amministratore Delegato di Vision Distribution dal 2016 al 2021 ed al contempo Executive Vice President di Sky Italia dal 2018 al 2021. Si osservano intrecci curiosi – come dire?! – tra “pubblico” e “privato”…
Il film “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi: costato 8,3 milioni di euro, a fronte dei 4,3 milioni di euro di “Dante” di Pupi Avati?
Abbiamo già segnalato come la “denuncia” lanciata dal quotidiano “la Repubblica” venerdì scorso 24 novembre fosse in fondo una effimera “bolla di sapone”, perché se è vero che il film non è stato sostenuto da una commissione ministeriale per l’accesso ai contributi ai “film difficili”, lo stesso Ministero lo ha ben sostenuto con un contributo di 3,1 milioni di euro.
Secondo il database pubblico della Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura (diretta da Nicola Borrelli), a fronte del contributo di 3.086.876 euro da “tax credit produzione”, il film è costato 8.303.128 euro (dati tratti dal “database aiuti alle opere” della Dgca del Mic). Il contributo da “tax credit” corrisponderebbe ad un 37 % del costo di produzione
La prima domanda sorge spontanea: effetti speciali?! Location complesse? Non parrebbe…
Qualcuno potrebbe insinuare che – al di là della qualità intrinseca dell’opera – questi 8,3 milioni di euro “non si vedono” sullo schermo, fatta salva l’ipotesi che alla neo-regista, agli sceneggiatori, ai tecnici siano stati assegnati compensi favolosi… Un raffronto: l’ultimo film diretto da Pupi Avati, “Dante”, ha ricevuto 2,7 milioni di euro di sostegno pubblico (1,3 milioni da “tax credit produzione”, 935.000 euro da “selettivi produzione”, e 462mila da “distribuzione”), a fronte di un costo complessivo di 4,3 milioni di euro. A fronte di un impegno scenografico e di ricostruzione storica notevole (assente o comunque di senza dubbio minore importanza nel film di Cortellesi), “Dante” ha un costo dichiarato corrispondente alla metà di “C’è ancora domani”. Non si deve essere direttori di produzione, per maturare l’impressione che… qualcosa non quadra…
Cosa succede dopo… Gran parte dei flussi di ricavi vanno nelle mani delle multinazionali, tra vecchie majors e novelle conglomerate multimediali straniere…
Ma analizziamo quel che succede dopo: generalmente, l’esercente cinematografico “trattiene” circa il 50 % dell’incasso al “box office”; a sua volta, il distributore incamera tra il 25 % ed il 30 %, ed il resto va nella cosiddetta “quota produttore”…
La domanda è: di questo flusso di danari, tra spesa del consumatore ed intervento pubblico, quanto resta in Italia?!
A ieri sera (domenica 26 novembre 2023), “C’è ancora domani” ha incassato 23,9 milioni di euro… Facciamo “24”, per semplicità. Quindi – sempre semplificando – 12 milioni vanno nelle casse degli esercenti (quanti italiani veramente?! Vedi infra), 6 nelle casse del distributore (Vision cioè Sky) e 6 nelle casse del produttore (Wildside cioè Fremantle Rtl Bertelsman)…
Al netto di costi in Italia, una parte notevole dei 6 + 6 (distributore + produttore) milioni di euro lasciano il territorio simpaticamente italiano, ed alimentano il “capitolo Italia” degli “annual report” delle due multinazionali.
E non entriamo nel merito di quale sia la quota di mercato dei due maggiori gruppi di sale cinematografiche italiane sul totale degli schermi: Uci Cinema è di proprietà della “britannica” Odeon Cinema Group (che dal 2016 fa capo a Amc Entertainment Holdings, a sua volta controllata dal gruppo cinese Wanda Group), e The Space Cinema Italia è di proprietà della multinazionale britannica Vue International. Entrambi non esattamente… imprese italiane.
È forse questo un falso problema?
Non crediamo sia così, perché Wildside (Fremantle Bertelsman) beneficia del sostegno dello Stato, ben 3 milioni su 8 milioni di costo di produzione dichiarato, e peraltro approfitta del rapporto privilegiato con la controllante Freemantle, ovvero della società-madre che gestisce gli studi di posa nel quale il film è stato girato.
Ovviamente il Ministero della Cultura ha i dati del preventivo / consuntivo dell’opera in questione, ma queste informazioni non sono di pubblico dominio, e quindi non è dato sapere come siano stati spesi gli 8 milioni di euro, nei vari centri di costo… Quanto è stata remunerata la regista alla sua opera prima, gli sceneggiatori, i tecnici, ovvero quanto sia stato speso nelle varie fasi della produzione, e quanto specificamente nell’affitto dei teatri di posa…
Si dirà che “economie” di questo tipo sono normali allorquando esiste la cosiddetta “integrazione verticale” o accordi incrociati tra imprese che partecipano alla produzione di un’opera cinematografica e/o audiovisiva…
Si dirà che gli 8 milioni di euro spesi nella produzione vanno a vantaggio di artisti, autori, maestranze italiane, e tutti possiamo (finanche dobbiamo) essere lieti di questo contributo alla decantata “piena occupazione” della forza-lavoro dell’industria cinematografica e audiovisiva italiano.
Il grande tema del “sovranismo culturale”, questione economica ed al contempo politica
Il problema che qui poniamo è altro, e potrebbe rientrare nel grande tema del “sovranismo culturale”: come è dimostrato, la grande iniezione di sostegno pubblico voluta dall’ex Ministro “dem” Dario Franceschini ha determinato un gran giro di danari, ha provocato la crescita di fatturato soprattutto di una ventina di imprese cinematografico-audiovisive, ma anche stimolato operazioni di acquisizione delle più grandi di queste imprese da parte di multinazionali straniere.
È un processo sano, per lo sviluppo delle industrie culturali e creative italiane?! No. Riteniamo che non sia sano, fatta salva l’ipotesi di qualcuno che voglia sposare le tesi di chi sostiene le logiche del turbo-capitalismo digitale globalizzato, per cui poco conta “la nazionalità”, ovvero la nazione, nel gran mercato planetario.
A noi sembra che l’Italia stia subendo nell’ambito del sistema cinematografico e audiovisivo un processo di continua e strisciante ed impetuosa colonizzazione ad opera delle vecchie e nuove “multinazionali dell’immaginario”.
La questione è economica ed al contempo politica e culturale.
Si dirà che, quando acquisiscono quote di maggioranza di società storiche come Lux Video (gruppo Fremantle Bertelsman) o Cattleya (gruppo britannico Itv Studios), i nuovi padroni garantiscono una qualche autonomia ai vecchi fondatori e proprietari (che quasi sempre restano nel “board”, da Matilde e Luca Bernabei a Riccardo Tozzi), ma è evidente che inevitabilmente la “linea editoriale” viene dettata altrove, fuori dai confini del nostro Paese.
E non si dimentichi che è stata la stessa Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in un conato di particolare attivismo, a segnalare al Ministero della Cultura una qual certa anomalia, dato che gran parte del sostegno pubblico attraverso il “tax credit” italiano va a vantaggio di società straniere.
Qualche mese fa, sempre su queste colonne di “Key4biz”, (ci) domandavamo: “Cosa ha fatto e cosa sta facendo il Governo per difendere l’“italianità” del sistema culturale nazionale?!”.
La risposta, per ora, è semplice e netta: nulla, o comunque poco.
Scrivevamo: la domanda è retorica soltanto in apparenza: se è vero che i governi di centro-sinistra hanno sostanzialmente accolto una Weltanschauung di tipo cosmopolita e globalista, liberista e neo-capitalista, una delle radici storiche della cultura di centro-destra è basata giustappunto sulla rivendicazione dell’orgoglio nazionale, delle tradizioni e del passato…
Come non ricordare comunque, in questo ragionamento, la battaglia condotta, ormai secoli fa, dalla stessa sinistra italiana, a favore delle “quote obbligatorie” di produzione nazionale nell’offerta di audiovisivo da parte delle emittenti televisive?!
Nel corso degli anni, la stessa “sinistra culturale” italiana ha allentato questa battaglia, quasi fosse divenuta di retroguardia rispetto ad una “vision” internazionalista.
Come dire?! “È la globalizzazione, baby”: ci si deve rassegnare alle logiche globaliste del turbo-capitalismo…
Il “mercato” regna indisturbato e le sue regole le dettano le multinazionali. Anche nel sistema culturale.
Questa fenomenologia la si riscontra nel “micro” e nel “macro”: lamentavamo, anche su queste colonne, che l’aver affidato il sostegno pubblico al cinema ed all’audiovisivo ad uno strumento “neutro” – ovvero funzionale alle logiche di mercato – qual è il “tax credit” (ovvero “va dove ti porta il mercato”…) – ha finito per produrre derive mercatiste e paradossi surreali, per cui le maggiori imprese di produzione audiovisiva nazionale sono sì cresciute dimensionalmente, ma sono state acquistate da gruppi multinazionali straniere…
E, per quanto gli italici ex proprietari di società come Cattleya (ormai controllata dal gruppo televisivo e mediale britannico Itv) e Groenlandia (ormai a maggioranza della francese Banijay) e Picomedia (ormai a maggioranza della francese Asacha Media Group) e Wildside (ormai a maggioranza Fremantle e quindi Rtl ovvero Bertelsman) sostengano che… “nulla è cambiato” nei loro processi decisionali e nelle linee editoriali delle imprese che hanno fondato (ed hanno poi venduto “allo straniero”), noi riteniamo che si tratti di processi insani, rispetto all’esigenza di tutelare al meglio un “immaginario nazionale”.
Noi crediamo che qualcosa sia cambiato in verità, con questi passaggi di proprietà.
Per capirci, che sia Rai o sia Netflix ad approvare il progetto di una serie televisiva… non è esattamente “la stessa cosa”, almeno dal punto di vista dell’immaginario nazionale.
Netflix risponde a regole che non sono italiane (che poi faccia un gran bel lavoro per la circolazione internazionale anche di opere audiovisive realizzate in Italia, è discorso altro…).
Derive di questo tipo se ne riscontrano in quantità: quanta parte dei palinsesti della nostra emittente di servizio pubblico radiotelevisivo sono di fatto “appaltati” a multinazionali del format, così peraltro deprimendo il potenziale creativo di talentuosi autori interni Rai?!
Confidiamo che il Ministro Gennaro Sangiuliano prenda in considerazione anche la deriva “esterofila” in atto dell’industria cinematografica e audiovisiva nazionale, nella prospettiva della annunciata riforma radicale della “Legge Franceschini”.
Aggiornamento ed addenda
Rispetto a quanto scrivevamo su queste colonne venerdì scorso (vedi “Key4biz” del 24 novembre 2023, “Una commissione ministeriale bocciò il film della Cortellesi: tra ‘fake news’ ed ignoranza, tanto rumore per nulla”), è opportuno segnalare che:
- nell’edizione di sabato 25 novembre 2023, la Sottosegretaria leghista alla Cultura, Lucia Borgonzoni (che da qualche settimana appariva stranamente comunicazionalmente “low profile”), in un’intervista concessa a Francesco Boezi sul quotidiano “il Giornale” (intitolata “Basta premiare i furbetti. Cambieremo la legge per tutelare i nostri autori”), ha dichiarato: “Sì, cambierà, metteremo nuove regole differenziando sempre più i criteri di assegnazione e tutelando l’autorialità delle opere, chiedendo alle produzioni più commerciali di restare nelle nostre sale per più tempo. Aumenterà notevolmente la sensibilità del governo alle opere prime, come doveva essere per questo film della Cortellesi che reputo bellissimo. La legge per come è adesso, purtroppo, permetteva a troppi di fare i furbetti mentre con la nuova legge incrementeremo con altri finanziamenti e punteggi dedicati a storie di personaggi italiani che raccontano il nostro paese, per evitare situazioni come per il film «Ferrari» dove il grande saper fare italiano, purtroppo, era solo nel titolo”. La Sottosegretaria omette di segnalare che “Ferrari”, per la regia di Michael Mann (con sceneggiatura di Troy Kennedy Martin) ha denunciato (secondo i dati ufficiali della Dgca) un costo di 66,3 milioni di euro, ed ha beneficiato di ben 20 milioni di euro di euro di “tax credit produzione” (di cui hanno goduto Fpc srl, Mestiere Cinema srl, Moto Pictures Llc, Welcome to Italy)… Furbetti e – soprattutto – furboni, verrebbe da commentare, data l’entità del generoso contributo dello Stato italico. E c’è anche chi insinua che dietro la gran “crescita” del cinema italiano ci sia un gran giro di fatturazioni fantasiose, a tutto vantaggio di malandrini italici e stranieri;
- un’analisi del “box office” dei film italiani (riconosciuti di “nazionalità italiana” dal Ministero della Cultura) nel “week-end cinematografico” appena trascorso (da giovedì 24 a domenica 26 novembre) mostra il perdurante grande successo di “C’è ancora domani”, i discreti risultati di “Cento domeniche”, di “Comandante”, di “Mary e lo spirito di mezzanotte” e de “La Chimera”, ma al tempo stesso emergono i penosi risultati degli altri 40 titoli italiani che hanno registrato oltre 100 spettatori nei 4 giorni considerati; in effetti, se è vero che sono stati in circolazione 233 titoli (tra italiani e stranieri; 86 italiani e 147 stranieri), che in totale hanno registrato 1,3 milioni di spettatori, ben 612mila spettatori sono andati a vedere film italiani, ovvero un’impressionante quota del 46 %; ma, di questi 45 film italiani, i primi 5 titoli hanno assorbito oltre il 96 % degli spettatori… In sostanza, per gli altri 40 film (dei 45 con oltre 100 spettatori)… semplicemente un disastro. Peggio ancora (flop assoluto) dicasi per altri 41 film italiani che hanno avuto ognuno meno di 100 spettatori: di fatto 41 film italiani hanno registrato in totale poco più di 1.500 spettatori complessivamente. Un’ulteriore conferma di quanto l’attuale assetto dell’intervento pubblico nel settore produca risultati deprimenti oltre che distorcenti, e debba essere sottoposto ad una radicale correzione di rotta.
Cinema. Box office Italia, da giovedì 23 novembre 2023 a domenica 26 novembre (4 giorni). Domina il film della Cortellesi
(elaborazioni IsICult su dati Cinetel)
Spettatori dei film di nazionalità italiana in circolazione su tutto il circuito cinematografico nazionale
Nota: nella tabella seguente, sono stati considerati soltanto i titoli con oltre 100 spettatori nei 4 giorni (presi in considerazione circa 3mila schermi di circa 1.000 cinematografi)
CINEMA. “BOX OFFICE” FILM ITALIANI IN CIRCOLAZIONE (23-26.11.2023) | |||
Rank | Titolo | Spettatori (nel week-end) | Quota % sul totale film italiani con >100 spettatori |
1° | “C’è ancora domani” | 462.375 | 75,78 |
2° | “Cento domeniche” | 79.630 | 13,05 |
3° | “Comandante” | 18.890 | 3,10 |
4° | “Mary e lo spirito di mezzanotte” | 13.981 | 2,29 |
5° | “La chimera” | 13.034 | 2,14 |
6° | “Me contro te – Vacanza in transilvania” | 3.232 | 0,53 |
7° | “Misericordia” | 2.728 | 0,45 |
8° | “L’ultima volta che siamo stati bambini” | 2.140 | 0,35 |
9° | “Palazzina Laf” | 1.306 | 0,21 |
10° | “Mur” | 1.313 | 0,22 |
11° | “Mia” | 1.233 | 0,20 |
12° | “Il popolo delle donne” | 893 | 0,15 |
13° | “Nata per te” | 710 | 0,12 |
14° | “Un altro domani” | 616 | 0,10 |
15° | “Io noi e Gaber” | 548 | 0,09 |
16° | “Guernico – Uno su cento” | 515 | 0,08 |
17° | “Il paese dei jeans in agosto” | 476 | 0,08 |
18° | “800 giorni” | 468 | 0,08 |
19° | “Grazie ragazzi” | 434 | 0,07 |
20° | “Enigma Rol” | 431 | 0,07 |
21° | “Kissing Gorbaciov” | 425 | 0,07 |
22° | “Il più bel secolo della mia vita” | 380 | 0,06 |
23° | “L’orchestra di piazza Vittoria” | 366 | 0,06 |
24° | “Palombella Rossa” (riedizione) | 332 | 0,05 |
25° | “Good Vibes” | 264 | 0,04 |
26° | “In fila per due” | 245 | 0,04 |
27° | “DallAmeriCaruso” | 239 | 0,04 |
28° | “Mimì il principe delle tenebre” | 226 | 0,04 |
29° | “Primo – sempre grezzo” | 215 | 0,04 |
30° | “Mirabile visione: Inferno” | 212 | 0,03 |
31° | “Vite da sprecare” | 200 | 0,03 |
32° | “Volevo un figlio maschio” | 191 | 0,03 |
33° | “Maca” | 187 | 0,03 |
34° | “Un mondo di più” | 185 | 0,03 |
35° | “Felicità” | 165 | 0,03 |
36° | “Le mie ragazze di carta” | 165 | 0,03 |
37° | “Soldato Peter” | 156 | 0,03 |
38° | “Giotto e il sogno del Rinascimento” | 146 | 0,02 |
39° | “L’altra via” | 140 | 0,02 |
40° | “Doppia coppia” | 137 | 0,02 |
41° | “Infinity” | 137 | 0,02 |
42° | “Il meglio di te” | 130 | 0,02 |
43° | “Ancora volano le farfalle” | 130 | 0,02 |
44° | “Fuori gioco” | 129 | 0,02 |
45° | “La sedia” | 119 | 0,02 |
Totale spettatori film italiani con > 100 spettatori | 610.174 | 100,00 | |
Totale spettatori film italiani (inclusi i film con < 100 spettatori) | 611.690 | – | |
Totale spettatori week-end Italia (tutti i film) | 1.307.255 | – | |
Quota % film italiani con > 100 spettatori su totale spettatori (45 titoli) |
46,4 % | – | |
Quota % film italiani inclusi quelli con < 100 spettatori (86 titoli) su totale spettatori |
46,4 % | – |
Fonte: elaborazioni IsICult su dati Cinetel.
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.