La comunicazione visiva è un processo che da un lato riguarda l’acquisizione degli aspetti percettibili della realtà, dall’altro riguarda le modalità e i comportamenti cognitivi di chi osserva. Si forma così un rapporto comunicativo fra l’uomo e il mondo, in cui il concetto di forma diventa metafora di transito fra natura e cultura.
Le forme della realtà hanno senso perché si trasformano in forme mentali che possono diventare concrete quanto quelle oggettive.
Capitolo I
Forme della Realtà e della Rappresentazione
L’aspetto più importante dell’analisi della forma è quello che deriva dalle considerazioni sulla qualità della realtà stessa e sulle modalità della sua rappresentazione: questa trae origine dalle più remote necessità dell’uomo di raffigurare le forme della realtà a scopo comunicativo.
Rappresentare non solo le forme della realtà oggettiva, fisicamente tangibili e misurabili, ma anche una realtà soggettiva interiore, nel desiderio di dare corpo ai valori morali (quindi dar vita ad una realtà irreale).
Il passaggio dalla realtà alla rappresentazione si concretizza attraverso la percezione e quindi l’interpretazione: la realtà perde i suoi connotati primari per acquistarne altri simbolici.
La realtà percettiva si oppone alla realtà oggettiva in quanto quest’ultima passa attraverso il filtro della percezione modificando la sua struttura grazie ad un complesso intervento di conoscenze che orientano il momento percettivo.
La rappresentazione infantile viene attuata attraverso una raffigurazione istintiva, naturale.
Nell’adulto la rappresentazione degli oggetti passa attraverso una precisazione percettiva, alla ricerca di elementi che a un primo impatto erano sfuggiti (potenziamento della visione).
La forma si disperde, si dissolve in un’altra realtà ossia quella percepita che la rappresenta.
Il meccanismo percettivo trasforma la realtà in immagine.
La realtà del mondo e delle cose presenti intorno a noi stimola il sistema visivo e simultaneamente tutta la sfera percettiva, attivando una trasformazione dei dati oggettivi mediante il condizionamento determinato dai fattori soggettivi e dai significati culturali.
Accanto alla realtà percepita, metafora della realtà oggettiva, troviamo un’altra realtà, quella interiore, in cui troviamo forme immateriali che fluttuano e riaffiorano nella mente richiamate dai sentimenti o dalle emozioni, dalle situazioni o dalle relazioni con la realtà esterna.
La rappresentazione visiva della realtà interiore produce elevati effetti di credibilità, come se si trattasse della raffigurazione tangibile e realistica di una realtà altrettanto concreta: il bisogno di rendere visibile ciò che è invisibile è un dato presente in tutti i tempi.
Con la stessa autenticità con la quale la realtà oggettiva si trasforma, attraverso la percezione, in un fatto mentale, la realtà interiore si presta a diventare, attraverso l’immagine, un fatto visivo (ce la restituisce con una forma credibile e concreta nel pensiero).
Quindi occhio e pensiero sono nella stessa misura creatori di forme.
L’immagine è il risultato di un pensare figurato, ossia di un atto di pensiero ed essendo l’esito di un’attività mentale ha una sua struttura autonoma.
L’attività artistica è stata il mezzo attraverso il quale l’uomo si è avvicinato alla natura delle cose, il mezzo che gli ha consentito di individuare la forma del sentimento del reale.
Capitolo II
La percezione dello Spazio
La percezione si manifesta tramite i vari componenti dell’apparato sensoriale, suddivisi in:
- ricettori a distanza: occhi, orecchi, naso
- ricettori di vicinanza: pelle e papille gustative
Le informazioni sensoriali relative allo spazio, alla forma, alle superfici e alla materia hanno caratteristiche diverse in relazione al tipo di ricettore.
Inoltre condizionamenti culturali di vario tipo possono modificare le informazioni sensoriali.
Il senso dello spazio è il risultato di una molteplicità di interventi provenienti dai 5 sensi; il risultato di questa molteplicità di interventi percettivi costituisce un vero e proprio sistema di comunicazione fra l’uomo e la realtà.
J.J.Gibson dimostrò che i sensi non sono unicamente recettori passivi, ma forniscono al cervello informazioni già elaborate.
Il senso aptico ha origine dal senso del tatto, ma esso prevede un coinvolgimento di tutta la sfera percettiva nella sua globalità.
Il senso cinestesico è invece legato al movimento e alla posizione del corpo nello spazio: ne deriva una percezione della distanza e della tridimensionalità dinamica, poiché connessa all’azione.
La prossemica tratta le distanze fra l’uomo e le cose e fra l’uomo e gli altri uomini, quindi incide sulla percezione provocando coinvolgimenti sensoriali altamente variabili.
Il comportamento prossemico (evoca concetto di prossimità) si pone come un sistema di comunicazione non verbale riguardante l’organizzazione e la considerazione dello spazio (ad es. in un incontro interpersonale).
Una condizione fondamentale della percezione è l’attenzione che interviene come meccanismo di disposizione della capacità di scelta e di elaborazione degli stimoli che provengono dal contatto con la realtà.
Il nostro campo visivo oscilla fra 240° e 210° e si attua con precisione nel raggio di 2° limitamente cioè alle dimensioni della fova (due fovee: visione binoculare), quella zona della retina in cui ha luogo l’acuità visiva grazie ai coni, ossia dei fotorecettori da cui dipende la visione fotopica (in piena luce); troviamo poi insieme ai coni i bastoncelli da cui dipende la visione scotopica (grado minimo di luce) in cui un pigmento li rende sensibili alla luce. La visione scotopica riguarda la zona periferica delle retina mentre la visione fotopica interessa direttamente l’area della fovea. Abbiamo poi la visione mesopica che riguarda gi stati luminosi di transizione.
Da questo si deduce che l’attenzione è strutturalmente selettiva poiché è impossibile rispondere a tutti gli stimoli esterni contemporaneamente.
La percezione quindi risulta essere l’esito di una successione di scelte attivate dall’attenzione. Gli aspetti fondamentali dell’attenzione sono la selettività, in quanto essa opera delle scelte, e l’intensità, in quanto essa è determinata dal grado di sforzo compiuto per attivarla. Con la selettività è possibile isolare uno stimolo percettivo; con l’intensità è possibile, mediante lo sforzo di attenzione, identificare correttamente lo stimolo.
L’origine fisica della percezione è data dal flusso di energia luminosa che dalla realtà, attraverso l’occhio, raggiunge il sistema nervoso dell’osservatore: quindi ogni natura materica si traduce in sensazione luminosa e cromatica.
La percezione visiva è quindi quel processo che organizza, individua e sollecita l’attribuzione di significato a quell’impulso della mente. Ogni cambiamento di rapporto delle forze esterne produce un’alterazione del fatto sensoriale e quindi una elaborazione diversa.
Le forze interne sono invece quelle forze che garantiscono un equilibrio tra l’individuo e le interferenze esterne (es. ad ogni stimolo luminoso che coinvolge l’organo della vista corrisponde un controbilanciamento atto a ripristinare l’equilibrio visivo).
L’esperienza visiva
La percezione dipende da un’integrazione di tutti i sensi, oltre che da una serie di altri meccanismi automatici.
Secondo degli studi condotti in psicologia, la percezione risulterebbe essere la ricezione più o meno passiva di ciò che si presenta come realtà esterna, cui seguirebbe la fase di elaborazione attiva.
Ma la percezione non può essere consideraa unicamente sotto questo aspetto.
Il processo cognitivo, ossia la metodologia atta a realizzare la conoscenza, ha luogo nel momento stesso della percezione: pensare e percepire sono attività coincidenti.
Il pensiero è di natura percettiva ed è condizionato dalle immagini mentre esso stesso le elabora: per l’uomo la pratica visiva coincide con quella cognitiva (vedere vuol dire conoscere).
E’ particolarmetne interessante distinguere fra immagine della retina e rappresentazione soggettiva, cioè fra ciò che J.Ginson definisce “campo visivo” e “mondo visivo”.
Nel campo visivo si attua la percezione della realtà come insieme di impulsi registrati dalla retina, che nel mondo visivo assumono un’identità diventando esperienza soggettiva.
Ogni evento luminoso che coinvolge la retina provoca nella mente la necessità di riordinare e dare un senso alla qualità della fonte luminosa. Ogni relazione fra le unità ottiche genera una sensazione di spazio.
L’esperienza visiva è completa quando i dati della percezione sensoriale giungono a una configirazione strutturata a livello emozionale e intellettuale, conducendo (attraverso l’attenzione, l’organizzazione visiva, l’equilibrio tra forze esterne ed interne, la comprensione e la codifica) alla memorizzazione di quella particolare situazione recepita (schema pag 14).
C’è da ricordare che l’esperienza percettiva di ciascun soggetto è modellata su caratteristiche spazio-temporali proprie.
Il campo visivo tridimensionale o spaziale: riguarda quell’area spaziale senza confini delimitati in cui ogni oggetto della realtà fisica assume il valore di entità visiva, di realtà percettiva, grazie all’organizzazione visiva del campo che l’intervento sensoriale fornisce.
Il sistema visivo offre all’intelletto una ricostruzione fenomenica del campo spaziale su tre assi: la visione stereoscopica è il risulato della visione binoculare mediante la quale si ottiene la percezione della terza dimensione e quindi l’effetto di profondità.
Il movimento di parallasse, ossia l’apparente moto degli oggetti prodotto dal moviemtno dell’osservatore, aumenta l’impressione della tridimensionalità.
Il campo visivo bidimensionale o iconico: presenta caratteristiche di relazione con un confine delimitato che individua la superficie della raffigurazione. Il campo visivo di un’immagine è quindi condizionato dal suo limite, dalle sue dimensioni.
NB. L’esperienza visiva si configura, quindi, come il risultato di un intervento creativo sulla realtà, sia essa tridimensionale o bidimensionale: ogni unità visiva appartenente ad un campo assume caratteristiche spaziale, stimolando nell’osservatore un atteggiamento analitico verso di esse e l’organizzazione di raccolta di elementi e di forze che le collegano.
Capitolo III
La rappresentazione della profondità
Al di là delle rappresentazioni prospettiche, le forme che maggiormente producono l’illusione di ficure “oggettuali” sono quelle strutture geometriche che creano effetti di reversibilità (come il rombo o il parallelogrammo), perché l’occhio difficilmente riesce a vederle unicamente nella loro realtà bidimensionale.
Le forme piane si prestano con facilità a diventare piani spaziali e un ruolo determinante è giocato dai contorni che si prestano alternativamente ad appartenere a una forma oppure ad un’altra.
Vasarely ricerca un oggettività percettivamente mobile attraverso effetti associativi connessi alla psicologia della percezione: ad esempio quando la struttura del campo è organizzata su elementi ortogonali e obliqui paralleli (obliquità parallela) fra loro in modo da indurre una percezione globale tridimensionale (fig. pag 20, “AXO-MC”).
Si parla di spazio concettuale quando ci si riferisce ad uno spazio non rappresentato ma evocato, come ad esempio lo spazio religioso della pittura egizia determinato dal tempo, dall’incedere degli eventi.
La prospettiva scientifica
Il piano di un’immagine grafica aquista valore tridimensionale a livello percetivo.
L’occho percepisce un’immagine di profondità e il cervello ricostruisce attraverso le relazioni spaziali, che l’illusione fornisce, la sensazione di spazio.
In un’opera come “Vedute della città ideale” di P. della Francesca la prospettiva con un punto di fuga centrale fornisce una ricostruzione ottico-scientifica, concentrando la visione in un unico punto focale di attrazione (pieno di particolari).
Cubisti (ricerca della spazialità ricreata intorno all’oggetto) e futuristi (ricerca del dinamismo in ogni oggetto) furono i primi a introdurre nella pittura il punto di osservazione in movimento, cercando la sequenzialità di più immagini visive sovrapponendo figure e forme.
Portare nella pittura il movimento dell’osservatore intorno all’oggetto o il movimento dell’oggetto stesso nello spazio, significava trovare quindi nuovi metodi di proiezione prospettica
Ogni oggetto della realtà appartenente a un campo visivo si traduce in immagine ottica, proiezione retinica che dell’oggetto riferisce unicamente la superficie esterna investita dai raggi ottici.
L’immagine ottica della realtà tridimensionale è quindi bidimensionale, ma l’immaginazione e l’esperienza visiva forniscono un’organizzazione spaziale completa e sintetica dell’immagine.
L’occhio ricostruisce spontaneamente e intuitivamente “ciò che sta dietro”.
Dal momento che la percezione visiva dello spazio è il risultato sintetico di una molteplicità di punti di vista che sequenzialmente si proiettano sulla retina, se ne deduce che l’immagine mentale dello spazio che ci circonda è tridimensionale.
Il campo visivo assume una forma sferoide per effetto della visione binoculare; inoltre le forme della realtà sono proiettate non su una superficie piana ma sull’area concava retinica
La tridimensionalità dello spazio reale, quindi, si bidimensionalizza, assumendo il valore di campo retinico, per poi assumere immediatamente l’identità di uno spazio mentale.
Nelle modalità percettive della visione sono stati individuati degli indici, detti indici di profondità, che hanno la funzione di trasformare la percezione visiva della profondità in immagine (dalla realtà all’immagine).
Essi sono:
- La sovrapposizione di più forme nello spazio è fondata sul concetto che ogni oggetto ha la sua completezza anche là dove appare nascosto.
Essa per natura produce profodnità perché crea un effetto di spessore, di tridimensionalità e di spazio stabilendo una sequenza spaziale dimesionale.
- Nella rappresentazione visiva la dimensione ha un ruolo simbolico in quanto l’oggetto più importante sarà quello con la dimensione maggiore e quindi appare dominante e in primo piano. Ovviamente la scala spaziale è in rapporto alla scala di valori.
- La convergenza che consente di raggiungere un forte effetto di illusione della profondità per effetto di introversione (sprofondamento) o estroversione (avvicinamento) dello spazio rispetto al piano pittorico.
- La collocazione degli oggetti nello spazio, in quanto il campo visivo è relazionato alla linea dell’orizzonte che definisce i rapporti di distanza tra l’osservatore e gli oggetti.
- L’efficacia visiva di una rappresentazione spaziale è spesso affidata al contrasto luce-ombra, senza il quale l’illusione della profondità non sarebbe percepibile in modo convincente. Le ombre rivelano la direzione della luce e la forma delle superfici. Falsando il contrasto si possono provocare illusioni ottiche in base alla provenienza della luce.
- Luminosità e colore possono essere fondamentali nella rappresentazione bidimensionale dello spazio. Colori uguali su sfondi diversi creano sensazioni spaziali opposte, e contrasti di luce producono suggestioni tridimensionali accentuate. Inoltre insieme ricreano l’effetto dell’atmosfera ottenibili attraverso variazioni di tono o scale di colore.
I gradienti percettivi cromatici consentono di individuare ciò che appare in primo piano più scuro e nitido (quindi meno intenso nei colori), mente ciò che appartiene allo sfondo risulta meno nitido e con colori meno intensi (non saturi).
- Prospettiva e correzioni ottiche, cioè per rendere maggiormente naturale una prospettiva molti artisti intervengono direttamente sul disegno modificando il procedimento geometrico a favore di un risultato più vicino alla sensazione visiva.
- La trasparenza è un efficace mezzo nella rappresentazione della profondità (riflessione o specularità): figure che si integrano incorporandosi producono una percezione simultanea di più sensazioni spaziali alludendo ad un tridimensionalità ambigua perché lascia emergere o regredire figure secondo un ordine spaziale instabile.
Si usa il termine di gradiente percettivo per indicare ogni tipo di progressione, riduzione, diradazione o intensificazione visiva dovuta all’avvicinamento o all’allontanamento degli oggetti nello spazio, in rapporto al punto di vista dell’osservatore e ai punti di fuga.
Esso è connesso alle modalità dell’apparenza fenomenica della realtà percepita.
Non è vero che la mente deve ricostruire la terza dimensione a partire ada un’immagine retinica bidimensionale, ma è la qualità stessa dell’organizzazione visiva che traduce in termini plastici le relazioni di profondità, in base ad un processo di gerarchizzazione degli elementi del campo organizzato dall’occhio (attribuendo una maggior o minor rilievo).
Capitolo IV
Le leggi della forma o configurazione (GESTALT)
Uno dei postulati essenziali della Gestalt è quello secondo cui ogni zona del campo viene percepita in relazione ad altre parti, in modo da costituire unità di maggior rilievo percettivo.
Inoltre il campo può segmentarsi in zone che assumono il ruolo di figure (carattere oggettuale) e in zone che assumono ruolo di sfondo (carattere meno concreto).
Wertheimer ha stabilito una serie di regole sulle modalità di raggruppamento degli elemdnti del campo in strutture più vaste, ossia in configurazioni.
Le condizioni mediante le quali gli elementi del campo si unificano e si organizzano in unità percettive sono determinate dalla loro relazione con il contesto, il cui ruolo è decisivo nel riconoscimento elle figure e nell’attribuzione di significato.
Le leggi che in un campo concretizzano il formarsi di configurazioni, ossia la genesi di forme ottiche, sono:
- Legge della vicinanza: una configurazione si stabilizza in base alla relazione che si instaura fra elementi vicini, in quanto risulta difficile percepire le singole unità isolatamente (che invece tendono a compattarsi visivamente).
- Legge della somiglianza: la configurazione tende a unificarsi in base agli elementi che possiedono caratteristiche simili; quindi si raggruppano percettivamente rendendo stabile e compatta la configurazione. La somiglianza può attuarsi in base alla forma, al colore o alla dimensione.
- Legge della chiusura: cioè in una configurazione tendono ad emergere percettivamente le forme chiuse, in quanto il sistema visivo associa alla forma chiusa carattere di oggettualità.
- Legge della continuità di direzione: in una configurazione tendono ad unificarsi le linee con la stessa direzione od orientamento o movimento, secondo l’andmento più coerente.
- Legge della pregnanza o della buona forma: in una configurazione si percepiscono in modo migliore figure con una buona forma, ossia con una struttura coerente ed equilibrata che rende immediato e sicuro il riconoscimento del significato. (L’impressione di una forma non è identica con la percezione delle relazioni che esistono tra le sue parti).
- Legge dell’esperienza: in una configurazione l’organizzazione percettiva avviene anche in relazione all’esperienza passata (esperienza sia in senso di condizioni ambientali, sia in senso di esperienza individuale) in quanto facilita il riconoscimento dei dati già sedimentati nella memoria.
Oltre a questi fattori che consentono la segmentazione e l’organizzazione del campo, delle osservazioni vanno fatte a proposito delle forze del campo generate dalle linee orizzontali, verticali e diagonali e dalla centralizzazione della composizione, elementi che hanno la funzione di produrre equilibrio, compensazione visiva, simmetria e movimento della configurazione.
Nel campo interagiscono tensioni spaziali che si vengono a determinare in base alle caratteristiche di ciascun elemento (colore, chiarezza, forma, grandezza, ecc..) e alla sua posizione.
La posizione ha qualità spaziali (alto, basso, centro, ec..): in un campo visivo la posizione di un’unità nell’intero costituisce una forza; la posizione di ciascuna unità crea una struttura di forze che stimolano l’elaborazione mentale soggettiva dell’osservatore.
Queste forze percettive, che nella realtà oggettiva non esistono, segnao il passaggio dell’elaborazione visiva dal campo retinico al mondo visivo.
Le forze strutturali di un ampo sono in realtà forze psicologiche determinate dal mondo interiore dell’osservatore.
Dal punto di vista progettuale è di estrema importanza considerare come verrà percepito e quali effetti potrà avere un’immagine grafica; inoltre è necessario sottolineare che realtà oggettiva e realtà fenomenica non coincidono, per quanto esista l’illusione che corrispondano perfettamente.
- Presenza dell’oggetto fenomenico nonostante l’assenza dell’oggetto fisico (pag. 50)
- Presenza dell’oggetto fisico nonostante l’assenza dell’oggetto fenomenico: esiste l’oggetto ma non viene percepito se non con un notevole sforzo di concentrazione (effetto di mimetizzazione).
- Condizioni di discrepanza tra certe caratteristiche dell’oggetto fenomenico e le corrispondenti dell’oggetto fisico: il cervello interpreta come linee non parallele le linee oblique, quindi preferisce l’evidenza all’oggettività.
Identificazione e relazione di figura e sfondo.
L’immagine retinica, provocata dallo stimolo sensoriale attivato dalle forze della realtà o di un’immagine, si configura in un insieme di unità che si addensano in due parti, la figura e lo sfondo: esse si compensano l’un l’altra e grazie alla loro articolazione si concretizza l’oggetto fenomenico.
Il rapporto figura-sfondo è condizionato da alcune caratteristiche in base alle quali è possibile stabilire quale area del campo si presta con maggior probabilità a diventare figura e quale a diventare sfondo.
- Grandezza e forma delle parti: l’area di minori dimensioni tende a comparire in qualità di figura, compresa in una zona più vasta che propenderebbe a diventare sfondo.
- Convessità e concavità dei margini delle zone: risulta più probabilmente figura l’area con margini convessi che pare quasi che racchiudano al loro interno la forma (al contrario della concavità che viene percepita in modo minore e quindi diventa sfondo).
- Direzione delle aree nel campo: si percepiscono preferibilmente con carattere di fugure le forme con un orientamento verticale oppure orizzontale.
Naturalmente può anche essere presenta una condizione di instabilità in cui la figura e lo sfondo sono predisposti all’alternanza dei ruoli (ossia quando nessuna delel condizioni precedenti deermina la preferenza percettiva).
Il margine appartiene alla figura e non allo sfondo.
La figura emerge grazie alla sua compattezza cromatica e formale
Lo sfondo condiziona la percezione della figura dal punto di vista del colore e della forma.
La presenza della figura implica la presenza dello sfondo: in goni porzione del campo visivo esiste quindi una doppia rappresentazione (che a sua volta può articolarsi in un numero più elevato di rapporti figura-sfondo).
Osservazione pratica dell’influenza che lo sfondo esercità nei confronti della figura, tramite la visione di marchi americanio anni ’70 (pag. 56).
Attraverso gli esempi esaminati si è visto come la configurazione visiva è determinata da una serie di relazioni e di proprietà che consentono, al di là delle modalità di raggruppamento delle porzioni di campo (somiglianza, vicinanza, ecc…), l’individuazione delle due unità fondamentali: figura e sfondo.
L’unità emergente, fulcro dell’attenzione, è la figura, intorno alla quale si mettono in atto i meccanismi dell’interpretazione.
Inoltre il fatto che la figura sia estroversa o che il fondo sia introverso, produce effetti di spazialità.
La scelta attenzionale, poi, è condizionata dalla tendenza a rispondere con maggiore interesse a quegli stimoli che creano sorpresa, poiché imprevisti oltre che all’inenzione individuale a scegliere come particolare/emergente quell’unità piuttosto che un’altra.
In base a quali meccanismi viene riconosciuta-decodificata-identificata una figura come tale?
- Teoria del confronto prototipico: secondo cui il cervello umano avrebbe immagazzinato la rappresentazione di ogni forma da riconoscere; quando una stimolazione sensoriale esterna viene ricevuta dovrebbe operarsi un confronto tra un gran numero di forme per trovare quella coincidente.
- Teoria dell’analisi degli attributi: invece di confrontare l’immagine con una traccia memorizzata, essa viene analizzata dal punto di vista di ciascuna delle sue propiretà o attributi.
- Teoria dell’analisi attraverso la sintesi: secondo cui il riconoscimento di una configurazione avverrebbe tramite l’individuazione della struttura globale: il risultato non è dato dall’identificazione degli elementi letti singolarmente ma dalla loro impronta globale.
L’esperienza passata influenza il contesto nella decodifica di ciò che si sta percependo, passando attraverso la memoria (determinante nella percezionie visiva poiché segna l’impronta delle modalità interpretative*), creando in questo modo l’aspettativa, e favorendo la sintesi percepita.
*con differenze individuali dipendenti dalle caratteristiche del patrimonio di esperienze di ciascuno, olrte che dalla volontà di attenzione e tempo dedicato all’osservazione.
Capitolo V
Aree, Contorni, Contrasti
Nell’elaborazione visiva un ruolo essenziale è rivestito dai margini, siano essi fenomenici o reali, in relazione alle aree con le quali stabiliscono rapporti di profondità, di luminosità ed orientamento.
I contorni delle forme stimolano l’attenzione orientando l’occhio da una forma all’altra.
Il contorno ha la facoltà di provocare nell’elaborazione visiva effetti di unità o di separazione: la linea rivela o nasconde le aree, facilità l’apparizione della figura e l’allontanamento dello sfondo.
La presenza del contorno è reale quando si attua in forma di linea o di bordo o di limite di una campitura cromatica o di un contrasto di luminosità; è fenomenica quando il margine è illusorio e quindi è prodotto dalla percezione visiva (sollecitato dai contrasti cromatici che permettono l’organizzazione piano-sfondo).
Il contorno, quindi, consente e avvia i processi di interpretazione.
Contorni che appaiono ma non sono identificati se non fenomenicamente, vengono detti (da Kanizsa) contorni senza gradiente.
In un campo visivo un’area appare più chiara, più luminosa di quella accanto anche se non esiste un limite geometrico tra le due.
Se una parte del campo emerge pur essendo senza contorni reali, ciò è provocato dal fatto che essa stessa assume un’identità percettiva mediante margini fenomenici che le consentono la sua apparenza: una figura infatti non può essere qualificata come tale se è sprovvista di margini.
Questa figura emerge definendo una spazialità del campo poiché grazie alla sua maggiore evidenza fenomenica appare consistente (epifanica): i margini che la costituiscono a livello percettivo sono più o meno netti ma sufficienti a distinguerla dalel aree contigue (dalle quali non è separata da alcun contorno).
Assumendo carattere di figura, quest’area emergente senza contorni reali si impone sul resto del campo, inducendo a pensare che, poiché appare, esiste.
Per presenza amodale si intende una struttura attiva nel campo percettivo senza però le caratteristiche di una modalità sensoriale: poiché la figura appare, c’è e si completa anche nelle parti non visibili.
Quando si manifesta la comparsa di contorni senza gradiente che identifichino un’area fenomenica? O meglio, come si attiva il fenomeno percettivo?
- con le parti del campo non complete che, sollecitate dal fattore di chiusura, tendono a completarsi amodalmente dietro l’area che appare fenomenicamente (es. pag 73).
- con lo slittamento di una parte del campo: i margini illusori provocano la comparsa di nuove forme che assumono il ruolo gestaltico di figura.
- con il contrasto di chiarezza: il contrasto crea per sua natura un limite, disegna e segna un effetto cromatico, impone percorsi visivi e direzioni del flusso dell’attenzione estranei alla realtà geometrica del campo. I margini emergono dal contrasto e possono creare effetti di tridimensionalità o di movimento delle forme emergenti (per il cambiamento di direzione di ogni elemento geometrico). Il contorno sarebbe il risultato di un’elaborazione mentale dei dati percettivi inesistenti provocati da una o più porzioni del campo e sarebbero connessi all’identificazione di quelle aree fenomeniche che presentano illusoriamente maggiore chiarezza.
Se i dati percettivi, illusori o sensoriali, non sono sufficienti ad avviare un’elaborazione mentale allora i contorni senza gradiente non riescono ad emergere e la comprensione della figura può avvenire in maniera non immediata.
Questo è interessante dal punto di vista progettuale, in casi in cui sia previsto o imprevisto (in questo caso può provocare disturbi nell’interpretazione).
Inoltre c’è da dire che quando si verifica un completamento di un’area si produce un distacco della stessa dallo sfondo, producendo effetti di profondità e stratificazione delle superfici, e si vengono così a creare i contorni senza gradiente.
In conclusione
Le superfici che si vengono a creare fenomenicamente nel campo percettivo emergono, stabilendo effetti di profondità e consentendo il completamento amodale di quelle figure a cui “mancano delle parti”.
Ma in base a cosa possiamo definire una forma completa o incompleta?
I fattori determinanti la formazione e l’organizzazione percettiva dei contorni illusori sono:
- fattore di chiusura: intorno al quale con maggiore o minore evidenza vengono attivate queste presenze anomale.
- fattore dell’esperienza: fondamentale nell’individuazione e nel riconoscimento di forme fenomenicamente congrue e percettivamente persistenti.
La percezione dipende da informazioni di due tipi diversi:
- quelle provenienti dalla realtà esterna;
- quelle provenienti dall’osservatore (gli stimoli ambientali vengono identificati con qualcosa di già immagazzinato nella memoria dell’individuo, fondando l’analisi sul confronto con le conoscenze già acquisite).
Le bande di Mach
Una particolare situazione percettiva si verifica quando i contorni influiscono sul contrasto esistente tra le aree che essi separano (fig. pag 80).
Il sistema visivo tende ad accentuare i contorni in figure caratterizzate da contrasto debole, producendo una sottile striscia scura di rinforzo al margine dell’area scura, e un’altrettanto sottile striscia luminosa di rinforzo al margine della zona chiara.
L’effetto non è oggettivo ma risiede nell’occhio dell’osservatore in quanto le bande di Mach delineano contorni che ci aspettiamo di vedere e rappresentano un’intensificazione soggettiva della struttura reale dell’illuminazione.
L’illusione di Cornsweet
Altro esempio di relazione fra contorno e contrasto con effetto di illusione.
Viene dimostrata mediante la rotazione rapida di un disco bianco a cui sia stato ritagliato un settore di cui un lato presenti un asagoma con due speroni (uno bianco e uno nero).
La rotazione provoca l’apparire fenomenico di una variazione locale che fa apparire più luminosa la zona interna circoscrittta dallo sperone bianco e di un’altra che fa apparire più scura la zona esterna creata dallo sperone scuro.
E’ una risposta percettiva che attribuisce due diverse distribuzioni di illuminazione, separate da un contorno e identificate da un contrasto.
Effetti e discrepanze del colore sulle leggi della forma
Il colore provoca delle interferenze nelle procedure di raggruppamento degli elementi del campo, creando discrepanze rispetto alle modalità di unificazione in base alle leggi della Gestalt.
Il colore può destabilizzare gli accorpamenti percettivi attivati per forma o per dimensione e può provocare il ripristino di quell’autonomia che un elemento nel campo tende a perdere nella pereczione della globalità e nell’unificazione delel parti in unità percettivamente più complesse.
Al contrario figure diverse per forma possono unificarsi percettivamente per uguaglianza del colore. E ancora elementi aventi lo stesso colore tendono a raggrupparsi anche se la loro vicinanza è relativa.
Inoltre il colore consente di interferire sulla legge della continuità provocando unificazione percettiva proprio di quelle parti del campo che non hanno un andamento coerente.
A proposito di pregnanza il colore può creare discrepanze rendendo autonome e quindi isolando percettivamente parti del campo che per coerenza strutturale andrebbero a connettersi a patterns riconoscibili.