Un bagno pubblico abbastanza degradato, una donna paranoica per l'igiene, una mosca, compongono una mistura che si rivela esplosiva. La difficoltà nel distinguere la realtà dalla finzione, le aspettative di aspiranti ballerine, mimi, attori, i loro provini che divengono momento di esternazione dei propri problemi esistenziali. Stiamo parlando di due film, entrambi di registi campani: Shit di Davide Marengo e Provini di Michele Ieri. Sono due film di 7'30" e 10', due cortometraggi. Entrambi molto giovani, gli autori si avvicinano al mondo dello spettacolo. Michele Ieri comincia al liceo «per gioco con alcuni spettacoli teatrali», poi finisce per collaborare come dialoghista di opere radiofoniche. Nei primissimi anni '80 mette in scena la sua prima commedia teatrale, Rosa pallido, prima dello scioglimento del suo gruppo. Passeggiata nei campi flegrei e Cuma, città morta? segnano, in super 8, il suo ingresso nel cinema nell'81 e gli danno modo di «cercare la pellicola, la luce» ed «eseguire esercitazioni sul tema». Poi una lunga pausa di cui approfitta per studiarlo, il cinema, perché ha «bisogno di leggere tutto con voracità», fino ad Amici, il suo primo lungometraggio (`93) e Provini, cortometraggio prodotto nel '96.
Anche Davide Marengo comincia presto. A 16 anni frequenta i set cinematografici, lavorando come assistente alla regia o assistente alla produzione, fino a film come Ninfa plebea della Wertmiiller. Approfitta di queste situazioni per «portare una telecamera e realizzare backstage». Così è stato per Marianna Ucria come per Uomo d'acqua dolce: insomma, «è un pretesto per stare sul set». Entrambi amano Kubrick, che pongono al «vertice perché esprime l'essenza del mezzo cinematografico» come sostiene Marengo. Per quanto riguarda il cinema italiano, c'è senz'altro Pasolini per ieri, «ma si conosce poco» e poi Totò, le cui storie reputa «molto gradevoli, a volte più di certo cinema d'autore». E dei contemporanei napoletani che cosa ne pensano? «Francesco Rosi è rigoroso», piace a Michele Ieri perché riesce a «definire un certo periodo degli anni Settanta» mentre quasi per niente Squitieri, considerando «il suo modo di fare cinema ideologicamente grossolano». E i più giovani come Manone, Corsicato, Incerti? «Bisogna riportare la gente al cinema. Si crede spesso di essere portatori di verità. Al cinema bisogna portare la gente», sapendo «raccontare le cose», sostiene Ieri a proposito dei nuovi autori, che peraltro non disdegna. Marengo, invece, sostiene che per quanto
riguarda i nuovi autori italiani, quello dei «napoletani è l'unico gruppo emergente come identità cinematografica», anche se lui preferisce un «cinema più grottesco e surreale», dopo tanti grossi nomi che però vanno letti nella loro individualità. Marengo giudica «Martone un autore interessante, ma non è il suo cinema quello da me preferito, perché il realismo puro condiziona una visione della realtà ed è difficile da portare al cinema fedelmente. Una storia surrealista ti permette di mettere in luce cose in cui credi veramente. Corsicato con Libera è riuscito un po' a raccontare con ironia la realtà complessa: Libera prende in giro l'iconografia classica della napoletanità». Molti sono coloro che distinguono il termine film dal corto, attribuendo a quest'ultimo un ruolo di secondo piano e non riconoscendogli invece un linguaggio proprio. Che cosa pensano i due registi? Secondo Davide Marengo «il corto ha un linguaggio diverso. La storia è raccontata in breve tempo e ti impedisce di approfondire la psicologia dei personaggi; è un'esercitazione cinematografica che, però, stimola a raccontare una storia in pochi minuti e in cui la superficialità del racconto viene sostituita dalle tecniche cinematografiche» che via via vengono scelte. Michele Ieri sostiene che «un corto è più libero» di un lungo, forse proprio perché «ha meno mercato, e anche più facile; però i problemi da affrontare nel raccontare una storia in dieci minuti sono diversi dal lungometraggio». E ancora Ieri predilige «un'opera sporca, fatta con pochi mezzi, più che un'opera che strizzi l'occhio al grande film», rincorrendo i costi da sostenere per utilizzare certi movimenti di macchina con una certa fotografia. Quanto c'è del loro background culturale nei film realizzati, quanto incide essere nati in Campania? Michele Ieri risponde con il suo lungo Amici, la storia di quattro compagni che concepiscono l'amicizia come un alibi per non stare soli: «Volevo raccontare una Napoli non protagonista e dire alla gente che c'è una borghesia come nelle altre città». Marengo invece vive a Roma dall'età di cinque anni, ma, avendo genitori napoletani e i parenti nel capoluogo campano, rimane particolarmente legato a Napoli. Ma veniamo a Shit. Il cortometraggio, che Davide Marengo produce insieme a Tommaso Ragnesco, che si occupa degli effetti speciali, trae spunto «da una vignetta di Andrea Ricci» e un po' perché è piaciuta la vignetta, un po' per la voglia di provarsi, i due decidono di realizzarlo. Shit rappresenta l'ossessione, sintetizzata nella mania dell'igiene e nella «mosca che vola nel bagno, che viene alla luce e che esplode quando raggiunge il limite di non sopportazione». Dai disegni sulle pareti e dal modo in cui la protagonista si rapporta con loro, «affiora la sua perversione, la sua morbosità». Diversa è la storia di Provini. Nelle intenzioni di Michele Ieri c'era e c'è quella di «creare un premio e organizzare una sorta di concorso di sceneggiatura per le scuole da cui realizzare un corto da presentare, insieme ad altri cortometraggi fatti dai giovani, in una grande festa del cinema: un cinema di ragazzi fatto dai ragazzi stessi. Parlando con i giovani, si apprende come il cinema eserciti una irresistibile magia e la loro non è una città con situazioni felliniane. come nel finale di Provini. Tutto ciò, per Ieri, a seguito delle sue esperienze a contatto con gli studenti delle scuole. Scopre che, per partecipare a quei corti «si presenta una serie di persone che ti racconta il quotidiano». Ed ecco «la storia di questa gente e quella del falso meccanico-attore vero». E in queste storie la realtà e la finzione si mescolano e si confondono, come il mondo dello spettacolo: dov'è il confine tra il vero e il falso? «Nel cinema stare davanti la macchina da presa è duro, ma davanti allo schermo si sogna».
Qualcuno ventila la proposta di vincolare la durata dei corti per omologarli nel mercato internazionale, obbligando gli autori a un minutaggio a uso e consumo delle televisioni, facendo perdere al prodotto culturale cortometraggio la caratteristica di prototipo, cioè di prodotto a sé stante che distingue il film, per inserirlo in un contesto completamente diverso. Che cosa ne pensano i due registi? Per Marengo la proposta mira a poter «commercializzare il film. Non vuole essere tanto una limitazione per legge, quanto dare la possibilità alle persone di investire». È avvertibile inequivocabilmente che i due registi da noi avvicinati siano fautori di un cinema giovane, permeato dalla voglia di uscire dagli stereotipi. In certe situazioni la sopravvivenza materiale, ma anche esistenziale, continua a essere il nodo principale. Nelle storie, a cui siamo abituati, ricorre un'unica immagine di Napoli e del Sud, ma, come dice Michele Ieri, anche se «il racconto è sempre parziale», l'organizzazione delinquenziale presente ormai nel nostro immaginario, «nasce da rapporti di comunicazione difficili». Questo significa guardare oltre e aprire nuovi orizzonti: «Sento il bisogno di uscire dal quotidiano», diceva ancora Michele Ieri, «e preferisco più fare cose brutte che inutili». Così va avanti il nuovo cinema e nei progetti di Davide Marengo ci sono ben due nuovi cortometraggi.
Shit di Davide Marengo