VITTORIO DE SICAVittorio De Sica nacque in Ciociaria (Sora) nel 1902, da una famiglia di modeste condizioni economiche; ma la sua vera patria fu Napoli, dove crebbe e cominciò a bazzicare l'ambiente dello spettacolo, si trasferisce a Roma dove più tardi si diploma ragioniere. 

Regista di fama internazionale famoso come attore e anche come cantante già negli anni trenta, confluiscono in lui componenti tipiche dello spettacolo italiano in una perfetta sintesiTeatro ''leggero'' canzone, cinema, avanspettacolo, teatro colto, recitazione, non ultima l'influenza di una città come Napoli ricca di fermenti teatrali e non solo, grande sensibilità umana, regista e attore tra i più popolari un personaggio completo tutto ancora da scoprire, la sua stessa popolarità rappresenta bene un intreccio tra livelli alti e cultura popolare mai appiattiti in un grossolano consumismo televisivo è commerciale, il pubblico sapeva chi era De Sica sia quando lo vedeva in tv, sia nei film ove compariva solo per esigenze economiche.... era il regista di Ladri di biciclette

Da Sottolineare anche la sua capacità di rinnovarsi. Sua la voce della famosa canzone ''Parlami d'amore Mariù'' ma anche suo un canovaccio tipico dell'avanspettacolo il ritornello ''Ludovico sei proprio un vero amico....''. Un uomo di spettacolo Italiano, insomma, che appena poteva cercava di mettere in cantiere un film di ''impegno'', ma non sempre, in specialmodo negli ultimi anni riuscì a concretizzare le sue idee, nel cinema non sempre bastano.

Il Grande regista spagnolo-francese L. Bunuel lo voleva nel  un suo ultimo film: ''L'oscuro oggetto del desiderio'', la cosa non si realizzò per la avvenuta morte di De Sica, stA comunque a significare la portata internazionale del nostro.  

A Roma,  nel 1924, De Sica ottenne una scrittura nella compagna di Tatjana Pavlova, la discepola di Stanislovski da poco emigrata in Italia (è Gastone nella Signora delle Camelie). Tre anni dopo recita Pirandello con Sergio Tofano, e nel giro di altri tre anni diventa "primo attore". 

E' l'epoca degli attori dal colletto ''intostato" che cantano con sussiego e vanità ("Ludovico sei bello come un fico" la sua sigla). Da Pirandello De Sica approda così al teatro leggero, sotto la guida del regista Mario Mattoli (poi regista di film con Totò) allora specializzato in spettacoli comico-brillanti. La maschera galante di quell'attore giovane conquista presto anche i cineasti; ma soltanto al quinto tentativo, alle dipendenze di Camerini, i produttori si convincono che De Sica è il protagonista ideale della commedia amorosa borghese. La sua prima apparizione in un film risale al 1912, quando ancora bambino recita una parte in "Il processo Clémenceau", nascono così: "Gli uomini che mascalzoni" (1932) di Mario Camerini, La segretaria per tutti (1933) di Palermi, Darò un milione (1936), "Il signor Max" (1937), "Grandi magazzini" (1939) ancora di CameriniNapoli d'altri tempi (1938) di Palermi, Tempo massimo (1934) di Mattoli e altri ancoraNel 1940 è l'attore più amato dal pubblico femminile insieme con Amedeo Nazzari

Ma De Sica, grazie alla grande, ma misconosciuta spesso dalla critica, scuola del varietà, è già qualcosa di più; nella sua tecnica di recitazione confluiscono le migliori espressioni della rivista italiana nel suo massimo splendore: il macchiettismo cinico e levigato, da cafe' chantant, di Petrolini e del teatro popolare napoletano, l'accorata mimica di Angelo Musco, le pantomime parodistiche di Fregoli. Da questo patrimonio popolare De Sica apprese gli elementi di una recitazione semplice e comunicativa, ma al tempo stesso profonda e acuta, di un rigore quasi classico, e sempre fedele a un concetto chiaro e preciso di serietà professionale.

Nel filone comico-sentimentale De Sica esordisce anche alla regiaRose scarlatte (1940)  una timida analisi della tentazione all'adulterio, "Maddalena zero in condotta" (1941), una commedia degli equivoci di ambiente collegiale, "Teresa venerdì" (1941), il melodramma della conversione di un "mascalzone" (la cui amante, Anna Magnani, è una canzonettista) ad opera dell'orfana che fa la sguattera nel suo orfanotrofio. De Sica mostra subito una propensione alla satira contro gli ambienti repressivi, contro i tutori ottusi, contro l'ipocrisia di classe, e una naturale simpatia per le sognatrici, che violano le convenzioni e sono vittime di persecuzioni. Benchè dominino i dettami della commedia "cameriniana"(del regista M.Camerini, importante regista degli anni trenta) (il mascalzone, il collegio) e della rivista (la canzonettista, gli equivoci), De Sica si avvicina già ad un mondo fino allora trascurato dal cinema, il mondo dell'infanzia (gli orfanelli).

"Un garibaldino al convento" (1942) è ambientato fra le educande di un convento, due delle quali provengono da famiglie rivali, l'una è di carattere mite e tranquilla, ma l'altra, invidiosa dei suoi modi aristocratici, la detesta e una loro maligna compagna attizza i contrasti; ma quando un giovane garibaldino ferito e braccato chiede loro aiuto si danno da fare per soccorrerlo e per trovargli un rifugio nella casetta del giardiniere il quale si rivela un ammiratore del generale; entrambe si innamorarono del giovane, ma lui ricambia la prima ed all'altra non rimane che soffocare stoicamente i singhiozzi; ed è proprio lei a correre da Bixio quando gli altri tre, barricati nella casetta devono fare fronte all'assedio dei borbonici. Con questo film, che peraltro rientra smaccatamente nel genere nazionalistico conseguente all'entrata in guerra dell'Italia che imita goffamente gli stereotipi di Hollywood ("Arrivano i nostri"), e che rimane fedele al film d'ambiente collegiale, De Sica compie un importante passo avanti poichè si stacca dalla recitazione solita, rinuncia alla replica scontata dal proprio personaggio, si rinnova.

In piena guerra De Sica si associò a Zavattini. Per il regista l'incontro segnò una svolta: abbandonando i temi della commedia rosa e dedicandosi interamente alla regia. De Sica e Zavattini affrontano l'altra faccia della vita piccolo-borghese e popolare, quella cupa e drammatica. Il clima bellico d'altronde respingeva come anacronistico il sentimentalismo degli anni trenta, e incombeva con tutto il suo immane orrore sull'animo della gente. ''I Bambini ci Guardano" (1943) ha per protagonista un bambino, che è a sua volta spettatore: spettatore di una violenta crisi familiare. Sua madre abbandona suo padre per vivere con l'amante, e il padre si arrabatta per sistemarlo prima in una sartoria, (la cui proprietaria se la fa con un commendatore e le cui commesse si confidano sottovoce le loro avventure), poi dalla nonna in campagna (la cui servetta ha una relazione con il farmacista) e infine a casa di nuovo perchè la mamma è tornata. Ma durante una vacanza al mare (dove la spiaggia pullula di corteggiatori) l'amante viene a trovare la donna; il bambino fugge via in lacrime e quando i carabinieri lo riaccompagnano dalla mamma, lei lo riporta a casa, ma non vi rimane. Il bambino osserva senza capire tanti episodi che rimandano tutti alla stessa immagine, quella dell'incontro iniziale ai giardini fra la madre e l'amante. Negli occhi del bambino passano ambienti squallidi, dal condominio di casa sua (le pettegole che commentano la separazione o il suicidio) alla spiaggia, dalla sartoria al casolare della nonna. I turbamenti del bambino nascono dal contrasto fra un mondo magico che lo affascina e il crudele distacco della madre che questo mondo provoca. L'attenzione all'infanzia sarà una caratteristica del Neorealismo ed anche  F. Trauffaut ebbe la stessa sensibilità.

Nelle mani di De Sica il bambino è soprattutto uno strumento potentissimo per riprendere la realtà: un occhio che guarda. Il clima fatale del film, lo squallido quadro sociale l'incombente senso di catastrofe, il retroscena da film noir, si fondono con un senso chapliniano (molto presente nel nostro persoanggio l'influenza di Chaplin) dell'infanzia vittima della società repressiva. Non a caso il film termina ancora una volta in un collegio, in una prigione per bambini.

Durante l'occupazione De Sica e Zavattini producono in Vaticano: "La parte del cielo" (1944), resoconto di un viaggio in treno compiuto da operai, contadini, e altri umili, che per le precarie condizioni di realizzazione, costituisce il primo esempio di cinema neorealista, fra un coprifuoco e l'altro, lavorando nella basilica o in qualche scantinato, e facendo recitare i rifugiati, riusciranno a scampare ai tedeschi che volevano portarli al nord con la scusa di essere già impegnati con il Vaticano. La sensibilità di De Sica sceglie chiaramente, in quei momenti tragici, la solidarietà e il rifiuto della ottusità Nazista.

de sica Sciuscià 1"Sciuscià" (1946) fu il film che propagandò meglio di ogni altro l'immagine di un paese, devastato eppure poetico, quale era l'Italia del dopoguerra. Il film nasceva dall'impegno morale di denunciare il fenomeno dei bambini abbandonati e il sistema carcerario che li opprime; cioè da una maturazione in chiave sociale del prediletto tema "collegiale" (presente nel film ''I bambini ci guardano'').

Gli interpreti furono assoldati in riformatorio e le riprese avvennero per le strade di Roma. Sugli schermi di tutto il mondo si potevano così vedere i vicoli squallidi e soffocanti dei quartieri popolari e le precarie condizioni di vita dei loro abitanti. L'immagine internazionale del neo-realismo era completata dall'accorata partecipazione del regista alle disavventure dei bambini, dalla poesia che egli riusciva a far scaturire da tanta maceria di civiltà, e dall'insolito ritmo narrativo, al tempo stesso sobrio e preciso, acuto e lineare. Due bambini lustra-scarpe (shoe-shire) spendono i soldi ricavati dal loro lavoro nell'acquisto di un cavallo bianco (simbolo Zavattiniano del desiderio di riscatto dalla condizione di schiavitù e della laida miseria), ma coinvolti in un furto, vengono internati in un riformatorio dove devono subire le prepotenze dei giovinastri violenti e amorali nonchè dei sorveglianti disumani: la loro amicizia viene infatti de_sica_Sciuscià_2.jpgspezzata dalla crudele separazione, che propone loro nuove conoscenze in due celle diverse. Il più piccolo evade seguendo un suo nuovo amico durante un incendio. Il più grande, sentendosi tradito, lo insegue deciso a vendicarsi, ma causa involontariamente la sua morte e, mentre il bambino agonizza ai suoi piedi vede passare nella notte il cavallo bianco. Attorno ai due bambini (e visti attraverso i loro occhi) si muovono le macchiette all'italiana del rigattiere, della chiromante, delle famiglie accatastate in ricoveri di fortuna, tutta gente maestra nell'arte di arrangiarsi e ridotta alla più totale miseria. Il realismo fiabesco e il moralismo di Zavattini si intrecciano al tocco del regista, in quell'umano tenero indugiare sull'amicizia dei due bambini e sulle brutalità del mondo. L'arte di De Sica nasce in effetti da una sua ''carenza'': uno sguardo non politicizzato ma non per questo povero o superficiale e una documentazione cinematografica non tecnicamente alta e proprio per questo più realista. Una autenticità non mediata da nessuna ideologia preconfezionata, un ''provincialismo'' autonomo da facili esterofilie caratterizza il meglio del Neorelismo (Fenoglio) di quegli anni e non solo a cinema, lo conferma il succeso internazionale del film.

de sica Ladri di biciclette 1Analogo mondiale successo ottenne "Ladri di biciclette" (1948), storia di un disoccupato che, trovato lavoro come attacchino, riscatta la bicicletta, lo strumento indispensabile del suo nuovo lavoro, impegnando le lenzuola; ma mentre è intento a incollare un manifesto qualcuno gliela ruba e il disgraziato, poco fiducioso nella polizia, comincia una disperata ricerca in compagnia del figlioletto.
Girato per le strade di Roma con un vero disoccupato, il film aveva qualche debito con ''The crand'' (La Folla) di K. Vidor per la solitudine dell'individuo in balia di una folla indifferente se non ostile del suo dramma, e soprattutto The Kid (il Monello) di Chaplin per la solidale complicità fra i due vagabondi: un uomo e un  bambino.

Pur dispiegando al massimo grado il suo sentimentalismo, De Sica riuscì a costruire un reportage fedele; e ciò grazie in primo luogo alle sue magistrali doti di direttore di attori. De Sica ripete in effetti  il capolavoro di  ''Sciuscià'', ricalcando anche il leitmotiv della coppia di amici; ma questa volta li immerge in un viaggio infernale di tono morale e sociale.

L'umanitarismo generico di De Sica disegna l'inferno dei poveri a grandi tinte emotive indicando fra le righe che in quell'inferno si annidano tanti piccoli paradisi, costituiti da nuclei familiari e dalle amicizie. Il merito più grande di De Sica sta nella disinvoltura con cui tratta quest'inferno e questi paradisi, nell'amore con cui li ritrae, nella capacità di renderne l'essenza fatta di rassegnazione e fierezza.

de sica Miracolo a Milano 1Il paradiso dei poveri agognato da De Sica è quello di "Miracolo a Milano" (1950), una fiaba scaturita dalla mente surreale di Zavattini e dalla censura imposta dal ''regime'' democristiano: erano film attaccati dalla censura perchè di denuncia, fu un compromesso d'alta classe, uno dei vertici poetici del regista, anche se "ricco" dal punto di vista della realizzazione. 

Stupenda l'utopia finale di ''un altro mondo è... impossibile'': in pieno centro a Milano, i miracolati morti di fame si liberano volando; esauditi i desideri dei miserabili, il ragazzo (Totò, tratto da un romanzo di Zavattini ''Totò il buono'') invoca l'ultimo miracolo ed una legione di barboni a cavallo di scope sottratte agli spazzini si leva in volo sulla città, lasciando la terra ai ricchi e lanciandosi verso il paradiso dei poveri.

de sica Miracolo a Milano 2I temi tipici di De Sica / Zavattini fioccano a ripetizione: l'infanzia, l'orfanotrofio, la solitudine nella folla, la solidarietà, la miseria, il paradiso dei poveri.

I matti cari a Zavattini. Il film si ispira indubbiamente alla favolistica, tanto quella occidentale (fate, streghe) quanto a quella orientale (la colomba magica), ma anche ai vangeli: il ragazzo è una sorta di Cristo comparso in un buffo presepe, a realizzare la profezia degli umili e del Regno di Dio. Ma soprattutto il lieto fine è drammatico: in questo mondo non può esserci giustizia.

L'impianto favolistico nulla toglie al taglio neorealista della macchina da presa, non vi è contrapposizione con i film precedenti.

De Sica fa sempre fare alle autorità e ai tutori dell'ordine la figura dei cattivi: è questo un sintomo del suo anarchismo naïf, che si unisce con la simpatia riposta nei bambini, fortunati cittadini di un mondo senza leggi, di uno stato di natura che l'orfanotrofio o il collegio (lo Stato in ogni caso) vuol sopprimere. Totò ha il potere dell'immaginazione, è il messia di un'utopia non violenta anche se i suoi poveri capiscono ben poche delle sue idee, paurosi, superstiziosi, egoisti ed avidi; un'utopia che si conclude con una specie di suicidio collettivo. Il film è  intriso di commozione: il funerale della buona ed umile vecchietta per le strade senza un cane che l'accompagni; il ragazzo che augura una buona giornata a tutte le persone che incontra e che lo prendono per pazzo; la lotteria dell'inaugurazione con in palio un pollo.

Al di là della carica emotiva sono scene di una profonda amarezza, che riflettono la paurosa solitudine a cui ogni uomo sembra destinato. E' questo il secondo significato dell'apologo surreale, ben più profondo del primo (la fantasia dei poveri può battere la forza dei ricchi).

Umberto D con il cagnolino De Sica 0Ed è su questo tema che De Sica costruisce il suo capolavoro ''Umberto D'' (1952), dove tutti i suoi temi preferiti sono trasfigurati nella parabola del povero pensionato, confortato soltanto dalla compagnia di un cagnolino bastardo. Presa la decisione di uccidersi, vaga per la città; alla fine prende in braccio il cagnolino (Chaplin) per buttarsi sotto un treno, (sequenza stupenda) ma all'ultimo momento il cane, spaventato, gli scappa; e il vecchio lo rincorre, ... lo abbraccia, ... lo stringe al petto piangendo: il cane lo ha salvato!

Umberto D con il cagnolino De Sica 1Umberto D è un groppo in gola, un graffio nell'animo. Il più limpido e serio anti-spettacolare studio sociale di De Sica e Zavattini divenne, per la forza della poesia, anche il loro più commovente pamphlet di critica sociale. La totale solitudine di un uomo che ha passato la vita a lavorare, e l'ingratitudine della società che egli con quel lavoro ha contribuito a costruire, sono resi con pathos shakespeariano degno del Re Lear. 
Il suicidio del vecchio che nessuno vuole più e che non sa più dove andare è gia un pensiero spaventoso; ma che egli vi rinuncia per dedicarsi a un cagnolino, equivale a un suicidio più grande, al suicidio della dignità del vecchio e al suicidio della intera civiltà umana. Il film rotola di abisso in abisso, ed alla fine... che pena quel paradiso dei poveri! Ecco dove volavano i barboni di Milano!

Umberto D con il cagnolino De Sica 2Tutto il film poggia sulla regia attenta di De Sica, sulla interpretazione pacata e solenne del protagonista, che deve disegnare un uomo onesto, discreto e dignitoso (forse Totò da vecchio) che accetta con rassegnazione i rovesci del destino; ma che a un certo punto, per continuare ad essere onesto discreto e dignitoso, dovrebbe suicidarsi, e invece si ribella. Il cagnolino è il simbolo della rivolta contro la società che lo ha condannato a morte. Ma il cagnolino è anche il sostituto ideale del bambino di Ladri di biciclette; ed il viaggio incontro alla morte del vecchio, rassomiglia quello alla ricerca della bicicletta; così alla fine il vecchio e il cagnolino si prendono per mano e si perdono nella folla. Al culmine dell'ispirazione, De Sica riesce a far fruttare anche gli elementi più ''equivoci'' della sua arte come il sentimentalismo e l'umanitarismo. 

Il violento attacco delle autorità bigotte contro Umberto D costrinsero De Sica a riparare in America, dove ricevette i complimenti di Chaplin in persona, ma dovette anche cedere alla logica commerciale di Hollywood. "Stazione Termini" (1953) è una storia d'amore tutta vissuta in una stazione fra una americana sposata e un italiano; il film risente pesantemente dei collaboratori amici americani.

Loro di NapoliDopo la breve e insoddisfacente parentesi americana, De Sica gira "L'oro di Napoli" (1954) film a episodi che intende dare un ritratto pittoresco del mondo napoletano (guappi, pizzaioli, nobili, mantenute e imbroglioni) e che sogna il ritorno di De Sica alla recitazione in un proprio film, oltre che confermare la sua formidabile capacità di dirigere gli altri, dal comico dirompente Totò alla diva popolana Loren (la pizzaiola) e al grande Eduardo De Filippo. La spettacolarità teatrale e questa rassegna di divi colloca il film ben al di fuori del neo-realismo e persino al di fuori delle tematiche classiche del regista stesso. L'unico episodio ancora neorealista, sul funerale di un bambino, venne tagliato dalla produzione. 
In compenso la parte recitata da lui in persona, quella del conte rovinato dal gioco, è l'atto di nascita ufficiale del nuovo De Sica attore, che, smessa la maschera del mascalzone galante, si cala nei panni del gentiluomo maturo, arguto e affascinante, amante del decoro, che cammina sempre a testa alta, già collaudato l'anno precedente in "Pane amore e fantasia" (di Comencini), e riproposto nella nutrita serie di interpretazioni  da "Pane amore e gelosia" alla dozzina di film ad episodi e commedie all'italiana proliferata nel 1954 e 55 (compresi gli ottimi film con Totò).

Il generale Della Rovere 1Dopo Il tetto (1956), altra commedia popolare, De Sica che ha sancito la fine del neo-realismo, si ritira dalla regia e si dedica al  cinema come attore. Lavora  in un'altra manciata di film, quasi tutti commediole comunque simpatiche;  fino al 1961 la sua attività di attore si mantiene frenetica e un po' corriva, fatto salvo ovviamente "Il generale Della Rovere" (1959) di Rossellini. Questa ritirata artistica è dovuta a fenomeni concomitanti: l'insuccesso degli ultimi film, le ambizioni solistiche di Zavattini, il bisogno di soldi (De Sica era assiduo giocatore al casinò di Montecarlo).

Nel 1961 ritorna alla regia con "La ciociara" (da Moravia) caricando l'interpretazione della Loren nella parte della madre. Qua e là traspare di nuovo la mano del maestro: le macchiette della borgata, il sentimentalismo tragico dello stupro, l'infanzia devastata dalla guerra. In seguito  De Sica gira ''Il giudizio universale'' (1962) più che altro un pretesto per mettere assieme una dozzina di divi internazionali, un falso film ad episodi costruito sulla gag di un altoparlante che annuncia il giudizio universale. Lo spunto magico surreale alla Miracolo a Milano serve soltanto come occasione per Sordi (che contrabbanda bambini per l'America), Manfredi, Gassman, Fernandel, e tanti altri, per dare un saggio della loro bravura. La gente aspetta terrorizzata, ma alla fine il giudizio si risolve in un acquazzone e tutti possono andare al gran ballo dove coronano il loro amore: gli unici ad essere rimasti indifferenti, due giovani innamorati preoccupati soltanto all'idea del loro incontro. Il film pullula di macchiette: ladri, disoccupati, stranieri, camerieri, avvocati, cantanti; e squarcia uno dei rioni più poveri di Napoli, un palazzo fatiscente affollato di comari petulanti e di bambini seminudi.

Ricordiamo anche I sequestrati di Altona (1963) tratto da Sartre. Il boom (1963) dove un arrivista fallito (Sordi) abbandonato dalla moglie vende un occhio a un commendatore cinico e volgare per pagare i debiti e continuare la sua vita agiata. "Ieri oggi e domani" (1963), 3 Premio Oscar, è un trittico di episodi napoletani interpretati dalla Loren.

de sica matrimonio allitaliana"Matrimonio all'italiana"(1965) è la riduzione di Filomena Marturano di Eduardo ma affidata nuovamente al temperamento partenopeo della Loren, di nuovo in coppia con Mastroianni, ed è anche uno dei maggiori successi di pubblico dell'epoca.

Il connubio fra due animi chapliniani come De Sica e De Filippo non può che sortire un risultato emozionante, dove pianto e riso si fondono in un unico appassionato canto di vita. Ma De Sica si strugge dal desiderio di realizzare un altro Umberto D e deve lottare quotidianamente con i produttori. 

Per quattro anni De Sica, trasferitosi a Parigi e divenuto cittadino francese, gira Caccia alla volpe (1966), con Peter Sellers nei panni di un ladro inafferrabile che, parodiando le riprese di un film neorealista, riesce a mimetizzare lo sbarco clandestino di un carico d'oro.

Amanti (1968), melodramma cosmopolita basato su un amore impossibile fra un italiano e un'americana afflitta da male incurabile, e "I girasoli" (1970) rievocazione dello sbandamento del dopoguerra centrato sulla ricerca che una napoletana (Loren) conduce in Russia per ritrovare il marito (Mastroianni) dato per disperso. 

il giardino dei finzi contini 0Nel 1971 "Il giardino dei Finzi Contini" dal romanzo di Bassani è l'occasione per una poetica rievocazione del clima bellico. De Sica  ritrova la sensibilità umanitaria e il decoro magico dei suoi capolavori nelle scene d'amore pudico di due giovani ebrei condannati dalla loro nascita, e in quelle strazianti della deportazione che sradica la giovane dalla casa in cui è cresciuta. Siamo al quarto Oscar del regista.

Una rinnovata intensa attività di attore accompagna l'ultima produzione del regista che gira Lo chiameremo Andrea una surreale appendice alla periferia di Miracolo a Milano aggiornata al movimento ecologico e alla satira goliardica della commedia all'italiana);  Una buona vacanza (1973) e Il viaggio (1974). Il primo è un film-denuncia della condizione operaia: la protagonista è un'operaia che rinasce a nuova vita dopo essere stata ricoverata in ospedale per la tubercolosi ma che ripiomba nello squallore appena viene dimessa e deve tornare in fabbrica. Il secondo di impostazione melodrammatica.

De Sica muore quell'anno. Talento naturale, attore e regista nella vita prima ancora che sul set, De Sica ha impersonato gli ideali positivi di una parte del popolo italiano durante e dopo il fascismo e, grazie all'innato senso dello spettacolo, è riuscito ad inventare uno stile imitato in tutto il mondo.

In ultimo ricordiamo ancora una volta che i suoi film SciusciàLadri di bicicletteIeri, oggi, domani e Il giardino dei Finzi Contini hanno vinto l'Oscar al miglior film in lingua straniera, premio al quale fu candidato anche Matrimonio all'italiana.

dal sito di Cicciotti

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