'"Il cinema Altro: il cortometraggio"

XVIII Convegno Internazionale

di Studi sul Cinema

e gli Audiovisivi

PESARO 22-24 ottobre 1999

 

a cura di Luca Malavasi

Che cos’è corto, ciò che non è lungo? Detto così, sembrerebbe che l'esistenza del corto sia data soltanto in funzione (differenziale) del lungo o questa, almeno, a una prima occhiata, sembra essere la regola all'interno della produzione audiovisiva.

Ha tentato di fare il punto sulla situazione del cortometraggio in Italia la Fondazione Pesaro Nuovo Cinema all'interno della XVIII Rassegna Internazionale Retrospettiva tenutasi a Pesaro fra il 19 e 24 ottobre 1999 e dedicata, appunto, agli "Autori in breve. 10 anni di corti in Italia e in Inghilterra".

ESTETICA E TEORIA

Una tre giorni di studi, conclusasi con una tavola rotonda, presieduta da Bruno Torri e destinata a illuminare un po' tutte le zone d'ombra del corto (e sono molte) da punti di vista analitici via via diversi. E si è dunque cominciato (Torri) col caratterizzare il perimetro d'analisi: il corto è una MISURA e non un GENERE, vive una condizione di marginalità perché, soprattutto in Italia, è privo di mercato; tuttavia, ha svolto e svolge una funzione culturale fondamentale, spesso qualificandosi come luogo deputato di sperimentazione o, più banalmente, servendo da "palestra" per il lungo (e qui il corto sembrerebbe davvero perdere un po' della sua specificità per diventare non solo il non-lungo ma addirittura il pre-lungo). Proprio parlando di differenze, Torri ha sfiorato un tema poi non più ripreso nel corso del convegno (se non forse dagli autori chiamati a commentare i loro corti), e cioè quello dell'autonomia non solo "temporale" (corto-corto) del cortometraggio, ma anche, diciamo, narrativa e stilistica, determinata da specifici livelli di formalizzazione e da una diversa operatività nel montaggio e nello sviluppo dell'intreccio che deriva proprio dalla "compressione" dei tempi rispetto al lungo. Diamo subito un esempio: è una caratteristica piuttosto diffusa fra i corti il cosiddetto "stile francese" che consiste nel risolvere la trama con un colpo di scena finale dopo pochi minuti descrittivi. Il lungo, semmai, può presentare al suo interno singole sequenze con inizi pigri e finali scioccanti, ma è chiaro che la misura dei 120 minuti standard quasi mai consente una unità ininterrotta di tensione come si dà invece, e proprio per i tempi, al corto. Da questo punto di vista, la relazione spesso invocata fra novella (short story) e corto sembrerebbe funzionare. In verità, la distanza e differenza dei codici espressivi coinvolti mantiene la relazione a livelli superficiali.

Ciò detto, è proprio un approccio di tipo COMPARATISICO-LETTERARIO ad aver goduto di maggior successo all'interno delle teorie del cortometraggio. Se ne è occupato Gianni Volpi nel suo intervento, dedicato, appunto, alle tendenze analitiche nello studio del corto.

Un corpus di studi, quello dedicato alla "forma breve", nuovo e recente, e cioè, tutto sommato, povero di sistematizzazioni e ricco di energie e suggestioni. E lo stesso intervento di Volpi, in certi passaggi "impressionistici" e in certe rigidità normative, ha scontato tutta la difficoltà di tenere a freno una materia che ha da poco superato la maggiore età (di solito, almeno in Italia, la storia delle produzioni corte si fa risalire ai primi anni Ottanta).

Dice Volpi: poca teoria, poca coscienza di sé. In tutto questo, si possono forse individuare tre tendenze: quella, già citata, di tipo comparatistico-letterario, quella APOCALITTICA e quella UTILITARISTICA.

La prima categorizza e istituzionalizza in modo scarsamente problematico (e qui, dunque in partenza, sta forse l'errore) il doppio parallelo corto=racconto e lungo=romanzo, e cioè, a livello profondo, cinema=letteratura (magari, soltanto, la relazione tempo cinema=tempo letteratura o, meglio, spazio-tempo cinema=spazio-tempo letteratura). Le somiglianze, dice Volpi, sono estrinseche e vanno cercate nella esistenza delle FORME BREVI, già categoria d'interesse calviniano. Si può insomma tentare di vedere il corto come parte di un sistema narrativo che attraversa e supera tutte le singole forme e i codici specifici (cfr. Chatman). Questa posizione sembra assecondare tanto l'estrema, costituzionale "libertà" del corto che pare addirittura fondato sul nulla, quanto l'ipotesi relativistica di una fuga dalla teoria verso l'accettazione della continua metamorfosi di questa non-forma o forma-riformante se stessa a ogni nuovo uso. E qui siamo già scivolati nella tendenza Apocalittica, per cui Volpi chiama in causa le posizioni di Alberto Abruzzese e Gianni Canova.

Il primo rappresenterebbe il "punto estremo", là dove si brucia non solo il già pallido residuo aurorale dell'arte novecentesca per eccellenza, ma la stessa definizione d'arte, persa e degradata nella struttura spiraliforme e triturante del consumo. In questo corteo funebre, il corto dovrebbe scegliere: o seguire il feretro del cinema e finire sotterrato lui pure o "liberarsi e uscire da se stesso" e produrre ipertesti da affidare alla libertà dell'operatore (tornare a un'alba del cinema?). Non ha senso, insomma, pensare il corto come sistema alternativo, come modello comunicativo parallelo e altro rispetto al lungo. Si tratta di vedere piuttosto nel corto, e in tutte le forme brevi che gli si possono affiancare (sigle, trailer, spot, intervalli etc) dei formati che svolgono un preciso ruolo all'interno della comunicazione della "surmodernità" (cfr. Augé), luogo sociologico di non-luoghi che mette anzitutto in crisi la posizione e la funzione della sala come spazio privilegiato del consumo cinematografico. Al contrario, le forme brevi sembrano assecondare e ipostatizzare la frantumazione della temporalità sur o postmoderna, spezzando la rigidità elefantiaca del consumo del lungometraggio, con la sua durata standardizzata sempre più lontana dai desideri percettivi del pubblico. Nella relazione fra durata, ritmo e trattamento del tempo, il corto rivendica e manifesta proprio la flessibilità del consumo (e, dunque, del consumatore), favorendo la disgregazione di definizioni monolitiche come tempo e durata e l'apertura verso nuovi orizzonti di a) libertà, b) caos o c), salutare dissennatezza (mi pare che qui, in tutti e tre i casi, la freccia del tempo cinematografico arrivi in modo molto affascinante e gravido di conseguenze quasi a coincidere con la freccia del tempo termodinamico della fisica post-einsteiniana, indicante la direzione del tempo in cui aumenta il disordine e l'entropia anziché l'ordine e l'energia).

Infine, richiamandosi a Gianni Canova, Volpi ha accennato all'ipotesi di una "complessità temporale" anche all'interno della sala o, meglio, dentro i corpi degli spettatori (una densità ed entropia del microscopico che bilancia la fuga dalla sala e la sublima), verso una instabilità strutturale (affascinante ossimoro) che forse permetterà di riguadagnare al cinema anche una nuova moralità (ma qui il punto di domanda si impone come in ogni piano fantascientifico). Di certo, per intanto, si è seppellito il senso del sacro dell'arte cinematografica, già pallido in principio. Oggi, infine, svanito. Magari a favore di una nuova ritualità, folle e pagana e allucinata.

DEFINIZIONI, TECNICHE, STORIA ED ECONOMIA

Quanti corti e quanto corti? Ci ha provato Vito Zagarrio a dare una "tassonomia" della misura. Anzitutto, rispetto al "quanto", 30 minuti può assumersi come parametro standard (e poi può cominciare il gioco all'individuazione del più corto del corto e del più lungo del corto e del più corto del lungo ma più lungo del corto etc… e si dimostra per altra via - linguistica - la inadeguatezza del tempo-durata come parametro definitorio di un prodotto d'arte: e così, pure, si torna al punto di prima, alle rigidità del sistema e delle durate che sono anche espressioni economiche e alla sala e ai suoi spettacoli. Problema, insomma, al momento insolubile. Accettiamo i termini e compromettiamoci con coscienza).

In merito al "quanti" Zagarrio distingue:

• CORTO NARRATIVO (tradizionale):

- plot forte

- stile riconoscibile

- cura del "filmico"

• CORTO D'AUTORE (ex Soldini)

• CORTO SCOLASTICO (ex saggi di fine d'anno delle scuole di cinema)

• CORTO COME WORK IN PROGRESS, in attesa di essere espanso (Il caricatore, 1997, con i tre autori presenti a Pesaro)

• CORTO IN FILM COLLETTIVO (Intolerance)

• FILM A EPISODI (New York Stories)

• CORTO CHE DIVENTA STRISCIA (Cinico Tv)

• VIDEOCLIP

• SPOT PUBBLICITARIO

• FILM D'ANIMAZIONE

• DOCUMENTARIO (Daniele Segre, presente a Pesaro con A proposito di sentimenti)

• VIDEO D'ARTE (mèlange ibrido)

• VIDEO SPERIMENTALE

L'elenco è naturalmente perfettibile.

Un altro problema sollevato da Vito Zagarrio è quello del formato: talvolta, infatti, i corti sono realizzati in 35 millimetri. Con il 35 si ottiene, è ovvio, un'alta qualità ma, per contro, si perde buona parte della "leggerezza" tecnica che caratterizza proprio il corto (ma, è giusto ricordarlo, anche una significativa percentuale delle produzioni "lunghe", interessate, per esempio, dall'ingresso sempre più capillare del digitale: oltre a Dogma 95, andrà ricordato, per restare in Italia, Questo è il giardino di Giovanni Maderna, premiato come miglior opera prima a Venezia '99. Certo la fotografia di Luca Bigazzi rendeva tutto molto più "cinematografico"…) In effetti, la differenza maggiore fra corti video e pellicola sta proprio nella FOTOGRAFIA. in secondo ordine, nella RECITAZIONE. Ma anche nella maggiore libertà rispetto ai GENERI. Libertà, insomma, è ancora una volta la parola più ricorrente all'interno di una descrizione generale del cortometraggio.

Una storia delle produzioni corte di grande lucidità è infine venuta da Vincenzo Succimarra. In principio furono alcuni coraggiosi produttori pubblicitari (ex Arcopinto) a scoprire questo formato già piuttosto praticato in altri paesi in Europa. E poi c'era, e c'è ancora, accanto a questo fenomeno produttivo, la possibilità, normalmente praticata, dell'autofinanziamento. Si può andare dai 2 milioni (tanto à costata la versione corta de Il Caricatore) alle decine di milioni. E non ci sarebbe stato alcun inizio se questi produttori non avessero riscoperta anche la loro funzione di talent-scuot, al di fuori di certe logiche rigide e burocratiche che abitano l'industria del cinema (come qualsiasi altra industria). Intanto, negli stessi anni, e proprio per la moltiplicazione dei prodotti corti, nascevano i primi festival e concorsi (oggi 300 nella sola Italia). In questo caso, il principio è rappresentato dall'AIACE che porta i corti a Venezia e comincia anche a progettare una via di sfruttamento commerciale e di circuitazione.

In un secondo tempo, arriva lo Stato e, in modo più incisivo (almeno in Italia), il mercato privato (le pay-Tv soprattutto, come Studio Universal, Rai Sat, Tele+). Le televisioni sono anche i canali fondamentali di diffusione dei corti. Al proposito, Succimarra esibisce i bilanci '97, '98 e '99 di un noleggiatore di cortometraggi, Marco Gallo. Se il fatturato è cresciuto esponenzialmente dal '97 al '99, le voci di bilancio riguardo agli introiti (comunque, generalmente, molto bassi), contano un 15-20% di incassi derivanti da rassegne che noleggiano i corti; una percentuale che oscilla dal 60% del '97 al 45% del '98 per attestarsi sul 50% nel '99 di noleggio della Tv italiana e una restante quota di introiti derivanti dalla vendita all'estero (il boom risale al '97, quando si passa dal 25% al 40%).

Il problema essenziale è insomma costituire una rete di efficace diffusione prima ancora che di produzione (a quale scopo finanziare progetti, infatti, se questi non si possono poi distribuire?). In Francia e Inghilterra la situazione appare migliore: in Francia, dove lo stato arriva a stanziare fino a 45 miliardi di lire annui per progetti audiovisivi, esiste una Agenzia del Cortometraggio con una rete di diffusione e catalogo dei titoli. Di qui le sale scelgono i prodotti che intendono proiettare dopo aver sottoscritto un abbonamento all'Agenzia per cui pagano una quota annua che consente loro libertà di noleggio. Un'analoga Agenzia del Corto esiste in Inghilterra dal 1992 (la testimonianza è di Kevin Franklin, coinvolto in prima persona nell'attività di finanziamento dei corti in Inghilterra). Dal 1998 è attiva in Uk anche una Agenzia Italia destinata a promuovere il nostro lavoro all'estero. Proprio l'Inghilterra, di cui si sono viste a Pesaro opere del passato (la retrospettiva sul "Free Cinema") e del presente (le produzioni Channel 4, per esempio, con i loro 11' di tempo obbligatorio) risulta il paese europeo più attivo e solidamente organizzato. Grazie anzitutto alle televisioni (Channel 4, la BBC, TNT), istituzioni come il BFI, produttori indipendenti, finanziamenti statali etc. Anche la rete distributiva appare meglio organizzata e, nelle voci di bilancio dei noleggiatori, una buona parte è assorbita (a differenza dell'Italia) dalle sale, soprattutto londinesi. Un fenomeno "all England" è poi quello dei Film Club (nulla che vedere coi nostri "cineforum"), ovvero serate di proiezioni, musica e poesia che permettono di proiettare su grande schermo lavori di giovani autori in 16 e 35 millimetri. Infine, il dato della formazione: in Italia esiste una sola scuola nazionale circondata da una rete più o meno qualificata di istituti regionali, provinciali e comunali. Molto più ricche e qualificate le situazioni europee di Francia e Inghilterra.

Altri contributi si possono leggere all'interno del bel catalogo realizzato dal Festival per i tipi della casa editrice "Il Castoro".

Questo l'indice:

SAGGI

- Uno, cento, mille corti di Angela Prudenzi (curatrice)

- Sul corto italiano di Stefano Della Casa

- La carica dei corti di Vincenzo Succimarra

- Lunghi per caso di Cristina Paternò

- Shortware di Stefano Martina

- Lex, dura ma breve di Dario Formisano

- L'esperienza inglese di Kevin Franklin

- La legge sul corto

INTERVISTE

AUTORI

- Bruno Bigoni

- Daniele Ciprì e Franco Maresco

- Pappi Corsicato

- Antonietta de Lillo

- Daniele Segre

- Roberta Torre

- Eugenio Cappuccio, Massimo Gaudioso, Fabio Nunziata

- Matteo Garrone

- Gianni Zanasi

- Carlotta Cerquetti

- Eros Puggelli

PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE

- Gianluca Arcopinto

- Paolo Cavalcanti

- Marco Gallo

- Roberto Gambacorta

FILMOGRAFIA

Inghilterra

Italia

Luca Malavasi