Profondo rosso 40 anni dopo. Il capolavoro di Dario Argento uscì nelle sale il 7 marzo 1975 e il thriller italiano non fu più lo stesso. L’immaginario e le coordinate di quel racconto di suspense e paura girato in pochi mesi (settembre-dicembre 1974) fanno ancora oggi scuola per chi anche solo lontanamente si avvicina al genere. Profondo rosso spaventa sempre lo spettatore, da qualsiasi latitudine esso provenga. È un dato di fatto. Nel novembre scorso al festival di Torino per la proiezione speciale del film nessun gridolino davanti alla sequenza di David Hammings nel corridoio degli specchi, nessuna risata di fronte ai più macabri e sanguinolenti omicidi di molti protagonisti del film, ma solo mani davanti agli occhi e salti sulla poltroncina. Probabile che nel #ProfondoRossoDay che si svolgerà a Torino per l’intera giornata di sabato 7 marzo 2015 le reazioni saranno le stesse. La copia del film restaurata digitalmente verrà proiettata alle 20 e alle 22 al cinema Massimo sala tre, mentre durante il giorno all’interno dell’Aula del Tempio della Mole Antonelliana, dove a sede il Museo del Cinema, potranno essere visionati materiali di scena originali, locandine, fotobuste, libri e riproduzioni di oggetti scenici di Profondo Rosso. Tra i cimeli da non perdere la mannaia dell’assassina Clara Calamai e il tavolo dove trova la morte Glauco Mauri, entrambi realizzati da Germano Natali.
“Mentre giravo quel film sapevo esattamente ciò che volevo”, spiega Dario Argento al fattoquotidiano.it. “Ero molto rilassato, non sentivo lo stress. E poi la storia è bellissima. L’ho scritta in pochi giorni tutta d’un fiato. Fu miracoloso. Basta guardare un film per capire come sta il regista nel momento in cui l’ha girato”. Sua la sceneggiatura di Profondo Rosso, sua la regia, sua la scelta dei Goblin e della filastrocca nenia di Giorgio Gaslini come leitmotiv terrificante della presenza dell’assassino, sue le mani che stringono colli, accoltellano, spingono teste contro gli spigoli dei caminetti per spappolare dentature e crani: “Ho seguito il mio istinto – continua Argento – anche per il titolo che, per molto tempo, prima delle riprese e a sceneggiatura già finita con attori pronti a girare, non c’era. Prima ho sviato la stampa dicendo che si sarebbe dovuto intitolare La tigre con i denti a sciabola, poi mentre ero in macchina mi è venuto in mente Profondo Rosso. Ai produttori della CineRiz non piacque, dissero che era sbagliato, suggerivano al massimo Rosso Profondo. Per fortuna che m’impuntai”.
Sul set del film, girato in alcuni studi di posa ed esterni a Roma, ma soprattutto in memorabili esterni notte a Torino – si veda la sequenza del primo omicidio in piazza C.L.N. con tanto di baretto alla Hopper ricostruito in un angolo -, Argento conobbe l’attrice Daria Nicolodi e se ne innamorò: “È il film più bello di Dario”, racconta al fattoquotidiano.it Gabriele Lavia, nel film è Carlo l’amico del protagonista Marc/David Hemmings. “Nella regia si avverte qualcosa in più, una strana cosa che credo sia l’amore, quello di Dario per Daria”. L’attore di origine siciliana che proprio in quegli anni interpretò parecchi titoli thriller e horror (Zeder di Avati e ancora Inferno di Argento) ricorda con affetto il set di Profondo Rosso: “Mi alzavo alle 6 del mattino a Milano per girare lo sceneggiato tv Marco Visconti e alle 17 arrivava una Lancia della produzione di Dario per portarmi a Torino sul set del film. Giravamo sempre di notte e per almeno una settimana credo di non aver mai dormito – continua Lavia -. La scena in piazza CLN fu molto complessa e spettacolare. Venne usato un innovativo dolly Chapman lasciato in Italia da una produzione americana. Comunque Profondo Rosso è davvero bello, e lo posso dire da poco tempo perché il film non l’ho mai voluto vedere se non pochi anni fa assieme a mia figlia”.
Numerosi gli aneddoti di scena del film che ultimamente si possono ritrovare anche nel libro autobiografico di Dario Argento, Paura, edito da Einaudi. Tra i tanti, come l’uso di cocaina sul set o la microcamera snodabile Snorkel per carrellate ravvicinate sugli oggetti, ne va ricordato uno davvero singolare: dopo aver tolto l’intervallo durante Quattro mosche di velluto grigio, Argento non volle che si entrasse in sala a Profondo Rosso iniziato. La paura è un sentimento che va servito per bene, senza troppe distrazioni, perché come l’oramai 75enne regista romano ha sempre raccontato: “Finché là fuori c’è una persona da spaventare potrò dirmi una persona felice”.
di Davide Turrini per ilfattoquotidiano.it