critica contro pubblico in sala“Hanno detto che ‘La grande bellezza’ è un capolavoro, mentre io la definisco ‘La grande bruttezza’ “. E’ emblematica la presa di posizione di un noto regista parmigiano che in una frase, andando oltre la sua incisività, richiama una tematica sempre attuale nel mondo del cinema: il confronto tra il giudizio della critica e quello del pubblico, spesso opposti tra loro. Capita non di rado che grandi capolavori osannati dagli ‘addetti ai lavori’ non rispondano poi alle aspettative della platea delle sale cinematografiche e viceversa. Come orientarsi, dunque, in questo difficile testa a testa, con cui anche la figura del regista deve misurarsi, quando poi all’interno stesso di chi deve esprimere una valutazione vi sono differenti parametri per dare un parere su una pellicola? Si pone necessaria un’ulteriore domanda: i critici seguono criteri oggettivi per valutare un film oppure anche loro seguono il personale punto di vista?

PER UNA CRITICA OGGETTIVA - “Esistono dei criteri oggettivi perché l’estetica cinematografica ha delle regole, quindi sicuramente esiste un’oggettività. Poi il critico la reinterpreta anche attraverso la sua sensibilità, la sua cultura e le sue esperienze”. Risponde così Filiberto Molossi, critico cinematografico per la ‘Gazzetta di Parma’ che interpreta il suo lavoro come “una sorta di osmosi”.
Di simile avviso è anche Roberto Campari, professore di Storia e critica del cinema dell’Università di Parma: “Sebbene tutti si sentano in grado di giudicare un film, come una partita di calcio, esistono dei criteri oggettivi”. Il punto, secondo il docente, è cercare di superare le attinenze col proprio modo di pensare, la personale visione della pellicola, tentando di calarsi all’interno dell’opera. Per quanto concerne la scelta dei parametri “guardo soprattutto due cose: la coerenza e lo stile, cioè quanto l’autore è riuscito ad esprimere ciò che si proponeva e, soprattutto, quali mezzi ha usato per farlo“. In questo, conclude Campari, “diventa fondamentale la cultura, sia quella specificamente cinematografica sia quella generale”.
Normalmente i criteri da seguire per recensire un film sono prestare attenzione alla solidità della sceneggiatura, allo stile e alle capacità del regista, al montaggio delle riprese e come esse sono girate, senza tralasciare un’analisi del cast degli attori: tutti giudizi apparentemente oggettivi.

QUANDO L’IO DOMINA - Tuttavia, se si prova a guardare dall’altra parte della barricata, quella di chi crea il film, le cose cambiano. Secondo il regista parmigiano Francesco Barilli la presenza della soggettività è un elemento determinante e a predominare è  il gusto personale del critico. Tale visione reca degli effetti pesanti, sia per la valutazione della pellicola ma sopratutto per l’impatto sul pubblico: “Ci sono dei film che sono stati distrutti dalla critica, mentre poi negli anni sono risultati essere dei capolavori. Inoltre la gente è ormai abituata a leggere le critiche negativamente a tal punto che se un soggetto recensisce un film in modo positivo la gente non lo va a vedere perché dice ‘è una cagata’”. Ma se “non c’è dubbio”, come ribadisce Barilli, che la soggettività regni sovrana, come ridurla quando si è chiamati a esprimere un’opinione a livello generale calandosi nei panni di giudici? “E’ una cosa molto personale – riprende il regista, il quale è stato anche presidente di un concorso cinematografico in Spagna -. I criteri che io adotto nel giudicare un film sono la fotografia, la regia, l’attore, la storia“.

CRITICO VS PUBBLICO – Il vero motivo della diversa visione di giudizi tra critici e pubblico, secondo Barilli, è semplice: “I critici sono persone che hanno studiato cinema, o comunque amanti del cinema. In sostanza, gente che sa di cinema“. Non è un commento denigratorio sul pubblico, ci mancherebbe, tuttavia è innegabile che, in mancanza di una conoscenza specifica, questo si basi moltissimo sulle emozioni, come confermano Rebecca e Serena, due ‘spettattrici tipo’ interpellate sul tema proprio all’ingresso di una sala cinematografica: “Guardo se l’attore mi trasmette qualcosa o se il genere mi piace”. Sentendo altri pareri del pubblico, tra la fine di una proiezione e l’inizio di un’altra, c’è poi chi si fa conquistare maggiormente dagli effetti speciali, dall’interpretazione del cast, dalla storia. Anche tra loro, tutti concordano però sul fatto che dei criteri oggettivi per valutare un film esistano. “Ci sono sicuramente dei parametri oggettivi, se un film è fatto male si vede”, afferma Manuele. “Dipende anche dalla persona che lo vede”, aggiunge però Carlotta, secondo la quale il giudizio è mediato tra criteri oggettivamente stabiliti e la personalità dello spettatore.

LA MEDIAZIONE DEL CRITICO E L’INFLUENZA DEL WEB - Al di là di un contrasto che forse è linfa stessa della cinematografia, la funzione del critico al giorno d’oggi rimane comunque importante, seppure l’arrivo della Rete abbia creato un grosso vuoto di conoscenze affidabili. “Internet è un grande bacino e spesso, se si vuole andare a vedere un film, non si vanno a leggere le rubriche dei grandi quotidiani quanto invece siti come ‘MyMovies’ – spiega il professor Michele Guerra, docente di Teoria del Cinema all’Università di Parma -. La rete ha creato una situazione in cui, senza aggiungere valore o aggiungendone relativamente poco alla crescita di un discorso critico, crea una forte incidenza sui comportamenti del consumatore. Il ruolo della critica oggi è ancora forte ma diventa difficile essere sicuri di quello che si legge. La rete è il luogo dell’incertezza perpetua”. Ecco che entra però in scena il valore testimoniale del critico che, equilibrando le sue conoscenze con i suoi gusti, riesce a creare una riflessione sulla pellicola. Secondo Guerra esiste un “perimetro di oggettività” che racchiude determinati aspetti condivisi, entro il quale ci si deve muovere per procedere alla critica. “Tuttavia - aggiunge il docente- spesso il colpo di genio del critico sta nella soggettività che riesce a dare quel qualcosa in più che permette di identificare il proprio gusto con quello del critico o incendia un dibattito su discorsi più ampi. Il critico è un mediatore tra il pubblico e l’opera. Più questa mediazione è ‘corta’ più il rapporto è diretto, più la mediazione è ‘lunga’, per cui si pone tra lo spettatore e l’opera una serie di filtri culturali che non tutti riescono a decodificare, allora lì le distanze si creano”.

LE GIURIE DEI GRANDI PREMI – Ma entrando nei meccanismi che sanciscono la gloria delle pellicole premiate dalla critica, come funzionano concorsi importanti come gli Oscar, i Golden Globes, o i David di Donatello? Spesso criticati nei loro giudizi, seguono comunque delle richieste molto precise.
Per la selezione dei film, gli Oscar sono divisi in 15 categorie ognuna delle quali rappresenta una diversa disciplina della produzione cinematografica. La ‘scrematura’ dei film è soggetta a critiche già a partire dal fatto che le nomination possono essere votate solo da coloro (registi, attori, montatori, sceneggiatori, e via dicendo) che sono iscritti all’Academy: questo potrebbe sfavorire molte pellicole interessanti, avvantaggiando i ‘soliti noti’. Vengono inoltre presi in considerazione solo i film proiettati per almeno una settimana in una o più sale cinematografiche della contea di Los Angeles.
Il Golden Globe, invece, è un riconoscimento annuale dedicato ai migliori film ed ai programmi televisivi della stagione. La consegna dei premi avviene solitamente con poco meno di due mesi di anticipo rispetto a quella degli Oscar dei quali ha, per così dire, una funzione orientativa. Ma come per gli Oscar, il punto critico è la ristretta giuria: i Golden sono assegnati da un’associazione di circa novanta giornalisti della stampa estera iscritti all’Hfpa (Hollywood Foreign Press Association) che ha come requisito la residenza degli stessi nella medesima città.

PRESSIONI E NON – Oltre all’individuazione dei criteri e all’ardua selezione che sta dietro ai più importanti riconoscimenti a livello mondiale, un’altra scottante questione legata al mondo della critica cinematografica è l’ingerenza economica, seppur indiretta. Ma fino a che punto può arrivare? Per fare una buona o cattiva pubblicità ad una pellicola un critico potrebbe essere pagato dalla casa cinematografica? “Spero proprio di no – risponde Molossi – anche se non si può escludere, tutto è possibile a questo mondo. Bisogna anche tenere presente che al giorno d’oggi il critico non ha il potere di muovere le masse come in precedenza”. Eppure una certa forma di pressione per spingere su determinati film a scapito di altri viene applicata settimanalmente dalle case di distribuzione sui direttori delle sale cinematografiche. “E’ frutto di accordi, sostanzialmente. Il cinema mono-schermo è sicuramente penalizzato perché il potere è nelle mani della casa di distribuzione che impone alla sala una pellicola e anche il periodo di tempo che deve restare in cartellone – spiega Molossi -. Il rapporto di forza invece si rovescia nel caso dei multisala che hanno un potere maggiore sulla scelta dei film da proiettare. E’ un gioco complesso”.
Alla fine dei giochi, i più penalizzati, in questo senso, sono i registi emergenti che non hanno alle spalle importanti case di distribuzione o che devono fare i conti con la precedenza dei grandi film, “senza contare che il mercato italiano è penalizzante per gli emergenti mentre negli altri Paesi c’è un po’ più di protezione”,  conclude Molossi.

Di Silvia Moranduzzo e Jacopo Orlo  da parmateneo.it

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