Corto – metraggio. È una parola composta, di facile intuizione, direte voi. Lo dice il termine stesso: “estensione in lunghezza (metraggio) corta (corto)”.
Sì, è vero. Grammaticalmente è tutto corretto, in certi casi lo si trova anche scritto staccato infatti. E a livello lessicale? Nulla da dire. Il cortometraggio generalmente dura meno di 30 minuti e, nell’ultimo decennio, si può arrivare a parlare di cortometraggi di 40 minuti perché si è ormai abbandonato l’utilizzo del termine mediometraggio, che definiva quella via di mezzo tra il corto e il lungo.
“Un piccolo film” dunque è esattamente il significato della parola.
Eppure non ha alcuna attinenza con il suo senso.
Il cortometraggio infatti non è soltanto un film corto. È un’arte, una scelta narrativa, una incredibile prova creativa. D’altronde, deve esserci un motivo se Roman Polanski non ha mai smesso di girarne tanti, e ancora si adopera nell’ideazione di nuovi corti appena è libero da un set cinematografico!
Eppure si pensa spesso che il cortometraggio sia solo “il modo in cui iniziare a fare cinema”. Questo perché nelle Accademie e nelle piccole produzioni, spesso si ricorre al cortometraggio per favorire una distribuzione più ridotta, a volte circoscritta a pochi festival; inoltre è spesso confuso con le scene di lancio che vengono prodotte e realizzate per rendere l’idea del genere, della fotografia e dello stile di un lungometraggio in fase di preparazione (come una sorta di trailer o di puntata pilota destinata ad un potenziale produttore interessato.)
Limiti di tempo e limiti di budget: le fake news di un cortometraggio
Si sono sedimentate nell’immaginario collettivo diverse convinzioni limitanti e riduttive sul perché scegliere di realizzare un cortometraggio. Non sempre le motivazioni alla scelta del cortometraggio sono reali, se pur verosimili.
Le più note le chiamerei le “fake news” relative alla definizione di questo termine. Proviamo a sfatarne qualcuna insieme!
- è corto, quindi più veloce da scrivere e da realizzare.
Falso. La capacità di sintesi è dote di pochi. Soprattutto nello storytelling. Ci vuole una grande abilità per scrivere un racconto efficace e autoconclusivo con pochi dialoghi, con poche scene, in un tempo ridotto e con poco spazio per descrivere personaggi, luoghi, rapporti, vicende e obiettivi. Come vi sentireste se qualcuno cronometrasse qualsiasi vostra frase o se vi contasse le parole? Limitati. Ecco come. Rischiereste di non essere chiari, di non riuscire a spiegare per intero la vostra idea, la vostra opinione, la vostra storia. Ecco perché un buon cortometraggio è tutt’altro che facile da scrivere. - è soltanto l’incipit di un film, una storia che, se se ne avesse la possibilità, sarebbe un lungometraggio
Falso. Tante, troppe storie sono rovinate proprio dalla ridondanza, dalla sensazione di inutilità della maggior parte dei nuclei narrativi aperti. Se una scena è inutile è sempre meglio tagliarla piuttosto che lasciare che annoi. Avete presente quando vostra zia comincia a raccontarvi del film che le piaceva tanto da bambina perché in realtà deve arrivare a parlarvi di quell’episodio familiare molto divertente che alla fine non ascoltate più perché si è perso tra le mille parole? Ecco. Quello è uno storytelling inutilmente lungo, privo di ritmo, che priva la vera narrazione del suo interesse originale. Se vostra zia fosse un regista, quel film sarebbe un terribile flop. - è corto, quindi ci vuole meno budget
Falso. Andatelo a raccontare a Tim Burton, il papà dei cortometraggi costosi, in stop motion e non. Da “The Island of Doctor Agor” a “Vincent” il regista (e produttore) non ha mai badato a spese. “Vincent” è addirittura prodotto dalla Disney e basato su “il Corvo” di Edgar Allan Poe. Vi assicuro che sì, tutto questo ha un costo.
Oppure ditelo parlando di “The Audition”, del Premio Oscar Martin Scorsese, costato 70 milioni di dollari. tantino, eh? Insomma, “corto” non vuol dire “economico”. Ci sono progetti che durano tre minuti ma che necessitano di krane, carrello, drone, luci, steadycam e macchina d’epoca; e poi ci sono lungometraggi one location only che hanno costi di realizzazione infimi. Tutto ha un suo costo, non solo il tempo.
Cosa vuol dire allora la parola “cortometraggio”?
Se avete ancora dubbi su quello che la parola cortometraggio realmente voglia dire, allora non fidatevi di me, ma dei cortometraggi capolavoro che sono stati prodotti da grandi registi, come quello di Christopher Nolan, “Quay”, realizzato quasi vent’anni dopo il suo primo film (quindi sì, è stata una scelta stilistica ben precisa e no, vi assicuro che non aveva limiti di budget, di idee o di qualsiasi altro genere), volutamente corto per poter raccontare i fratelli Quay senza annoiare o essere prolissi.
Certo, ci sono casi di cortometraggi che vengono apprezzati tanto da ispirare poi lungometraggi con ambientazioni simili o con protagonisti somiglianti, come “I’m here”, corto di Spike Jonze che fu apprezzato al Sundance Film Festival e anticipò l’uscita del film capolavoro “Her”.
Ma non esiste solo questa realtà.
Insomma, dire che un cortometraggio è soltanto un film corto è riduttivo. Un errore madornale che non tiene conto di grandi opere cinematografiche e di grandi doti comunicative. Un buon cortometraggio è, spesso, più difficile da realizzare di un lungometraggio qualsiasi.
Proprio come un buon testo scritto da un copywriter, che deve essere efficace con un messaggio di lancio breve ma chiaro; o come un talk radiofonico: contenuto interessante, interazione con gli ascoltatori, lancio del brano e battuta sagace in pochi minuti. Meraviglioso proprio per questo, vero?
Quindi, ricordate: saper fare ordine nel proprio racconto senza svilirlo o svilirsi è una tra le più grandi e nobili capacità di un artista, che si rivela capace di non avere limiti anche tra le restrizioni.
di Giovanna Delvino per il sito raduni.org