..... Prima di lasciarci travolgere dall’impeto di un genio in versione cinematografica, scopriamo con la sceneggiatrice Sara Mosetti i segreti di una produzione ambiziosa, che promette interessanti sorprese.
“Michelangelo infinito" è stato descritto come un punto d’arrivo nel dialogo tra il cinema e l’arte, che trova compimento in un “film di autorevole finzione”. Quali sono le novità di questo progetto?
Se ripercorriamo la storia del cinema d’arte di Sky, vediamo che è iniziata con documentari molto rigorosi, privi di elementi narrativi. Poi in “Raffaello – Il Principe delle Arti” abbiamo visto in scena attori muti e in “Caravaggio – L’Anima e il Sangue” abbiamo potuto ascoltare la voce intima dell’artista, il cui flusso era però interrotto dal commento dei critici.
Qui abbiamo provato a tenere voci e punti di vista differenti tutti dentro il racconto, senza mai uscire dal tempo di Michelangelo, e contemporaneamente a conservare l’autorevolezza di un documentario, grazie alla consulenza scientifica rigorosa dello storico dell’arte Vincenzo Farinella che ha garantito sulla veridicità storico-critica dei contenuti.
Quali sono gli aspetti della figura di Michelangelo Buonarroti che più hanno attratto la tua attenzione di donna e di sceneggiatrice?
Michelangelo mi ha colpita perché è un personaggio molto moderno, forse il primo artista nel senso attuale del termine: è tormentato, le sue energie sono interamente assorbite dall’attività creativa, ha una vita povera di relazioni ed è anche invidioso dei colleghi. Lui stesso racconta nelle sue lettere che ha problemi con il denaro e si dispera perché il suo talento non viene riconosciuto. Sono sentimenti molto vicini a quelli che prova oggi un creativo, come sono anch’io, e mi sembra che con Michelangelo compaiano per la prima volta nella storia.
Che effetto fa portare al cinema un gigante dell’arte? Che emozioni ti ha dato rapportarti a una figura così intensa?
Quando Cosetta Lagani (la direttrice creativa di “Michelangelo infinito" n.d.r.) mi ha telefonato per propormi questo lavoro, ho provato un terrore cieco: provengo dal mondo del cinema e della fiction televisiva e non mi mai ero mai occupata né di arte né di documentari. Però conoscevo gli altri meravigliosi lavori di Cosetta e la proposta mi ha subito galvanizzata. Anche se in modo nuovo, si trattava di costruire una storia, che è quello che ho sempre fatto.
La parte più interessante è stata entrare in relazione con il Michelangelo che pian piano prendeva forma nella mia immaginazione mentre andavo avanti nella lettura delle fonti, entrare in sintonia con lui come con una persona che avessi realmente incontrato. E anche tornare a studiare a quarant’anni è stato molto stimolante.
Quali sono le fonti su cui poggia la narrazione di “Michelangelo Infinito”?
Prima di tutto i racconti dei biografi contemporanei dell’artista, Giorgio Vasari e Ascanio Condivi. Abbiamo preso in esame le Vite di Vasari nelle due edizioni del 1550 e del 1564, tra le quali a fare la differenza è una cruciale revisione che riguarda proprio Michelangelo: nell’anno della morte del maestro, lo scrittore va orgoglioso dell’amicizia con colui che è già riconosciuto unanimemente come un genio.
Rispetto a Vasari, Condivi offre una versione alternativa di molti fatti: secondo alcuni scrive sotto dettatura dello stesso Michelangelo, che desidera correggere le verità riportate dal suo primo biografo.
E poi ci sono gli scritti autografi dell’artista: le lettere, conservate nell’Archivio Buonarroti, e le Rime. Uno spaccato dell’intimità e del quotidiano di Michelangelo, come spiega lui stesso a Vasari inviandogli i suoi componimenti: ‘Messer Giorgio, io vi mando due sonetti e benché sia cosa sciocca il fo perché veggiate ond’io tengo i miei pensieri’.
Tra le letture di autori contemporanei, invece, mi ha molto colpita Vita di Michelangelo del Premio Nobel per la Letteratura Romain Rolland: un romanzo dalla struttura meravigliosa, che sviluppa in forma di libro il nostro concetto di “autorevole finzione” e fa appassionare il lettore al personaggio come sanno fare i grandi scrittori.
Un universo composito e ricco di spunti. Come hai fatto a trasformarlo in una storia per il cinema?
La struttura del film ruota intorno a due “limbi”, due realtà sospese nel tempo in cui prendono forma il racconto di Vasari e quello di Michelangelo, ambientato nelle cave del marmo di Carrara: un orizzonte già ben definito da Cosetta Lagani e dal regista Emanuele Imbucci quando ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura.
Da parte mia sono partita dallo studio delle opere ed è stata una scoperta. Oltre ad approfondirne la conoscenza ho dovuto mettere a punto un linguaggio nuovo, più caldo rispetto a quello dei critici ma autorevole e preciso, in una sfida per me assolutamente inedita.
Poi mi sono spostata in una dimensione che mi era più congeniale, quella del Michelangelo uomo, e ho iniziato a immaginarlo come personaggio. Tra le informazioni reperite nelle mie letture ho scelto quelle che ne esprimevano meglio l’umanità e i sentimenti.
Infine ho cercato in tutti i modi di mantenermi fedele alle fonti originali a partire dalla lingua: con leggeri interventi di italianizzazione, anche una prosa apparentemente poco fruibile come quella di Vasari è diventata scorrevole e facilmente comprensibile, pur conservando atmosfera ed espressività.
Mostrare, raccontare, coinvolgere: è stato difficile tenere insieme le molteplici dimensioni di quest’opera?
L’equilibrio è venuto da sé, come in una partitura musicale: ci si lascia guidare dall‘armonia. Nel film trovano spazio momenti emotivi, narrativi, momenti di alleggerimento… Ma il cuore di “Michelangelo Infinito” è nella descrizione delle opere e nello sguardo sui capolavori originali, che grazie a riprese in ultra definizione diventano visibili come se le di osservasse dal vivo e a distanza ravvicinata.
dall'Intervista di FRANCESCA GREGO per arte.it