Metti una sera a cena di Giuseppe Patroni GriffiNegli anni Sessanta i primi trionfi italiani con Morricone, Cipriani ma soprattutto “Profondo rosso”, poi la riscoperta cinefila di Tarantino. Dall'avvento del sonoro, le industrie delle immagini e dei suoni sono state gemelle. Il cinema si potenziava attraverso la radio e i dischi, e viceversa. Le colonne sonore, i leitmotiv e le canzoni associate ai film erano parte della potenza del cinema. Ma il disco diventava anche un modo per proiettarsi nella propria testa ascoltandolo. In Italia, chi ha più di 40 anni ricorda collane come la Cinematre della RCA, oppure i dischi di case specializzate come la Cam e la Cinevox. In fondo, però, la grande stagione delle colonne sonore italiane, dei "dischi di cinema" è piuttosto breve, legata alla storia delle produzioni discografiche. Fino ai primi anni 60 trionfano i 45 giri, che portano al successo ad esempio What a Sky cantata da Nico Fidenco nei Delfini di Maselli.

I primi 33 giri sono produzioni di nicchia, in poche centinaia di copie. Saranno tra l'altro gli spaghetti western, con i brani di Morricone e C., ad allargare il mercato: ma è alla fine degli anni 60 che arrivano i grandi trionfi, con le musiche di Metti una sera a cena di Morricone o quelle di Anonimo veneziano di Stelvio Cipriani (che vendette, pare, 15 milioni di copie in tutto il mondo), e infine dei film di Argento, Profondo rosso su tutti (2 milioni di copie nel primo anno). Ma anche di titoli meno noti come Il dio serpente.

 Il sound italiano mutava. Lo spartiacque è la colonna sonora dei Soliti ignoti (1958) di Piero Umiliani, dopo la quale autori che erano jazzisti notevolissimi, come Piero Piccioni o Armando Trovajoli, osano sperimentare di più, mentre si affaccia una nuova generazione di compositori. Gran parte della musica da film italiana rimane comunque poco considerata, finché, dagli anni 90 non diventa cool. Intanto certi produttori e dj di lounge music trovano nel sound italiano tra anni 60 e 70 un mondo pieno di seduzioni.

Poi l'hip hop e la pubblicità, che campionano o utilizzano riff o melodie. E infine il recupero cinefilo, quello di Quentin Tarantino per intenderci (ma anche di Wes Anderson o Steven Soderbergh), che mette in Kill Bill Inglourious Basterds le musiche di Il grande duello o Allonsanfàn. Il cinema italiano anni 70 diventa cool, trash-cool, o glamour-pop, o chissà cos'altro: e le musiche hanno un ruolo importante, con l'uso precursore dell'elettronica, le peculiari sessioni ritmiche che mescolano universi beat e funk alla nostra tradizione melodica. Da anni molti gruppi si rifanno a quel mondo sonoro, come gli italiani Calibro 35 o i canadesi Orgasmo Sonore. Non sorprende che di vari film italiani escano oggi colonne sonore in vinile: è il caso di Lo chiamavano Jeeg Robot e di Nico 1988.

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Paradossalmente, ricorda De Sanctis, a volte nei B-movie i musicisti potevano lavorare con maggior libertà. In film fatti in fretta, o con minor controllo autoriale, le musiche erano "fuori controllo", con effetti stranianti. Oggi, specie se li si ascolta a frammenti, campionati o decontestualizzati, quei brani hanno un innegabile fascino. Non però "il fascino dell'epoca", perché non ci fanno davvero sentire una stagione, come una canzone di Mina o una commedia di Dino Risi. Piuttosto, il fascino di un altrove, o di un altroquando; un mondo pop che proviene da un passato mediale, quasi a-storico. E quindi perfetto per rinascere circolare nelle forme più varie.

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