Quando ho iniziato a scrivere Vietato leggere all’inferno non mi ero mai cimentato con la struttura del romanzo, anzi, a dire la verità non sapevo nemmeno cosa fosse. Ho iniziato a scrivere, ho seguito la strada tracciata dai miei personaggi. Sembrava facile, nessuna differenza con i racconti che ero abituato a scrivere. Poi però Amleto, Eleonora e Caterina hanno perso l’orientamento, hanno cominciato a cazzegiare, e io ho capito l’importanza dell’ultimo parametro dedicato alle variabili di narrazione. La struttura serve a trasformare una semplice sequenza di fatti (il soggetto) in una storia.

Scegliere il modo in cui gli eventi vengono svelati al lettore/spettatore è una delle abilità più importanti nel campo dell’ingegneria delle storie. La variazione dei parametri strutturali del tuo progetto può alterare sensibilmente il risultato finale, con un’incidenza pari solo a quella della scelta del POV.

Immagina una storia con più personaggi: puoi narrare i fatti in maniera cronologica, oppure partire dal mezzo e alternare gli avvenimenti del presente con dei flashback. Oltre a questo, puoi decidere di portare avanti contemporaneamente tutte le storie dei protagonisti, oppure di separarle alternando la narrazione, o addirittura di creare episodi (collegati tra loro) da raccontare senza rispettare la sequenza temporale (come avviene in Pulp Fiction). Ogni ipotesi sopra elencata cambia la tensione narrativa e sposta la concentrazione del lettore/spettatore, modificando di conseguenza il tono e la complessità della tua storia.

Paradigm Syd FieldLe opzioni possibili nella scelta della struttura sono molteplici, quasi infinite, ma ognuna di esse è creata a partire dal modello in tre atti, basato sul concetto (di origine aristotelica) che ogni storia è formata da tre parti, proporzionate tra loro, attraverso le quali le vicende vengono presentate al lettore/spettatore, hanno un loro svolgimento, e infine trovano una conclusione.

Primo atto — Presentazione

Il primo atto è un’unità drammatica di grandezza pari a un quarto della lunghezza totale della storia. Inizia con l’incipit e si conclude con il primo colpo di scena. Ha il compito di attirare l’attenzione del lettore/spettatore e quello di impostare la storia, cioè di presentare tutti gli elementi utili a preparare le future svolte narrative della trama.

I primi a dover essere introdotti sono i protagonisti. Durante il primo atto, il lettore/spettatore deve capire quali sono i personaggi principali, quali sono le loro esigenze drammatiche, e quali sono gli iniziali contesti emotivi e sociali. Sono i punti di partenza per il processo di trasformazione che subiranno nel corso della storia.

La presentazione, tuttavia, deve estendersi anche a tutte le situazioni, gli oggetti o i luoghi che saranno fondamentali per la costruzione e la spiegazione dell’intreccio. Per farti un esempio (molto stupido): se prevedi che il tuo protagonista avrà dei problemi per un’allergia alle arachidi, tale intolleranza non può saltar fuori all’improvviso, ma deve essere descritta nella prima parte della tua storia. Allo stesso modo, se decidi che il Voldemort di turno può essere ucciso solo dalla Sacra Spada Sterminatrice dei Malvagi, l’esistenza di tale arma deve essere anticipata all’inizio e non comparire solo al momento dell’utilità.

A conclusione di questa unità drammatica c’è il primo colpo di scena, cioè il circuito d’innesco che amplifica il segnale d’uscita del primo atto e lo indirizza verso il secondo. Questo colpo di scena aggancia l’azione e la spinge verso una direzione nuova: è quell’evento che cambia la routine dei protagonisti e li convince (o costringe) a intraprendere il metaforico viaggio.

Secondo atto — Svolgimento

Il secondo atto è la parte centrale della struttura e ha una lunghezza pari alla metà del intero racconto (quindi doppia rispetto quella del primo e del terzo atto). È compreso tra i due colpi di scena principali della trama — quello dell’innesco e quello in cui si ottiene il climax della tensione narrativa — e contiene tutte le difficoltà, gli ostacoli e le sfide che i protagonisti devono affrontare e superare (o non superare) per realizzare le loro esigenze drammatiche.

Data la lunghezza e la complessità del contenuto del secondo atto, per aiutarti nella stesura puoi ricorrere a una struttura più rigida introducendo i tre elementi che Syd Field (autore de La sceneggiatura. Il film sulla carta) chiama pinza 1, pinza 2 e punto centrale.

Il punto centrale è un evento collocato a metà del secondo atto che costituisce il punto di non ritorno nel processo di trasformazione dei personaggi: potrebbe essere una situazione da affrontare, oppure una scelta da prendere, ma in ogni caso deve rappresentare un momento dal quale loro non potranno più tornare indietro.

Il punto centrale divide il secondo atto in due parti che possono essere a loro volta suddivise a metà da due scene chiave (spesso collegate tra loro da una sorta di collegamento narrativo) che tengono in linea la storia e che impediscono all’azione di perdere ritmo e efficacia: tali scene vengono dette pinze.

Troppa teoria, dico bene? Noi ingegneri dello storytelling non amiamo le definizione, meglio un esempio concreto. Lo prendo in prestito proprio dal manuale scritto dall’autore americano:

Ne Il ritorno dello Jedi il primo atto mostra la liberazione di Han Solo dalle grinfie di Jabba the Hutt. Tutto l’atto parla della fuga di Solo. Il colpo di scena avviene quando lui e i suoi amici lasciano finalmente Totooine. Quando tornano a casa, Luke Skywalker ritrova l’antico e venerabile Jedi, Yoda. In una scena molto commovente, il vecchio sapiente avverte Luke che prima di poter diventare un autentico cavaliere Jedi ‘deve scoprire e affrontare il lato oscuro della Forza’ — suo padre, Darth Vader. In seguito il vecchio Jedi muore. È la pinza 1 […]. Il punto centrale è quando inizia la missione per distruggere la nuova Morte Nera, la pinza 2 quando Luke si arrende e può quindi affrontare il padre. Il secondo colpo di scena si ha all’inizio del loro duello, Quando Solo e la principessa Leia attraversano le gallerie per disattivare lo schermo protettivo.

Terzo atto — Conclusione

Il terzo atto è un’unità drammatica di grandezza pari a quella del primo. Inizia subito dopo il secondo colpo di scena e si conclude con lo scioglimento di tutti i nodi narrativi rimasti in sospeso. Non solo il finale, quindi, ma la vera e propria risoluzione della tua storia.

Il terzo atto deve mostrare il cambiamento dei protagonistievidenziare le conseguenze del loro processo di trasformazione, ma, soprattutto, deve essere coerente e rispettare le aspettative create. Gran parte del giudizio che il lettore/spettatore darà alla tua storia dipenderà dalla soddisfazione ricevuta dal finale. È l’ultima cosa che legge/vede, l’ultima che gli rimarrà impressa, e se non sarà all’altezza vanificherà tutto quanto scritto in precedenza.

Non forzare la storia per inserire il finale che preferisci, sarebbe come barare, una violazione del patto firmato con il lettore/spettatore. Il terzo atto è la diretta conseguenza dei primi due, per cui limitati a osservare e trascrivere il naturale corso della trama che hai creato. Se non sei soddisfatto da quello che vedi, puoi tornare indietro e riprogettare le prime parti. È un lavoro faticoso, specialmente quando pensi di essere in prossimità del traguardo, ma è l’unico modo a disposizione per non rovinare il tuo progetto. Nel complesso circuito del grande pulsante rosso gli elementi rabberciati fanno perdere potenza a tutto il sistema, con conseguente degenerazione del segnale d’uscita.

Appunti finali

La struttura in tre atti può sembrare rigida, limitante e poco originale, ma può allo stesso tempo diventare un sostegno essenziale durante la scrittura. Non sei costretto a seguirla, puoi tentare di dare libero sfogo alla tua creatività senza ricorrere a schemi preconfezionati, e se in questo modo riesci a concludere il lavoro il tuo progetto sarà probabilmente migliore di quello dei tuoi colleghi. Il processo creativo, tuttavia, non è sempre fluido e omogeneo, l’ispirazione può attraversare dei momenti di appannamento, e quando capita rischi di ritrovarti a zoppicare nel labirinto della tua fantasia. Una struttura ben progettata potrebbe diventare la tua stampella, con tanto di navigatore GPS incorporato. Difficile farne a meno, soprattutto all’inizio della tua carriera.

Ho cercato di spiegarti tutto quello che so sulla struttura e spero che possa esserti utile, ma se vuoi approfondire l’argomento ti suggerisco di leggere il già citato La sceneggiatura. Il film sulla carta, scritto da Syd Field: il volume è un po’ datato ed è dedicato solo alle sceneggiature cinematografiche, ma i consigli che offre e gli esercizi che propone sono sia attuali che applicabili a ogni forma di storia.

Come di consueto ti invito a darmi una tua opinione sull’argomento di questo capitolo, puoi scriverlo tra i commenti qui sotto o raggiungermi su Facebook. In attesa di sapere la tua opinione…

HopEnjoY

Bibliografia

La sceneggiatura. Il film sulla carta, di Syd Field — Editori di comunicazione, 1999

Un sentito grazie a Cristiana Melis per la correzione e la consulenza.

di Roberto Gerilli  lettore anconetano di trentasei anni.

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