Genio innovatore e trasgressivo della fotografia internazionale, William Klein nella sua vita ha praticato di tutto, dalla grafica alla pittura, alla fotografia, al cinema, alla scrittura. Fino all'11 settembre 2016, Palazzo della Ragione Fotografia di Milano ospita la mostra William Klein: il mondo a modo suo che ripercorre il suo articolato percorso artistico, iniziato oltre sessanta anni fa proprio a Milano. La rassegna, curata da Alessandra Mauro, presenta oltre 150 opere originali, alcune delle quali di grande formato, tutte provenienti dall’archivio personale del fotografo, accompagnate da nuove installazioni espressamente concepite per questa esposizione, ma anche da estratti dei suoi filmati, da alcune gigantografie e da una selezione delle pellicole che ha diretto.
Nove sezioni scandiscono un itinerario che tocca le città fotografate da William Klein in tutta la sua carriera, anche attraverso i diversi mezzi espressivi di cui si è servito. Si parte dalle Prime opere, lavori astratti realizzati dal fotografo americano quando, ancora appartenente alla corrente hard edge, stile pittorico caratterizzato da bruschi e netti contrasti geometrici tra diverse aree di colore, cominciò a operare come artista sperimentale e concettuale proprio a Milano.
Si passa quindi alla sezione dedicata a New York, un racconto visivo straordinario, un diario fotografico del suo ritorno nella sua città dopo il soggiorno a Parigi, "con un occhio americano e uno europeo". Racconta Klein, «era come se fossi un etnografo: trattavo i newyorkesi come un esploratore avrebbe trattato uno zulu, cercando lo scatto più crudo, il grado zero della fotografia. Nel mio libro su New York c’era un sottotitolo, stile tabloid. Trance Witness Revels. Tre parole che per me allora riassumevano tutto ciò che avevo da dire sulla fotografia. Trance witness è chi capita per caso su una tragedia. Revels è un gioco di parole con reveals. Rivelare, ma anche gozzovigliare. Il tutto sotto il segno della trance. Riscoprivo la mia città e scoprivo la fotografia. Privo di formazione e senza tante conoscenze, mi dovevo ingegnare con quello che ottenevo. La mia formazione era diversa: disegno, litografia, pittura - che tentavo di applicare alla fotografia. Quello che i professionisti avrebbero gettato nel cestino, per me era un eccitante materiale da rilavorare».
Si va poi a Roma le cui immagini restituiscono la sua ricognizione fatta tra il 1956 e il 1957. Nel 1956 Federico Fellini vede il suo libro su New York e propone a Klein di lavorare come assistente per il suo prossimo film, Le notti di Cabiria (1957). Una volta a Roma, il film viene posticipato e Klein decide di realizzare un libro fotografico sulla sua idea della città. Nasce così Rome, con fotografie di Klein e testi, tra gli altri, di Pier Paolo Pasolini. «Roma è la mia città fortunata», racconta Klein. «Nel 1956 pubblicai il mio libro fotografico su New York. All’epoca sorprese, sconvolse e influenzò un’intera generazione di fotografi. In quel periodo ero soprattutto un pittore astratto, ma la pittura geometrica e hard-edge che praticavo non mi consentiva di dire la mia sul mondo intorno a me. Fu così che provai a sperimentare con la fotografia. Dopo il libro su New York, sentivo di aver detto tutto quel che volevo con una macchina fotografica e il mio successivo obiettivo diventò il cinema. Ero un appassionato di Fellini e riuscii a combinare un incontro con lui a Parigi: desideravo dargli una copia del mio libro. Lui mi disse “Ce l’ho già. La tengo vicino al letto. Ma perché non vieni a Roma e diventi mio assistente?”. Ero nel cuore dei miei vent’anni e così, senza problemi, arrivai a Roma. Naturalmente, Federico aveva già uno stuolo di assistenti ma, ad ogni modo, lavorai con lui al casting di Le notti di Cabiria, documentando un intero esercito di prostitute e protettori. Il film però fu rimandato. E io mi ritrovai a pensare: Va bene, ho fatto un libro su New York, allora perché non farne uno anche su Roma?».
Due ampie sezioni sono dedicate anche a Tokyo e Mosca, altre metropoli oggetto dei suoi libri, per poi arrivare al racconto di Parigi, la città che ha accolto Klein quando - diciottenne - lascia New York, la città dove ha deciso di vivere per tutta la vita, muovendosi per le sue strade con la curiosità di un “osservatore partecipante” mai sazio di immagini. «Pensandoci, ho notato che di solito, la Parigi dei fotografi era romantica, brumosa e soprattutto monoetnica», scrive Klein. «Una città grigia popolata da bianchi. Mentre per me Parigi, come New York se non di più, è un melting pot. Una città cosmopolita, multiculturale e completamene multietnica».
Segue la parte dedicata alla Moda, ambito nel quale è riconosciuto come grande innovatore. Nel corso della sua carriera Klein ha realizzato anche diversi Contatti dipinti, in cui la commistione di pittura e fotografia trova espressione nel gesto dell’autore che sceglie, tra i vari provini a contatto, l’immagine da ingrandire e la contorna di segni grafici forti e unici. Racconta Klein, «ripresi in mano i pennelli per la prima volta dopo molti anni. Ma riprodurre le linee, le croci e i cerchi che tutti i fotografi del mondo usano per evidenziare gli scatti scelti non mi bastava. Vidi la possibilità di inventare un nuovo tipo di oggetti artistici coniugando in modo organico, non arbitrario, pittura e fotografia. Stranamente, il mio metodo di lavoro era completamente diverso da quello che utilizzavo quando stavo con Léger e anche dopo, al tempo delle astrazioni geometriche hard-edge. Per Léger, le pennellate di Van Gogh, Picasso e degli action painters erano bandite. Le forme dovevano avere contorni netti e superfici piatte… Ma quando cominciai a dipingere i provini, ci furono solo pennellate ed esultanza. L'esultanza della pittura richiamava la gioia che si prova scattando una fotografia. Per me scattare una foto era una gioia, era un'esperienza fisica che mi dava la carica».
Chi è William Klein
William Klein nasce a New York nel 1928 da una famiglia ebrea d'origine ungherese. Interrotta a diciott'anni l'università, passa due anni nell'esercito e si stabilisce a Parigi per diventare pittore. Il secondo giorno a Parigi, incontra Jeanne Florin che diventerà sua moglie e la sua principale collaboratrice. Nei primi anni Cinquanta Klein crea una serie di pitture murali cinetiche per alcuni architetti italiani.
Di ritorno a New York, nel 1954 lavora a un "diario fotografico" che uscirà due anni dopo in un volume disegnato dallo stesso Klein: Life is Good & Good for You in New York (Prix Nadar del 1957). Comporrà altri libri sulle città: Rome (1958), Moscow (1961), Tokyo (1964).
Tra il 1955 e il 1965 fotografa la moda per Vogue, creando immagini di rara ironia. In questi anni si avvicina al cinema con una serie di pellicole diverse per stili e temi.
Negli anni Ottanta torna alla fotografia e pubblica tra l'altro William Klein (1983), Close Up (1989), In and Out of Fashion (1994), New York, 1954-1955 (1995), Parigi + Klein (2002), Contacts (2008), Paintings (2012) e Brooklyn + Klein (2014). Nel 1999 realizza il film Le Messie.
Tra i tanti riconoscimenti, riceve il premio Hasselblad, il Guggenheim, oltre al grado di Commandeur of Arts and Letters, alla Royal Photographic Society Millenium Medal e alla Medaglia d'oro di Parigi. Nel 2005 il Centre Pompidou gli dedica una grande retrospettiva.