Genovese di nascita, rimane orfano di padre in tenera età con le tre sorelle e la madre. Abbandonati gli studi all’Istituto nautico San Giorgio, per altro frequentato con ottime votazioni, si trasferisce prima a Milano e successivamente a Roma per seguire i corsi del Centro sperimentale di cinematografia; viene iscritto ufficialmente ai corsi di attore, ma riesce a seguire anche i corsi di regia di Alessandro Blasetti, a cui si affianca nel ‘42 come assistente alla regia. Nel 1939 inizia la sua carriera di attore con il film Retroscena, di cui è anche co-sceneggiatore, e continua con parti nelle pellicole Gli ultimi filibustieri (1941) e in Montecassino nel cerchio di fuoco(1946). Allo scoppio della guerra, Germi è in condizioni di salute precarie e cerca di sfuggire al richiamo alle armi; in questo periodo di malattia produce il suo primo soggetto cinematografico, che viene realizzato nel‘45, con il suo esordio dietro la macchina da presa con il film Il testimone, una pellicola che si discosta dai dettami del neorealismo, approfondendo il lato psicologico grazie all’utilizzo di strutture narrative di genere. La pellicola Gioventù perduta (1947) invece è un poliziesco che risente dell’eco dei generi hollywoodiani, calato nell’analisi profondamente concreta della realtà italiana. Con In nome della legge (1949), sceneggiato da Federico Fellini e Tullio Pinelli, interpretato dal divo Massimo Girotti, riceve i primi grandi riconoscimenti da parte della pubblico e critica, con l’assegnazione di tre Nastri d’Argento, consacrando a tutti gli effetti Germi come autore. La pellicola è una delle prime italiane dedicate mafia e anche in questo caso il regista declina un genere ben codificato come il western alla realtà italiana, calando la storia in una Sicilia assolata e desolata.
Il riconoscimento internazionale arriva con la pellicola successiva, Il cammino della speranza (1950), questa volta un melodramma epico, presentato in concorso al Cannes e vincitore dell’Orso d’argento e l’Orso d’oro al Festival di Berlino.
Anche il film noir dell’anno successivo La città si difende (1951), viene premiato, questa volta miglior film italiano al Festival di Venezia. Il buon rapporto del regista con la critica viene meno nei film successivi, mentre l’approvazione e l’appoggio del pubblico non diminuiscono. La presidentessa (1952) è l’adattamento cinematografico dell’omonima commedia teatrale di Maurice Hennequin e Pierre Veber e risulta essere un titolo avulso dalla filmografia del cineasta; Il brigante di Tacca del Lupo, interpretato da Amedeo Nazzari, è una sorta di western dagli accenti melodrammatici. Seguono Gelosia (1953) e il contributo al film a episodi Amori di mezzo secolo con il capitolo Guerra 1915-1918.
Successivamente Germi rimane inattivo per circa due anni, tornando nel 1955 con Il ferroviere, annoverabile come uno degli ultimi grandi film appartenenti alla corrente neorealistica, molto apprezzato dal pubblico. Del 1958 è L’uomo di paglia, dove accanto a Germi c’è l’esordiente Franca Bettoja, mentre dell’anno successivo è la volta di Un maledetto imbroglio, tratto dal romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, con Claudia Cardinale interprete femminile; la pellicola è una dei primi esempi di poliziesco italiano.
Il cinema di Germi affonda le sue profonde radici nell’attualità italiana, scavando in profondità grazie al suo senso critico e al suo sdegno veicolato da una sprezzante ironia. Il suo cinema si fonda su una dialettica con il reale, che sfocia in pellicole popolari ma molto lontane da un linguaggio conformistico: sono film che pongono al centro della struttura l’individuo, che essendo al centro di una comunità, ne persegue la ricostruzione attraverso il suo senso civico, il suo impegno, la sua solitudine, il tutto accompagnato da una difficoltà esistenziale profonda. A supporto di questa importante scelta, si affianca il metodo recitativo di Germi, che si fonda sul dualismo sorriso ironico/sguardo malinconico. Successivamente il regista genovese, incline ai cambiamenti di rotta, dona un’importante svolta alla sua filmografia iniziando a dedicarsi alla commedia, declinata in una forma pungente e sarcastica, riuscendo così ad amplificare il grottesco e il senso cinico, grazie ad un’ironia dalle profonde radici. E’ la volta dei grandi capolavori come Divorzio all’italiana (1961), interpretato da un perfetto Marcello Mastroianni nei panni barone Cefalù e da un’adolescente Stefania Sandrelli nei panni di della giovane cugina, al centro dell’attenzione del uomo. Fulcro della pellicola è il delitto d’onore e l’omicidio perfetto, raccontate attraverso una poetica priva di retorica e di moralismo, grazie soprattutto alla maestria del regista con cui sovrappone e mescola registri stilistici diversi, dipingendo una realtà amara in cui nessuno è salvo. La pellicola ottiene una candidatura all’Oscar per la miglior regia, un’altra a Mastroianni come miglior attore e infine ottiene quello per il miglior soggetto e sceneggiatura originale.
Pietro Germi, nascosto dal suo proverbiale carattere profondamente umorale, scontroso e intransigente, ha un vero rapporto di amore-odio per il sud Italia, del quale cerca di analizzare i difetti ma anche i pregi in molti dei suoi film, da In nome della legge, passando per Divorzio all’italiana sino a Sedotta e abbandonata (1964). In queste ultime due pellicole, viene ben evidenziata la totale sfiducia del regista verso un profondo e radicale cambiamento nella società e nella cultura meridionale, che viene analizzata e criticata da Germi, che vede impossibili il superamento delle convinzioni secolari che hanno scandito la storia e il costume.
Anche il resto dell’Italia viene analizzato sotto la lente autoriale, nella pellicola Signore & signori (1965), dove questa volta è il Veneto borghese ad essere preso di mira, nell’unica pellicola del regista suddivisa in episodi. Il film interpretato da Virna Lisi e Gastone Moschin, si aggiudica la Palma d’oro al Festival di Cannes ex aequo con Un uomo, una donna di Claude Lelouch.
Del 1967 è L’immorale, con la coppia Ugo Tognazzi e Stefania Sandrelli, narra la storia di un uomo che non sa scegliere fra le tre donne della sua vita e le tre famiglie che si è creato con ciascuna di loro. Il rapporto del regista con la critica, soprattutto quella dell’area comunista, è assai conflittuale: Germi simpatizzante del Partito Socialdemocratico Italiano, mette in discussione gli stereotipi della sinistra comunista, incentrati sull’operaio completamente avulso però dalla trasformazione sociale della stessa classe operaia.
Il grande consenso del pubblico invece continua con Serafino, interpretato da Adriano Celentano, mentre è del 1970 Le castagne sono buone con Gianni Morandi, film che è considerato il meno riuscito del regista. Nel 1972 c’è il ritorno alla commedia grottesca con Alfredo Alfredo, interpretato da Dustin Hoffman e Stefania Sandrelli, preludio alla caustica analisi del reale e del grottesco in quello che sarebbe stato il suo ultimo film Amici miei, portato a compimento dall’amico Mario Monicelli. Il regista muore a Roma il 5 dicembre 1974 e la pellicola di Monicelli, uscita l’anno dopo, è a lui dedicata con l’eloquente e significativo incipit nei titoli di testa e nel materiale pubblicitario «un film di Pietro Germi».
di Chiara Merlo per museofermoimmagine.it