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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di laurea in Scienze dei Beni Culturali
IL MONTAGGIO ALTERNATO E LA NARRAZIONE NEI FILM:
STRANGERS ON TRAIN
(DELITTO PER DELITTO, DI ALFRED HITCHCOCK, 1951)
E SLIDING DOORS
(ID., DI PETER HOWITT, 1998)
-- 1° parte / Capitolo 1° e 2° --
Relatore: Prof. RAFFAELE DE BERTI
Tesi di Laurea di: VINCENZO CUCCIA
Anno Accademico 2003/2004
Indice
Introduzione...................................................................................................................... 5
Capitolo 1. Dal montaggio al montaggio alternato: definizione e breve
storia................................................................................................................................ 6
1.1 Dal montaggio al montaggio alternato..................................................................... 6
1.2 Breve storia della nascita del montaggio alternato................................................. 12
Capitolo 2. Caratteristiche del montaggio alternato: sviluppi,
elementi e finalità........................................................................................................... 16
2.1 Vie di sviluppo........................................................................................................ 16
2.2 Elementi.................................................................................................................. 19
2.3 Finalità: l'inseguimento........................................................................................... 23
2.4 Finalità: suspense e sorpresa................................................................................... 24
Capitolo 3. Descrizione e analisi del sintagma alternato iniziale del film
Strangers on Train (Delitto per delitto o L'altro uomo, di Alfred
Hitchcock, 1951)............................................................................................................ 27
3.1 Premesse................................................................................................................ 27
3.2 Descrizione del sintagma alternato iniziale............................................................. 28
3.3 Analisi del sintagma................................................................................................. 35
3.4 Conclusioni............................................................................................................. 38
Capitolo 4. Descrizione e analisi del film: Sliding Doors (Id., di Peter
Howitt, 1998).................................................................................................................. 40
4.1 Premesse................................................................................................................ 40
4.2 Descrizione del film................................................................................................. 41
4.3 Analisi del film: alternanza simultanea........................................................................ 59
4.4 Montaggio alternato? ........................................................................................... 62
4.5 L'uso del testimone................................................................................................ 64
4.6 Grande alternanza e piccole alternanze..................................................................... 65
Capitolo 5. Il montaggio alternato nell'uso moderno: falsa onniscienza
e allusione....................................................................................................................... 67
Scheda del film: Strangers on Train............................................................................. 72
Scheda del film: Sliding Doors...................................................................................... 73
Bibliografia……………………………………………………………………………..74
INTRODUZIONE
Il lavoro tratta di una particolare figura del montaggio cinematografico, il montaggio alternato, attraverso degli esempi applicativi in film narrativi. Si introduce brevemente questa tecnica negli aspetti riguardanti la sua definizione: si parte da un discorso generale sul montaggio per poi entrare nello specifico del montaggio alternato. Si toccano, inoltre, sinteticamente i momenti storici fondamentali della sua nascita e del suo sviluppo. In seguito si approfondiscono le caratteristiche e gli elementi costitutivi di tale tecnica, strumenti necessari per affrontare la parte centrale del lavoro, che riguarda l’analisi di due esempi applicativi di tale tecnica: la sequenza iniziale del film Strangers on Train (Delitto per delitto o L’altro uomo, 1951) di Alfred Hitchcock e il film Sliding Doors (Id., 1998) di Peter Howitt. Il lavoro si conclude, infine, con alcune brevi riflessioni in merito ad un uso moderno di tale figura, in cui vengono riviste alcune di quelle caratteristiche del montaggio alternato, presenti dal primo decennio del ‘900.
L’intento del lavoro è principalmente di dimostrare il forte legame di tale tecnica non solo con lo stile classico hollywoodiano, ma anche con la narrazione filmica in generale. I testi di Rondolino e Tomasi, di Ambrosini, Cardone e Cuccu e di Bordwell e Thompson, sono ripresi per sottolineare il rapporto del montaggio alternato con la narrazione.
Il lavoro presenta una trattazione storica alquanto limitata e sintetica, poiché sarebbe stato necessario un lavoro dedicato interamente a questo aspetto, per affrontarlo in modo soddisfacente; sono riassunti, quindi, i momenti principali della nascita di tale tecnica e a tale scopo si riprendono fonti e studi di Barry Salt, David Bordwell, Kristin Thompson, Eileen Bowser, Elena Dagrada e Giulia Carluccio. Nella parte riguardante le caratteristiche di questa figura si tratta in modo più tecnico di alcuni elementi costitutivi con riferimento ai manuali di montaggio, come quello di Karel Reizs e Gavin Miller più datato e quello di Diego Cassani, più recente. Le due analisi presenti sono costituite da descrizioni atte ad esemplificare le questioni affrontate sul montaggio alternato e nello stesso tempo a mostrare due particolari e significative applicazioni di questa figura.
Ultima importante precisazione riguarda la definizione di montaggio alternato data nella prima parte del lavoro: di fronte ad una problematica descrizione di tale figura, soprattutto atta a distinguere questa dal montaggio parallelo, si propone un discorso nel rispetto della tradizione critica e teorica. La differenza tra le due figure spesso non è chiara, alcuni film la mettono seriamente in discussione, per questo nel lavoro si sceglie di dare più spazio all’analisi della tecnica nell’opera specifica.
CAPITOLO 1
Dal montaggio al montaggio alternato: definizione e breve storia
1.1 Dal montaggio al montaggio alternato
Jean Rouch affermò che « il montaggio è come una narrazione, come raccontare una storia» e spiegò, inoltre, come in questa fase di realizzazione del film egli utilizzasse le stesse regole della composizione letteraria; Orson Welles considerava il montaggio «l’unica regia veramente importante»; Pudovkin ripeteva spesso che questa era la “fase creativa” della realtà filmica. Anche coloro che non ritenevano il montaggio il momento cruciale di un film (André Bazìn e Roberto Rossellini), non potevano negarne l’uso .
Nella pratica è il processo finale del film, ma è già presente nelle fasi precedenti di sceneggiatura e di ripresa poiché, nonostante gli si possano attribuire diversi gradi di importanza, è un elemento determinante del linguaggio cinematografico e quindi della narrazione filmica. Infatti, quando viene scritta una sceneggiatura già abbiamo delle indicazioni sul montaggio, la scelta delle inquadrature spesso viene fatta in funzione del loro concatenarsi e durante la stessa fase finale di edizione del film, ciò che era indicato dal copione e viveva nella mente del regista, può trovare una differente soluzione narrativa, proposta dal montatore, che gioca abilmente con il materiale ripreso. Cerchiamo allora di capire bene cos’è il montaggio, e da cosa è caratterizzato per avere una tale importanza. Per definizione con montaggio «s’intende in genere l’operazione tecnica che consiste nel selezionare e combinare segmenti più o meno estesi di pellicola impressionata secondo diversi criteri di scelta e concatenazione» .
Se si vuole una precisazione, che tiene conto del fatto che con le nuove tecnologie digitali il montatore abbia poco a che fare con la pellicola , l’editing si può affermare in modo generale che consista nell’unire due diverse inquadrature, che così danno vita a un rapporto sulla base di un progetto, narrativo, semantico e/o estetico .
Rimanendo ancora sulle definizioni di montaggio quella più teorica e allo stesso tempo esplicativa è di Marcel Martin : «il montaggio è l’organizzazione dei piani di un film in determinate condizioni di ordine e di durata.», tuttavia, studi successivi hanno portato a rivederla in quanto escludeva una particolare forma di montaggio, quello interno (piani sequenza e movimenti di macchina costituiscono singole inquadrature eppure hanno un ritmo e relazioni interne); da questo limite, infatti, nascono le “definizioni allargate” come quella di Christian Metz, che così è enunciata: «il montaggio è l’organizzazione concertata delle co-occorrenze sintagmatiche sulla catena filmica», dove con co-occorrenze sintagmatiche si intendono le relazioni di concatenamento, che si manifestano, oltre che con l’assemblaggio delle inquadrature, anche con movimenti di macchina e combinazioni interne al piano .
Non mi spingo oltre riguardo alle molteplici precisazioni, in quanto preferisco dare spazio alle riflessioni in merito all’aspetto discorsivo del montaggio che meglio mi introdurrà al tema centrale di questo lavoro. Pietro Montani ha descritto chiaramente tale funzione: «Il montaggio introduce una discontinuità che fa in modo che il flusso delle immagini assuma un prevalente tenore discorsivo e che lo spettatore vi possa discernere i segni delle articolazioni (tagli e giunture), che gli forniscono una strutturazione testuale, e in primo luogo narrativa» . Questa discontinuità agisce attraverso i due principali parametri della durata e dell’ordine delle inquadrature, che permettono al processo di montaggio di soddisfare le diverse esigenze narrative: ecco quindi che «il montaggio coopera potentemente all’organizzazione di quella attività, verosimilmente cooriginaria all’esperienza umana del tempo, che consiste nel “seguire la storia”» . E’, dunque, un elemento linguistico che ha contribuito enormemente allo sviluppo narrativo del cinema e che per questo ha avuto ampio spazio nelle discussioni sul cinema, sia di linguaggio sia ideologiche; il suo è un ruolo decisivo nel découpage, parola francese utilizzata per indicare la successione di parti di tempo e parti di spazio nel discorso filmico , le due grandi categorie con cui il montaggio costruisce la storia. E’ chiaro quindi che parlare di editing non vuol dire solamente descrivere il nobile lavoro di una figura professionale che si relaziona con un copione, con dei supervisori e in qualche caso con un regista. Si cercherà di chiarire perché discutere di tecniche di montaggio non significhi semplicemente svelare alcuni trucchi del mestiere.
Partiamo da Noël Burch: nel libro Praxis du cinéma nella sua riflessione “strutturalista” e pragmatica di analisi del linguaggio cinematografico definisce in primo luogo il concetto di découpage (secondo l’accezione presentata precedentemente) e schematizza con precisione i rapporti spazio temporali tra i diversi elementi del discorso filmico (le inquadrature), trovandosi così a ridefinire dapprima elementi grammaticali del montaggio quali il raccordo, l’ellissi e il flashback. Soffermiamoci,\\allora, su questa schematizzazione per definire meglio i rapporti spazio temporali che può generare il montaggio e quindi capire in che tipo di relazione si riconosce quello alternato, che è al centro di questo lavoro. Noël Burch distingue cinque rapporti tra il tempo di un inquadratura A e quello di una B: il primo è di continuità temporale rigorosa (i casi del “raccordo diretto” e del “campo-controcampo”), il secondo è di iato, ovvero di discontinuità temporale, che genera quelle che vengono chiamate ellissi: queste possono essere definite (il lasso di tempo mancante è quantificabile in modo preciso, il caso del raccordo temporale) o, trattasi del terzo rapporto, indefinite (ovvero un salto temporale non quantificabile, se non attraverso elementi scenici come orologi o particolari convenzioni come il montaggio alternato); il quarto e il quinto rapporto di tempo sono dei “ritorno indietro” : in un caso si tratta di ripetizioni (si pensi al overlapping presente nei lungometraggi di Ejzenštejn), nell’altro di flashback o di flashforward, che sono comunque balzi temporali indefiniti. Sempre secondo il teorico questi tipi di rapporti si combinano con le tre relazioni spaziali, che sono di continuità, di discontinuità parziale o totale (ovvero come cambia lo spazio tra un piano e l’altro, fondamentale nella definizione dei raccordi di continuità), per dare vita ai vari tipi di rapporti tra inquadrature che vediamo al cinema. Come giustamente precisa Burch , si tratta in realtà di un numero infinito di relazioni se si pensa che ogni inquadratura può avere diverse angolazioni di ripresa.
In questa riflessione, il montaggio alternato, secondo le coordinate spazio-temporali, è una convenzione di rapporto tra inquadrature, caratterizzata da ellissi temporale indefinita e da discontinuità spaziale. Discostiamoci ora dall’analisi pragmatica del Burch, che ci ha permesso di restringere la discussione sul montaggio nell’ambito dell’aspetto spazio-temporale e in particolare della discontinuità, a favore di un approccio a livello narrativo. Possiamo affermare a questo punto che il discorso filmico ha un tempo che può differenziarsi da quello della storia raccontata, possono cioè esserci casi in cui vi è una discrepanza tra l’ipotetico tempo reale della fabula e la costruzione dell’evento filmico in montaggio (in questo caso ,come suggerisce Rondolino, si tratta di sequenze e non di scene ). E’ giusto chiarire che il cinema ha sempre ridotto, per sua natura, le storie raccontate ai loro momenti più significativi e creato uno spazio diegetico secondo scelte logiche; lo spettatore di oggi è abituato a seguire intrecci con salti temporali e spaziali complessi, anche se la tendenza del cinema classico è sempre stata quella, comunque, di dare un ordine cronologico agli eventi e di far coincidere nei vari episodi filmici la storia con la narrazione cinematografica (ancora oggi gran parte delle produzioni filmiche è molto legata al classicismo).
Apro a questo punto una parentesi importante riguardo al rapporto tra montaggio e narrazione: questo ha sempre, da una parte, favorito la vocazione narrativa del cinema, dall’altra ha contribuito a contrastarla e decostruirla per finalità “non narrative” che in alcuni casi hanno ridefinito altri nuovi stili; basti pensare che frammentando le inquadrature nei primi anni del secolo si è approdati allo stile di narrazione filmica classico, che una grande teoria del montaggio, quella di Ejzenštejn, ha decostruito dando, dall’altra parte, nuova linfa creativa all’enunciazione di chi ha voluto allontanarsi dal classicismo hollywoodiano (il caso più eclatante è quello dei videoclip); quello che viene definito cinema moderno ha spesso giocato la carta del montaggio per l’elaborazione di un tempo cinematografico che si opponesse alla classica concezione dello sviluppo narrativo (si pensi alla Nouvelle Vague ).
Tornando a quelle discrepanze tra storia e narrazione di cui si parlava precedentemente, sono casi che il cinema ci propone sempre nel momento in cui deve contrarre i tempi: il montaggio ellittico; meno usuale invece è una forma particolare di contrazione, definita sequenza di montaggio (gli americani usano il termine francese montage) che allinea un certo numero di brevi scenette in ordine cronologico separate da particolari effetti ottici, celebre è quella nel film Quarto Potere, che descrive il progressivo degradarsi dei rapporti tra Kane e la moglie. Non solo, il tempo può essere dilatato (overlapping), presente nei film di Sergej M. Ejzenštejn, fermato (fermo immagine) e rallentato (slow motion); trattasi di soluzioni tendenzialmente difficili da trovare nel cinema classico hollywoodiano . Il montaggio alternato invece è un caso molto particolare di discontinuità, è una figura che narrativizza lo spazio e il tempo in modo tale da rendere la simultaneità tra due azioni in luoghi diversi, che possono anche convergere: da una scena A si passa ad una scena B per poi passare ad una A’ e di conseguenza ad una B’, eppure nel suo saltare tra spazi e tempi è quella convenzione che permette la contemporaneità filmica tra due eventi. Cerchiamo di definire meglio tale figura. Il montaggio alternato, come dice la parola stessa, alterna inquadrature di scene differenti, che però si svolgono contemporaneamente e, anche se non necessariamente, convergono nel finale in uno stesso spazio: simultaneità e consequenzialità, temporale e drammatica, sono due elementi fondanti del montaggio alternato . Ribadisco, tuttavia, come sia la contemporaneità degli eventi a contraddistinguere sicuramente tale figura, non necessariamente ci deve essere un punto d’incontro. E’ inoltre opportuno chiarire subito, a fronte della precedente definizione, la differenza tra questa tecnica e quella del montaggio parallelo, figure che spesso vengono confuse: il parallel editing si caratterizza «oltre che per un assai elastica visione della dimensione cronologica che non rende necessaria la contemporaneità degli eventi», anche per il fatto «che le diverse azioni che si incrociano si presentano, appunto, parallele: non si concatenano (come avviene invece nel montaggio alternato) in un'unica progressione drammatica che può tendere a fondere in un’unica azione condotta da due o più “attori”» .
La consequenzialità, oltre alla simultaneità, diventa quindi elemento comunque importante nella definizione di tale tecnica e si realizza nella convergenza verso un’unica conclusione delle varie azioni, attraverso l’utilizzo del montaggio alternato negli inseguimenti, nei last minute rescue e in qualsiasi altro momento di collaborazione a distanza tra attori allo stesso evento. Il fattore tempo, in tale consequenzialità e nell’intenzione di creare un effetto di contemporaneità delle azioni, può essere concentrato (utilizzo forte delle ellissi), come dilatato, esempi celebri sono le suspence hitchcockiane: nella sequenza finale in montaggio alternato del film Strangers on train (Delitto per delitto o L’altro uomo di A. Hitchcock, 1951) più azioni incrociate che iniziano nel primo pomeriggio e finiscono con il buio della sera, vengono concentrate straordinariamente in quindici minuti e percepite come simultanee.
Un’altra importante caratteristica insita del montaggio alternato è che prevede che gli eventi paralleli siano correlati dallo spettatore o perché ha già gli elementi conoscitivi o perché gli verranno chiariti alla fine dell’azione; inoltre è importante sottolineare che nel crosscutting il narratore è onnisciente, poiché tramite le macchine da presa è presente in due azioni simultanee. Anche dal punto di vista narrativo, nei prossimi capitoli tratterò meglio le due situazioni tipiche di montaggio alternato, che sono l’inseguimento e la suspence, a proposito della prima accenno solo che l’elemento ritmico ha una grande importanza . La storia della nascita del crosscutting sicuramente chiarirà meglio la sua stessa funzione.
1.2 Breve storia della nascita del montaggio alternato
Tratterò di seguito le principali tappe della nascita di tale tecnica, in modo molto sintetico; lungi dall’essere una descrizione storica esaustiva e completa, il suo fine è di chiarire con che funzionalità si è sviluppata questa figura e in quali opere principalmente.
Il montaggio alternato in realtà nasce in letteratura, come ci spiega Ejzenštejn nel suo saggio Dickens, Griffith e noi, dove sostiene che Griffith non ha fatto altro che tradurre espedienti e convenzioni letterarie del romanzo nel linguaggio cinematografico. Seppure già presente in letteratura, il principio dell’alternanza fu tra quegli elementi che permise un’autonomia del discorso filmico da quello dei fratelli maggiori del teatro e della letteratura; dapprima in modo paratattico, poi rispettando la continuità, l’alternare tra un inquadratura e l’altra contribuì alla nascita di quei raccordi che permisero la linearizzazione dello spazio filmico .
Si tratta di alternanze nello stesso luogo, che spesso non convergevano, fondamentali per lo sviluppo del campo-controcampo e della soggettiva. Questo principio venne esplorato tra il 1900 e il 1906 e, sottolineo ancora, fu tra gli elementi che permise di muovere il linguaggio cinematografico verso la creazione di uno spazio diegetico chiuso . Per quanto riguarda, invece, il montaggio alternato come vera e propria figura di montaggio, prima del 1906 nei film narrativi non ci si spostava avanti e indietro nel tempo tra azioni che avvenivano in luoghi diversi, un’azione continua formava l’intera storia.
Tra i primi film che spostano l’azione troviamo The 100 to 1 Shot (Run of Luck) del 1906 della Vitagraph; questo rappresenta la prima “corsa all’ultimo minuto” ed è uno dei primi importanti passi verso il crosscutting: ad un’azione all’interno di una casa viene alternata due volte una scena di esterni strettamente correlata; nel finale le due azioni convergono nel salvataggio. Un anno dopo, un altro film, però francese, pone un tassello ulteriore: Le Cheval emballé della Pathè mostra come il montaggio alternato possa essere funzionale non solo ai “salvataggi”, ma ad altri intenti registici, come l’alternare agli interni le inquadrature di un cavallo che si ingozzava di avena diventando sempre più robusto, giustificava la ripresa energetica del cavallo all’uscita del padrone dalla casa; si era scoperta così la forza del parallelismo e dell’alternanza: lo spettatore percepiva le azioni come in contemporanea! Verso la fine del 1907 è ancora la Vitagraph a proporre un film che sia Eileen Bowser sia Barry Salt riconoscono come istituzionalmente la prima opera di montaggio alternato vero e proprio: The Mill Girl, composto da due catene d’azione all’interno e all’esterno di una casa attraverso inquadrature alternate dentro e fuori per tre volte . Tra il 1908 e il 1909 sui bollettini della Biograph si scriveva alternate scenes per segnalare la presenza di sequenze di montaggio alternato, ovviamente nella sua forma più basilare. Per queste “alternate” David W. Griffith iniziò a fare l’attore per poi girarle, verso la fine del 1908, come meglio si potesse fare, forse non cosciente del fatto che per molti decenni fu considerato proprio lui l’inventore del futuro crosscutting .
Barry Salt nell’analizzare il cinema delle origini (e non solo) è certo che Griffith si sia ispirato ai film della Pathé per le sue prime opere, queste realizzazioni francesi, infatti, utilizzavano sovente l’alternanza e tra questi spiccava un film dal titolo The Physician of the Castle (1908) il cui intreccio e stile influenzò parecchio il film The Lonely Villa (1909) di Griffith .
Tutti i critici comunque concordano con l’attribuire a Griffith il merito di aver avuto piena coscienza di tale tecnica, perfezionandola come strumento di suspense e facendone un uso sistematico. Già nei suoi primi lavori sperimenta a pieno le potenzialità di tale figura, calibrando in modo sorprendente il crescendo ritmico verso la convergenza finale: The Curtain Pole, The Fatal Hour, The Adventure of Dolly e The Lonely Villa (questa alterna già tre azioni: i ladri, la famiglia in pericolo e il padre che torna a salvarli con la polizia) sono solo alcuni dei primi titoli. Nel 1911 Griffith realizza un’esemplare opera di montaggio alternato, The Lonedale Operator, in cui l’alternanza oltre al fatto che si sviluppa tra più azioni e per tutto il film , è utilizzata in modo sorprendentemente drammatico, nel valorizzare la storia di una persona, la telegrafista, e non solamente di un’azione .
Nel 1913 altri registi utilizzano questa tecnica in modo sistematico, tra cui Thomas Ince; dal 1914 è una convenzione affermata e in molti casi si utilizza anche quando non è funzionale alla storia, poiché dà ritmo a momenti statici della storia; i registi più abili ne fanno, invece, un uso ancora più significativo, si pensi alla celebre sequenza finale di The Birth of a Nation (Nascita di una nazione di D. W. Griffith) del 1915. La simultaneità con Griffith raggiunge una consapevole espressione in un meccanismo preciso di montaggio alternato, atto a creare una forte drammaticità all’azione. The Birth of a Nation, rappresenta il culmine di una consapevolezza di tale figura, ma ancora di più, di un linguaggio cinematografico che tanto influenzerà lo stile filmico successivo: l’alternanza si unisce all’uso dei primi piani, dei dettagli, delle unità d’azione per un effetto drammatico di grande calcolo.
Una spiegazione leggermente diversa sull’origine del crosscutting viene data da Dominique Villain: nel libro Il montaggio al cinema scrive che la nascita del montaggio alternato è legata alla difficoltà nel cinema dei primi anni del Novecento di raccordare le inquadrature di una stessa scena e di raccontare storie complesse in durate di massimo un rullo; infatti tale problema portò alla soluzione di passare da un’inquadratura A ad una B, per poi tornare ad una A’ e B’ e così via; sempre secondo l’autore il successo di tale soluzione incentivò l’allungarsi delle durate dei film, che avevano così più possibilità narrative. Il montaggio alternato una volta portato ad efficace convenzione da Griffith, dà un contribuito alla nascita dello stile classico hollywoodiano. E’ infatti con Griffith che lo spettatore ha per la prima volta l’impressione di circolare non visto all’interno dell’universo diegetico, grazie ai cambi d’inquadrature nelle stesse scene e ad un montaggio alternato che crea simultaneità .
Questo, che Burch definisce Modo di Rappresentazione Istituzionale, in opposizione al precedente Modo di Rappresentazione Primitivo, diventa la maniera in cui il cinema narra, forse un’imposizione borghese dell’illusione diegetica, come sostiene sempre il teorico, sicuramente la base del futuro découpage classico. Non solo, tale stile si è radicato successivamente a tal punto da diventare una “Griffith Syndrome” nelle produzioni di Hollywood di molti anni dopo, che hanno talvolta ri-montato film d’autore stranieri secondo le regole classiche della continuità e della drammaticità del montaggio alternato (e della linearità temporale se si pensa al caso di C’era una volta in America di Sergio Leone); in particolare mi riferisco ad un recente studio di Elena Dagrada sul ri-montaggio da parte dell’americana RKO di un opera filmica di Roberto Rossellini, Stromboli (1949): la poetica d’autore, che ne faceva un film “mistico” attraverso, e non solo, movimenti di macchina molto significativi, è stata massacrata secondo quella “Griffith Syndrome” , che ha ricreato continue alternanze tra personaggio e paesaggio, per dare un effetto melodrammatico, assolutamente non voluto da Rosselini . Questo ci fa capire come la frammentazione dello spazio e del tempo secondo l’alternanza sia una norma dello stile classico hollywoodiano, del modo di narrare le storie nei film, che va ben oltre gli anni ’10 e ’30; non mancò e non manca ai giorni nostri chi tenta, invece, di utilizzare tale tecnica in modo innovativo (affronteremo in parte ciò nei prossimi capitoli). Dopo Griffith il crosscutting non subirà grandi innovazioni, come invece avrà, grazie a Kulešov e Ejzenštejn, il montaggio parallelo (si pensi all’effetto Kulešov e al montaggio concettuale), rimarrà una solida convenzione molto utilizzata nelle sequenze di azione, un efficace strumento di suspense e sorpresa nelle mani di maestri del cinema come Alfred Hitchcock e Francis Ford Coppola e negli ultimi anni un nuovo strumento per giochi narrativi molto interessanti, come chiarirò.
CAPITOLO 2
Caratteristiche del montaggio alternato: sviluppi, elementi e finalità
2.1 Vie di sviluppo
Durante il periodo del cinema muto il montaggio alternato è una convenzione frequente: da uno studio di Bordwell su un campione di film di questo periodo , il crosscutting era presente nel 84 % delle opere e, come ho precedentemente scritto, spesso si utilizzava anche quando non era necessario; con il sonoro, lo stesso studio descrive un calo della presenza della tecnica in un altro campione di film (circa il 49%, di cui solo 19% in modo significativo ed evidente), questo principalmente perché i dialoghi avevano portato ad una distensione delle inquadrature e ad una linearità e continuità più rigida del découpage .
Barry Salt nella sua analisi sulle durate medie delle inquadrature nelle varie fasi della storia del cinema nota un passaggio da 5-6 secondi, media nei film negli anni 1917-1927, a 11 secondi, nel periodo 1928-1934, momento in cui avviene l’avvento del sonoro; la media tuttavia torna a scendere a 9 negli anni ’50, quando un montaggio più serrato limita il trend del long take degli anni ’40 .
Possiamo evidenziare quindi una relazione tra la presenza del montaggio alternato e le durate delle inquadrature, infatti, questo, per la sua natura discontinua e ritmata spesso porta alla costruzione di film con take relativamente brevi, soprattutto all’epoca del muto in cui le immagini e il ritmo visivo esprimevano tutto (l’ultima sequenza alternata del film The Lonely Villa di D. W. Griffith ha una media di circa 4 secondi per inquadratura ).
Questo non significa che il sonoro abbia portato allo scadimento di tale convenzione, anzi, con la consapevolezza matura della colonna audio e i suoi sviluppi tecnologici, divenne un elemento del crosscutting molto utile nel passaggio da uno spazio all’altro e nella resa della simultaneità, chiarirò ciò quando ne tratterò in specifico. Dopo Griffith tale figura di editing non ha subito grandi innovazioni. Nella seconda metà degli anni ’10 e nei ’20, gli utilizzi più interessanti hanno unito il montaggio parallelo a quello alternato (ribadisco il fatto che nei testi facilmente vengono confuse le due tecniche, poiché non definite con precisione) .
Da una parte mi riferisco principalmente al kolossal Intolerance (1916) di David W. Griffith, che alternava diverse epoche storiche legate da un atteggiamento umano, l’intolleranza appunto (a tal punto che nel finale incrocia tra di loro quattro salvataggi all’ultimo minuto delle quattro epoche storiche). Dall’altra alla scuola sovietica, con Kulešov, Pudovkin ed Ejzenštejn, che nelle loro riflessioni teoriche e negli esperimenti pratici, hanno portato il parallel editing a gloria cinematografica: il montaggio costruttivo e quello intellettuale degli anni ’20 in Unione Sovietica, sperimentava nuove soluzioni linguistiche accostando inquadrature discontinue nel tempo e nello spazio, anche con inserti extradiegetici, per esprimere concetti particolari nati dalla sintesi o dalla giustapposizione di tali accostamenti .
Tra questi colossi, più modestamente si possono riportare, invece, altri esempi in cui il limite tra le due figure oscilla, in favore, ad ogni modo, di un crosscutting che si allontani dall’uso tipico di Griffith: film come The Female of the Species (Raymond B. West, 1918), in cui l’incontro furtivo tra un uomo e una donna in un vagone letto di un treno è alternato con l’arrivo, in direzione opposta e sullo stesso binario, di un altro treno, l’amplesso dei due personaggi corrisponde con lo scontro tra i treni: un buon esempio di alternanza particolare e significativa; oppure similmente, ma sbilanciato verso il parallelo, è L’Appel du Sang (Louis Mercanton, 1920) in cui alla scena d’amore si incrociano i fuochi d’artificio sparati dal vicino paese; interessante è il parallelismo nel film di DeMille The Whispering Chorus, in cui si alternano due azioni simultanee legate tra loro dalla relazione tra i due personaggi, ma senza una vera e propria sequenza di punto d’incontro .
Questo in parte dimostra che timidi passi verso un uso innovativo e meno convenzionale sono stati fatti già all’indomani del più citato Birth of a Nation (Nascita di una nazione, 1914), che tuttavia confluiscono più nel montaggio parallelo che nell’alternanza vera e propria e che sfoceranno nelle teorie sovietiche sul montaggio (si pensi ad esempio al valore ideologico dei parallelismi in Stačka [Sciopero, 1925] e Oktjabr’ [Ottobre, 1927] di Ejzenštejn).
Dopo i citati film di DeMille, Mercanton e West bisognerà aspettare il maestro della suspense, Alfred Hitchcock, per vedere esempi interessanti e critici di utilizzo di tale montaggio e, dopo di lui, Francis Ford Coppola può essere sicuramente chiamato in causa per la grande abilità nell’uso moderno di alternato e parallelo in film come la trilogia The Godfather (Il padrino) e The Cotton Club (Cotton Club), un uso che “scardina” i principi stessi del montaggio alternato . Inseguimenti, salvataggi, sequenze di tensione e le “telefonate” rimangono fino ai giorni nostri i momenti indiscutibilmente di appartenenza della convenzione del crosscutting. Infine, soprattutto negli ultimi anni, film come Lola rennt (Lola Corre, Tom Tykwer, 1998) o Sliding Doors (id. ,Peter Howitt, 1998) hanno esplorato dei possibili giochi narrativi abbastanza innovativi (il regista polacco Krzysztof Kieślowski aveva già battuto in un certo senso la strada) , associati ad un uso particolare del montaggio alternato, come incrocio di due possibili futuri dello stesso personaggio; chiarirò ciò quando analizzerò nei prossimi capitoli il film di Peter Howitt. Cerchiamo prima di capire quali sono tendenzialmente gli elementi, o meglio i parametri, su cui si fonda e agisce tale tecnica.
2.2 Elementi
Per una identificazione di molti di questi elementi (o parametri, o motivi) mi rifaccio apertamente alla trattazione fatta a riguardo da Diego Cassani nel libro Manuale del montaggio , in cui vengono individuati alcuni importanti caratteri che ora espongo.
Innanzitutto si tratta di uno strumento di sintesi, come è scritto
Ogni stacco per passare dalla prima alla seconda (e alla terza ecc.) situazione apre la via ad ellissi temporali di qualsiasi misura e intensità. Il montaggio si può così svincolare dalla durata della scena reale senza perdere verosimiglianza; mettendosi in grado di operare sintesi brucianti […] Lo spettatore viene così portato a concentrarsi sugli elementi salienti dei diversi flussi d’azione coinvolti nell’alternanza, sostenendo la tensione e tagliando fuori decisamente tutti i possibili momenti di sfilacciamento della vicenda .
Questo chiarisce che la simultaneità di tale tecnica è un puro effetto che può essere falsata anche da grandi salti temporali in modo palese, l’importante è che comunque diano un senso di contemporaneità. Si può quindi parlare tranquillamente di montaggio ellittico a riguardo dell’alternato poiché il tempo della storia è spesso maggiore rispetto a quello del racconto.
Una seconda caratteristica è la creazione «di un’unità dinamica dall’impatto emotivo decisamente superiore alle due scene prese singolarmente» , ovvero, alternare azioni consequenziali non è solo giustapporre due inquadrature, ma dare a queste, calibrando le durate, la frequenza e le transizioni, un particolare valore emotivo, si pensi a come già negli anni ’10 si usava il crosscutting per non annoiare lo spettatore durante sequenze banali; inoltre l’effetto Kulešov non può che confermare questo. Montare alternando in un certo modo, ad esempio esaltando i momenti che mettono in particolare relazione le azioni di due persone nella quotidianità, può creare straordinari effetti drammatici (in alcuni casi si possono anche distruggere film, come il caso di Stromboli di cui si discuteva nel primo capitolo).
Elemento spesso presente è il punto d’incontro, anche se non necessario, verso cui tendono fatalmente le linee narrative, creando due possibili attese nello spettatore: la suspense o, più raro, la sorpresa, se l’attesa viene ribaltata; è il gioco con la conoscenza dello spettatore che il montaggio alternato può far scaturire, come chiarirò nei prossimi paragrafi.
Altro elemento è il periodico ritorno dell’alternanza su volti e ambienti già noti: si ripete da un lato il già visto, dall’altra si introducono nuovi elementi dovuti al progredire di un’azione mentre si mostrava l’altra e viceversa; tutto questo deve creare enfasi e ritmo e l’abile gioco del montatore sta nel districarsi in queste ripetizioni che si propongono spesso negli inseguimenti.
Un ulteriore elemento, in comune con il parallel editing, è il confronto tra le azioni o ambienti generati dall’alternanza, è il principio che, sin da The Kleptomaniac (La cleptomane, 1903) di Edwin Porter, ha esplorato la forza del montaggio cinematografico, il senso che nasce dal confronto, al di là del semplice parallelismo, tra due eventi può portare all’incontro in una situazione unica, come in un concetto, una forma estetica, uno stato psicologico o un obiettivo: tra la situazione A e B si crea un confronto inevitabile, che può andare oltre il semplice legame di azione, ma coinvolgere valori estetici, etici o ideologici.
Oltre a questi non dimentichiamo che il montaggio alternato pone gli avvenimenti principalmente in una relazione di causa ed effetto che in modo più o meno complesso soddisfano il principio di azione-reazione richiesto dallo spettatore : questa figura, infatti, permette di condensare le azioni e le reazioni in modo drammaticamente forte, alternando ad esempio prima le azioni di un cacciatore e di un uccello in volo e poi le reazioni dello sparo del cacciatore e della morte dell’uccello colpito. Questo elemento di causalità ha fatto di tale figura una convenzione nella narrazione classica (vedi il “finale alla Griffith”), che si fondava sulla trasparenza di tale rapporto causale: anche questa consequenzialità, in effetti, è stata messa in discussione dalla modernità del cinema.
Rimanendo in ambito narrativo, riprendo un’altra caratteristica alla quale abbiamo accennato in precedenza su cui si fonda tale tecnica, ovvero quella di rendere lo spettatore onnisciente, di porlo a conoscenza di tutto nell’azione, in modo da sapere più dei personaggi e da assistere spesso al loro destino. Anche in questo la narrazione moderna ha saputo riprendere una tecnica classica di onniscienza e limitarla, ad esempio facendo in modo che lo spettatore si crei delle false aspettative per poi smentirle e sorprenderlo .
Abbiamo visto quanto sia importante nel creare un’unità drammatica ad impatto emotivo, la durata, l’ordine e la transizione tra le inquadrature. A rendere più forte un’alternanza, tuttavia, non è solo il ritmo: il passaggio da un’azione, o personaggio, o ambiente all’altro può essere molto valorizzato da quello che viene chiamato testimone, cioè, la modalità di transizione da un’inquadratura all’altra, che non riguarda solo la scelta del tipo di stacco, iconizzato o non , ma la stessa composizione del piano, l’azione scenica, gli oggetti presenti, ecc.; tutto ciò può dare un’ulteriore senso alla relazione tra le alternanze. Uno dei testimoni più utilizzati, ad esempio, sono le inquadrature degli orologi o del calare del sole (come si può vedere bene nel film Strangers on Train di Hitchcock); non solo, l’abilità del montatore e in questo caso soprattutto del regista possono mostrare tutta la loro saggezza utilizzando anche testimoni formali: passare da un’inquadratura all’altra tramite accostamenti di qualità grafiche, perseguendo un valore puramente estetico . Si possono anche avere testimoni attraverso la ripetizione delle azioni nelle diverse inquadrature, oppure utilizzare dei falsi raccordi per passare da un’unità all’altra, o quanto altro ancora l’abilità di chi sa utilizzare bene il linguaggio cinematografico può offrire. Può, inoltre, incidere profondamente sul ritmo dell’alternanza, si può rendere più o meno dinamico il passaggio tra le diverse situazioni (in questi casi paradossalmente i falsi raccordi sono un ottimo espediente per rendere più fluido lo stacco). Il testimone può anche essere sonoro, ad esempio un tema musicale lega o sottolinea la discontinuità tra le inquadrature, oppure un rumore o un dialogo può accavallarsi tra queste rendendo dinamico il passaggio (ad esempio il fischio di un treno nell’azione A è extradiegetico, ma in realtà anticipa il sonoro dell’inquadratura B da cui ha origine); i dialoghi inoltre possono combinarsi tra un’inquadratura e l’altra. Nell’analisi del film Sliding Doors, si vedrà meglio l’uso del testimone attraverso esempi applicativi. Le combinazioni sono molteplici, ma quello che importa è ribadire che anche il semplice passaggio, in un alternate editing, può incidere molto sul valore concettuale ed estetico della narrazione, arricchendo una semplice relazione di causa ed effetto.
Concludo questa, pur sempre veloce, carrellata sui parametri che mette in gioco l’alternanza, trattando del sonoro, la cui introduzione nel cinema sembrava aver inflitto un duro colpo al successo del crosscutting, mentre invece, con il tempo, si è rilevato un elemento con cui combinare in modo efficace l’incrocio tra le varie linee narrative; la colonna audio con la musica, il dialogo e i rumori d’ambiente possono, come abbiamo già visto prima, intrecciarsi in rapporti concettuali, ma anche formali, ovvero di amalgama, di contrappunto o di ripetizione di suoni; la musica è un ottimo elemento nell’accompagnare ed enfatizzare la suspense, o nel preavvisare o distrarre da sorprese. La sequenze alternata finale del film The Man Who Knew too Much (L’uomo che sapeva troppo, di Alfred Hitchcock, 1956) è un buon esempio di abile utilizzo della colonna sonora: qui le azioni si svolgono durante un concerto che suona direttamente la musica del film, con una perfetta corrispondenza dei vari movimenti musicali con quelli della suspense dell’azione, non solo, il momento di più alta tensione vede un urlo coprire in sincronia il suono dei piatti del musicista e dello sparo del killer; in questo caso, inoltre, la continuità dell’esecuzione musicale “in diretta” garantisce anche la simultaneità delle diverse azioni, poiché non possono esserci ellissi temporali .
Infine accenno ad una soluzione limite in cui si può presentare il montaggio alternato, ovvero attraverso un particolare effetto di post-produzione: trattasi dell’utilizzo dello split-screen. Tale effetto consiste nel suddividere l’inquadratura in due o più parti che mostrano azioni, personaggi o luoghi differenti; soluzione che è già stata sperimentata nei primi anni del ‘900 in alcuni film della Pathè , in cui si utilizzava per mostrare i due personaggi mentre si telefonano. In questo modo, nel caso del crosscutting, non si hanno più diverse inquadrature di un’azione A alternata con un’altra B, ma nello stesso quadro sia hanno entrambe; qui la simultaneità è ancora più forte in un certo senso, poiché vediamo i due termini dell’alternanza nella stessa inquadratura, separati solamente da una sottile linea grafica di demarcazione: ogni azione si svolge autonomamente nella stessa composta inquadratura, apparendoci contemporanee. Non solo, nel film, ad esempio, The Rules of Attraction (Le regole dell’attrazione, di Roger Avary, 2002) la sequenza d’incontro tra due personaggi viene mostrata in split screen: entrambi si stanno dirigendo verso lo stesso luogo, finchè non s’incontrano, ma anche il momento di convergenza in campo e controcampo viene presentato in split-screen, solo dopo qualche battuta le due immagini si fondono in un unico classico CM senza divisioni interne. E’ difficile definire una tale soluzione tecnica-formale come una modalità di montaggio alternato, poiché in realtà è solo lo sguardo dello spettatore che ricrea l’effetto di alternanza, ma il senso di simultaneità è comunque ricreato.
2.3 Finalità: l’inseguimento
Una delle forme in cui più si utilizza il montaggio alternato è la situazione dell’inseguimento, già nei last minute rescue di Griffith tale applicazione aveva avuto molto successo, ma se pensiamo alle sequenze di azione fino ai giorni nostri, notiamo che è ancora l’alternanza quella che meglio permette di esprimere un evento come l’inseguimento. Spesso si ha nella stessa unità di spazio e azione e la ripetizione delle inquadrature dell’inseguitore e dell’inseguito sfociano in un “duello” finale, solitamente un campo e controcampo; sono queste generalmente le caratteristiche base. Quasi sempre è, però, esclusivamente la bravura di un montatore che può determinare il buon effetto di una tale sequenza, poiché suo compito è ricreare uno spazio virtuale d’inseguimento per lo spettatore, che non dovrà essere disorientato, ma coinvolto, attraverso l’accostamento delle diverse inquadrature sugli attori. In tali casi, tramite il montaggio alternato il montatore deve essere abile nel far crescere il ritmo, che crea tensione, soprattutto attraverso la scelta di inquadrature che aggiungono informazioni importanti sull’azione, svantaggiando un personaggio sull’altro e rispettando i movimenti degli attori negli spazi. L’evoluzione del linguaggio cinematografico ha portato al perfezionamento di tali sequenze condendo l’alternanza con l’uso di piani d’ascolto di un osservatore esterno all’inseguimento, con le variazioni di ritmo e con l’inserimento di dettagli degli spazi per riconoscerli meglio; insomma, spesso alternare porta confusione e ogni volta si cercano soluzioni che integrino tale tecnica . Rimane comunque il fatto che il crosscutting è uno strumento costitutivo di tali sequenze: noir, polizieschi, thriller e avventura sono solo alcuni generi cinematografici in cui inseguimenti di ogni tipo si susseguono senza sosta e sono pochi i casi in cui non si è scelto di montare alternato, tra questi Figures in a Landscape (Caccia Sadica, di Joseph Losey, 1970), in cui l’azione è ripresa interamente in piano sequenza dall’alto, da un elicottero .
2.4 Finalità: Suspense e sorpresa
Dopo Griffith si è soliti associare all’ alternate editing un altro maestro del cinema, che iniziò a girare i primi film all’epoca del muto, ma che continuò a lungo a regalarci opere cinematografiche, trattasi di Alfred Hitchcock, che seppe meglio di chiunque altro portare l’effetto suspense al massimo delle sue potenzialità, e per fare ciò spesso si servì del montaggio alternato nelle sue migliori e significative espressioni. La particolarità del crosscutting di rendere lo spettatore onnisciente, permette di instaurare una situazione in cui questo assiste dall’alto alle avventure dei personaggi ed è pienamente cosciente di ciò a cui questi stanno andando incontro; la loro fatidica corsa cieca verso l’ora x è il punto d’incontro delle diverse azioni dei personaggi che lo spettatore ben conosce, ma il personaggio no: qui nasce la suspense. Lo stesso Hitchcock così la definì nella celebre intervista di F. Truffaut:
La differenza tra suspense e sorpresa è molto semplice […].Noi stiamo parlando, c’è forse una bomba sotto questo tavolo e la nostra conversazione è molto normale […] tutt’a un tratto: boom, l’esplosione. Il pubblico è sorpreso ma prima che lo diventi gli è stata mostrata una scena assolutamente normale, priva di interesse. Ora veniamo al suspense. La bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perché ha visto l’anarchico mentre la stava posando. Il pubblico sa che la bomba esploderà all’una e sa che è l’una meno un quarto – c’è un orologio nella stanza-; la stessa conversazione insignificante diventa tutt’a un tratto molto interessante perché il pubblico partecipa alla scena. Gli verrebbe da dire ai personaggi sullo schermo: « Non dovreste parlare di cose così banali, c’è una bomba sotto il tavolo che sta per esplodere da un momento all’altro». Nel primo caso abbiamo offerto al pubblico quindici secondi di sorpresa al momento dell’esplosione. Nel secondo caso gli offriamo quindici minuti di suspense. La conclusione di tutto questo è che bisogna informare il pubblico ogni volta che è possibile, tranne quando la sorpresa è un twist, cioè quando una conclusione imprevista costituisce il sale dell’aneddoto .
In Hitchcock spesso le azioni dei personaggi convergono come orologi in un’ora x in modo da creare nello spettatore una suspense da fiato sospeso molto efficace: è stato capace di caricare ogni momento di drammaticità per nulla gratuita. In molti modi si possono alternare la azioni dei vari personaggi verso il punto d’incontro, Hitchcock l’ha fatto in quelli più emozionanti e interessanti, utilizzando al meglio le possibilità del linguaggio cinematografico: nelle sue sequenze ogni elemento è una forma che inventa la narrazione; nel prossimo capitolo analizzeremo una sequenza di tale valore. Nel punto d’incontro si può, come si diceva, anche sorprendere lo spettatore, Francis Ford Coppola regista americano della modernità nel finale di The Godfather (Il Padrino – Parte Prima, 1971) ha saputo giocare abilmente con il fattore sorpresa, sviando lo spettatore verso un’interpretazione sbagliata dell’alternanza, prendendosi gioco di tale onniscienza, per poi colpirlo con un effetto sorpresa, ma Coppola qui in realtà ha fatto molto di più, ci ha sorpresi non convergendo l’azione che creava più suspense e relazionava tutta la sequenza (l’uso moderno a cui ho accennato nel primo paragrafo e che chiarirò nell’ultimo capitolo) . Per sorprendere lo spettatore, infatti, o lo si porta verso la strada sbagliata, o lo si preavvisa in modo velato, dando solo elementi parzialmente indicativi di quello che accadrà. Suspense e sorpresa sono effetti emotivi creati dal come viene narrata la storia e dallo specifico linguaggio cinematografico utilizzato (che tipo di montaggio, riprese, recitazione, musica e dialoghi), che scaturiscono dal processo di doppia identificazione dello spettatore con il testo filmico; il regista (o meglio l’istanza narratrice) lavora per un’enunciazione che
contribuisce in larga misura a confermare la relazione dello spettatore alla diegesi e ai personaggi; è [essa] , a livello delle grandi articolazioni narrative, che modula in permanenza il sapere dello spettatore sugli eventi diegetici, che controlla a ogni istante le informazioni di cui egli dispone a mano a mano che il film va avanti, che nasconde certi elementi della situazione o al contrario ne anticipa altri, che regola il gioco dell’anticipazione e del ritardo tra il sapere dello spettatore e il sapere supposto del personaggio e che adatta così in modo permanente l’identificazione dello spettatore alle figure e alle situazioni della diegesi .
In questo Hitchcock è stato molto abile: in quasi tutte le sue opere utilizza la grammatica del cinema in modo da giocare con le attese e le sorprese dello spettatore, portando l’attenzione di questo su personaggi anche marginali nell’azione , avvicinando la camera, allungando la durata delle inquadrature, con giochi di direzione degli sguardi, spesso proprio mischiando suspense e sorpresa. Soprattutto, come interessa a noi, il codice del montaggio è utilizzato dal maestro per questo intento (Psycho è il più citato in merito), e l’alternanza senza dubbio è tra le tecniche che meglio permette tali giochi.
La citazioni sono riprese da Domenique Villain Le montage au cinéma, Editions Cahiers du cinéma, Paris, 1991; trad. it. Il montaggio al cinema, Lupetti, Milano, 1996-2003, pp. 7-9, 17.
Pietro Montani alla voce “montaggio” nella Enciclopedia del cinema, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, 2004.
Con le nuove tecnologie dagli anni ’90 la moviola e stata sostituita da sistemi hardware e software di montaggio definiti non-lineare, che utilizzano supporti magnetici per il video e macchine digitali; il montatore non ha più quindi forbici e colla, ma una tastiera.
Riflessioni e citazioni riprese da J. Aumont, A. Bergala, M. Marie, M. Fernet Esthétique du film, Edition Nathan, Paris, 1994; trad. it. Estetica del film, Lindau, Torino, 1998, pp. 40-44.
Riporto l’accezione del termine découpage di Noël Burch, Praxis du cinéma, Edition Gallimard, 1969 ;trad. it. Prassi del cinema, Editrice Il Castoro, Milano, 2000, p. 17.
Noël Burch Praxis du cinéma, Edition Gallimard, 1969 ;trad. it., Prassi del cinema, Editrice Il Castoro, Milano, 2000.
Si rifà a Christian Metz, Essais sur la signification au cinéma, Editions Klincksieck, Paris, 1968; trad. it. Semiologia del cinema, Garzanti, Milano, 1972.
Intendo i termini storia e narrazione riferendomi alle definizioni di F. Vanoye e A.Goliot-Lété, Précis d’analyse filmique, Editions Nathan, Paris, 1992; trad. it. Introduzione all’analisi del film, Lindau, Torino 2002, pp. 45-55.
In merito a tale riflessione si veda meglio alla voce “montaggio” curata da Pietro Montani, cit., ad vocem; mi sono limitato ad un accenno a tale riflessione molto importante, per non affrontare troppe problematiche contemporaneamente. Mi scuso quindi per aver ridotto le fondamentali teorie di Ejzenštejn sul montaggio a poche parole, dove, invece, si tratta di vere e proprie rivoluzioni stilistiche ed ideologiche.
Per tali definizioni mi sono rifatto a Diego Cassani, Manuale del montaggio, UTET, Torino, 2000 e a Gianni Rondolino e Dario Tomasi, Manuale del film, cit., pp. 155-156 e a Domenique Villain, Le montage au cinéma, cit., p. 125.
In merito al ritmo nel montaggio alternato e alla struttura degli inseguimenti vedi Karel Reizs e Gavin Millar, The Technique of Film Editing, Butterworth and Company Limited, 1981; trad. it. La tecnica del montaggio cinematografico, Lindau, Torino, 2001.
Cfr. Elena Dagrada, La rappresentazione dello sguardo nel cinema delle origini in Europa: nascita della soggettiva, CLUEB, Bologna, 1998, pp. 60-64 e 101-103.
Eileen Bowser, History of the American Cinema. The Transformation of Cinema, 1907-1915, Charles Scribner’s Sons, New York, 1990.
Barry Salt, Film Style and Technology: History and Analysis, Starword, London, 1992 (2nd Edition), p. 99
D. W. Giffith chiamava curiosamente agli inizi flashback o cutback quelli che poi furono definiti crosscutting (la fonte è Barry Salt, ibid.).
Ibid.; il plot della famiglia in pericolo per l’irruzione dei ladri in casa e dell’arrivo del capofamiglia a salvarli, grazie alla telefonata fatta alla moglie, è presente in entrambi i last minute rescue, non solo, già in quello della Pathé, si usava l’alternanza nella sequenza della telefonata, che Griffith riprenderà nel film e diventerà pure questa una convenzione.
Su questo film vi è una interessante analisi di Raymond Bellour, Alterner/Raconter, in AA. VV., Le cinéma amerìcaine, vol. 1, Flammarion, Paris, 1980.
Cfr. A. Gaudreault, De l’Arrivée d’un train à The Lonedale Operator : une trajectoire à porcouirir, in J. Mottet « D.W. Griffith. Actes du Colloque de l’Universitè de Paris I», Pubblications de La Sorbonne, L’Hrmattan, Paris, 1984.
Giulia Carluccio, Verso il primo piano : attrazioni e racconto nel cinema americano, 1908-1909, il caso Griffith-Biograph, CLUEB, Bologna, 1998.
Elena Dagrada , Hollywood, Rossellini et le syndrome de Griffith, « Cinémas », 13, 2002, pp. 129-141.
David Bordwell, Kristin Thompson e James Staiger, The Classical Hollywood Cinema, Routtledge, London, 1985, p. 49.
Dati da Barry Salt, Film Style and Technology: History and Analysis, cit., p.172, 214, 249 e David Bordwell, Kristin Thompson e James Staiger, The Classical Hollywood Cinema, cit., p. 49.
Ricerca personale sul salvataggio finale nel film, si tratta dell’ultimo minuto del film ed ha circa 15 inquadrature.
Ancora una volta mi trovo ad accennare solamente alla scuola sovietica di montaggio per non aprire parentesi troppo estese e quindi fuorvianti.
Per moderno intendo l’atteggiamento di decostruzione del découpage classico, con un uso critico ad esempio delle figure del montaggio classico o l’introduzione di nuovi tipi di raccordi come jump cut, falsi raccordi ecc. (quello che nel Ambrosini, Cardone, Cuccu Introduzione al linguaggio del film, viene definito montaggio moderno). Vedi cap. 5.
Cfr. G. Rondolino e D. Tomasi, Manuale del film, cit., p. 156-157, a riguardo della sequenza alternata del battesimo ne Il padrino- Parte I , dove convergenza e suspense sono decostruiti. Vedi cap. 5.
Con i film Przypadek (Destino cieco, 1982) e La double vie de Véronique (La doppia vita di Veronica, 1991).
Vedi N. Burch, Praxis du cinéma, cit., pp 20-22 e G. Rondolino e D. Tomasi, Manuale del film, cit., p. 153.
Come ho chiarito nella definizione del primo capitolo, come scritto in D. Bordwell, Film Art, cit., p. 366.
Daniel Arrijon, Grammar of the Film Language, Silman-James Press Editing, 1975; trad. it., ABC della regia, Dino Audino Editore, Roma, 1999, p. 17.
In merito alle definizioni di narrazione, storia, enunciatore, spettatore e personaggio riprendo quelle in M. Ambrosini, L. Cardone, L. Cuccu, Introduzione al linguaggio del film, Carocci, Roma, 2003.
Se usiamo lo schema della grande sintagmatica di C. Metz sarebbe corretto definirlo sintagma alternato finale.
Una interessante analisi della sequenza si trova nel libro di D. Cassani, Manuale del montaggio, cit., pp. 161-164.
Cfr. K. Reizs e G. Miller, The Technique of Film Editing, cit., pp. 71-88 e D. Cassani, Manuale del montaggio, cit., pp. 165-166.
Tale scelta registica dava un senso quasi ridicolo di sforzo e fatica sia dell’inseguitore che dell’inseguito.
François Truffaut, Le cinéma selon Hitchcock, 1983 ; trad it. Il cinema secondo Hitchcock, Nuove Pratiche Editrice, Milano, 1997, p. 60-61.
Nel suo The Man Who Knew too Much le inquadrature e il ruolo affidato al personaggio femminile di Doris Gray nella sequenza di suspense finale, dove lei in realtà aveva un posizione marginale nell’azione, ma fondamentale nel creazione drammatica e poetica e di ansia nello spettatore. Vedi l’analisi di Cassani, Manuale del montaggio , cit., p. 162-164.