Qualche tempo fa ho visto a un festival un cortometraggio premiato per la migliore sceneggiatura. La sceneggiatura infatti era ottima ma fin quasi al termine, secondo me, fino a che proprio coi titoli di coda gli autori non hanno avuto un cedimento per un grosso errore. Evidentemente la giuria non si è accorta di questo errore. E’ interessante parlarne perché nel contempo si comprenderà cosa è il colpo di scena.
Il corto narra di un giovane alla disperata ricerca di un lavoro. Un giovane “avanzato in età”, Mario ( per dargli un nome), con fidanzata che vorrebbe sposarsi, con genitori che si avviano alla pensione, con una sorellina che gli vuol bene, con uno zio premuroso, con una nonna che capisce e non capisce. Storia dei nostri giorni ben costruita, famiglia convincente per le dinamiche relazionali che esemplificano ciò che accade comunemente nella realtà. La storia è centrata su un ennesimo tentativo di colloquio di assunzione, sul colloquio stesso e sull’attesa dei risultati. Proprio durante il colloquio la nonna viene ricoverata in ospedale. Abbastanza normale, non è la prima volta, in fondo è molto anziana.
Mario dopo il colloquio viene avvertito dalla segretaria dell’azienda, in tono confidenziale, che se non riceverà alcuna telefonata entro le tredici del giorno dopo potrà considerarsi assunto; la telefonata ufficiale di assunzione e l’invito a presentarsi viene di norma inviato in seguito. Mario sembra soddisfatto del colloquio sostenuto, racconta a casa che bisogna pregare che non arrivi nessuna telefonata da quella azienda fino alle tredici del giorno dopo.
E il giorno dopo verso le undici la madre impaziente e speranzosa, che “ sente che questa è la volta buona”, prepara di nascosto una torta, mentre lo zio anche lui ottimista corre a comprare lo spumante. Insomma c’è chi spera e c’è pure chi si tormenta: e se questa volta sarà come le altre? I pessimisti sono, oltre Mario, il padre, serio, preoccupato, che non commenta e attende; la fidanzata che oscilla tra fiducia e sfiducia, anche lei in ansia; la sorellina di Mario che la imita. Alle tredici meno dieci, ormai quasi ora di pranzo, alcuni sono già seduti a tavola e c’è chi guarda l’orologio di nascosto, e chi proclama l’orario apertamente. Alle tredici meno cinque lo zio fa apparire la bottiglia di spumante e subito la madre mette la torta in bella vista. Mancano ormai pochi secondi alle tredici e tutti sono in fibrillazione, persino il padre ora sorride, la fidanzata esulta, figurarsi madre e zio! ma ecco che squilla il telefono… e continua a squillare lacerando il silenzio.
Fermiamoci un attimo per spiegare il colpo di scena. Mettiamoci dalla parte degli spettatori, non è difficile immedesimarsi e pensare come loro. Gli spettatori, a questo punto in tensione come i personaggi del film, si chiedono ansiosi: chi sarà!?, oppure sono già delusi: addio! ecco la telefonata che boccia Mario. Dunque il percorso della narrazione scivola perfettamente: tutto accade come in una famiglia qualsiasi, la telefonata che si teme arriva. Potrebbe essere un’altra persona che telefona. Oppure Mario non ce l’ha fatta. In tutti e due i casi ( la telefonata di altri e la telefonata di bocciatura ) siamo di fronte a un normale svolgersi degli eventi. Invece colpo di scena, ossia svolta nella narrazione: accade qualcosa d’altro, che non si attendeva, o di cui ci si era dimenticati.
Risponde ovviamente Mario, con la faccia che pende. Dall’altra parte c’è qualcuno dell’ospedale che avvisa che è morta la nonna. Gli spettatori ascoltano, come Mario, e apprendono la notizia, e siccome sono al di fuori della storia, per quanto partecipi siano, rimangono un po’ costernati: è vero che non è stato bocciato, però la notizia è una notizia di morte. Ma gli altri personaggi del film non sanno ancora e sono in attesa spasmodica. Mario non reagisce subito, chiude il telefono e dà la notizia. Non è la notizia temuta! Tutti esultano, urlano di gioia, lo zio stappa lo spumante, si fanno gli auguri. Questa reazione è il secondo colpo di scena.
Mettere un intero gruppo in condizioni di reagire esultando a una notizia di morte, senza per questo apparire crudeli è una trovata geniale. La risata del pubblico scaturisce dal paradosso, dall’equivoco emotivo che sorge per via dell’attesa di qualcosa che rinvierebbe il gruppo nella penosa realtà di un giovane che non ha lavoro. Se questo qualcosa non avviene l’emotività positiva, la gioia, è così alta che tutto ciò che avviene è come se non avvenisse. Se il film termina qui lo spettatore va via soddisfatto, col volto sorridente, convinto di ciò che è accaduto, non importa se è un evento estremo. Il colpo di scena, l’evento paradossale, è riuscito. E oltretutto Mario è stato assunto. Che è importante per il lieto fine, che ha il suo peso sullo spettatore. Questo secondo colpo di scena veramente straordinario avrebbe dovuto chiudere il film.
Ma il film non termina qui, continua nei titoli di coda. La segretaria dell’azienda, che gli spettatori conoscono, è al telefono. Il direttore le chiede se ha avvertito tutti gli esclusi e la segretaria risponde che le è rimasto l’ultimo, un tal Mario… il cui telefono prima era occupato…
Il film termina con questo terzo colpo di scena. Un colpo di scena di troppo, secondo me. Ben tre colpi di scena! Se si utilizzano più colpi di scena, e ovviamente si vuole che funzionino, devono essere organizzati in progressione di efficacia sempre maggiore. In questo caso l’ultimo non si può paragonare certo al secondo quanto a originalità e forza. Perché accade facilmente che un Mario sia bocciato per l’ennesima volta ( purtroppo oggi ) e che la persona che glielo deve comunicare trovi il telefono occupato. Mentre è molto improbabile che si esulti di gioia a una notizia di morte. Non solo. C’è un altro aspetto. In questo caso si raggiunge un obiettivo non voluto, quello di mandar via gli spettatori delusi. Forse sorridono pure per questo finale, ma di sicuro non ridono come prima. E questo è il grave errore.
Maurizio Mazzotta - www.essereuomo.it
Fare cinema
di Maurizio Mazzotta
Il colpo di scena