Il 13 marzo 1988 moriva a settantatrè anni Steno, nome d´arte che Stefano Vanzina aveva scelto iniziando la sua carriera di umorista al Marc´Aurelio, autentica fucina (il giornalismo satirico con la radio e il teatro leggero) di innumerevoli futuri talenti del cinema italiano del dopoguerra.
Con lo stesso pseudonimo bisillabe avrebbe legato il suo "tocco" a film come: Totò cerca casa e Guardie e ladri, Un giorno in pretura e Un americano a Roma, Totò a colori e Piccola posta, I due colonnelli (mitico Totò quando all´infame ufficiale nazista che dopo l´8 settembre è deciso a far saltare in aria il paese e sbraita arrogante "io ho carta bianca!", risponde esasperato e per la gioia di tutti gli astanti: "e ci si pulisca il culo!"). E poi La polizia ringrazia, Piedone lo sbirro, Febbre da cavallo.
In suo ricordo il 13 marzo Sky proporrà il documentario Steno - l´artista della commedia di Massimo Ferrari e Gaia Capurso. Che di prezioso ha soprattutto una cosa. I figli Enrico e Carlo Vanzina hanno messo a disposizione un patrimonio di immagini inedite di cui questa pagina fornisce un assaggio. Steno infatti aveva l´ abitudine di fotografare e di filmare sia la famiglia che i set dei propri film. Ma soprattutto la famiglia che veniva a fargli visita sui set.
Dunque ecco un´eccezionale galleria di memorie personali, per Carlo ed Enrico, che diventa memoria collettiva nel ritrarli con papà e con Sordi, Totò, Fabrizi, Vianello, Walter Chiari, ma anche l´improbabile Gloria Swanson e la giovanissima Brigitte Bardot di Mio figlio Nerone. Sfilano le testimonianze. Della vecchia guardia Franca Valeri e Mario Monicelli il quale con Steno condivise gli inizi cofirmando i primi film per Totò. Proietti e Montesano, il Pomata di Febbre da cavallo, Pozzetto e Abatantuono, Edwige Fenech e Bud Spencer: tutti lanciati da lui negli anni 70 e 80. «Più facile trovare chi NON ha lavorato con Steno». Proietti: «la sua leggerezza era l´opposto della superficialità». Bud Spencer: «era un omino piccolo che sembrava grosso come me per la sua intelligenza».
C´è un tema fisso che rimbalza da un contributo all´altro. «Aveva un grande amore per i personaggi piccoli» (Enrico). «Era il primo a divertirsi» (Carlo). «Sottile abilità nel guidare gli attori» (Valeri). «Rideva con le lacrime» (Monicelli). E ancora Enrico: «I suoi film vivevano dei tanti personaggi minori. Era la sua specialità, lo "Steno Touch", il gusto di azzeccare i caratteri laterali come il sommo Mario Carotenuto di Febbre da cavallo».
Dunque: l´arte del far ridere («se far ridere è un´arte Steno è un artista») fondata sul fatto che era il primo a divertirsi comunicandolo ai suoi attori che davano così il meglio di loro stessi. Enrico dice anche: «papà ripeteva sempre che i comici che di più nella vita lo avevano fatto ridere erano Petrolini, Totò e Sordi ma quando io insistente gli domandavo "più Totò o Sordi?" svicolava. Io credo Totò».
Eppure al centro della sua sensibilità per gli attori e della sua pluriprovata capacità di scoprirli, lanciarli, renderli celebri, c´è l´invenzione di Nando Moriconi (o Meniconi, o Mericoni: è un punto sul quale la filologia inciampa sempre) in Un giorno in pretura - "Americà, facce Tarzan!" - poi consacrato da Un americano a Roma: "ormai hai ventun anni ed è tempo che tu sappia di chi sei figlio", per tacere di altri passaggi entrati nel pantheon delle battute di culto.
Altre perle. Nel ricordare di Monicelli, che per quanto proverbialmente brusco non può nascondere l´affetto che lo lega alla memoria del collega e amico. Rivediamo Totò che al tipo che vuole rifilargli una catapecchia per "un milione liquido", fa: "lei
il liquido lo vorrebbe subito? Apra l´occhio" e, infingardo, ci sputa dentro. Rivediamo la scena di Totò cerca casa e Monicelli distilla in venti parole scarse il senso della "commedia all´italiana": «una famigliola miserabile che veniva dalle macerie della guerra e dal Neorealismo, e si arrangiava a cercare un tetto. Il tema è una tragedia nazionale ma noi lo trattavamo in maniera farsesca».
Malinconia e orgoglio nelle parole finali dei figli. E allievi. Carlo, che ha appena raccontato di quando sul set di Mio figlio Nerone finiva sulle ginocchia di BB provando la «prima pulsione semierotica» che, data la qualità dell´esordio, lo avrebbe reso particolarmente esigente, riporta l´accento sulle loro eccezionali vacanze: «forse si deve a quella continua festa della nostra infanzia se poi siamo diventati famosi per i film sulle vacanze».
E il fratello Enrico che ringrazia papà «uomo semplice e gentile, legato per tutta la vita al successo o all´insuccesso dei film da autentico e puro metteur en scene, che però era in realtà molto più colto del cinema che faceva, era un finissimo intellettuale». Ultima parola a Monicelli: «siamo stati una generazione, lasciatemelo dire, straordinaria. Piacevole, legatissima e mai in competizione, sempre generosa e senza gelosie. Ma non c´è più nessuno».
Paolo D’Agostini per La Republica