Per non perdersi
Questa linea deve essere robusta e deve avere un capo e una coda, ovvero un inizio e una fine. Potremmo immaginarla come una di quelle grosse corde nautiche, affidabili e sicure che reggono le boe e delimitano gli spazi nel mare.
La storia, o anche solo l'idea iniziale di essa, dovrebbe afferrare un capo di questa corda e piano piano scivolare avanti, aggrappandosi con tenacia. Ne va della sua sopravvivenza. Se mollasse la presa, la corrente potrebbe sospingerla lontano e affogherebbe. Se si fermasse, il gelo delle acque la ucciderebbe in poche ore.
Sempre avanti, quindi, ma verso una direzione precisa: la fine della corda, il molo, l'approdo certo.
Ogni sceneggiatura ha bisogno di quella corda, più comunemente chiamata struttura.
La struttura è la linea guida della storia, è la sua ossatura e ne determina la statura e la credibilità.
Potremmo anche dire che la struttura rappresenti l'interprete nascosto tra quel fantasioso agglomerato di personaggi, colpi di scena, azioni, dialoghi, pensieri che si trovano nella testa dell'autore e il mondo esterno, quel mondo che osserva davanti allo schermo il prodotto finito.
I tre atti di Syd Field
Dapprima l'idea, poi la creazione dei personaggi, e ancora la prima bozza di un soggetto sulla carta.
Passaggi che, giunti a questo punto, dovremmo aver già compiuto. Si tratta ora di spingersi oltre, dentro la storia, anzitutto per completare quelle quattro o cinque pagine di soggetto e successivamente, per affrontare il lungo lavoro necessario per la stesura della sceneggiatura.
Questo è un momento molto delicato, perché nella testa dell'autore cominciano ad affollarsi immagini, idee, situazioni: quella piccola iniziale bolla che conteneva la scintilla di un'idea è ormai esplosa, pressata da contenuti in crescita esponenziale. Bisogna mettere ordine per proseguire. Dobbiamo, adesso, aggrapparci a quella corda.
Abbracciando la tesi di Syd Field, espressa nel suo utilissimo manuale di sceneggiatura "Il film sulla carta" (vedi scelti per voi) cerchiamo di capire in cosa consista esattamente questa corda/struttura, meglio conosciuta con il termine "paradigma".
Syd Field definisce il suo paradigma "una mappa lungo il processo della sceneggiatura". Ed è esattamente questo: uno strumento indispensabile per non perdersi né ora né nelle successive e più complesse fasi creative.
Per giungere a realizzare il suo modello, la domanda da cui parte Syd Field è: "cos'hanno in comune tutte le storie?"
La risposta è abbastanza semplice: ogni storia possiede un inizio, una parte centrale e una fine, tre punti imprescindibili. Che siano contratti o meno, posti in questo oridne o meno, questi tre elementi devono essere presenti in ogni processo creativo.
Secondo lo sceneggiatore americano, l'inizio corrisponde al primo atto, la parte centrale al secondo atto e il finale al terzo atto.
Blocchi di azione drammatica
Dovremmo provare a immaginare la nostra corda iniziale divisa in tre parti, ciascuna introdotta da un colpo di scena (che potremmo visualizzare come le piccole boe galleggianti ancorate alla nostra fune).
Syd Field pone dei termini di tempo precisi per la risoluzione di ciascun atto, che mi limito a riportare fedelmente. Non condivido appieno uno schema tanto rigido, essendo più propensa alle "varianti sul tema", ma penso che prima di poter "sfondare" le regole, occorra conoscerle perfettamente e molto a fondo. Quindi, procediamo con lo schema.
Ipotizzando una sceneggiatura di centoventi minuti (pari a centoventi pagine scritte, dato che una pagina di sceneggiatura equivale circa a un minuto di film), possiamo suddividere così i singoli atti:
- Il primo atto che, come si è detto, corrisponde all'inizio, è un "blocco di azione drammatica" di trenta minuti. Viene anche chiamato "impostazione" e termina con il colpo di scena della fine del primo atto. In esso vengono presentati i personaggi principali e, attraverso determinati movimenti, viene messo a fuoco il presupposto drammatico;
- Il secondo atto, detto "confronto" è un blocco di azione drammatica di sessanta minuti. In queste sessanta pagine c'è ampio spazio per lo sviluppo della storia. Avremo personaggi alle prese con un conflitto da risolvere, in un modo o nell'altro, e vedremo la loro anima messa a nudo dalle contingenze della vita che abbiamo stabilito per loro;
- Il terzo atto viene chiamato "risoluzione" ed è lungo trenta pagine. In questi ultimi minuti, la storia trova la sua soluzione, aperta o chiusa che sia, definita o indefinita.
Questo è uno schema semplificato, nudo e crudo di quel complesso modello chiamato paradigma, ideato da Syd Field. Presto affronteremo e approfondiremo, punto per punto, ogni singolo atto qui introdotto.
N.B.: Le 120 pagine si riferiscono alla durata di un Lungometraggio
di Sabrina Gioda
Sceneggiatrice cinematografica e televisiva, autrice di romanzi e insegnante di sceneggiatura e scrittura creativa
Dal suo blog http://scriverecinema.weebly.com