♥ Tutto sulla Tecnica
Non hai specificato se il corto è girabile in esterno o se il posto deve avere requisiti particolari.
In generale la regola base è: chiedi in giro.
Magari qualcuno che conosci ha un locale che puoi usare durante il suo giorno di chiusura, magari esiste un parco vicino casa tua che è abbastanza grande da tenerne sotto controllo una parte per un periodo di tempo limitato. Poi esistono le biblioteche o le case storiche; in genere al massimo ti chiedono un’offerta o ti danno una tariffa di riferimento che sicuramente varia a seconda del tipo di corto che stai girando. Esistono anche teatri che ospitano attività ludiche o corsi di teatro organizzati. In genere i responsabili di questi corsi si lasciano coinvolgere e sono propensi anche a darti una mano quando si tratta trovare le location.
Puoi pensare anche a delle ludoteche o posti per bambini che magari possono essere disponibili in un giorno particolare in cui le attività sono spostate altrove.
Le cose a cui devi fare attenzione sono tutte relative alla coerenza: se devi girare in un interno controlla bene tutti gli elementi presenti in una scena e nella scena successiva (compresi particolari come occhiali da sola o bracciali sugli attori).
Quando giri in interno ricordati che in ogni caso lo spettatore non sa che stanza c’è accanto a quella che viene inquadrata. Quindi non hai bisogno di girare tutto il film nella stessa casa, anche se la sceneggiatura ti impone di cambiare stanza e passare dal bagno alla cucina. Non importa dove sono collocate nel mondo queste due stanze se tu non farai notare che si tratta di posti diversi.
In esterno invece la difficoltà relativa alla coerenza è data dal sole e dalle ombre: presta sempre attenzione a cosa è presente in una scena e cosa no (ombre incluse) specialmente se per esigenze logistiche devi tornare sullo stesso posto in uno o più giorni diversi.
Spero di averti un po’ aiutato in quest’impresa (capisco quanto possa essere difficoltoso trovare il posto adeguato). Buona fortuna!
di Silvia Messina per Quora.com
Provando a cercare “royalty-free music” su Google e troverai vari siti, fra cui:
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Bisogna in ogni caso leggere attentamente le condizioni d’uso di ogni brano per essere certo di non violare gli eventuali diritti d’autore.
La regola dei terzi è una guida per aiutarvi a mettere in risalto nel miglior modo possibile il soggetto. Quando guardate attraverso il mirino o direttamente il monitor LCD della fotocamera, questa operazione vi aiuta a immaginare sulla scena un reticolo suddiviso in terzi. Il reticolo suddivide l'immagine in nove quadrati, che vengono creati sovrapponendo quattro linee sull'immagine che vedete.
ADATTAMENTO. Rielaborazione di un testo narrativo, teatrale, radiofonico e anche di una notizia di cronaca o di un servizio giornalistico, compiuto in modo da dar luogo ad una sceneggiatura cinematografica.
ANGOLO DI RIPRESA. Posizione della macchina da presa. Si distingue in: normale, quando la cinepresa è sullo stesso piano dell’oggetto ripreso; rialzata, quando la cinepresa riprende dall’alto; abbassata, quando la cinepresa riprende dal basso.
ART DIRECTOR. Direttore delle costruzioni sceniche ossia lo scenografo.
ATTACCO. Il modo di passare da un’inquadratura all’altra.
ATTORE. Interpreta il personaggio previsto nella sceneggiatura scritta. Viene scelto dal regista. Può essere sostituito da una controfigura nelle scene più pericolose o acrobatiche. Gli attori che non pronunciano battute sono le comparse.
CAMERA. Macchina da presa o cinepresa con cui si fissano sulla pellicola le immagini in movimento.
CAMPO. È la quantità di spazio mostrata dall’inquadratura. Il campo può essere: lunghissimo, quando abbraccia, nelle riprese degli esterni, un grandissimo spazio e offre una visione di insieme del luogo, sicché le figure umane o non sono presenti o appaiono a notevole distanza, distinguendosi a malapena; lungo, quando negli esterni la figura umana resta di dimensioni limitate; medio, quando la figura, pur avendo maggior rilievo, non arriva a toccare con testa e piedi i margini superiore e inferiore del quadro; totale, quando si riporta la totalità di un interno con tutti i personaggi che vi agiscono (p.es. il totale di una piazza o di uno studio); fuori campo è tutto ciò che, escluso dal campo, si intuisce tuttavia essere presente nei sei luoghi intorno al campo (cioè ai quattro lati del campo, dietro la scenografia, dietro la cinepresa). Il campo è usato spesso per costruire forti effetti drammatici e se ne intuisce la presenza e la natura per mezzo delle espressioni dei personaggi o dei movimenti di macchina. Campo/controcampo: tecnica della ripresa e del montaggio consistente nel far seguire a un’inquadratura un’altra analoga, ma presa dall’angolo opposto. È usata spesso nella ripresa di un dialogo, di un duello, ecc. per contrapporre un personaggio all’altro.
CARRELLATA. Movimento compiuto spostando la macchina da presa montata su binari ove viene posto un carrello o su un’altra piattaforma (p.es. il pied de poule, un carrello mobile a tre ruote, oppure la cameracar, quando la camera è fissata su un’auto o su una moto). Il movimento può essere in avanti o indietro, in ferrovia laterale, in ascensore laterale, aerea, per riprese dall’alto, in circolare (girando attorno al soggetto). Carrellata ottica: l’effetto di allontanamento o avvicinamento ottenuto azionando lo zoom, anche molto velocemente.
CAST. S’intendono tutti gli attori, principali e secondari, che partecipano a un film.
CASTING. Distributore delle parti: è incaricato di scegliere gli attori giusti di un film, proponendoli al regista e al produttore..
CIAK. Strumento di legno a forma di tavoletta munito, nella parte inferiore, di un’asta battente, sulla quale sono scritti il titolo del film, i nomi del regista e del direttore della fotografia, il numero della scena, dell’inquadratura e della ripresa che si ci accinge a girare. Viene ripreso in testa a ogni inquadratura per semplificare il montaggio. Il ciak si batte davanti all’obiettivo quando il regista pronuncia le parole: “Motore, azione!”, che seguono le parole “Silenzio! Si gira!”.
CINEASTA. Chiunque collabori in qualche modo, esclusi di solito gli attori, alla realizzazione di un film.
CINEMATOGRAFO. Dal greco kinéo (muovo) e grapho (scrivo), un apparecchio inventato nel 1895 dai fratelli francesi Auguste e Louis Lumière, con cui si riuscì per la prima volta a proiettare su uno schermo una successione di immagini fotografiche in movimento. Il loro primo filmato di un minuto s’intitolava L’uscita dalle fabbriche Lumière.
CINETOSCOPIO. Apparecchio per proiezioni cinematografiche che nella parte superiore aveva un’apertura sulla quale uno spettatore per volta poteva osservare scorrere velocemente la pellicola del film, che per la prima volta era costituita da un nastro di celluloide. Fu inventato da Thomas Alva Edison, l’inventore della lampadina.
CLIMAX. Momento culminante di un film.
CODA. Pezzo di pellicola nera o bianca posta all’inizio o alla fine dei rulli per permettere il caricamento.
COLONNA SONORA. Spazio laterale di una pellicola riservato alla registrazione dei suoni. Si ottiene attraverso il mixage su un’unica colonna di almeno tre colonne fino ad allora separate: quella dei dialoghi, quella della musica e quella dei rumori. La colonna dei dialoghi non è quasi mai quella registrata durante le riprese, perché può contenere facilmente degli errori (rumori accidentali, l’attore sbaglia la battuta…). La colonna della musica è composta definitivamente a film montato, poiché i tempi della musica devono corrispondere a quelli della scena.
COLORE. Il primo film a colori, prodotto nel 1935 dalla casa cinematografica statunitense RKO, fu girato dal regista Rouben Mamoulian. S’intitolava Becky Sharp.
CONTROTIPO. Procedimento mediante cui si ottengono pellicole con immagini negative, stampandole da una copia positiva, denominata in gergo “lavanda” per il suo colore azzurro violetto. I controtipi negativi permettono di stampare nuove copie perfette del film.
COPIA DI LAVORAZIONE. È la prima copia positiva del film ottenuta in sede di montaggio, ancora consistente in due colonne, quella del visivo e quella del sonoro.
COPIONE. Il testo della sceneggiatura di un film, raccolto e dattiloscritto in una specie di libro che viene distribuito al regista, gli attori, al montatore, ecc.
DETTAGLIO. Tipo di primissimo piano che coglie un particolare di una persona o di un oggetto.
DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA. Si occupa dell’illuminazione, della posizione della cinepresa, della scelta del tipo di pellicola ecc. Da lui dipendono le maestranze: macchinisti, elettricisti, operatori.
DISSOLVENZA. Effetto visivo cui si ricorre per passare da un’inquadratura dall’altra del film senza stacco netto. Consiste nel far lentamente apparire o svanire l’immagine, variandone la luminosità; in apertura il soggetto appare progressivamente dal fondo; in chiusura viene fatto scomparire gradatamente, oscurandolo. Quando l’immagine scompare e contemporaneamente ne compare un’altra, si ha la dissolvenza incrociata, usata di solito per significare il passaggio del tempo o la contemporaneità di due azioni in luoghi diversi.
DISTRIBUTORE. Chi acquista dal produttore i diritti di sfruttamento del film, lo noleggia agli esercenti, lo trasforma in un dvd o in un prodotto televisivo, e di solito finanzia la relativa campagna pubblicitaria. Questa figura può anche coincidere con quella del produttore.
DOLLY. Attrezzo costituito da una piccola gru (dolly) montata su un carrello, utilizzato dall’operatore, che vi alloggia con la camera, per compiere dei movimenti laterali, verticali e orizzontali.
DOPPIAGGIO. Operazione svolta dai doppiatori, che sostituiscono la voce degli attori con la propria, specie quando si vuole tradurre un film straniero. Ma un attore può anche doppiare la propria stessa voce all’interno di uno studio, che permette una maggiore affidabilità del sonoro. Col doppiaggio si può anche dotare la pellicola cinematografica di una colonna sonora diversa da quella registrata durante la lavorazione del film.
EFFETTI SPECIALI. Possono essere sonori o visivi. Quelli sonori sono sono ottenuti per riprodurre suoni che non costituiscono né il dialogo, né la musica di un film e generalmente corrispondono a rumori di ambienti: passi, apertura e chiusura di porte, pioggia o vento, rumori di veicoli, ecc. Quelli visivi sono ottenuti al fine di creare immagini irreali, illusionistiche, di dimensioni diverse dal reale o non più esistenti. Alcuni effetti si ottengono durane le riprese, altri in laboratorio. Sono molto usati nel cinema fantascientifico e catastrofico.
EFFETTO NOTTE. Tecnica di ripresa, detta anche “notte americana”, consistente nel far sì che una ripresa, effettua di giorno, passi per una ripresa notturna.
ESERCENTE. La persona o la ditta che gestisce l’amministrazione di una sala cinematografica.
ESPRESSIONISMO. Corrente cinematografica tedesca in cui la realtà viene distorta con scene fantastiche o addirittura mostruose, in atmosfere cupe, oscure. Il film di Robert Wiene, Il gabinetto del dottor Caligari, viene ritenuto il capostipite di questo genere. Molto famosi furono Nosferatu il vampiro (1922) e Metropolis (1926).
FICTION. Termine prevalentemente televisivo che sta ad indicare tutto ciò che è racconto immaginario, e che quindi non è documentario, dibattito, telegiornale ecc.
FLASHBACK. Lampo all’indietro della memoria. E’ il mezzo narrativo a cui in un film si ricorre per interrompe la continuità cronologica del racconto e introdurvi un fatto avvenuto precedentemente nella realtà, nel sogno o nel ricordo. Si realizza generalmente col montaggio, per mezzo di uno stacco netto o di una dissolvenza incrociata. Può essere brevissimo o molto lungo.
FLASHFORWARD. Un flash in avanti, nel futuro, con l’immaginazione, quando si prevedono come possibili determinati eventi.
FLOU. Effetto ottico di sfocatura dell’immagine, tale da sfumarne i contorni. Vi si ricorre per immergere cose o figure nella vaghezza del sogno o del ricordo. Si ottiene per mezzo di filtri o velatini di garza.
FOTOGRAMMA. Ognuno dei quadri in cui è suddivisa la pellicola impressionata. Scorrendo alla velocità di 24 al secondo, i fotogrammi proiettati danno l’impressione del movimento.
FUOCO. In cinematografia è il punto di massima nitidezza raggiunto dall’immagine destinata ad essere al centro dell’attenzione dello spettatore.
GAG. Invenzione visiva o verbale, di breve durata, che nel corso di un film genera improvvisa ilarità.
GENERI. I generi principali della cinematografia sono: western, poliziesco, horror, musical, avventura, animazione, comico, fantascientifico, guerra, storico…
GIORNALIERI. Il materiale cinematografico stampato che il regista, gli attori e i tecnici sono soliti farsi proiettare giornalmente per una visione di controllo.
GRANDANGOLO. Obiettivo che allarga il normale angolo visuale tendendo a deformare le zone laterali.
GRU. Apparecchiatura di grandi dimensioni destinata a far compiere alla macchina da presa ampi movimenti verticali, orizzontali e trasversali, combinati talvolta con quelli del carrello. È detta anche dolly.
HAPPY END. Il lieto fine di un film. Tipico nei film western è “l’arrivo dei nostri”, cioè la cavalleria che ha la meglio sugli indiani.
HOLLYWOOD. Cittadina della California che già negli anni 1907-08 divenne la capitale mondiale del cinema. Era stata scelta da molti importanti produttori perché il clima mite consentiva di girare scene in esterni quasi in ogni stagione dell’anno. Inoltre vi erano enormi spazi a disposizione e molta manodopera a basso costo. A Hollywood si decise per la prima volta la realizzazione industriale dei film, che prevedeva la standardizzazione dei generi (western, melodramma, avventura, commedia ecc.), la professionalità di tutti gli operatori, la creazione del divismo degli attori e delle attrici, l’impiego della pubblicità per commercializzare il prodotto su scala mondiale.
ILLUMINAZIONE. Può essere di tipo naturale (luce solare) o artificiale (riflettori, lampade, faretti). La gestione dell’illuminazione spetta al direttore della fotografia.
INQUADRATURA. È la quantità di spazio registrato dalla cinepresa (paesaggio, figure, oggetti…) in un certo tempo: più inquadrature girate in una stessa unità spaziale danno vita alla scena. L’inquadratura è anche l’insieme di fotogrammi girati senza interruzione. E’ l’immagine mobile o fissa corrispondente allo spazio colto dall’obiettivo della macchina da presa. Può essere ripresa dall’alto, dal basso, obliqua, a piombo, rovesciata... E’ oggettiva se riproduce la realtà come la vede l’occhio del regista; soggettiva se riproduce la realtà come la vede l’occhio di un personaggio. Più inquadrature o più scene, girate anche in ambienti molto diversi, fanno una sequenza.
LUMIÈRE. Cognome dei due fratelli francesi (Auguste e Louis) che inventarono nel 1895 la cinematografia. Girarono in pochi anni circa 1500 film, tutti brevi documentari, ma, nonostante il successo ottenuto, abbandonarono la produzione già nel 1901. Famosissimo resta il loro primo documentario apparso a Parigi il 28 dicembre 1895, L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat: la ripresa quasi frontale di un treno che entrava nella stazione terrorizzò a tal punto gli spettatori che, credendo d’essere investiti, fuggirono dalla sala.
MÉLIÈS. L’illusionista e prestigiatore francese, Georges Méliès (1861-1938), fu il primo a creare dei film utilizzando un sistema di montaggio di più scene. Questo gli permise di realizzare i primi trucchi cinematografici, passando dal genere documentaristico a quello fantastico. Un film di 10-15 minuti poteva avere una pellicola lunga anche 500 metri. Nello studio cinematografico che allestì a Montreuil, vicino a Parigi, girò più di 500 film, utilizzando per la prima volta degli attori e quindi inventando una narrazione cinematografica diretta dalla figura del “regista”. Il suo film più famoso fu Il viaggio sulla Luna (1902), di trenta scene futuristiche, i cui i singoli fotogrammi erano stati colorati a mano.
MIXAGGIO. Fase della lavorazione del film durante la quale il doppiaggio, la registrazione degli effetti fonici e della musica vengono miscelati su un unico nastro magnetico che costituisce la colonna sonora definitiva.
MONTAGGIO. Fase della lavorazione di un film in cui le inquadrature e le sequenze più espressive, fra le molte girate, vengono congiunte fra di loro. Il montaggio è uno dei momenti centrali della creazione di un film, perché determina la natura e il ritmo del racconto. Può essere di vari tipi: lineare, un seguito di inquadrature e sequenze secondo un ordine logico e cronologico; alternato o incrociato: incollate di seguito inquadrature o sequenze simultanee, ma ambientate in luoghi diversi, per dare l’impressione, con un’alternanza veloce delle immagini, che le azioni si siano svolte nello stesso tempo; parallelo, quando le immagini riproducono azioni contrapposte, ma senza rapporti temporali; descrittivo, quando vengono introdotte immagini che non hanno preciso riferimento spazio-temporale con le altre, cui sono giuntate; alla Griffith (nome di un regista americano), quando due azioni contemporanee, ma di ambiente diverso, sono rapidamente alternate fin quando si congiungono. Il montaggio può avvalersi del flash-back, interrompendo il corso degli eventi con un salto nel passato; o del flash-forward, anticipando eventi che accadranno in seguito. Il montaggio collega anche fra loro le immagini secondo criteri diversi: stacco, dissolvenza in chiusura, dissolvenza in apertura, dissolvenza incrociata, piano sequenza.
MOVIMENTO DI MACCHINA. Gli spostamenti della macchina da presa, siano panoramiche, carrellate, gru o dolling o movimenti compositi.
MOVIOLA. Tavolo attrezzato per il montaggio del film.
NEOREALISMO. Corrente cinematografica italiana del secondo dopoguerra, che rifiuta i canoni della cinematografia fascista e si concentra sulla rappresentazione della vita reale, specie negli aspetti di emarginazione e povertà, in luoghi realmente esistenti: gli stessi attori spesso non erano professionisti e parlavano l’italiano usato nelle strade. Il film che segna la nascita di questa corrente è Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini. Altri film molto famosi furono Sciuscià, Paisà, Ladri di biciclette, La terra trema…
OPERATORE. Detto anche cameraman, è colui che manovra la macchina da presa seguendo le direttive del direttore della fotografia (quando le due persone non coincidono).
PAN FOCUS. Procedimento di ripresa che mette a fuoco tutti i particolari di un’inquadratura.
PANORAMICA. Movimento orizzontale, verticale o obliquo, ottenuto ruotando la macchina da presa attorno al suo asse, in modo da cogliere tutto il panorama di spazi esterni, compresi oggetti o figure che vi si muovono, come lo sguardo circolare di una persona. Indica anche la ripresa che ne risulta. Si dice “panoramica a schiaffo” un rapido movimento della macchina da un’inquadratura a un’altra.
PEAK. Il “picco” di un film televisivo, cioè un momento di grande tensione nella storia, che spesso purtroppo viene usato per un’interruzione pubblicitaria.
PIANO. È costituito dalle inquadrature in cui predomina l’elemento umano. I piani sono di diverso tipo: primissimo piano, quando compare solo il volto dell’attore o un oggetto molto ravvicinato; primo piano, quando appare il volto e una parte del busto dell’attore; mezza figura, quando l’attore è ripreso dalla cintola in su; figura intera, quando l’attore tocca i margini superiore e inferiore del quadro; piano americano, quando la figura è ripresa dalle ginocchia in su (tipica nei duelli dei film western); particolare, quando appare solo un particolare del corpo umano (bocca, mani…); dettaglio, quando compare solo un particolare di un oggetto o di un animale. Il piano di ascolto ha un uso prevalentemente televisivo, in quanto indica l’inquadratura di chi ascolta la persona che sta parlando: in genere trova impiego nell’intervista. Il piano sequenza è un’unica inquadratura che segue il soggetto in modo uniforme, senza tagli o stacchi di ripresa: in tal modo si evita il montaggio in moviola. Tempo cinematografico e tempo reale coincidono. Quando si usava la pellicola, il massimo di girato possibile era di 11 minuti, l’equivalente di una bobina di 300 metri. Il film di Hitchcock, The rope (Nodo alla gola), è stato girato così, utilizzando una serie di trucchi tra una bobina e l’altra.
PLOT. È l’intreccio, la storia principale di un film. Il subplot sono le storie secondarie.
PRODUTTORE. Chi fornisce i capitali necessari alla realizzazione di un film, ne organizza la produzione e la porta a termine.
PROFONITA’ DI CAMPO. Possibilità di avere a fuoco tutto lo spazio all’interno di un’inquadratura.
QUADRO. Lo spazio di schermo cinematografico occupato durante la proiezione del fotogramma.
REGISTA. Trasforma la sceneggiatura scritta in un film, scegliendo e dirigendo gli attori sul set. Può avvalersi della collaborazione di un aiutoregista.
REMAKE. Rifacimento parziale o totale di un film, generalmente di grande successo, compiuto a distanza di tempo, conservando la trama o aggiornandolo e cambiando i dialoghi, gli interpreti e il regista.
RIPRESA. L’atto di riprendere con la camera un’immagine e di registrarla sulla pellicola cinematografica: panoramica, carrellata, carrellata ottica, ripresa a mano, dolling, ripresa aerea o subacquea sono varie forme di ripresa cinematografica. Non è quasi mai unica: la stessa immagine può essere ripresa decine di volte, finché non si raggiunge il miglior risultato. La ripresa a mano avviene quando la cinepresa è manovrata dall’operatore senza un punto d’appoggio: una specifica macchina da presa, detta steadycam, viene fissata, tramite un’imbracatura, al cineoperatore, permettendogli di mantenere stabile l’inquadratura.
RUMORISTA. Tecnico specializzato nella riproduzione di qualunque tipo di rumore.
SCALETTA. Fase di elaborazione del testo scritto di un film fra il soggetto e il trattamento. Fornisce indicazioni generali sulla suddivisione della materia in blocchi narrativi ed elenca in sintesi l’ordine delle scene più importanti.
SCENA. Ogni momento della rappresentazione cinematografica in cui i fattori scenografici, fissi e mobili, interni o esterni, generalmente non subiscono mutazioni. Le scene di una storia cinematografica sono definite dai set, cioè dai luoghi in cui si svolge l’azione. Le scene vanno numerate, indicate ad ogni cambiamento di set, devono anche indicare la luce necessaria all’azione.
SCENEGGIATURA. La fase finale di elaborazione del testo scritto di un film che, relativamente ad ogni scena, contiene tutte le indicazioni necessarie alle riprese, le azioni degli attori, le battute del dialogo, gli interventi della musica (colonna sonora e rumori di fondo), le indicazioni atmosferiche, le descrizioni degli ambienti. Deriva dalla stesura del soggetto, attraverso le fasi intermedie della scaletta e del trattamento. Le scene devono essere numerate e contrassegnate da precise indicazioni di tempo e luogo. Lo sceneggiatore viene aiutato da storiografi di professione quando il film tratta argomenti di tipo storico.
SCENOGRAFIA. L’arte della realizzazione degli ambienti naturali, costruiti, adattati, in cui dovrà svolgersi l’azione di un film. Le scene possono essere allestite dallo scenografo sia in esterni che in teatri di posa (studi cinematografici), oppure direttamente al computer.
SEGRETARIA DI EDIZIONE. Chi, durante le riprese sul set, prende nota, cronometrandoli, dei tempi di lavorazione, di tutti i particolari della scena (abiti, posizione degli attori e degli oggetti), perché non vengano commessi errori quando si gireranno, a distanza di ore o di giorni, inquadrature successive della stessa sequenza.
SEQUENZA. E’ un insieme di inquadrature che costituiscono un tutt’uno dal punto di vista del racconto. Godono di una relativa autonomia quasi come un capitolo di un romanzo. Si ha il piano-sequenza quando più scene si succedono senza stacchi in una sola inquadratura grazie ad un unico e continuo movimento della macchina da presa; il piano-sequenza abolisce quindi la pratica del montaggio. Generalmente si girano prima le sequenze degli interni, poi quelle degli esterni, per evitare continui spostamenti del cast.
SET. Il luogo, convenientemente allestito, in cui si compiono le riprese di un film, in un teatro di posa o all’aperto.
SOGGETTO. L’argomento di un film, contenuto in poche pagine con l’indicazione della trama, dei luoghi, dei tempi e dei personaggi. Il soggetto può derivare da un’opera letteraria, musicale o teatrale, da un fatto storico o di cronaca o della fantasia di un autore che lo ha scritto proprio in vista dell’utilizzazione cinematografica.
SONORO. Il primo film sonoro, prodotto nel 1927 dalla casa cinematografica statunitense Warner Bros, fu girato dal regista Alan Crosland. S’intitolava Il cantante di jazz, il cui attore principale fu Al Jolson.
STACCO. Il passaggio da un’inquadratura all’altra, senza legami, senza soluzione di continuità, anzi spesso a contrasto: p.es. da un interno silenzioso e in ombra a un esterno pieno di luce e rumore.
STEADYCAM. Macchina da presa fissata addosso all’operatore con una imbragatura particolare: ha una specie di braccio che permette alla macchina di ruotare, ottenendo effetti straordinari. È usata di regola con un grand’angolo e richiede molta abilità.
STORYBOARD. Il racconto di un film o anche di una scena fatto con inquadrature disegnate. È usato soprattutto negli spot televisivi.
TECNICO DEL SUONO. Si occupa di registrare la colonna sonora, che comprende, oltre ai rumori, il parlato (dialoghi, eventuale voce fuori campo…) e la musica vera e propria.
TELECAMERA. La telecamera è in grado di sostituire la pellicola. L’immagine prodotta non è più chimica ma elettronica. La telecamera permette al regista di rivedere immediatamente il girato.
TELEFILM. In inglese serials, in americano series. Una serie di film televisivi che hanno in comune il personaggio e l’ambiente. Ogni telefilm ha in genere una storia con un inizio e una fine. Una serie di telefilm in chiave comica è detto sit-com (situation comedy), ma vi sono anche le telenovelas, l’equivalente televisivo dei romanzi d’appendice, che raccontano storie private, d’amori e lacrime.
TENDINO. Mezzo cinematografico per passare da un’inquadratura alla successiva nascondendo progressivamente una parte della scena e facendo apparire la seguente.
THRILLER. Termine generico (da thrill, brivido) con cui si definisce un film fortemente emotivo, che mette lo spettatore in uno stato ansioso, proponendogli situazioni che possono avere una conclusione tragica.
TRASPARENTE. Uso degli effetti speciali visivi ottenuto proiettando su uno schermo translucido di vetro o di plastica, posto dietro gli attori, una scena girata in precedenza, la quale viene a fare da sfondo a quella che si sta girando. Vi si ricorre per simulare una corsa in automobile, un volo in aeroplano, ecc.
TRATTAMENTO. Fase di elaborazione del testo scritto di un film fra scaletta e sceneggiatura. Fornisce indicazioni sempre più dettagliate sull’azione dei personaggi, l’ordine della durata delle sequenze, l’argomento dei dialoghi.
TROUPE. L’insieme di tutti coloro che sono impegnati nella lavorazione di un film: regista (di regola si avvale di un aiutoregista), attori e comparse (spesso coadiuvati da controfigure), tecnici (scenografo, direttore della fotografia, rumorista, tecnico del suono, doppiatori).
TRUKA. Stampatrice ottica con cui si possono ottenere effetti speciali in sede di stampa: trucchi, effetti ottici particolari, rallentamenti e accelerazioni, eliminazione di errori di ripresa ecc.
TV MOVIE. Film prodotti espressamente per la televisione.
VOCE FUORI CAMPO. Nella colonna del dialogo, quando si vuole indicare chi parla, si scrive il nome del personaggio in lettere maiuscole e quindi quello che dice. Ma se scrive accanto al nome FC (Fuori campo, oppure Off), allora vuol dire che le parole sono dette da qualcuno che in quel momento non è inquadrato. Una voce fuori campo può anche essere semplicemente la voce interiore di un attore che pensa e che non muove le labbra.
ZOOM. Obiettivo a lunghezza focale variabile che permette di ottenere effetti di avvicinamento e di allontanamento dagli oggetti di scena senza che si debba spostare la macchina da presa.
Cosa si intende per taglio in asse?
Nella realizzazione di film, un taglio in asse è una modifica a un singolo scatto in sequenza che fa sembrare che l’azione faccia un balzo in avanti nel tempo. Dopo il taglio, il soggetto può apparire in una posizione o atteggiamento diversi, oppure la posizione della fotocamera può essere leggermente diversa. Questo stile di taglio è una notevole deviazione dalle convenzioni standard del montaggio di continuità, secondo cui l’angolo della fotocamera deve cambiare di almeno 30 gradi da una clip alla successiva.
Breve storia del taglio in asse
Nei primi anni del ‘900, il filmmaker Georges Méliès scoprì il taglio in asse usandolo per ritrarre trucchi di magia. Con i tagli che apparivano senza interruzioni, Méliès faceva scomparire e riapparire magicamente i personaggi.
Fai un salto nel 1959 con Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard. Godard ruppe le regole con chiari tagli in asse nella stessa sequenza. Durante una scena di guida, l’angolo della fotocamera rimane uguale, sopra la spalla del personaggio Patricia sul sedile del passeggero, ma lo scenario nello sfondo cambia repentinamente.
L’effetto della discontinuità è volto a disorientare l’osservatore e catturare l’attenzione sulla natura artificiale del filmato. Alcuni affermano che Godard sia stato forzato dal produttore ad effettuare tagli drastici al film, così lo tagliò a caso per ripicca, creando involontariamente uno dei film più influenti della Nouvelle Vague francese.
Da Godard, i filmmaker hanno usato tagli in asse in infiniti modi creativi. Questi tagli possono funzionare con effetti drammatici o comici per mostrare il passaggio del tempo mentre un personaggio cambia posizioni in una singola inquadratura. Possono usare una singola posizione della fotocamera per mostrare un personaggio che percorre una grande distanza senza che il pubblico veda ogni passo. I tagli in asse possono anche ritrarre il punto di vista di un personaggio ubriaco o disorientato senza ricorrere ad effetti speciali.
Quando usare i tagli in asse
L’uso più contemporaneo del taglio in asse si ha in YouTube, dove autori di video di teste parlanti sono tagliati in asse per saltare pause o errori sgraziati. Il pubblico moderno è abituato a questa tecnica, quindi puoi eseguire il montaggio nella post produzione invece di cercare di ottenere una ripresa perfetta.
“Le persone hanno pochi riempitivi conversazionali oppure faranno una pausa per pensare un attimo e nessuno vuole vedere questi vuoti, quindi puoi tagliare quelle parti e accelerare il video”, afferma il videografo Nick Cann.
Nei video pubblicitari, i tagli in asse possono aggiungere energia al messaggio. “Un taglio in asse può mandare avanti l’azione di un video e accelerare il battito cardiaco dell’osservatore, che si entusiasma ed è più coinvolto. Non c’è perdita di tempo, non ci sono punti morti”, afferma Cann.
Basta non esagerare. Filmati troppo discontinui diventano irritanti e difficili da guardare. Analogamente al taglio di corrispondenza e allo stacco, il taglio in asse è uno strumento cinematografico che deve essere usato con moderazione.
Come usare il taglio in asse in Adobe Premiere Pro
Un modo per applicare tagli è fare clic su Comando + K su Mac o Ctrl + K su PC, per dividere la clip in corrispondenza del fotogramma dove si trova la linea di scansione. È facile da usare quando trovi una sezione che vuoi tagliare mentre esamini i filmati. Per tagliare le tracce audio insieme ai filmati video, fai clic su Maiusc + Comando/Ctrl + K.
Per realizzare tagli con lo strumento Lametta, segui questi passaggi.
1. Trascina i filmati video nella timeline.
2. Assicurati che l’impostazione Calamita sia abilitata e l’audio bloccato in modo che le clip possano incastrarsi in posizione l’una accanto all’altra e l’audio rimanga sincronizzato dopo aver fatto il taglio.
3. Fai clic sullo strumento Lametta (oppure premi C) e fai clic sul punto nella clip in cui vuoi iniziare il taglio.
4. Fai di nuovo clic sullo strumento e fai un taglio nel punto in cui vuoi riavviare l’azione.
5. Per selezionare ed eliminare in modo semplice i segmenti, usa Alt/Option (a seconda del sistema operativo) + Canc per avvicinare lo spazio tra clip mentre effettui i tagli.
6. Per affinare ancora di più i tagli, ingrandisci o rimpicciolisci sulla timeline (tocca il tasto +) e ripeti il lavoro con Lametta.
Come usare il taglio in asse in Adobe Premiere Rush
Con Premiere Rush, puoi usare un dispositivo mobile per aggiungere tagli in asse ai tuoi video.
1. Vai al punto nei filmati dove vuoi iniziare il taglio in asse.
2. Tocca l’icona delle forbici nel menu in fondo per iniziare il taglio.
3. Passa avanti al punto in cui vuoi che l’azione riprenda.
4. Tocca di nuovo l’icona delle forbici. Seleziona la clip appena creata e tocca l’icona del cestino.
Come evitare un taglio in asse
I filmmaker hanno sviluppato molti modi per eliminare errori o pause imbarazzanti senza ricorrere ai tagli in asse. Puoi tagliare un’altra scena e magari incrociare le due scene oppure puoi tagliare in B-roll. Se, nel tuo film a New York, due personaggi sono seduti su una panchina di Central Park, puoi staccare sui filmati di una scena al parco.
La regola dei 30 gradi è alla base dell' editing del film: è la regola che afferma che la videocamera deve spostarsi di almeno 30 gradi in due riprese successive dello stesso soggetto. Se l'inquadratura si sposta di meno di 30 gradi, il risultato potrebbe interdire il pubblico e fargli credere che in fase di montaggio ci siano stati dei problemi, per esempio problemi di ripresa che si vogliono correggere affiancando nuovi fotogrammi, invece di riprendere di nuovo l'intera scena. Per questo motivo il regista deve cambiare di posizione alla videocamera per più di 30 gradi, in modo da non sembrare un taglio saltato. Mentre in fotografia, che è un unico fotogramma, il fotografo può e deve spostarsi anche di pochi gradi per ottenere l'immagine migliore, nel cinema questo non è possibile per non disorientare gli spettatori.
Riassumendo, il passaggio da una inquadratura all'altra di uno stesso soggetto, deve essere di almeno 30 gradi: una angolatura inferiore non sarebbe armoniosa, fluida
Quando si applica la regola dei 30 gradi, però è importante ricordarsi che il movimento della videocamera deve rimanere su un lato del soggetto per seguire e non saltare la regola dei 180 gradi. La regola deve essere applicata anche quando un soggetto che si muove viene ripreso da diversi punti in vari momenti del suo percorso: la sua traiettoria stabilisce una linea che delimita due campi: le riprese vanno effettuate esclusivamente o alla sua destra o alla sua sinistra.
Inoltre, quando si vuole cambiare di poco una inquadratura, è importante anche avvicinarsi od allontanare la videocamera dal soggetto pure senza spostarsi sull'asse, cioè sulla direzione videocamera-soggetto inquadrato, e questo si può fare anche modificare la lunghezza focale dell'obiettivo di almeno 20 mm ad ogni movimento (cioè per esempio aggiungere o togliere 20 mm nella zoommata di inquadratura), per esempio un allontanamento sull'asse dal Primo Piano al Piano Medio o viceversa.
Talvolta i registi a volte infrangono le regole della tecnica cinematografica convenzionale per ottenere degli effetti particolari, ma bisogna studiarli bene e provarli più volte.
Tra le due scuole fondamentali di cinema, quella hollywoodiana e quella sovietica di Ejzenstejn, la prima prende il sopravvento diventando il cosiddetto cinema classico. Se Ejzenstejn puntava al condurre lo spettatore verso un ragionamento che lo portasse alla crescita, spesso mediante l’utilizzo del montaggio parallelo come in «Sciopero», dove creò un parallelismo tra le rivendicazioni sociali sfociate in disastro e la macellazione di un bue in un mattatoio, il cinema hollywoodiano aveva scelto la strada opposta. Per Hollywood il montaggio doveva essere lineare, con legami di causa/effetto tra un’inquadratura e l’altra. Il pubblico non doveva fare eccessivi sforzi a livello intellettuale per comprendere il significato profondo di ciò che aveva davanti agli occhi, anzi, doveva essere supportato, in quanto la fruizione dell’audiovisivo diventava un’elemento di svago, che doveva garantire un rilassamento e un’immersione nel mondo fittizio del film, la cosiddetta diegesi. Per diegesi s’intende tutti quegli elementi di carattere profilmico che ruotano intorno alla vicende narrate (personaggi, musiche, oggetti, ambiente, ecc…). Il contesto del film deve apparire totalmente reale per far sì che lo spettatore accetti il patto col regista e s’immerga totalmente nell’opera, vivendola emotivamente.
Con questa finalità, oltre al montaggio lineare, si cominciò a parlare di montaggio invisibile. Più la presenza del montaggio è visibile, più l’immersione totale nell’opera risulta disturbata, quindi si doveva riuscire a limitare al massimo la percezione della sua esistenza, mascherandolo con dei vincoli specifici. La regola fondamentale del cinema hollywoodiano che risponde a questa necessità è la regola dei 180°.
Essa consiste nella suddivisione dello spazio scenico in due porzioni: lo spazio scenico visibile e lo spazio scenico invisibile. Ognuna di queste porzioni è di 180°. Nella prima, lo spazio scenico visibile, si posizionano gli elementi profilmici (attori, ambiente in cui si svolge la vicenda). Esso sarà la porzione che le macchine da presa riprenderanno dall’altra metà, dallo spazio scenico invisibile, dedicato totalmente agli elementi filmici e quindi alle attrezzature per la ripresa.
In una classica scena di dialogo, collegata alla regola dei 180° entra il campo-controcampo. Si chiama campo il primo attore ripreso nell’unità narrativa, mentre il controcampo sarà il secondo soggetto. Lo scambio del dialogo presuppone che i due attori siano messi uno di fronte all’altro, in un’alternanza d’interventi verbali ed espressivi che serviranno per far cogliere tutti i particolari. Si parte sempre da un piano d’ambientazione, dove il regista mostra il contesto in cui avviene il dialogo: un parco, un tavolino all’esterno o all’interno di un bar, per esempio. Nel piano d’ambientazione si vedono in lontananza i due attori, per poi passare al dialogo vero e proprio, dove si alternano primi piani degli attori, inquadrati in 3/4, in modo che si possano notare bene le espressioni e che il viso sia rivolto verso l’interlocutore.
Riprendendo un attore da una macchina da presa posizionata nello spazio scenico visibile, si avrebbe uno scavalcamento di campo e si confonderebbe lo spettatore. Avverrebbe uno spaesamento, perché lo spettatore si sarà abituato a vedere l’attore inquadrato dalla parte opposta e perderebbe l’orientamento. Per questo motivo, alla regola dei 180° si collegano tre tipologie di raccordi.
Parliamo di raccordi in fase di montaggio, quando un’inquadratura dev’essere collegata a una seconda. Per mantenere una logica nel movimento degli attori dello spazio scenico, per prima cosa, si deve rispettare il raccordo di posizione: se nella prima inquadratura Marco stava a destra e Luca a sinistra, anche nell’inquadratura successiva Marco starà a destra e Luca a sinistra. Poi, il raccordo di direzione di sguardo: se Luca e Marco stanno parlando tra loro e Marco guarda verso sinistra, Luca che è in posizione opposta dovrà guardare verso destra.
In ultimo, consideriamo il raccordo di direzione di movimento. Poniamo il caso che Luca esca da una stanza per entrare in un’altra e per questo motivo ci dovranno essere due inquadrature a rappresentare il suo movimento che inizierà in A e terminerà in B nella seconda stanza. Luca camminando uscirà dalla prima inquadratura verso destra e nella seconda inquadratura, la B, che inquadra la seconda stanza, dovrà entrare da sinistra, per rappresentare la continuità di movimento, pena la mancata comprensione da parte dello spettatore.
Articolo di Simone Usai per lavocechestecca.com
È piccolo, pratico, potente e piace tanto anche ai registi. Sul set dell’ultimo corto di Gabriele Muccino, «Living in a movie», non c’erano telecamere. L’unico strumento di ripresa era lo Xiaomi Mi 11 5G, uno smartphone che veniva impugnato da lui stesso e dagli operatori a mano libera. «Lo schermo dello smartphone mi permette di vedere subito se l’inquadratura che ho in mente corrisponde a quella della ripresa — racconta il regista —. Il telefono è un mezzo democratico, con cui si possono realizzare film e corti di qualità con un costo ridottissimo e tempi molto più brevi».
Tempo e denaro sono i due punti nodali degli «smartphone movie». Malik Bendjelloul per il suo documentario premio Oscar «Searching for Sugar Man» (2012) ha usato un telefono e un’app da due euro che simula una vecchia cinepresa 8 mm. Aveva finito il budget ed era l’unico modo per proseguire la lavorazione. Anche il capostipite dei film girati con un cellulare è nato per carenza di fondi. È «Sms Sugar Man» del sudafricano Aryan Kaganof del 2008, che non ha guadagnato la palma di primo «smartphone movie» solo perché gli smartphone ancora non c’erano (aveva usato otto Ericsson W900i).
L’assenza di fondi si unisce all’arte in «Tangerine», capolavoro del cinema indipendente del 2015. Sean Baker era stato costretto a girarlo con tre iPhone 5s perché non poteva permettersi telecamere di alta qualità ma ha saputo fare di necessità virtù. Il film è girato all’interno di un’angusta caffetteria americana dove le telecamere professionali non sarebbero potute entrare ma uno smartphone sì (e chiusa la lavorazione uno l’ha venduto per pagare l’affitto di casa). Un’altra «indie» come Jennifer Zhang ha fatto tutto col telefono: il suo «Charon» è stato anche montato con un’app.
Sono però le piccole dimensioni del telefono ad aver stregato i registi che non hanno problemi di budget: possono muoversi liberamente sul set, creare un maggior contatto con gli attori, nasconderlo per scene «rubate». C’è chi lo usa a mano libera, chi lo mette sul cavalletto e chi sfrutta il gimbal, lo stabilizzatore che tiene il telefono sempre puntato sul soggetto, ma anche chi sperimenta. Nel thriller psicologico «Unsane» (2018) di Steven Soderbergh ci sono scene di psicosi in cui si vede la protagonista muoversi senza sosta mentre viene inquadrata in viso e sulla nuca. Un artificio possibile grazie a un’imbragatura ideata sul set che manteneva i telefoni all’altezza della testa senza pesare sull’attrice.
Un altro sperimentatore come Gondry è riuscito a proporre le sue magie anche sul piccolo dispositivo: si stenta a credere che per il corto «Détour» abbia usato solo degli iPhone. «Nessuno si è accorto della differenza. Solo gli addetti ai lavori possono coglierla» aveva detto l’81enne Claude Lelouch del suo «I migliori anni della nostra vita», di cui un terzo è girato con lo smartphone. Il cellulare ha ancora tanti limiti, primo tra tutti le ottiche — in «Tangerine» Baker ha usato una lente anamorfica da 100 euro — ma compensa con l’intelligenza artificiale. I dispositivi attuali come il Mi 11 usato da Muccino hanno algoritmi che ricostruiscono digitalmente la ripresa per renderla più simile alla realtà. «La possibilità di girare di notte, senza alcuna luce aggiuntiva e avere tutto così bello, illuminato e vivo era una novità anche per il direttore della fotografia», racconta il regista che per ora però è cauto: «Tornerò a utilizzare lo smartphone per fare film solo se ce ne sarà bisogno. Rimango affezionato alla cinepresa».
Il link del video è: https://www.youtube.com/watch?v=hSeHlAycvg4
Articolo di Alessio Billi del 19 ottobre 2016 per colpidiscena.blogspot.com
Da High Flying Bird di Steven Soderbergh a Tangerine di Sean Baker, sono diversi i produttori cinematografici che hanno deciso di avventurarsi nella realizzazione di un film o semplice cortometraggio, sfruttando esclusivamente il sensore fotografico degli iPhone. Infatti, che sia un modello appena lanciato o già in commercio da alcuni anni, la qualità dei filmati girati con il melafonino è piuttosto elevata e, se associata ad alcuni accessori esterni come pannelli luminosi e microfoni, potrebbe farci ottenere risultati piuttosto soddisfacenti.
«La prima volta che ho preso in mano una telecamera avevo 16 anni mentre oggi anche i giovanissimi se la trovano “in tasca”. Senza togliere nulla alle camere e produzioni tradizionali, per i filmmaker indie l’iPhone diventa la possibilità di sperimentare con le inquadrature, di rendere le produzione più snelle ed economiche e persino liberare il cast di elementi di scena che potrebbero distrarli dalla performance» spiega Giovanni Labadessa, produttore cinematografico e co-founder del Nòt Film Fest affiancato da Alizé Latini e Noemi Bruschi: un festival dedicato al cinema indipendente internazionale oramai giunto alla quarta edizione. «Due icone indie hanno scelto la videocamera del loro smartphone per girare tre dei loro film. È il caso di Unsane e High Flying Bird di Steven Soderbergh oppure Tangerine di Sean Baker. Questo ci mostra concretamente quanto quell’idea possa garantire qualità. Ovviamente però, tutto questo funziona solo se applicato a un idea di estetica cinematografica e una visione registica affine a questo nuovo formato. Infine, l’iPhone permette a giovanissimi di avere a disposizione uno strumento potentissimo per crescere come produttori di film: sono quindi curioso di vedere cosa si prospetta per il cinema del futuro» conclude Labadessa.
Sul tema, inoltre, è Lorenzo Follari, regista e sceneggiatore italiano che vive e lavora a Stoccolma e co-fondatore della società di produzione Harvest Film AB a commentare: «Un iPhone è solo la camera: l’ultima cosa a cui pensare se si vuol fare un buon prodotto. Può sembrare strano ma quando si gira un film o un cortometraggio la camera è solo lo strumento di cattura dell’immagine. Quello che è importante è tutto ciò che gli si pone davanti. Da questo punto di vista, dunque, una camera vale l’altra e in un momento in cui la tecnologia va così veloce anche lo smartphone diventa dunque un valido strumento di ripresa - con i suoi pregi ma anche con i suoi limiti. Un normale smartphone permette a chiunque di cimentarsi come filmmaker, e questo è forse ciò che di più importante ci sia. Girare con il proprio telefono in buona qualità permette a chiunque abbia una buona idea di realizzare un prodotto, di sperimentare sul set e di essere creativo, senza bisogno di costi stratosferici. La tecnologia rende dunque il cinema, il fare cinema, aperto a tutti. Le idee contano, non l’attrezzatura».
Pertanto, se vi piace l'idea di realizzare un buon film utilizzando il melafonino, l'impresa non sarebbe poi così impossibile ma senza dubbio è necessario prendere in considerazione alcuni accorgimenti per catturare le scene in modo corretto. Esistono, infatti, alcune applicazioni - come FiLMiC Pro - che ci permettono di settare la videocamera dell'iPhone come una normale camera o reflex, regolando i parametri in maniera analitica a seconda del risultato che vogliamo ottenere, così come app e servizi utili per la fase di pre-produzione o strumenti per catturare l'audio in modo corretto: «Per realizzare un ottimo film utilizzando solamente il proprio iPhone, è fondamentale per prima cosa prestare molta attenzione al suono da catturare nel momento in cui filmiamo una scena. Gli adattatori del microfono e i microfoni multipli che registrano il suono separatamente sono strumenti fondamentali per aiutarci in questo e permetterci quindi di ottenere un perfetto audio per il nostro film» ci spiega Peter Baxter, regista e produttore inglese oltre che fondatore dello Slamdance Film Festival - un'alternativa indipendente al Sundance Film Festival - e conclude «Una cosa molto importante da segnalare sul tema è che filmare con un iPhone abbassa l'inibizione degli attori esordienti e non professionisti, permettendo al regista di catturare i momenti significativi in ogni modo possibile!».
Quindi, quale opportunità migliore per produrre un film anche senza possedere attrezzature costosissime? Nella gallery potrete scoprire 6 consigli di Lorenzo Follari per girare un film con iPhone nel modo migliore.
Utilizza un'app professionale
Per le riprese, una buona applicazione da utilizzare è FiLMiC Pro: un'applicazione di produzione di film incredibilmente avanzata per iOS e Android che permette di sfruttare al massimo il proprio dispositivo trasformandolo in una videocamera professionale. Tra i vari benefici, offre maggior controllo sulla fotocamera del telefono, consentendo la modifica manuale dell'esposizione, ISO, velocità dell'otturatore, messa a fuoco e zoom. Filmic Pro, ad esempio, è stata utilizzata da Steven Soderbergh per realizzare High Flying Bird. Foto di PhotoMIX Company da Pexels
Imposta i parametri manuali
A seconda dell’app che utilizziamo è importante imparare a settare le impostazioni in maniera manuale e non automatica, come se stessimo utilizzando una videocamera professionale o reflex. In questo modo potremo sperimentare al massimo senza affidarci alle impostazioni automatiche già proposte dal telefono che purtroppo non ci fanno esprimere a pieno la nostra creatività.
Fai attenzione al suono
Il suono è tanto importante quanto le immagini, pertanto quando giriamo un video con iPhone ricordiamoci di utilizzare le app e strumenti esterni che ci permettono una presa perfetta dell'audio, così che la qualità di quest’ultimo rispecchi quella del video
I tool di pre-produzione
L’aiuto regia, insieme a tutto il reparto di produzione, ha a disposizione un infinito numero di app per organizzare le riprese in modo professionale ma anche rapido e immediato. Un regista o un direttore della fotografia può avere il viewfinder in un app - per decidere magari quale lente sia più adatta ad una determinata inquadratura. Un gaffer, invece, può controllare con SunSeeker dove si trova il sole a qualunque momento del giorno e in qualsiasi location, così da calibrare le riprese esterne utilizzando al meglio la luce naturale oppure una segretaria di edizione avrà le sue note sullo smatphone - o iPad di solito - grazie ad una comoda applicazione.
La post-produzione
Ci sono varie app che ci possono aiutare ad eseguire la post-produzione come Adobe Premiere Rush, una versione lite di Premiere Pro disponibile per i dispositivi iOS gratuitamente. Grazie alle funzioni offerte, i registi possono scattare, modificare e condividere i loro video in un unico dispositivo, aprendo i file Rush direttamente in Premiere. La timeline, inoltre, è molto intuitiva e consente agli utenti di organizzare video, audio, grafica e foto, regolare l'audio, migliorare il colore, aggiungere titoli, transizioni o addirittura voci fuori campo.
Sfrutta i servizi in cloud
È una buona idea organizzare il lavoro in maniera più facile e veloce utilizzando un'app dedicata anziché la carta: in questo modo la condivisione sarà istantanea e tutte le modifiche verrranno comunicate in tempo reale a tutti. Per troupe di 40-50 o più persone, avere tutti i documenti aggiornati dal vivo in un cloud è ormai indispensabile!
ARTICOLO di
Le seguenti indicazioni sono valide sia per i video realizzati con apparecchiature amatoriali, sia quelli prodotti da apparecchiature di tipo professionale. Si tenga conto, comunque, che è solo la continuità con cui viene utilizzata la strumentazione tecnica a garantire la produzione di un filmato di qualità via via migliore.
Ecco le regole da seguire:
# Focalizzare in precedenza lo sviluppo della storia, stendendo a tavolino uno story-board. Insieme allo story-board conviene fare un elenco di materiali che servirà per le riprese, luci, microfoni, camera e cavalletto, etc.
# Registrare per circa un minuto una base di nero, ponendo il tappo davanti l’obbiettivo.
# Quando la telecamera lo consente, fare sempre il bilanciamento del bianco in manuale sul filtro esatto a secondo delle condizioni di luce: 3200° Kelvin con luce artificiale e quando si riprende al tramonto o all’alba, 5500° Kelvin con luce solare. Se si effettua una ripresa al sole o all’ombra, la temperatura colore cambia, in questo caso bisogna avere l’accortezza di fare di volta in volta il bilanciamento del bianco con la luce ottimale di ripresa, poiché le due situazioni hanno differenti e marginali dominanti di colore. Sulla neve o nelle giornate di sole estivo, intorno al mezzogiorno, molte volte bisogna inserire un filtro ND che riduce sensibilmente la luce che arriva in macchina. Nelle nuove camere digitali il bianco si può selezionare tra vari preset: luce artificiale, sole, nuvole etc., nella funzione manuale si riesce ad ottenere un bianco giusto ricordandosi che il foglietto bianco, la parete o qualsiasi oggetto bianco deve essere illuminato correttamente dalla sorgente di luce presente nell’ambiente, per sapere se è stato accettato dalla macchina, tenendo premuto il tasto del bianco manuale deve smettere di lampeggiare il simbolo che appare nel view-finder.
# Premuto il tasto di registrazione posto sulla telecamera, prima di iniziare a registrare immagini in movimento occorre rimanere fermi per almeno 2 secondi in caso di montaggio in macchina, almeno 5 secondi in caso di post-produzione (montaggio ottenuto con due videoregistratori). Su immagini fisse bisogna aumentare, sempre a seconda del tipo di montaggio, rispettivamente 2 o 5 secondi il tempo di registrazione. Questo serve per precauzione nel primo caso, in quanto le camere poste in commercio iniziano a registrare circa un secondo dopo che la spia rossa si illumini o che compaia la parola REC nel view-finder della telecamera e nel secondo caso per avere un segnale sincronizzato, non avere dei fastidiosi sganci su un immagine iniziale e non avere l’immagine in movimento tagliata.
# Se si ha il tempo necessario, provare il movimento di partenza e di arrivo prima di registrare una scena.
# Controllare sempre il fuoco prima di riprendere il soggetto tenendo presente quanto segue:
A- se il soggetto e la camera, durante la ripresa, non sono in movimento, il fuoco viene ottenuto zoomando vicino (tele), mettendo successivamente a fuoco il centro dell’immagine riprodotta nel view-finder e infine allargando fino ad ottenere l’inquadratura desiderata.
B- Se il soggetto o la camera sono in movimento, fare il fuoco ottimale correggendo morbidamente.
C- Naturalmente le nuove camere in commercio hanno l’autofocus, ma per alcune scene conviene sempre, se la camera lo permette, usare il fuoco in manuale.
# Avere possibilmente un appoggio stabile, (cavalletto) o bilanciare bene la camera se la ripresa viene effettuata a spalla, tenendo le gambe divaricate a circa 45° (non oltre la larghezza delle spalle) con il peso del corpo perfettamente in centro. Controllare sempre nel view-finder la linea dell’orizzonte.
# Quando il tipo della ripresa lo consente, non registrare più di 20 secondi di immagini panoramiche e 10 secondi di primi piani d’ascolto.
# Non tornare indietro su un movimento effettuato. Ad esempio su una panoramica a destra non tornare subito a sinistra, su uno zoom da totale a primo piano non tornare a totale. Questa regola si può ignorare durante un’intervista, però bisogna avere l’accortezza di aspettare almeno 50 secondi o di più prima di riallargare o stringere, questo perché poi in fase di montaggio si può intervenire.
# Mantenere un taglio il più possibile fotografico nelle inquadrature.
# Tenere la persona intervistata in asse con l’ottica della camera, cioè non più bassa o non più alta.
# Se possibile garantirsi di una buona illuminazione.
# Evitare, quando è possibile e quando lo story-board non lo prevede le immagini in controluce ( forte illuminazione alle spalle del soggetto, per es. le finestre).
# Curare anche la ripresa audio usando appropriati microfoni ausiliari se la camera lo permette (mic. In o aux. In).
# Nel caso di registratori con due piste audio separate - mono canale 1 (CH 1), canale 2 (CH 2) - bisogna tenere sempre l’audio originale su CH 2 e la musica o il commento (voce fuori campo) su CH 1. Sulle nuove camere digitali bisogna registrare in funzione 12 Bit.
# Per evitare di tagliare le immagini e l’audio all’inizio di un’intervista, ricordarsi che l’intervistatore deve contare mentalmente tre secondi prima di iniziare a parlare dopo il via.
# Corredare sempre, quando i mezzi lo consentono, il filmato con un titolo di presentazione e con musiche adeguate alla ripresa. In un filmato senza interviste, oltre al commento sonoro sarà necessario inserire anche un commento parlato per alleggerire la visione del filmato.
# Avendo la possibilità di montare su computer, alcuni programmi permettono di inserire delle barre colore e una nota musicale, in genere di 1000 Hertz, in questo caso si procede con circa un minuto di barre con la nota, circa 20 secondi di nero e se ci fosse la possibilità il counter animato che da 7 secondi porta a zero, questo serve a tarare eventuali apparecchiature in fase di messa in onda (in caso di televisioni), di taratura di apparecchi televisivi in caso di videoproiezioni e in ultimo per dare una coda iniziale per preservare il filmato in caso di nastro rovinato accidentalmente.
# Non eccedere nella lunghezza del filmato, perché un documentario o un’intervista lunga provoca noia e disinteresse negli utenti finali.
# Nel montaggio di un’intervista alternare i brani parlati con immagini inerenti all’argomento trattato, registrate sul luogo o prelevate dal proprio archivio video o fotografico.
# Nel montaggio alternare sempre delle immagini in movimento a delle immagini fisse e non montare mai in sequenza delle immagini che abbiano la stessa inquadratura (in gergo: stacco in asse), lo stesso movimento (per es.: panoramica a sinistra con panoramica a sinistra o a destra), immagini di gruppo poste sullo stesso asse o aventi lo stesso taglio di inquadratura.
# Non esagerare con gli effetti nelle riprese o nel montaggio, per es. uso di filtri particolari, posizioni strane di ripresa, effetti speciali ottenuti con appositi mixer video, generatori di effetti speciali o montati su computer.
da dreamvideo.it
Le luci offrono una gamma enorme di scelte, per tipi e dimensioni, di conseguenza esistono svariate modalità di utilizzo della luce nella scena.
Luce disponibile
Questa è la luce che si può trovare in qualsiasi luogo ed ha fonti naturali: luce del sole, lampade fluorescenti, incandescenti od alogene, una semplice candela o un fuoco di un camino; sono esempi in cui queste possono interagire differentemente in un ambiente.
Luce dura e Luce morbida
Viene definita dura quella luce che è diretta, che crea così un contrasto netto tra l'oggetto inquadrato e le sue ombre. Viene utilizzata, in genere, per una definizione marcata di superfici e quindi, per le sue caratteristiche, aumenta l'illuminazione globale dell'oggetto.
L'illuminazione naturale dei raggi solari è un esempio di luce dura.
In contrapposizione alla luce dura vi è la luce diffusa, o morbida, che sfuma ed ammorbidisce i contrasti di ombre. Viene utilizzata per smorzare i i toni decisi della luce dura; inoltre può essere utilizzata per bilanciare l'insieme dell'illuminazione generale di una scena.
La luce del sole durante le giornate nuvolose è un esempio classico di luce morbida.
Un esempio di luce dura è quella che si crea utilizzando un faretto montato sopra la telecamera. Infatti, la luce del faretto è unidirezionale, e viene proiettata in modo diretto sul soggetto creando appunto un contrasto netto tra luce e l'ombra.
Se interponiamo un filtro diffusore tra la luce ed il soggetto, questa si trasformerà in luce morbida.
Un altro sistema per ottenere una luce diffusa consiste nell'utilizzare un riflettore, come possono essere, ad esempio, un cartellone bianco od un ombrello diffusore.
La luce chiave (Key Light)
Cosiddetta perchè è la luce principale che illumina il soggetto.
È frequente che ci si riferisca ad essa chiamandola, in gergo tecnico, "chiave" così come quando si dice "utilizziamo la luce solare come chiave".
In effetti è la fonte di luce più forte e viene posizionata generalmente di lato rispetto alla telecamera.
Essendo abbastanza intensa viene usata spesso come sorgente di luce diretta.
Luce di riempimento (Fill Light)
Questa luce si usa per diffondere la luce sul soggetto ottenendo un risultato di morbidezza che attenua le ombre decise e nette create dalla luce-chiave.
La luce di riempimento è solitamente posizionata dall'altro lato della telecamera rispetto alla luce-chiave e di norma ha una potenza minore rispetto alla luce principale (chiave).
Luce posteriore (Back Light)
Viene utilizzata per illuminare la parte posteriore del soggetto in modo da "staccare" il soggetto dallo sfondo e quindi dare maggior realismo alla scena.
Questa luce, di solito, è posizionata esattamente dalla parte opposta della luce principale (chiave).
Articolo da dreamvideo.it
"Lavorare con la luce è dipingere con la cinepresa." - Eisenstein
"La luce può eliminare alcune cose, può sottolinearne altre, può modificare l'aspetto delle une e delle altre." - Pudovkin
Qual'è lo scopo principale dell'illuminazione? Garantire che il soggetto sia illuminato a sufficienza affinché sia assicurata una visione nitida dello stesso nel video.
Ma non solo, l'illuminazione ha una grande importanza anche per la composizione dell'inquadratura. Per ogni situazione, per ogni concetto, per ogni idea che si vuole esprimere, esiste un'illuminazione adatta.
Una illuminazione sbagliata può sminuire la bellezza di una scena e annullare o modificare l'interpretazione di un attore.
Modellare luci ed ombre comporta una conoscenza tecnica molto approfondita, che ogni direttore della fotografia dovrebbe avere.
Si parte con la cosiddetta luce disponibile ossia quella luminosità che è presente normalmente in ogni luogo: quando ci si appresta a girare delle scene in esterni, che sia di primo mattino o di pomeriggio, la luce naturale è già sufficiente ad assicurare una buona riuscita della ripresa, ma, nonostante questo, la maggior parte delle volte è necessario ricorrere a luci artificiali.
Quando si parla di luce sufficiente, si intende che il soggetto inquadrato sia "nitido" anche nei dettagli. Attenzione a non credere troppo all'esposimentro della telecamera, il quale può dare valori non sempre corretti, per esempio se abbiamo il soggetto davanti ad un grande muro bianco, l'esposimetro vede una gran quantità di luce riflessa dal muro e segnala che la luce è sufficiente quando, invece, il soggetto è buio perchè la luce incidente è poca.
Un'altro aspetto dell'illuminazione è la possibilità di nascondere o evidenziare alcuni elementi che vengono ritenuti importanti durante la ripresa.
Utilizzo della luce naturale, che entra da un pozzo, per evidenziare lo speleologo.
Utilizzo di una luce "spot" per evidenziare il vino che viene versato nel bicchiere.
Con la luce si può:
* attirare l'attenzione su una zona precisa dell'inquadratura;
* evidenziare o nascondere dettagli e forme;
* dare maggiore o minore spazialità ad oggetti e ambienti;
* creare atmosfere;
* creare stati d'animo;
* evidenziare i contorni rispetto alle superfici;
* evidenziare le superfici rispetto ai contorni;
* alterare e creare colori.
La luce è uno strumento creativo e la sua scelta è molto importante nella realizzazione di un video.
È importante sottolineare la differenza sostanziale tra l'occhio umano e la telecamera: sono differenti i modi e le capacità di cogliere i dettagli e le sfumature degli oggetti scuri e chiari e il contrasto fra questi.
Le telecamere professionali riescono ad assicurare risultati buoni anche nelle condizioni di illuminazione peggiore (o particolari), ma sono molto costose.
Le telecamere di medio livello, e certi modelli in particolare, sono state migliorate e sono più accessibili come prezzo. Sono sempre da preferire i modelli con 3 CCD.
Tecnicamente il problema principale sta nel fatto che le telecamere, hanno un intervallo tonale più ristretto rispetto all'occhio umano; questo significa che è basso il rapporto tra l'oggetto più scuro e quello più chiaro in cui si possono cogliere bene i dettagli.
Se l'occhio umano ha un intervallo tonale che va da 10 a 1, una telecamera può soltanto gestire un intervallo tonale che va da 2 a 1, per questo motivo non può riprodurre le zone più chiare e quelle più scure di una scena.
Articolo da dreamvideo.it
Da Datavideo, ecco un sistema semplice ed economico per realizzare un perfetto Chroma Key. Semplice perchè non richiede grandi spazi; economico perchè non richiede tanta luce aggiunta. Il sistema Datavideo si basa su un telo riflettente speciale, di colore grigio che, illuminato dalla luce dell'anello illuminatore (che si applica all'ottica della macchina da presa), assume le "classiche" colorazioni verde o blu (uno switcher consente di passare da un colore all'altro, a seconda delle esigenze fotografiche e produttive).
Anello illuminatore, telo speciale e "bucatore": ecco tutto quello che occorre a Datavideo per realizzare un Chroma Key di ottima qualità. La cui principale caratteristica consiste proprio nella poca luce richiesta: è sufficiente illuminare la figura in primo piano, secondo le esigenze espressive del regista o del direttore della fotografia, perchegrave; il telo speciale Datavideo non necessita di luce dedicata.
Mentre in un normale Chroma Key occorre illuminare bene e in modo il più possibile uniforme il telo (verde o blu che sia), nel sistema Datavideo questa luce aggiunta non serve! L'anello illuminatore "inganna" la camera al punto che il telo, anche quando non è perfettamente teso, non presenta pieghe o grinze all'atto di "bucare"!
Insomma, con il sistema Datavideo allestire uno studio Chroma Key è davvero molto semplice: si risparmiano tempo e denaro, due degli elementi "magici" di qualunque processo produttivo.
Inoltre, in combinazione con il mixer Datavideo SE-900, è possibile creare un vero e proprio Multi Camera Virual Set. Il mixer SE-900, che dispone di 8 ingressi, "dedica" 4 ingressi alle sorgenti "live" (ovvero le inquadrature dal vivo di 4 camere) e altri 4 ingressi agli sfondi preimpostati, che possono essere delle immagini J-PEG come anche dei filmati. Mantenendo una certa coerenza tra l'inquadratura dal vivo e lo sfondo aggiunto, si pu˜ dare l'illusione che il personaggio o i personaggi ripresi dal vivo si muovano in un vero e proprio "studio virtuale", in un ambiente insomma costruito grazie alle apparecchiature Datavideo.
L'esperienza di un video maker: intervista a Francesco Camozza
- Allora, Francesco, tu hai utilizzato il sistema Chroma Key Datavideo per un tuo lavoro, giusto?
Esatto.
- Cosa ci puoi dire in merito?
Beh, sono molto soddisfatto del risultato e soprattutto del poco tempo impiegato per ottenerlo. Dovevo realizzare una ripresa che avesse un panorama il più possibile vasto di Torino come sfondo. Allora sono andato in collina in diversi giorni, sia soleggiati che brumosi. Ho ripreso diverse vedute di Torino che poi ho utilizzato come sfondi per la scena recitata dal vivo, che attraverso i diversi aspetti della città sullo sfondo esprime gli stati d'animo dei personaggi.
- Un'idea interessante!
Beh, l'idea è merito dello sceneggiatore. Io l'ho realizzata visivamente, e devo dire che il Chroma Key Datavideo ci ha consentito di girare su un piccolo palcoscenico con giusto due faretti da 100 sugli attori e una piccola diffusa.
Molto pratico.
- Eri diffidente verso il sistema?
No, ero curioso di provarlo, mi sembrava... troppo semplice! Ma devo dire che è stato perfetto per le nostre esigenze.
- Qual è stato il problema maggiore, se c'è stato un problema?
No, nessun problema, direi...
- E il maggior vantaggio, secondo te?
La facilità di utilizzo. Di solito fare un blue o un green screen impegna di più un direttore della fotografia! Noi ce la siamo cavata davvero con poco!
Se sei un regista di qualsiasi tipo, devi conoscere le regole della produzione cinematografica e video. Comprendere queste regole ti dà il controllo sulle tue immagini. Una delle regole più importanti da conoscere è la regola dei 180 gradi. Abbiamo messo insieme una guida che ti insegnerà come seguire la regola dei 180 gradi, oltre a infrangerla e piegarla in modo da poter attraversare tale linea immaginaria con sicurezza.
1. Che cos'è la regola di 180 gradi?
Una delle prime cose insegnate nella scuola di cinema è la linea dei 180 gradi. È un utile punto di partenza da conoscere per qualsiasi tipo di produzione video perché ti introduce a una regola pratica del cinema e ti invita a pensare visivamente.
La regola dei 180 gradi è una linea guida per le relazioni spaziali tra due personaggi sullo schermo. La regola 180 imposta un asse immaginario, o linea dell'occhio, tra due personaggi o tra un personaggio e un oggetto. Mantenendo la telecamera su un lato di questo asse immaginario, i personaggi mantengono la stessa relazione sinistra / destra tra loro, mantenendo lo spazio della scena ordinato e facile da seguire.
Quando la telecamera salta sull'asse invisibile, questo è noto come attraversare la linea o spezzarla, e può produrre un effetto disorientante e di distrazione su uno spettatore.
2. Come seguire la regola dei 180 gradi
La regola stabilisce che una volta stabilita la linea, è necessario decidere da quale lato della linea posizionare ogni successiva configurazione della videocamera. In breve, è necessario mantenere la fotocamera sullo stesso lato della linea. Altrimenti, hai superato il limite.
La sfida (Heat) è un film del 1995 scritto e diretto da Michael Mann con Al Pacino e Robert De Niro.
Ecco una scena del ristorante che mette in pratica perfettamente la linea 180. La linea di 180 gradi attraversa il tavolo attraverso Pacino fino a De Niro. Guarda il video, ma presta attenzione alla loro vista:
Pacino guarda a destra.
De Niro guarda a sinistra.
Questo viene fatto in modo che lo spettatore possa mantenere un senso di orientamento durante la scena.
Alcuni film e registi hanno scelto di mantenere una linea coerente per tutto il film. Questo livello di coerenza è fantastico e quei film traggono sicuramente beneficio da una spietata attenzione ai dettagli, ma non è necessario per ogni storia.
Ci sono momenti in cui puoi trarre vantaggio dall'infrangere o rompere la regola di 180 gradi, mentre gli attori sono al top dell'interpretazione, la sensazione che genera tale interruzione di linea dovrebbe essere una tua decisione.
In caso contrario, potresti sprecare la tua energia cinematografica.
3. Gestire le scene con più linee dell'occhio
Se ti ritrovi a girare una scena con un gruppo di personaggi, aiutati a pensare al tuo set come se fosse una rappresentazione teatrale, con la cinepresa posizionata tra il pubblico.
La stessa linea che separa lo spettatore dagli artisti è la stessa linea che userai per mantenere una direzione dello schermo costante.
Puoi superare questa linea e tentare di stabilire linee individuali tra ciascun personaggio, ma ogni volta che lo fai amplifichi il grado di difficoltà a mantenere un orientamento coerente in tutta la scena.
Articolo di Sc Lannom da studiobinder.com
Vedere un singolo attore o attrice fare due o più parti in un film è spesso interessante, specie se a essere interpretati e a interagire tra loro sono due gemelli o addirittura due personaggi che in qualche modo sono la stessa persona: copiata, clonata, sdoppiata, sognata o in viaggio nel tempo. Soluzioni narrative di questo tipo sono vecchie quasi quanto il cinema, ma nei decenni le tecniche sono cambiate profondamente: come ha raccontato di recente Insider, si partì con un creativo ma molto artigianale taglia-e-cuci e, dopo una serie di miglioramenti tecnici e tecnologici, si è arrivati alla vastissima (ma costosissima) gamma di possibili soluzioni digitali di questi anni. Uno dei primi a sperimentare lo sdoppiamento nel cinema fu l’illusionista, inventore e regista francese Georges Méliès: “uno dei primi” a fare parecchie cose, nel cinema. In "Un homme de têtes", un cortissimo cortometraggio del 1898, Méliès mise contemporaneamente in scena diverse versioni della sua testa, e lo fece grazie a una tecnica nota come mascherino/contromascherino: in breve, prevedeva che un pezzo di lente della cinepresa venisse coperto, così che l’immagine non si imprimesse sul corrispettivo pezzo di pellicola, lasciando quindi quel pezzo libero per una diversa immagine (in questo caso una delle teste di Méliès).
Visto che nella storia del cinema sono state rare le coppie di attori o attrici che fossero davvero gemelli o gemelle, molti altri registi dovettero ingegnarsi quanto e più di Méliès per fare scene con doppelgänger sempre più lunghe e complicate. Ma in genere l’approccio non fu granché diverso: Il cowboy con il velo da sposa, film del 1961 doppiamente interpretato da Hayley Mills, fu girato oscurando di volta in volta la metà a sinistra o quella a destra della lente della cinepresa, e unendo poi le due diverse metà. Sempre prestando grandissime attenzioni affinché nessuno spostasse la cinepresa o qualche oggetto del set tra una scena e l’altra. La tecnica usata in Il cowboy con il velo da sposa aveva però i suoi limiti, in quanto impediva un vero contatto fisico tra le due metà e obbligava a fare scene tra loro molto simili e spesso forzatamente simmetriche: un gemello a sinistra, un gemello a destra e in mezzo, tra loro, qualche elemento di arredamento che permettesse di capire bene dove e come tagliare e ricucire le due metà.
Già nella prima metà del Novecento, comunque, ci fu chi riuscì a far interagire fra loro due gemelli. In Il prigioniero di Zenda, Ronald Colman interpreta due personaggi: la scena in cui si stringono la mano fu girata con due attori, Colman e una controfigura il cui viso era dietro una parte di lente coperta. Poi fu riavvolta la pellicola, e la scena fu di nuovo girata coprendo tutto tranne la parte col viso precedentemente coperto, che al secondo giro apparteneva a Colman. La tecnica di Méliès, ma portata agli estremi.
Le cose cambiarono alla fine degli anni Settanta, dopo che diversi registi iniziarono a impratichirsi con la tecnologia che permetteva di registrare e duplicare più volte i medesimi movimenti di cinepresa. Il primo film a usarla diffusamente fu Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza, ma poi tornò utile a molti altri, specialmente ai film con i gemelli. Permise infatti di girare una scena con svariati movimenti di cinepresa con un attore che interpretava il gemello A, e poi rigirarne un’altra daccapo, con quello stesso attore che interpretava il gemello B. Una sua efficace applicazione è quella di Inseparabili, con due gemelli monozigoti interpretati da Jeremy Irons.
Un altro miglioramento fu portato poi dal green screen, che permise di far recitare gli attori (anche uno per volta) davanti a uno schermo verde, aggiungendo in seguito altri attori o sfondi di ogni tipo. Questa tecnica, insieme ad alcune altre, fu usata nel 2002 per Il ladro di orchidee, un film che secondo Insider contiene circa 130 scene in cui il protagonista Nicolas Cage è presente due volte, nei panni dei gemelli Charlie e Donald Kaufman.
Non sempre però il green screen funziona, perché in certi casi – in particolare in quelli con scene all’aperto e con luminosità variabile – può dare spiacevoli problemi. Nel caso di Il ladro di orchidee, per esempio, fu usato per circa una scena gemellare su cinque. Per quelle più complicate fu invece utilizzato il “digital rotoscoping”: una tecnica che, in buona sostanza, permette di tagliare e ricucire tra loro digitalmente vari pezzi di scena, anche nel caso in cui la scena non sia stata girata originariamente su un green screen. Con questa tecnica si possono quindi prendere un busto, una mano o una testa e spostarle in una scena diversa, al posto di un altro busto, un’altra mano o un’altra testa.
Ma nemmeno questo è sufficiente se, anziché due gemelli, si vogliono ottenere decine di versioni di uno stesso personaggio, come nel caso degli agenti di Matrix. Per situazioni come questa si deve fare affidamento alle immagini generate a computer e alla creazione di una serie di cloni digitali di un unico attore e personaggio. Immagini di questo tipo sono però ancora lontane dall’essere davvero indistinguibili da quelle reali, e quindi spesso usate solo per inquadrature senza troppi primi piani, e soprattutto incredibilmente costose. Tutto Matrix Reloaded, un film pieno zeppo di effetti speciali, costò 15o milioni di dollari e la sua scena con decine di agenti ricreati digitalmente contribuì, da sola, a quasi un terzo di quel budget.
Nel caso in cui i cloni siano pochi o i gemelli solo due, in anni recenti si è spesso scelto di usare la tecnica della performance capture, quella usata ad esempio dall’attore Andy Serkis per il personaggio di Gollum nel Signore degli Anelli. Per far sì che nel film The Social Network entrambi i gemelli Winklevoss fossero interpretati da Armie Hammer, il regista David Fincher scelse di mettere sulla faccia di un altro attore di corporatura simile a quella di Hammer una versione digitale della faccia di Hammer. L’altro attore (Josh Pence) si dovette quindi allenare insieme a Hammer perché i loro movimenti diventassero molto simili tra loro. Nel film, quindi, ogni tanto si vede il corpo di Pence, ma mai il suo volto.
Le più innovative tecniche usate per mostrare gemelli, cloni o versioni alternative di certi personaggi si stanno avvicinando sempre più alla creazione di quelli che sono a tutti gli effetti dei doppi digitali di certi attori. Se ne parlò in particolare dopo Gemini Man, film del 2019 di Ang Lee con due Will Smith protagonisti: uno è l’attore, oggi 52enne, l’altro una sua versione digitale con la metà dei suoi anni, creata apposta per il film. Ma, volendo, riutilizzabile anche in futuro.
Per Noi – film del 2019 di Jordan Peele, in cui ogni membro di una famiglia è assalito dal suo doppelgänger – si scelse invece di utilizzare di volta in volta una tecnica diversa, a seconda delle esigenze di ogni scena. A suo tempo, Insider dedicò al film un video monografico, la cui visione è però sconsigliata a chi preferisce non sapere troppo sulla trama.
Non sempre, infatti, si sceglie di usare la soluzione più recente e innovativa: ci sono ancora casi, anche nel grande cinema, in cui ci si può accontentare di una controfigura che assomiglia molto a un attore, o anche di di tecniche di per sé non molto differenti da quelle che a suo tempo usò Méliès.
Anche perché se è vero che la tecnologia può ormai fare moltissimo, è pure vero che per gli attori e le attrici non sempre è facile recitare in mezzo al niente, davanti a uno schermo verde e magari addirittura con una tutina addosso, provando a immaginarsi tutto quello che qualcuno aggiungerà solo in seguito. Insider fa vedere, per esempio, che per il film del 2013 Enemy Jake Gyllenhaal passò una parte del suo tempo sul set recitando davanti a una pallina da tennis messa su un’asta.
La pallina serviva a Gyllenhaal per avere qualcosa da guardare così da non dare l’idea di stare fissando il vuoto. E per chi si occupava di postproduzione era relativamente semplice da rimuovere (di certo più semplice rispetto a una controfigura umana). Più avanti, in postproduzione, qualcuno tolse asta e pallina e aggiunse Gyllenhaal.
Articolo di IlPost.it
Come fare un buon video con l’iPhone o in generale con uno smartphone? Ci sono alcuni trucchi e delle tecniche di base che conviene seguire per ottenere il massimo quando si usa la videocamera di un cellulare di ultima generazione, in modo da realizzare video che qualche volta hanno caratteristiche paragonabili a quelle di clip girate con dispositivi professionali. Alcuni possono sembrare suggerimenti banali e ovvi, ma paradossalmente la maggior parte degli utenti di uno smartphone li dimentica appena si accinge a effettuare una ripresa video. Vale allora la pena di fare un elenco con tutte le regole di base da rispettare per ottenere buoni risultati in termini di qualità video.
1. Tenere lo smartphone in posizione orizzontale e non come normalmente lo si maneggia: il bordo più lungo va in basso. Le dimensioni del video che si registra infatti hanno sempre la base più lunga dell’altezza, quindi al momento in cui lo si riprodurrà, se la ripresa è stata effettuata con lo smartphone in verticale si avrà un video con delle fasce laterali nere. Del tutto inadatto alla maggioranza degli schermi su cui si andrà effettivamente a rivederlo.
2. Mantenere ben fermo lo smartphone. La regola numero uno di chiunque effettui una ripresa video è assicurarsi che la videocamera non si muova durante le riprese, a meno che non si debba seguire un soggetto in movimento o si effettuino spostamenti volontari del campo visuale. E anche in quest’ultimo caso, quasi sempre lo spostamento della videocamera deve essere fluido e continuo, sempre senza scatti. Cosa fare allora? Usare entrambe le mani per reggere lo smartphone. Tenere i gomiti stretti contro il corpo. Se si è in piedi divaricare le gambe leggermente in modo da ottenere una posizione stabile e comoda. Trovare un buon punto d’appoggio sul terreno evitando di stare in equilibrio precario. Quando si muove lo smartphone per seguire il soggetto cercare di piegare tutto il corpo e non solo le braccia e le mani e se si deve camminare abituarsi a farlo in modo da spostare il baricentro del corpo solo orizzontalmente e non anche verticalmente. In altri termini, bisogna tenere la testa sempre alla stessa altezza e spostarsi solo avanti e indietro. Se si usa spesso lo smartphone per realizzare video, può essere utile acquistare un accessorio che aggiunge una maniglia esterna (o addirittura un cavalletto) al dispositivo per poterlo maneggiare comodamente e più stabilmente.
3. Controllare l'inquadratura. Di default l’app per la ripresa installata nell’iPhone riproduce sullo schermo una preview del video che si sta per registrare. Va tenuto presente però che già il sensore a 720p dell’iPhone riprende un’inquadratura più ampia dello stesso display, per cui colpendo rapidamente col dito due volte lo schermo (i geek direbbero: facendo un doppio tap) si può visualizzare l’immagine completa, dove viene riquadrata la parte di schermata che effettivamente sarà inclusa nel video. In generale, raramente negli smartphone la parte ripresa nel video e quella effettivamente rilevata dal sensore è corrispondente, anche perché a seconda delle dimensioni del video scelte (4:3 o meglio il 16:9) il taglio dell’inquadratura cambia. Spesso può essere opportuno passare a visualizzare tutta l’area utile in modo da scegliere meglio cosa effettivamente fare rientrare nell’area di ripresa del video.
4. Attenzione alla messa a fuoco! Si è talmente abituati all’autofocus – la messa a fuoco automatica – che ci si dimentica di tenere presente che alle volte ci occorre una messa a fuoco differente da quella di default. Il riquadro che si vede al centro dello schermo quando si sta per riprendere è il punto su cui l’obiettivo punta il suo fuoco. In alcuni casi, per esempio quando il soggetto non si trova al centro dell’inquadratura, sarà necessario dare un colpetto sul punto in cui vogliamo che sia puntata la messa a fuoco. Allo stesso modo sarà possibile cambiare il punto focale mentre si sta riprendendo. Ovviamente in questo caso bisognerà fare attenzione a maneggiare bene lo smartphone in modo da evitare sussulti o movimenti accidentali che rovinerebbero la qualità della ripresa.
5. Regolare il bilanciamento dei colori. Prima di iniziare a riprendere si deve sempre verificare che il bilanciamento dei colori sia corretto. Regola preliminare a qualsiasi ripresa: fare il bianco! Basta andare sulle regolazioni e scegliere Bilanciamento del bianco. Qui di solito si può scegliere fra luce naturale, nuvoloso, luce incandescente o luce fluorescente. In alternativa si può impostare la regolazione auto, lasciando che sia il software a decidere come regolare i colori nel modo più opportuno. Va detto anche che, in qualsiasi momento durante una registrazione, quando si dà un colpetto sullo schermo in corrispondenza del soggetto sul quale si punta la messa a fuoco quasi tutte le app di videoripresa dei cellulari aggiustano anche le condizioni di luce in riferimento a quello che viene inquadrato nel punto di messa a fuoco. Ad ogni modo si deve essere avvertiti che una ripresa in cui improvvisamente cambia il bilanciamento dei colori senza una ragione evidente (per esempio perché il soggetto si sposta da un esterno a un ambiente chiuso) è sempre una cattiva ripresa. Quindi bisogna stare attenti che la resa dei colori sia sempre costante.
6. Fare diverse riprese della stessa scena. La maggior parte degli utenti poco addentro alle tecniche di ripresa pensa che un video sia il risultato di un’unica ripresa. Chi conosce i rudimenti delle tecniche di regia sa bene che il prodotto finale è il risultato del montaggio di tanti spezzoni di ripresa girati indipendentemente l’uno dall’altro, anche sullo stesso set. Un buon video non è mai il prodotto di un unico piano sequenza, ma della sagace ripresa della scena da più punti di osservazione e in condizioni e piani differenti. Si deve pianificare a monte, prima di iniziare a riprendere, come si ha in mente di sviluppare la ripresa. Eventualmente prendendo anche degli appunti in cui descrivere cosa si ha in mente e come successivamente si vuole montare la ripresa. Così facendo è facile girare diversi video sulla stessa scena in modo da unirli opportunamente insieme successivamente per creare il video finale. Normalmente conviene fare diverse clip brevi con angoli di ripresa e piani differenti e poi montarle in modo da creare una continuità nella successione delle inquadrature.
7. Alternare inquadrature ampie e strette. Nella scelta delle inquadrature, si deve evitare di fare sempre e soltanto inquadrature ampie, ma sapere scegliere cosa inquadrare in dettaglio restringendo la ripresa e eventualmente zoomando. Tenere presente che nel montaggio finale solitamente alternare o comunque mettere in sequenza inquadrature ampie e inquadrature strette serve a migliorare la qualità e l’estetica del girato, oltre a renderlo più stimolante ed espressivo.
8. Le condizioni di luce sono fondamentali! Lo sanno bene i professionisti della regia quando scelgono un direttore della fotografia. Un buon film è innanzi tutto la capacità di fare delle belle riprese e perché queste risultino tali agli occhi dello spettatore è necessario che l’illuminazione della scena sia perfetta e che i dispositivi di ripresa la riprendano in modo fedele a quello che si vuole fare vedere allo spettatore. Quindi prima di iniziare a girare occorre studiare bene come illuminare la scena e se il soggetto che si intende riprendere riceve una buona illuminazione. Gli smartphone dispongono di un buon flash-led, ma si deve ricorrere alla sua luce solo se proprio non ci sono altri modi per illuminare la scena, perché la luce del flash risulterà frontale, scialba e abbastanza fioca, rendendo quasi qualunque video estremamente dilettantesco.
9. Attenzione alle riprese a distanza ridotta. Scegliere l’inquadratura migliore, tenendo conto che gli smartphone hanno un obiettivo leggermente grandangolare, quindi poco adatto alle riprese a breve distanza. Per i primi piani di un volto può essere opportuno riprendere il soggetto da lontano e applicare un lieve zoom, anche in post-editing utilizzando un software di videoritocco in fase di montaggio. Se si inquadra un volto a distanza ravvicinata infatti si otterrà un effetto deformante alquanto sgradevole e innaturale. D’altronde se si applica uno zoom digitale pesante nel corso della ripresa c’è il rischio di sgranare l’immagine ottenendo un risultato assolutamente scadente in termini di definizione dell’immagine. Conviene allora fare delle prove per vedere quando e fino a che punto si può effettuare una zoomata con il proprio smartphone senza alterare troppo la qualità del girato.
10. Occhio alla batteria! L’ultima raccomandazione può sembrare del tutto superflua, ma ha rovinato il lavoro di una quantità inimmaginabile di videomaker improvvisati: la batteria è sufficientemente carica? Se si ha intenzione di fare dei video con lo smartphone è opportuno, prima di qualsiasi altra azione, verificare per tempo che la batteria sia al massimo, perché il rischio che sul più bello il dispositivo si spenga rovinando tutto il lavoro che si vuole svolgere è sempre altissimo. Una ripresa video, soprattutto quando viene effettuata in alta definizione, impegna severamente le risorse hardware del dispositivo, quindi anche una carica che può sembrare adeguata può risultare insufficiente. Se si ha in programma di usare spesso e lungamente lo smartphone per girare dei video può essere un buon investimento quello di acquistare delle batterie esterne addizionali, che tolgono d’impiccio quando quella interna si esaurisce.
5) NON PERMETTERE ALL’AUDIO DI ROVINARE IL VIDEO
È ormai risaputo che le persone preferiscono guardare un video mal realizzato ma con un ottimo audio, piuttosto che guardare un buon video ma con un suono terribile.
Nonostante il tuo Iphone abbia un ottimo microfono, ti suggerisco comunque di acquistarne uno e posizionarlo proprio sopra lo smartphone.
A mio avviso, il migliore in commercio, è il Rode Videomic ME-L, che potrai acquistare direttamente su Amazon.
In caso non lo riuscissi a trovare, ecco un altro ottimo prodotto creato dalla RODE.
Entrambi i microfoni sono eccellenti per la registrazione audio e offrono una qualità davvero straordinaria. Si collegano direttamente al telefono e funzionano molto bene anche con FILMIC PRO.
Un altro ottimo microfono che ho acquistato da poco è il Boya By- DM200.
Il Boya BY-DM200, molto simile al RODE VideoMic Me-L, è un microfono stereo a condensatore cardioide, che si collega perfettamente alla porta del tuo Iphone, per darti una registrazione audio molto pulita, anche se sei in movimento.
Il microfono viene fornito anche di un paravento in finta pelliccia, utile se stai girando sotto la pioggia o con un vento estremo.
Se stai cercando un’alternativa più economica al Rode VideoMic Me-L, questo microfono potrebbe essere un’ottima scelta.
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6) ILLUMINA IL TUO VIDEO
Il filmmaker principiante può spesso ignorare la necessità di illuminare una scena per realizzare il proprio video.
Se non ti impegni ad illuminare la scena correttamente, sappi che otterrai un’immagine finale di scarsa qualità.
Tra le tante accortezze, dovrai comunque cercare sempre di sfruttare la luce che hai a disposizione, dovrai avere la consapevolezza di come ti posizioni rispetto al sole, e tante altre cose.
Tuttavia, se hai deciso di acquistare un kit luci o solamente una luce che ti supporti durante le riprese, l’impegno per illuminare la scena aumenta e si fa più complicato.
Per questo motivo, prima di continuare la lettura di questo paragrafo, ti suggerisco di studiare le guide che ho creato appositamente sull’illuminazione.
Eccole:
- Come utilizzare la luce naturale nei tuoi video
- Cosa sono le gelatine e come utilizzarle
- Le basi dell’illuminazione: cos’è e come utilizzarla
Di seguito, ho elencato i migliori kit d’illuminazione che potrai acquistare veramente a poco prezzo.
A) STUDIO FOTOGRAFICO CON OMBRELLI E SOFTBOX
Ho acquistato questo prodotto una settimana fa e devo dire che ne sono rimasto davvero soddisfatto.
Il Kit comprende 3 sfondi, 2 softbox, 2 ombrelli e davvero tante tante lampadine.
La particolarità di questo kit d’illuminazione è che ogni Softbox possiede 5 lampadine con INDIPENDENT SWITCH.
Questo vuol dire che potrai scegliere il numero di lampadine da accendere o spegnere contemporaneamente.
Ma perché cinque lampadine con INDEPENDENT SWITCH sono molto meglio di una lampadina con un solo interruttore?
Ecco la spiegazione:
- Quando non hai bisogno della luce massima, puoi cambiarne una parte e risparmiare energia
- Le lampadine con interruttore singolo funzioneranno molto più a lungo di una singola lampadina
- Nel caso in cui una lampadina non funzioni, ha ancora 4 lampadine con cui lavorare
- Per un principiante, migliora la sua sensibilità alla luce e il livello della fotografia
- Per un professionista, la diversità dell’illuminazione significa che può gestire più dettagli
Curioso di vederlo, vero?
Eccoti accontentato:
Oltre a questo kit un po’ complesso se sei alle prime armi, ecco di seguito delle lampade che, posizionate sopra il tuo IPhone, ti aiuteranno ad illuminare la scena.
B) LUME CUBE 1500
Il LUME CUBE è un piccolo ma potente mini proiettore a LED, che si adatta perfettamente alla tua borsa e non occupa molto spazio.
Come suggerisce il nome, il mini proiettore ha un potere di 1500 Lumen, che equivale a circa 25 watt e che è molto potente per una luce di queste dimensioni.
Un’altra grande caratteristica del LUME CUBE è che puoi controllarlo direttamente dal tuo smartphone.
Se desideri regolare la luminosità infatti, potrai farlo in modalità wireless tramite Bluetooth.
In effetti, puoi controllare fino a cinque LUME CUBES in questo modo in modo da poterli avere in diversi posti e avere comunque il pieno controllo su di essi.
Nel kit troverai, oltre al mini proiettore, dei supporti a magnete o a ventosa.
Questo è di grande aiuto se stai girando in uno spazio ristretto come, ad esempio, in una macchina.
Puoi persino metterli in una custodia impermeabile e gettarli in una piscina, e quindi controllarli con il tuo smartphone.
C) ROTOLIGHT NEO
Il ROTOLIGHT NEO, anche se è un po’ costoso, è una luce a LED di altissima qualità.
È di forma rotonda, e al suo interno è composto da 120 luci a LED.
Questi LED hanno anche una modulazione d’onda incorporata, per cui non dovrai preoccuparti di nessun fastidioso sfarfallio.
Ha un potere Lux di 1077, che equivale a circa 75 watt.
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7) STABILIZZATI
Se desideri che il tuo filmato non venga distorto, sfocato o influenzato da piccoli movimenti fastidiosi, il mio consiglio è quello di mantenere il telefono nella posizione più stabile possibile.
Prima regola: usa sempre entrambe le mani per rendere stabile la tenuta del tuo smartphone, e tieni lo smartphone possibilmente il più vicino possibile al tuo corpo mentre registri il video.
Lo so, se non sei abituato a registrare video, tenere questa posizione può essere un po’ difficile e stancante.
Per questo motivo, di seguito, troverai i 3 migliori stabilizzatori per IPhone, provati dal sottoscritto.
A) DJI OSMO MOBILE 3
Il DJI Osmo Mobile 3 è attualmente uno dei migliori Gimbal per smartphone che si possono trovare sul mercato.
Come suggerisce il nome, questa è la terza generazione della serie Osmo Mobile. E in tutti questi anni l’azienda cinese ha sicuramente imparato a soddisfare i propri clienti regalandogli delle novità che solamente i loro dispositivi offrono.
La caratteristica principale del DJI Osmo Mobile 3 è legata al fatto che si può ripiegare. Questo risolve uno dei principali problemi di quando si parla di Gimbal per smartphone, ossia la praticità.
Un’altra caratteristica importante è legata al suo peso.
Il dispositivo infatti pesa solamente 405 grammi, il che lo rende portatile e leggero, pronto da utilizzare per le strade della città ma anche sulle salite ripide della montagna. Grazie alla modalità Stand-By, inoltre, potrai usare lo smartphone anche quando il dispositivo è chiuso, in modo da poter iniziare a registrare in zero secondi.
B) ZHIYUN SMOOTH 4
La cinese Zhiyun non ha bisogno di grandi presentazioni.
È un’ottima azienda che è riuscita, nel corso degli anni, a sorprendere ripetutamente i propri fan grazie agli ottimi accessori realizzati per i videomaker professionisti.
Lo Smooth 4 è uno stabilizzatore ultra professionale a 3 assi, progettato per eliminare quasi completamente le vibrazioni della telecamera. Montando lo smartphone sul Gimbal, infatti, i 3 motori brushless riescono a ruotare sui tre diversi assi: quello della panoramica, quello dell’inclinazione e quello della rotazione.
Questi movimenti, che vanno opposti al movimento della fotocamera, riescono a mantenere lo smartphone perfettamente stabile.
C) FEIYUTECH VIMBLE 2S
Ho acquistato questo Gimbal agli inizi del 2018 e ancora oggi lo utilizzo quando voglio registrare i miei video nella maniera più fluida possibile.
La principale caratteristica del Feiyutech Vimbel 2S è la sua lunghissima barra di prolunga, a cui potrai collegare il tuo smartphone. Il Gimbal pesa solamente 428 grammi, e sebbene sia così leggero, è molto pratico e facile da utilizzare.
Il Kit comprende il dispositivo, la barra di prolunga, diversi cavi per la ricarica e uno splendido treppiede che potrai avvitare direttamente allo stabilizzatore.
Sull’impugnatura è presente un joystick che consente al Gimbal di spostare il telefono da sinistra verso destra o dall’alto verso il basso. A seconda della forza con cui lo si preme, il movimento può più o meno accelerare.
8) LE MIGLIORI APP PER MODIFICARE O EDITARE I VIDEO
Sebbene esistano decine e decine di App di editing video per l’iPhone, il mio consiglio è quello di utilizzare sempre dei programmi da scaricare sul Pc o sul Mac. Il mio software preferito è da sempre AVID, ma devo ammettere che nel corso degli anni Adobe Premiere ha fatto passi da gigante.
Tuttavia, se hai deciso di montare e modificare le tue immagini video direttamente sullo smartphone, ecco una sere di App che ti saranno sicuramente utili.
A) ADOBE PREMIERE RUSH
Premiere Rush è un’App di editing video, che ti consentirà di sottrarti dalla ripida curva di apprendimento associata agli strumenti di editing video più complessi di Adobe come Premiere Pro, After Effects e Audition.
Al contrario, Premiere Rush semplifica l’elaborazione rapida delle clip facilitandone il caricamento sulle principali piattaforme social. È importante sottolineare che l’App converte automaticamente i video nelle proporzioni e nei livelli di qualità specifica richiesti da ciascuna piattaforma, quindi non dovrai preoccuparti di nulla di tutto ciò.
Ad ogni modo, Premiere Rush non è utile solamente agli YouTuber. Se sei un editor professionista, grazie a questa App, sarai in grado di trasferire i contenuti su cui hai lavorato in Premiere Pro e apportare ulteriori modifiche direttamente sul tuo telefono o sul tablet.
Puoi scaricare tutte le App di Adobe tramite questo link.
B) MOVIE PRO
Movie Pro è un’ottima APP per registrare video, esattamente come FILMIC PRO. Sebbene però la mia preferita resti quest’ultima, devo ammettere che grazie a MOVIE PRO, le funzionalità per girare degli ottimi video sono aumentate.
Con MOVIE PRO potrai scattare delle immagini mentre stai girando, avrai il controllo manuale sulla messa a fuoco, sull’esposizione, sul bilanciamento del bianco e infine, potrai scegliere quale temperatura colore utilizzare.
Con MOVIE PRO potrai inoltre impostare la risoluzione prima di girare e potrai scegliere il frame rate che più preferisci.
C) LUMAFUSION
LumaFusion è un’App realizzata appositamente per tutti gli utenti iOS. Prodotta dai creatori della Pinnacle Studio, l’applicazione è comunemente utilizzata dai giornalisti, dai filmmaker e dai produttori video di mezzo mondo.
L’interfaccia offre sei tracce video/audio per inserire foto, video, titoli e grafica, oltre ad altre 6 tracce audio da utilizzare per la narrazione, la musica e gli effetti sonori.
L’interfaccia è molto simile a quella di Final Cut Pro X, con la sua timeline magnetica e gli strumenti avanzati che includono la capacità di sovrascrittura, il keyframing, la correzione del colore, il supporto completo per PAL a 25fps durante la fase di esportazione, il mixer audio completo, l’esportazione senza perdita dei dati, il supporto per i video in verticale, gli strumenti avanzati per la creazione dei titoli e la capacità di rallentare o velocizzare il movimento delle clip.
L’ultima versione, la 2.4, è stata rilasciata lo scorso novembre e include, oltre alle cose già citate, il supporto HDR con l’elaborazione a 10bit per gestire facilmente i contenuti video realizzati con i nuovi iPhone.
D) IMOVIE
iMovie è un’applicazione gratuita di editing video, sviluppata direttamente dai produttori della Apple. L’App ti consente di creare dei fantastici trailer in stile hollywoodiano, utilizzando le foto e i video che potrai importare direttamente dal rullino foto del tuo dispositivo.
iMovie supporta la risoluzione video in 4K mentre il prodotto finito può essere trasferito su un dispositivo della Apple e proiettato su uno schermo. Puoi inoltre trasferire i video tra iPhone, iPad e iPod touch, utilizzando Airdrop o iCloud Drive. I video possono infine essere condivisi su qualsiasi piattaforma di condivisione video o di social media.
Le principali caratteristiche dell’applicazione includono la capacità di correggere i video mossi, modificare le clip frame by frame e modificare l’audio sorgente oltre alle numerosi personalizzazioni che comprendono gli effetti speciali, la titolazione, la stabilizzazione, il ritaglio e la rotazione della clip.
L’app ti permette anche di lavorare con il green screen in modo da rimuovere istantaneamente lo sfondo delle clip girate davanti ad uno schermo verde o blu, oltre alla possibilità di utilizzare le 80 colonne sonore che si adattano automaticamente alla precisa lunghezza del tuo film.
L’unico svantaggio dell’App è che non offre la possibilità di scaricare le tue tracce musicali a meno che tu non abbia un’App diversa che potrai poi condividere con iMovie.
[…]
Concludendo, spero che questo lungo post ti abbia aiutato a centrare gli strumenti più efficaci per rendere ottimali i tuoi video, e soprattutto ti sia utile per migliorarne la resa. Se hai bisogno di consulenza e consigli, o se hai sperimentato altri strumenti di cui vuoi approfondire i dettagli, scrivimi pure. Buon lavoro!
Francesco Menghini per https://francescomenghini.net/
Girare in 4K significa registrare un video di qualità 4 volte superiore a 1080p. Tieni presente il fatto che, a seconda del modello che utilizzi, l’Iphone offre diverse modalità di registrazione. Ad esempio, il 6S e il 6S Plus sono stati i primi ad offrire i 4K a 30fps. L’IPhone 7 e il 7 Plus offrono la stessa modalità di registrazione mentre l’IPhone 8, l’8 Plus e l’Iphone X supportano i 4K a 24fps, 30 fps e 60fps. L’Iphone Xs, l’XsMax e l’Xr registrano invece, nella stessa modalità dell’IPhone 8.
Vediamo adesso come impostare la registrazione in 4K sul tuo “melafonino”.
- Vai su Impostazioni
- Clicca su Fotocamera
- Vai su Registra Video
- Selezione la modalità prescelta
Attenzione però: se scegli di registrare in 4K a 60fps, il tuo smartphone ti offrirà la massima qualità e fluidità, ma ti richiederà anche circa 400Mb per archiviazione al minuto.
Per risolvere questo problema, ti suggerisco di acquistare un SanDisk iXpand Flash Drive per Iphone! In questo modo riuscirai ad aumentare la quantità di spazio di archiviazione disponibile, senza correre il rischio di rimanere senza più Giga per registrare.
Per chiarire questo aspetto, ecco una tabella da tenere bene a mente:
Registrazione video standard:
- 720p HD a 30 fps: 40 MB al minuto
- 1080p HD a 30 fps: 60 MB al minuto
- 1080p HD a 60fps (video più fluido): 90 MB al minuto
- 4K a 24 fps: 135 MB al minuto
- 4K a 30 fps: 170 MB al minuto
- 4K a 60fps: 400 MB al minuto
Registrazione video Slow-motion
- 1080p HD a 120fps: 170 MB al minuto
- 1080p HD a 240fps: 480 MB al minuto
Se scegli di girare il video in 4K a 60fps, sappi che avrai bisogno di tantissima luce perché, per mantenere il movimento fluido, l’otturatore richiederà una maggiore velocità.
In condizioni di scarsa illuminazione, ti consiglio quindi di registrare in 4K ma a 30fps.
Il tuo video sarà comunque buono, e in più non avrai bisogno di uno spazio di archiviazione esterno.
Entriamo ora nel vivo di questo post: nelle righe che seguono troverai 7 suggerimenti da mettere subito in pratica per realizzare dei fantastici video. Prima di tutto però, lascia che ti dia un suggerimento extra.
Prima di iniziare qualsiasi lavoro di ripresa, assicurati che l’obiettivo del tuo IPhone sia ben pulito. A questo link troverai un ottimo Kit che uso personalmente.
Altra cosa da fare è quella di disattivare le notifiche mentre si sta girando.
Prima di iniziare le riprese quindi, ti suggerisco di impostare l’IPhone su modalità NON disturbare, in modo da bloccare le notifiche all’interno dello smartphone. Per disattivarle dovrai scorrere il dito verso l’alto e cliccare sull’icona a forma di mezzaluna NON DISTURBARE.
Perfetto, ora siamo davvero pronti!
1) NON UTILIZZARE L’APP DELL’IPHONE
Devi sapere che l’APP Video utilizzata dal tuo Iphone è ottima, ma non è stata progettata per registrare video ad altissima qualità.
Personalmente, da molti anni, utilizzo un’APP che mi da tantissime soddisfazioni. Si chiama FilmicPro e puoi scaricarla direttamente dal tuo APP STORE. Non ci credi?
Ecco un video girato con Filmic Pro che ha ricevuto numerosissimi premi:
Una delle caratteristiche principali di Filmic Pro è l’opzione per selezionare un bitrate più alto.
La massima qualità è di 50 Mbit/Sec, che rappresenta un enorme miglioramento rispetto al bitrate standard (24.0 Mbit/Sec) che trovi di default nell’Iphone.
Dunque, se deciderai di NON utilizzare l’APP dell’Apple, con Filmic Pro riuscirai a realizzare dei video di qualità molto più superiore. Utilizzando Filmic Pro avrai anche la possibilità di registrare utilizzando frequenze diverse e avrai il pieno controllo sulla messa a fuoco, sull’esposizione e molte altre cose.
Allora, come prima cosa, scarica immediatamente Filmic Pro e continuiamo con la nostra guida.
2) IMPOSTA IL CORRETTO BILANCIAMENTO DEL BIANCO
Se sei un assiduo lettore del mio blog, già saprai che sono un accanito fan del bilanciamento del bianco.
Impostare manualmente il bilanciamento del bianco infatti, è sempre la migliore opzione.
In questo modo sarai sicuro di ottenere i giusti colori e tutto quello che andrai a girare, sembrerà più naturale.
Tuttavia, se hai scelto di iniziare a lavorare con Filmic Pro (mi raccomando, non aspettare di scaricare l’APP), dovrai impostare il bilanciamento del bianco manualmente. Per farlo, dovrai prendere un foglio bianco, posizionarlo davanti all’obbiettivo della fotocamera e quindi cliccare sul pulsante “bilanciamento del bianco”.
Ecco come ti apparirà la schermata:
Se vuoi saperne i più, ti consiglio di leggere questo articolo:
3) USA SEMPRE LA GRIGLIA
A meno che tu non sia un professionista del filmmaking, il mio consiglio è quello di utilizzare sempre la griglia.
In questo modo sarà più semplice rispettare la regola dei terzi in modo da realizzare dei video più professionali.
Per impostare la griglia, dovrai andare su IMPOSTAZIONI > FOTOCAMERA > GRIGLIA.
Se invece stai utilizzando Filmic Pro, vai su IMPOSTAZIONI (la ruota dentata in basso a destra) e clicca su GUIDA.
Per saperne di più sulla regola dei terzi, ti consiglio di leggere la mia guida sulla composizione fotografica.
4) IMPOSTA E BLOCCA L’AF (AUTO-FOCUS)
Bloccare l’autofocus e l’esposizione significa avere il controllo totale sulle impostazioni del tuo IPhone.
In questo modo infatti, impedirai allo smartphone di cambiare automaticamente la messa a fuoco o l’esposizione su altri soggetti all’interno dell’inquadratura.
Per bloccare l’AF/EF ti basterà aprire il video, impostare l’inquadratura, selezionare dove mettere a fuoco e tenere premuto il dito finché apparirà un piccolo banner giallo con scritto BLOCCO AF/EF.
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di Francesco Menghini per https://francescomenghini.net/
Vi siete mai chiesti come funziona il cibo nei film, se gli attori mangiano veramente, se ingoiano o sputano, e se il cibo cucinato è effettivamente buono? In questo articolo scopriamo le tecniche più usate dalla settima arte per riprendere i personaggi che consumano delle pietanze.Immaginatevi un interprete che gira la scena di una cena tra amici. Lo fa per tutta la mattinata, con il set oscurato e le portate servite una dopo l’altra più volte fino a che l’inquadratura non viene proprio come la vuole il regista. Finito di mangiare di fronte alla cinepresa fa pausa pranzo e se ne va in mensa con i colleghi. Gusta le pietanze che il set offre e se ne ritorna sul tavolo imbandito dove ricomincia a lavorare alla sequenza e a mettere in bocca alimenti di vario tipo. Come fa a non stare male e ad avere fame?
Come si riprende il cibo nei film?
In questa scena di Bastardi senza gloria gli attori recitano con il cibo. In particolare lo strudel che Hans Landa ordina a Shoshanna gli permette di imporre il suo controllo sulla situazione (simboleggiato dalla sigaretta spenta nella panna sul finale). Christoph Waltz esprime la doppiezza del suo personaggio attraverso la masticazione. È lunga, vistosa, spesso il cibo gli resta in bocca e tra i denti. Ben più contenuta è Mélanie Laurent, che mangia con la bocca chiusa, piccoli e rapidi bocconi.
C’è una particolarità però: sound design a parte (che con i rumori crea l’illusione di vedere qualcosa che non c’è), nessuno dei due attori ingoia mai il cibo che sta mangiando. Nonostante Tarantino insista molto nelle inquadrature con un montaggio molto generoso, non li vediamo mai deglutire il boccone. Si taglia sempre poco prima del fatto per andare in contro campo e ritornare poi mentre il personaggio si porta alla bocca un’altra fetta di dolce.
Questo trucco di montaggio si può ritrovare nella stragrande maggioranza dei film. Magari non ne La vita di Adele dove di cibo ci si ingozza e ci si sporca, o in Oldboy dove si mangia veramente un polpo vivo. Generalmente però chi recita finge anche di mangiare, soprattutto quando la stessa scena deve essere rifatta all’infinito.
Perché non ingoiano il cibo?
Le ragioni sono molte, come spiegato bene anche da questo video di TikTok. I piatti offerti in scena sono perfettamente commestibili. Ci sono eccezioni, come quelli con valenza puramente estetica, ma generalmente è cibo vero.
Il regista e il segretario di edizione hanno il duplice problema di far sì che sembri veramente un pasto, pur mantenendo la continuità di inquadratura in inquadratura. Il cibo può restare all’aria aperta anche per ore. Per questo spesso in scena si giocherella con le pietanze senza mai nemmeno portarle alla bocca.
Già essere costretti a masticarlo non è propriamente piacevole, figurarsi ingerirlo. Così la scena viene predisposta perché gli attori possano sputare.
Cioè, stai dicendo che allo stop gli attori sputano?
Non sempre. Dipende da cosa stanno mangiando e da quanto tempo stanno girando. In caso di lavorazioni lunghe o di molteplici take è una pratica normale per non ingozzarsi fino a stare male. Anche se si avesse fame, ingozzarsi di patatine o hamburger freddi sarebbe un attentato alla salute.
Il vino al cinema invece è un preparato colorato assolutamente non alcolico. Le tazzine di caffè generalmente sono vuote. Lady Gaga in House of Gucci aveva suscitato delle discussioni nella scena in cui sbatte il cucchiaio contro la tazzina dopo averlo mischiato. Non c’erano alcune tracce di caffè, nessuna goccia saltava in seguito al movimento.
L’estetica è importante. Dove l’impiattamento, la forma e i colori delle pietanze contano particolarmente si consulta un food designer. Questo succede spesso nel caso, ad esempio, nella serie Servant dove il protagonista cuoco passa gran parte del tempo a preparare delizie per gli occhi. Se infatti chi è di fronte alla cinepresa può fingere di gustarsi un buon piatto, per noi spettatori resta solo l’appagamento visivo. L’illusione che quello che viene consumato sia veramente delizioso. E forse è anche così. Sarà però probabilmente vecchio di ore. Quando vedete un piatto fumante che continua ad esserlo di inquadratura in inquadratura è probabilmente frutto di post produzione con l’aggiunta di effetti digitali.
Non si può fare altro che recitare, anche quando si mangia. Esattamente come quando si fuma una sigaretta in scena. Ma quella è un’altra storia.
Un obiettivo è in grado di mettere a fuoco solo a una precisa distanza. Ciononostante, soggetti più vicini o più lontani rispetto a quello messo a fuoco, possono comunque risultare nitidi in una fotografia. Questa zona di nitidezza apparente può essere tanto piccola da non essere quasi percepibile o può aumentare tanto da far vedere i soggetti nitidi fino all’orizzonte. “Zona di nitidezza apparente” è un’ottima definizione per la Profondità di Campo.
Solo la perfetta messa a fuoco a una distanza precisa può generare un’immagine perfettamente nitida costruita da un’insieme di piccoli punti, ma altri oggetti più vicini e più lontani appariranno comunque nitidi, la loro sfocatura è troppo poca per essere percepita dall’occhio umano, e nella visione della foto è proprio la loro apparente nitidezza la cosa che conta.
Se qualcosa appare a fuoco (anche se teoricamente non lo è) vuol dire che è abbastanza nitida per sembrare a fuoco nella tua foto. Nella fotografia di paesaggio, in genere tentiamo di avere tutto nitido, a partire dall’erba vicino al treppiedi fino alle colline più lontane, ma questa deve essere una scelta del fotografo, non è certo una regola ne una legge. Nello sport e nel ritratto, una profondità di campo limitata è spesso apprezzata, poiché lo sfondo e gli oggetti più vicini sfocati, concentrano l’attenzione sul soggetto principale.
SOTTO CONTROLLO
La profondità di campo può variare enormemente, ed è condizionata principalmente da tre fattori. Il primo è l’apertura di diaframma, cioè la dimensione del foro creato dal diaframma dell’obiettivo. I diaframmi più aperti danno una minore Profondità di Campo. Ricordati che i valori di diaframma sono il risultato di una frazione e quindi per esempio f/16 indica un diaframma minore (più chiuso) e f/4 uno più maggiore (più aperto). La maggior parte delle D-SLR Nikon hanno una serie di modalità scena: Paesaggio tenderà a impostare diaframmi più chiusi per incrementare la Profondità di Campo, mentre Sport o Ritratto preferiranno aperture maggiori. Per controllare l’apertura del diaframma, utilizza la modalità d’esposizione a Priorità dei diaframmi, imposta la ghiera delle modalità su A e cambia i diaframmi con la ghiera di comando. Sulle fotocamere dotate di due ghiere, usa quella secondaria, posta anteriormente. Mentre cambi l’apertura di diaframma, la fotocamera automaticamente regolerà il tempo in modo da farti ottenere sempre un’esposizione corretta. Modificare l’apertura di diaframma è facile, ma non sempre da i risultati che ci si aspettano. Per fortuna la Profondità di Campo è condizionata anche dalla lunghezza focale. Una maggiore lunghezza focale riduce la Profondità di Campo. Impostare, invece, una focale più grandangolare (come per esempio 18mm) va bene per provare a mantenere tutto nitido. Quindi se vuoi sfocare lo sfondo usa una focale lunga.
Il terzo fattore è la distanza tra la fotocamera e il soggetto su cui si mette a fuoco. Minore è questa distanza, minore è la Profondità di Campo ottenuta. Questo è evidente con soggetti macro in cui la Profondità di Campo sparisce del tutto ed è possibile mettere a fuoco un singolo dettaglio.
Ma la Profondità di Campo, rispetto al punto di messa a fuoco si estende verso infinito, ma anche verso la fotocamera, e mettere a fuoco sul punto più distante della scena può non bastare per ottenere il massimo della Profondità di Campo.
Sfortunatamente, i tre fattori per controllare la profondità di campo non sempre lavorano in armonia. Potresti decidere di montare un obiettivo grandangolare per aumentare la profondità di campo, ma questo farebbe risultare il tuo soggetto più piccolo nell’inquadratura. Allora potresti decidere di avvicinarti molto di più al soggetto per averlo più grande... ma questo ridurrebbe di nuovo la Profondità di Campo!
TRE MODI PER CONDIZIONARE LA PROFONDITÀ DI CAMPO
Come il diaframma, la distanza di messa a fuoco e la lunghezza focale possono cambiare ciò che apparirà nitido
Le zone rosse indicano quanto della scena dovrebbe essere a fuoco per ciascuna delle nove situazioni proposte.
1. | CAMBIARE IL DIAFRAMMA Più aperto è il diaframma che usi minore sarà la profondità di campo che ottieni. E questo non è uno svantaggio, ma una possibilità in più di gestire l’immagine rendendo meno importanti le parti fuori fuoco. |
2. | CAMBIARE LA DISTANZA DI MESSA A FUOCO Più vicino è il soggetto su cui stai mettendo a fuoco, minore sarà la profondità di campo nella foto. |
3. | CAMBIARE LA LUNGHEZZA FOCALE Anche l’impostazione dello zoom o l’obiettivo che stai usando condiziona la profondità di campo. Minore è la lunghezza focale, maggiore è la profondità di campo ottenuta.. |
di https://www.nikonschool.it/ per
In questa piccola guida vi voglio parlare della profondità di campo in ambito fotografico, cercando di spiegare in maniera semplice che cosa significa, da cosa è influenzata, come controllarla e come fare a calcolarla.
Come scegliere le migliori musiche per un film? Quentin Tarantino è uno dei registi più raffinati nella scelta del soundtrack come ci ricorda questo breve video saggio. Come scegliere le migliori musiche per un film? Quentin Tarantino è uno dei registi più raffinati nella scelta del soundtrack come ci ricorda questo breve video saggio laddove è capace di spaziare dal genere hip hop alla musica classica.
La storia del cinema è passata anche attraverso quegli autori che si opponevano al suono per difendere il primato delle immagini. Una storia vecchia, ma che fa sempre bene ricordare quando si tratta di associare musica ed immagini. Non sempre affidarsi a un musicista può dare il risultato voluto.
Per questo Tarantino è stato molto attento alla scelta dei brani musicali che dovevano "accompagnare" le scene più memorabili nela sua filmografia. Come al solito non basta accompagnare, occore quel virtuoso contrasto tra immagine e suoni da cui possa derivare un immaginesuono unica ed originale. Per intenderci, ci sono ndelle sequenze nella storia del cinema che non riusciremmo ad immaginare senza le musiche: una per tutte 2001 Odissea nello spazio, senza il valzer straussiano, i western di Sergio Leone senza le musiche di Ennio Morricone e così via per infiniti altri esempi.
Nel video di oggi troviamo una conferma al fatto che Tarantino ha operato delle scelte importanti in tutti i suoi film, riuscendo in pratica sempre a raggiungere un risultato apprezzabile. Certo nella filmografia di Tarantino la musica è davvero tutto, perché ispira anche i movimenti dei personaggi come succede nella macabra danza che vediamo nelle immagini da Le iene, durante il momento della tortura. Ma nello stesso film, anche indimenticabile è la sequenza di apertura che presenta i personaggi. Insomma, il video di oggi è solo un approccio parziale al cinema musicale toutcourt di Quentin Tarantino.
da farefilm.it
Wim Wenders non si è mai considerato un vero narratore, ma qualcuno che ama preoccuparsi delle immagini, siano esse quadri, disegni o fotografie: queste ultime lo hanno da sempre interessato e più di qualsiasi altra cosa, persino di più della sua attività cinematografica, “perché ogni foto è più dello sguardo di un uomo ed è superiore alle capacità del suo fotografo”. Lo spiega chiaramente nella prefazione al suo album-saggio, Una volta, che dopo essere stato pubblicato nel 1993, è di recente tornato nelle librerie grazie alla casa editrice Contrasto. “Ogni foto è anche un aspetto della creazione al di fuori del tempo e il poter fotografare è un atto di presunzione e di ribellione: è troppo bello per essere vero, ma è anche altrettanto troppo vero per essere bello”. E’ un’azione priva di conseguenze che avviene in un singolo istante e all'interno di una certa relazione tra l’occhio e la macchina fotografica e di tutto questo potete averne la prova sfogliando questo libro, un gioiello speciale che farà contenti gli estimatori del regista oltre a molti appassionati di fotografia. Ne troverete più di trecento, a colori e in bianco e nero, disposte per sequenze e accompagnate da sessanta piccole storie, tutte scritte da Wenders, tutte con il medesimo incipit (“Una volta”), ma guai a confonderle con le fiabe, perché a lui non sono mai piaciute.
“Mi infastidiscono, perché ho trovato sempre paurosi e terrorizzanti i personaggi, troppo crudeli o inverosimili le situazioni”, si legge nell'intervista che apre il volume, rilasciata a Leonetta Bentivoglio in due tempi (nel 1991 a Monaco di Baviera e nel 1993 a Berlino), ma in ogni caso quel suo particolare ‘C’era una volta’ è da sempre legato ai bambini, perché Wenders è interessato a un certo modo di conoscenza, alla loro visione e al loro rapporto con la realtà. Li vuole sempre nei suoi film e anche in ruoli rilevanti perché non vuole dimenticarsi come cineasta del loro punto di vista, della loro curiosità e di quella innocenza con cui sanno guardare il mondo, ma soprattutto perché sono una fonte di ispirazione continua. Vivendo al momento, ovvero senza curarsi del passato né del futuro, i bambini sono simili ai fotografi – “che devono avere la capacità di vivere per il momento e dentro il momento” – ma mai ai registi – “perché in un film è necessario preoccuparsi sempre dell’insieme, della struttura generale, di quel che viene prima e dopo e non si è mai liberi di vivere solo il momento, ma bisogna mantenersi sempre in rapporto con quel che si è già fatto e con quello che si farà tra una settimana o un mese”.
Fotografare rimane, dunque, per Wenders un’azione quasi infantile, perché priva di conseguenze, una di quelle che avviene in un singolo istante e all'interno di una certa relazione tra l’occhio e la macchina fotografica. Guardando le sue foto (tutte scattate rigorosamente in pellicola) – che restano un attimo di “ascolto del vedere”, la traccia di un incontro irripetibile e senza seguito con un pezzo di mondo - viene sempre in mente una storia diversa, dal momento che la storia può essere differente e non appartenere solo ad un’immagine.
Sono i paesaggi e i grandi spazi illimitati a colpirlo principalmente, dall'Europa con la sua Germania (“la mia infanzia”) all'America (“la mia seconda vita da adulto”), fino all'Australia, passando per la Russia, l’India e la Cina. Quasi mai fotografa persone perché “fare ritratti equivale di solito a fotografare persone che ti guardano” e questo non è una cosa che gli appartiene, neanche nei film, dove l’inquadratura che gli piace di meno è proprio il primo piano. Attraverso i suoi scatti ci fa incontrare personaggi del calibro di Godard, Kurosawa, Handke, Scorsese e Coppola, ma nel farlo ci presta i suoi occhi e, pertanto, quei grandi li vediamo da dietro, da lontano, sfocati o solo accennati, e ciò rende il tutto ancora più particolare.
Quelle foto sono delle vere opere d’arte, delle opere pittoriche dove tutto accade dentro una cornice che stabilisce un ordine preciso all'interno del quale si descrive un pezzo di mondo. Un suggestivo atto creativo volto alla ricerca d’identità (ed è questo che le collega maggiormente al viaggiare, altra sua grande passione) in cui è fondamentale quella “disposizione” (Einstellung, in tedesco), che indica sia l’atteggiamento col quale qualcuno si dispone a qualcosa quanto l’immagine che lo stesso produce. Immagini che colpiscono senza mai scioccare e che incuriosiscono senza mai totalmente affascinare: restano dentro come testimoni di un atto nel tempo nel quale qualcosa viene strappato al suo momento e trasferito in una diversa forma di continuità.
di Giuseppe Fantasia, per L'Huffington Post - Tutte le foto sono © Wim Wenders
Nel corso del presente articolo focalizzeremo la nostra attenzione sull’analisi di alcune specifiche tecniche, generalmente riportate su tutti i data-sheets di proiettori e l’influenza che esse hanno sulla qualità d’immagine di un VPR. Alcune considerazioni potranno sembrare ovvie ai videofili più esperti, ma non possiamo tuttavia esimerci dal riconoscere la necessità di informare quanti si avvicinano alla videoproiezione per la prima volta. E, pensando a quest’ultimi, cercheremo di rispettare il più possibile un approccio di tipo Top-down, scendendo nei particolari ed affinando la nostra analisi solo dopo aver opportunamente stabilito i concetti generali, fornendo informazioni via a via sempre più dettagliate.
Purtroppo, nel nostro paese non si è ancora formata una diffusa cultura della videoproiezione, questo, in parte dovuto proprio alla difficoltà di assistere a dimostrazioni di alto livello, con sistemi sapientemente assemblati. Diciamola tutta: il consumatore medio associa, erroneamente, il concetto di videoproiezione stesso ai sistemi in dimostrazioni nei megastore. Nulla in contrario alla grande distribuzione s’intenda, ma, sfortunatamente non mi è mai capitato di assistere a dimostrazioni di buona qualità in simili luoghi. Anzi, direi che mediamente si osservano: macchine mal tarate, schermi inadeguati, saloni parzialmente illuminati, fasci luminosi che provenendo da luoghi attigui irraggiano direttamente le superfici degli schermi interferendo con il flusso luminoso del proiettore, ed… orrore degli orrori: "proiettori dati" usati per proiettare films. Questi fattori, regolarmente frequenti nelle sale di dimostrazione dei molti centri commerciali sparsi per le nostre città, concorrono a peggiorare enormemente la qualità d'immagine di un sistema di proiezione. E se poi, proprio accanto al pallido e slavato schermo, viene a trovarsi quasi per machiavellica casualità, un monitor al plasma con luminosità e contrasto impostati a fattore "Warp 7" allora il commento entusiasta dei visitatori: "Ehh... il Plasma sì che si vede bene!" diventa condivisibile e perfino assimilabile. Facile capire, davvero facile capire, perché il Plasma rappresenti oggi "l'oggetto del desiderio" del consumatore medio di sistemi Home Theater. Se ignorassi cosa è capace di fare un VPR correttamente scelto ed installato (a saperlo far funzionare), non avrei alcun problema a preferirgli un buon/ottimo plasma.
Un’immagine proiettata, di elevata qualità, è frutto di un sistema articolato nel quale il proiettore è solo uno dei tanti ingranaggi, e dove molti altri fattori concorrono alla qualità finale. Assemblare un ottimo sistema di proiezione non è compito semplice perché il proiettore interagisce con l'elettronica a monte e con l'ambiente circostante esattamente come fanno i diffusori con ampli-sorgente e l’acustica di una stanza. Per questo motivo, sarebbe il caso di iniziare a pensare al proiettore come uno dei tanti anelli di una catena di riproduzione, e ricordare che il grado di sinergia dei singoli anelli e l’interazione tra proiettore e luogo di proiezione, schermo, sorgente video, cavi di connessione, determinano la differenza tra risultati spettacolari e risultati mediocri (anche a fronte di investimenti economici impegnativi). Rispolverando un altro vecchio e buon principio: in una catena di riproduzione video contano più le giuste sinergie che la somma del valore dei singoli anelli della catena.
Ma ora passiamo all’analisi delle nostre specifiche tecniche.
Risoluzione
Come già avevamo avuto modo di abbozzare nella precedente puntata, la risoluzione è uno dei principali parametri caratterizzanti la qualità di visualizzazione di un VPR, assieme al rapporto di contrasto e alla natura della tecnologia di visualizzazione adottata (Crt, Dlp, Lcd).
In generale quando ci si riferisce a proiettori, televisori e monitor Crt, la risoluzione viene indicata mediante una cifra ed accompagnata alternativamente dalla lettera "i" o dalla "p". Ad esempio, 480i indica una risoluzione di 480 linee interlacciate, mentre 720p indica una risoluzione di 720 linee in scansione progressiva.
Nei proiettori digitali la definizione si indica mediante una coppia di valori che esprimono sia la quantità totale di pixels presenti sulla matrice sia la modalità con la quale tali pixels sono posizionati, ad esempio: 800X600, 1024X768, 1024X720.
La prima cifra rappresenta il numero di punti di visualizzazione orizzontali, il numero di colonne della nostra matrice, tanto per intenderci (oppure in altre parole, il numero di pixels presenti in ogni linea orizzontale), mentre la seconda cifra definisce il numero di punti di visualizzazione verticali.
Quando, riferendoci a proiettori digitali parliamo di risoluzione, prendiamo sempre in considerazione la sola risoluzione nativa, vale a dire il numero di pixels fisicamente presente sulla matrice Lcd o sul chip Dlp.
I proiettori digitali possono, all’occorrenza, visualizzare anche un set di risoluzioni differenti da quella nativa, ma per farlo si rendono necessari complicati calcoli per la rilocazione dei pixels, procedimento che comporta inevitabilmente un incremento della quantità di artefatti digitali nell’immagine. Quest’ultima distinzione si rende necessaria poiché molti data-sheets riportano anche le risoluzioni visualizzabili mediante tecniche di rilocazione, occorre dunque puntualizzare che la miglior qualità di visualizzazione si ottiene unicamente con la risoluzione nativa, quella fisica.
Quanto più alto il numero di pixels fisicamente presenti, tanto maggiore la capacità di rappresentare su schermo immagini dettagliate, dai contorni fluidi e continui. Pertanto, si può affermare con tranquillità che la risoluzione è un indicatore dell’accuratezza o del dettaglio riproducibile.
Inoltre, quanto più alta la risoluzione nativa tanto minore la percezione di pixelation, quanto più bassa la risoluzione nativa e tanto maggiore la probabilità di avvertire la retinatura anche ad elevata distanza dallo schermo.
Come abbiamo avuto modo di illustrare nel precedente articolo, la retinatura è funzione diretta dell’area inattiva delle nostre matrici digitali, e di conseguenza dipendente dal rapporto d’apertura. Questo conferma, una volta ancora, che l’unica risoluzione veramente influente è la nativa, rilocare infatti un’immagine di 1024x768 in una matrice di 800X600 non comporterebbe alcun controllo sulla retinatura, giacché la percentuale di area attiva di visualizzazione permarrebbe immutata, anzi introdurrebbe ulteriori artefatti digitali.
Qui di seguito riportiamo un esempio d’immagine con retinatura e la stessa immagine senza traccia del retino.
La nostra continua ricerca della qualità assoluta dovrebbe farci tendere verso il prodotto con maggior risoluzione giacché l’incremento della risoluzione assicura altri effetti benefici oltre a quelli già menzionati. Risoluzioni elevate offrono maggior grado di libertà nella determinazione della:
- distanza minima di osservazione
- dimensione massima dello schermo
Per darvi un metro di paragone: un’immagine prodotta da un proiettore con matrice di 800X600 punti, proiettata su di uno schermo da 80" di larghezza, ed osservata da una distanza di 4 metri, lascia ancora intravedere la propria retinatura. A parità di larghezza d’immagine e distanza d’osservazione, la retinatura diventa meno visibile utilizzando matrici da 1024X768, e quasi impercettibili o appena intuibili con risoluzioni native di 1280X1024.
Se ne deduce che, la scelta migliore relativamente al parametro risoluzione, ricadrà sempre sul proiettore con risoluzione nativa superiore. Per dirla in soldoni: è decisamente meglio portarsi a casa una macchina con matrice di 1280X1024 che una con matrice da 800X600.
Ovviamente, per beneficiare a pieno delle risoluzioni elevate è necessario che il segnale all’origine abbia la stessa risoluzione della matrice del proiettore (ma di questo parleremo in futuro).
Aspect Ratio (Formato)
L’informazione di risoluzione oltre a fornirci con esattezza il numero di pixels fisicamente presenti nella matrice, ci permette anche di dedurre il tipo di formato nativo della matrice usata. Risoluzioni quali 800X600, 1024X768, e 1280X1024 , 1600X1200 (UXGA), indicano l'uso di matrici in formato 4:3; le risoluzioni 854X480, 954X544, 1280X720, 1366X768, indicano invece l’uso di matrici in formato 16:9. Al momento attuale, la risoluzione minima desiderabile, nel caso di formato 4:3, corrisponde a 1024X768, mentre la risoluzione minima desiderabile per una matrice 16:9 è 1280X720.
L’aspect ratio, è un indicatore del rapporto che intercorre tra larghezza dell’immagine e la sua altezza. Il rapporto 4:3, ad esempio, indica che la larghezza dell’immagine equivale a 1.33 volte la sua altezza, e cioè 4/3=1.33. Nel caso del formato 16:9, se ne deduce che la larghezza corrisponde a 1.77 volte l’altezza, per questo motivo il formato 16:9 può essere indicato anche come 1:1.77, che equivale a dire che ad ogni unità di altezza corrispondono 1.77 unità di larghezza, in soldoni: la larghezza è 1.77 volte l’altezza dell’immagine.
La realizzazione di matrici native in formato 16:9 risponde all’esigenza di avvicinare la risoluzione nativa dei moderni proiettori al formato cinematografico originale memorizzato nei nostri DVD.
Sappiamo che il materiale cinematografico prodotto sino a metà del secolo scorso, era girato in 4:3, solo a partire dalla seconda metà del ’900 il cinema iniziò ad utilizzare formati sempre più allungati orizzontalmente per aumentare la dimensione degli schermi e la spettacolarità senza troppo affaticare la visione umana. La produzione cinematografica attuale utilizza esclusivamente il formato Widescreen (1:85) e il formato CinemaScope (2:35), di conseguenza tutte le trasposizioni di materiale cinematografico utilizzano il formato 16:9.
La maggior parte delle telecamere ad uso video producono invece immagini nel formato 4:3, di conseguenza la quasi totalità dei programmi televisivi, serials, telefilms, programmi musicali, riprese dei concerti, sono in formato 4:3.
La scelta del vostro proiettore, relativamente all’aspect ratio, dovrebbe privilegiare unicamente le vostre abitudini e gusti in fatto di programmi d’intrattenimento. Se intendete usare il proiettore prevalentemente per la programmazione sportiva o i telefilms, allora la scelta giusta non può essere che il 4:3, se al contrario il vostro obiettivo è riprodurre nell’intimità della vostra casa l’emozione dello spettacolo cinematografico allora il formato migliore è il 16:9.
Ad ogni modo, un proiettore 4:3 non preclude la fruizione di materiale in 16:9 e viceversa, anche se significa perdere aree di visualizzazione utili.
Luminosità
Un altro parametro molto importante è la luminosità, molto importante ma non fondamentale o "il più importante" come invece vorrebbe farci credere certa pubblicità.
La luminosità indica la quantità di luce irraggiata dal Vpr su una superficie, misurata in lumen secondo lo standard ANSI (cercate di ricordare questo concetto perché vi ritorneremo spesso in futuro).
Come vi dicevo, la luminosità non è di per sé una misura qualitativa, ma solo quantitativa. Essa non ci fornisce alcuna indicazione sulla bontà dell’immagine che il nostro ipotetico VPR proietterà, non fornisce indicazioni sulla sua intellegibilità, ed ancor meno sull’accuratezza. In definitiva, non possiamo assolutamente basarci sulla sola indicazione di luminosità per determinare a priori la supposta superiorità di un modello rispetto ai concorrenti. Se così fosse i tritubo sarebbero esclusi a priori da qualunque valutazione comparativa, fuori gara con i loro "modesti" 200-240 ANSI lumen.
Di per sé la misura di luminosità indica solamente quale dei proiettori oggetti di valutazione produce maggior quantità di luce, tutto qui.
La luminosità assume invece significato concreto quando rapportata ad altri parametri, quali:
-dimensione dello schermo
-caratteristiche di riflettività dello schermo
-luminosità ambientale
-caratteristiche di riflettività di tutte le pareti degli oggetti presenti nella stanza
La luminosità finale di un sistema di proiezione, così come l’occhio umano la percepisce, sarà il risultato della combinazione dei fattori sopra menzionati. In particolare diminuisce al crescere della dimensione dell’immagine proiettata (dimensione schermo), diminuisce al crescere della luminosità ambientale, diminuisce al crescere del coefficiente di riflettività delle pareti, ed infine diminuisce al decrescere del fattore di guadagno dello schermo (il gain).
Le due immagini riportano un esempio di luminosità inadeguata (foto sinistra) e buona luminosità (foto a destra). Come si può facilmente notare a "farne subito le spese" sono i dettagli nelle aree più scure del fotogramma (notate ad esempio quanto il corridoio alle spalle dei robot si confonda in un impasto scuro nella foto a sinistra), ma anche le aree di maggior intensità luminosa perdono slancio (confrontate ad esempio il corpo metallico dei robot o il pannello giallo-arancio alla destra della porta), la sensazione globale che se ne trae è di una generale mancanza di vivacità dell’immagine.
A questo punto qualcuno potrebbe pensare che: più luminoso = meglio. Non sempre!
A contrario di quel che si potrebbe istintivamente credere (e la pubblicità si impegna molto a farcelo credere), non sempre al crescere della luminosità prodotta corrisponde un aumento dell'intellegibilità e gradevolezza d'immagine. Oltre certi valori si rischia infatti di saturare la gamma dinamica dell'immagine riducendo la rilevabilità di dettagli nelle aree più chiare.
Prendiamo ad esempio i due fotogrammi sopra riportati. Dopo un’occhiata superficiale il fotogramma di destra può dare una sensazione di maggiore vivacità, ma basta osservare e confrontare con più attenzione le due foto per comprendere che l’eccessiva luminosità ha illuminato a tal punto lo schermo di destra che i dettagli più chiari si schiantano letteralmente in un "impasto indefinito di bianco" (fate caso alle striature sulla pinna dorsale del pesce più grande "Branchia", o le arcate del teatro di Sidney oltre la finestra, ad esempio).
Per darvi alcuni termini di paragone:
- un proiettore con luminosità di 500 ANSI lumen è considerato più che sufficiente per svolgere degnamente compiti in amito HT, a patto che la stanza permanga sempre debitamente oscurata e si mantenga la dimensione dello schermo entro gli 80", per ottenere il miglior "punch".
- Luminosità di 800-1000 ANSI lumen, permettono l’accensione di punti luce all’interno della stanza, anche se ovviamente la massima incisività si ottiene in condizione di completa oscurità. Con 1000 ANSI lumen si possono iniziare ad usare schermi generosi, diciamo dai 100" ai 119".
- Luminosità di 2000 ANSI ed oltre, se da un lato offrono maggiore libertà operativa dall’altro possono creare ulteriori problemi, richiedendo un’oculata scelta della dimensione dello schermo e del materiale che ne costituisce la superficie, nonché un’attenta valutazione della distanza di osservazione giacché incrementando la dimensione dello schermo si aumenta la percettibilità della pixelation. Per questo motivo la scelta del proiettore non può prescindere l’accurato studio del luogo nel quale sarà inserito.
La luminosità di un proiettore può essere espressa in lumen o ANSI lumen. Fate molta attenzione all'unità di misura utilizzata poiché sottoindende metodi di misurazione decisamente differenti.
Nel caso di valori espressi in lumen, la misura fa riferimento alla luminosità di picco al 10% del bianco. Tale valore si misura proiettando un rettangolo bianco di dimensioni ridotte (generalmente 10%-20% dell’area massima visualizzabile) e registrando la luminosità nel rettangolo. Questa procedura trova giustificazione nel fatto che durante la proiezione di materiale video la quantità di bianco presente in ogni singolo fotogramma varia tra il 10% e il 30% dell’intera immagine, i casi di fotogrammi interamenti bianchi sono rarissimi se non inesistenti durante fruizione di materiale video. L’opposto avviene durante la proiezione di materiale informatico dove spesso si rende necessaria la visualizzazione di grafici e dati su fondo completamente bianco, ecco perché ancora oggi ha senso poter esprimere la luminosità massima in lumen e ANSI lumen. Per le nostre finalità video, la misura in lumen risulta più che sufficiente, l’organizzatore di un centro conferenze avrà al contrario necessità di conoscere la misura in ANSI prima di ordinare un VPR.
Valori espressi in ANSI lumen indicano, la luminosità massima sull'intera superficie dello schermo, ottenuta come media delle singole misure effetuate in 9 differenti sottoaree dello schermo.
Secondo lo standard ANSI (American National Standard Institute) il proiettore deve illuminare di bianco l'intera superficie dello schermo, superficie che verrà opportunamente suddivisa in 9 quadranti, 3 orizzontali e 3 verticali, al centro dei quali sarà posizionato il sensore per la misurazione. Il sensore verrà spostato di volta in volta da un quadrante a quello successivo, ottenute le nove letture di luminosità, se ne effettuerà la media matematica, il risultato di suddetta media andrà poi moltiplicato per la superficie totale dello schermo (espressa in mq). Il valore così ottenuto fornisce la misura del flusso luminoso espresso secondo lo standard ANSI.
Sfortunatamente non tutti i data-sheets riportano la misura di massima luminosità al 10% del bianco (la luminosità espressa in lumen), tale misura è particolarmente importante quando si analizzano proiettori Crt.
I migliori proiettori Crt, nonostante i "soli 220-240 ANSI lumen", possono arrivare a produrre luminosità di 1300 lumen al 10% del bianco.
Per questo motivo, durante la fruizione di materiale video, l’immagine proiettata da un VPR Crt da 1300 lumen risulta doppiamente più luminosa rispetto a quella dei concorrenti digitali da 600-700 ANSI lumen. In verità, il Crt risulta più luminoso anche di macchine digitali da 1000-1300 ANSI lumen, per via del miglior rapporto di contrasto.
Se ne desume che:
- poste due immagini di ugual luminosità misurata, la vista umana percepisce l’immagine con miglior rapporto di contrasto come più luminosa; ecco finalmente spiegato perché la tecnologia Crt continua a battersi dignitosamente sotto il profilo della luminosità anche quando contrapposta a tecnologie capaci di output luminoso decisamente superiore.
Quanto detto, vale unicamente per il materiale video in locali a luminosità ambientale controllata (che poi risulta essere il nostro campo di interesse), e non si applica in alcun modo alla visualizzazione di dati.
Rapporto di Contrasto
Il contrasto è, assieme alla risoluzione, il parametro di maggior importanza per valutare la qualità d’immagine dei proiettori video.
Nei nostri data-sheets il contrasto viene indicato come rapporto tra la massima e la minima luminosità espresse in lumen.
Un rapporto di contrasto di 600:1, ad esempio, indica che:
la luminosità (espressa in lumen) di un’immagine completamente bianca è 600 volte maggiore della luminosità (sempre in lumen) di un’immagine completamente nera. In altre parole, il rapporto di contrasto è un indicatore di escursione dinamica di un proiettore.
Un proiettore con alto rapporto di contrasto proietterà, sempre, immagini più ricche e con colori più saturi rispetto ad un proiettore con basso rapporto di contrasto, proprio perché l’escursione tra il bianco ed il nero è maggiore.
Un proiettore con rapporto di contrasto insufficiente produrrà una non ben definita tonalità di grigio al posto del nero. Inoltre, la capacità di un videoproiettore di visualizzare i dettagli, durante scene scure, cresce al crescere del rapporto di contrasto.
Sfortunatamente, quest’abilità è appannaggio di macchine ad altissimo rapporto di contrasto, molto lontane dai classici 400:1 dei singoli pannelli Lcd.
Quanto minore il rapporto di contrasto e tanto maggiore il numero di dettagli che si perderanno in un "impasto di grigi", cosa particolarmente irritante durante la visione di materiale con lunghe sequenze scure.
Ricordate che la capacità di "risolvere" i dettagli in scene scure è una delle qualità maggiormente desiderabili in un proiettore per uso video.
Le immagini seguenti simulano la differenza di contrasto avvertibile passando da un VPR Lcd con rapporto di 400:1 ad un VPR Crt con rapporto di contrasto di > 1.000:1.
Il rapporto di contrasto influenza anche l’illusione di tridimensionalità di un’immagine. Le immagini sotto riportate rendono, a mio parere, distintamente la percezione di compressione dei piani di profondità dovuti ad un basso rapporto di contrasto.
Nel primo fotogramma i due attori sembrano comprimersi contro il fondale roccioso annullando quasi completamente il senso di tridimensionalità che invece perviene dal fotogramma a destra. Nell’immagine con minor rapporto di contrasto (sinistra) si perde anche l’intellegibilità di moltissimi dettagli scuri e medio scuri (confrontate ad esempio le ombre dei capelli riportate sulla fronte degli attori, o le ombreggiature create dalle pieghe dei tessuti).
Livello di Rumorosità
In genere si pone poca attenzione al livello di rumorosità di un proiettore (a contrario della luminosità, non è tra le caratteristiche che fanno vendere), gli stessi manuali e depliant pubblicitari relegano questa misura, a mio avviso importante, alle ultimissime posizioni. La rumorosità di un proiettore può, in certi casi, diventare motivo di distrazione, soprattutto durante la visione di film particolarmente silenziosi e lenti. Pensiamo ad esempio alle lente e assolutamente silenziose sequenze, di "2001 Odissea nello spazio". Potete star certi che Kubrik le aveva studiate ad arte per creare atmosfere ora alienanti, ora trasbordanti tensione. Ve le ricordate? Ecco… vi posso assicurare che un proiettore rumoroso è in grado di riportarvi immediatamente a terra, col sedere ben piantato sulla vostra poltrona buona, distruggendo all’istante l’atmosfera surreale che il regista tentava creare.
Il livello di rumorosità di un proiettore viene misurato in dB (decibel), che è una scala logaritmica ed indica il livello di pressione acustica di un suono rispetto ad un suono di riferimento. Un incremento di 3dB viene percepito dall’orecchio umano come un raddoppio dell’intensità sonora, al contrario una diminuzione di 3dB viene avvertita come dimezzamento dell’intensità sonora. Quindi, differenze che sulla carta possono sembrare di poco conto potrebbero rivelarsi molto meno trascurabili all’atto pratico.
Giusto per darvi il solito metro di paragone: 10dB equivalgono al fruscio di un vento debole, 20dB al vento, 30dB al frusciare di foglie o il rumore di fondo di una biblioteca, ecc…
I migliori proiettori attualmente in produzione producono livello di rumorosità compreso tra i 20 ed i 30dB, che è già un ottimo livello, tuttavia sufficiente a disturbare più d’un soggetto sano di udito. Sfortunatamente ci possiamo basare solo sui dati riportati nelle specifiche tecniche giacché è difficilissimo riuscire a valutare all’atto di una dimostrazione (negozi, fiere) l’impatto acustico che un dato VPR può generare nel nostro ambiente domestico.
Nella maggior parte dei casi però, è sufficiente evitare di installare il proiettore esattamente sopra la testa del pubblico, per ottenere un inserimento in ambiente acusticamente tollerabile. Nel peggiore dei casi si può pensare di installare il VPR all’interno di una controsoffittatura, oppure realizzare un’apposita scatola che ne limiti l’emissione sonora in ambiente.
Riassumendo: se la rumorosità del nostro VPR è troppo elevata basterà allontanarlo il più possibile dal pubblico o, nella peggiore delle ipotesi, isolarlo acusticamente.
Nuovi consigli per tutti i nostri aspiranti direttori della fotografia là fuori, stavolta, provenienti dal professionista Jas Shelton, la cui filmografia comprende opere quali A casa con Jeff di Jay/Mark Duplass, The Stanford Prison Experiment di Kyle Patrick Alvarez e le serie tv First Day e Togetherness.
Leggi tutto: Consigli per aspiranti direttori della fotografia?
Mi è capitato tante volte di farmi la stessa domanda: se i miei film preferiti non fossero stati accompagnati da quella particolare colonna sonora, li avrei amati allo stesso modo? Chissà, credo sia impossibile stabilirlo. Una cosa, però, è certa: la componente musicale di ogni film, per me, fa la differenza. Moltissima differenza. Ecco perché ho deciso di stilare una lista, assolutamente soggettiva! Ho dovuto necessariamente fare una scelta (ardua) basata ovviamente sulla mia esperienza e sui miei gusti, escludendo i Musical.
E allora, in ordine assolutamente casuale, ecco le prime 5!
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Mi chiamo Sam(I Am Sam)(Jessie Nelson, 2001)
Un’incredibile interpretazione di Sean Penn, nei panni di un quarantenne con un ritardo mentale che vive con la figlia Lucy (interpretato dall’allora piccolissima Dakota Fanning), con la partecipazione di Michelle Pfeiffer. Film commovente, delicato e profondo, che non si dimentica.
LA COLONNA SONORA: UN PICCOLO GIOIELLINO.
Sì, la colonna sonora è stupenda (lo ammetto: sono di parte) e l’ho regalata molte volte, ma a dirla tutta vince a mani basse: la sua particolarità sta nel fatto di essere composta esclusivamente da cover dei Beatles. Inizialmente si volevano includere le versioni originali ma dato che Sean Penn (attore protagonista del film) non è riuscito ad ottenere i diritti per l’uso dei brani originali, ha ingaggiato dei nuovi artisti per incidere queste cover: un tributo riuscitissimo!
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Forrest Gump (Robert Zemeckis, 1994)
Cosa si può dire di questo film che non sia già stato detto?
Ormai un classico del Cinema, il film descrive la vita di Forrest Gump, un uomo dotato di uno sviluppo cognitivo inferiore alla norma, nato negli Stati Uniti d’America a metà degli anni quaranta, attraverso la cui storia il regista Robert Zemeckis trova il pretesto per raccontare i più importanti avvenimenti della storia statunitense.
LA COLONNA SONORA: UN MUST.
I titoli iniziali si aprono col famosissimo tema “The Feather Theme”, composto da Alan Silvestri (con cui Zemeckis aveva già lavorato in Ritorno al futuro) che ha scritto anche tutti i pezzi musicali strumentali che accompagnano il film.
Per Forrest Gump sono stati scelti brani dal vastissimo repertorio musicale dal dopoguerra fino agli anni ’90: spaziando da Elvis Presley a Simon e Garfunkel, dai Doors a Bob Dylan, la colonna sonora di Forrest Gump è costellata da perle musicali che hanno accompagnato tutte le fasi storiche e culturali della storia americana. È stato uno degli album più venduti negli Stati Uniti, arrivando a 12 milioni di copie vendute.
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Il buono, il brutto, il cattivo (Sergio Leone, 1966)
Uno dei capolavori di Sergio Leone, è considerato la quintessenza del genere spaghetti western. Ambientato nel 1862 negli Stati Confederati d’America, dove infuria la guerra di secessione tra la Confederazione sudista e l’Unione nordista, racconta di una vera e propria caccia al tesoro da parte dei tre protagonisti, appunto “Il Buono (Clint Eastwood), il Brutto (Eli Wallach), il Cattivo (Lee van Cleef).
Mi ricordo ancora quando, ancora piccola, mio papà aspettava con trepidazione la messa in onda del film in questione, prevista “alle 20:30 su Rai Uno” (vi ricordate? si andava a letto prima, evidentemente, negli anni ’80!). Allora non capivo la trama, ma di certo mi ricordo quanto fascino esercitasse su di me quella musica così suggestiva!
Piccola curiosità: il brano “L’estasi dell’oro”, viene spesso utilizzato dai Metallica per aprire i loro concerti.
LA COLONNA SONORA: CAPOLAVORO.
La colonna sonora è affidata a Ennio Morricone, amico d’infanzia di Sergio Leone: un capolavoro musicale al servizio di ogni singola immagine, incredibilmente innovativo. Morricone si avvale di spari, fischi, cori sovrapposti, grida e jodel, che contribuiscono a ricreare l’atmosfera suggestiva che caratterizza il film. Il motivo principale, somigliante all’ululato del coyote, è una melodia composta solamente da due, riconoscibilissime note e viene utilizzata per i tre personaggi principali del film, ma con un differente strumento usato per ognuno: flauto soprano per il Buono, la voce umana per il Brutto e l’ocarina per il cattivo.
Durante la famosissima scena del “Triello” (o stallo messicano) trascorrono ben 7 minuti senza alcun dialogo: l’unica a parlare è la musica che arriva dritta al cuore, mentre gli sguardi dei protagonisti creano una tensione che sembra quasi si possa tagliare col coltello.
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Ritorno al futuro (Robert Zemeckis, 1985)
Indubbiamente il mio film preferito di sempre! Chi mi conosce bene sa perfettamente che non c’è cosa peggiore di guardare questo film in mia compagnia: anticipo ogni singola battuta, mi emoziono e trattengo il respiro ancora oggi!
È forse il più significativo film sui viaggi nel tempo e sicuramente, malgrado gli effetti speciali siano considerevolmente migliorati nel corso degli anni, non dimostra l’età che ha.
Marty è un diciassettenne del 1985 che, grazie all’incredibile invenzione del suo amico scienziato Doc, si ritrova catapultato nel 1955 con una macchina del tempo costruita modificando una Delorean: dovrà sistemare qualche paradosso temporale in cui si ritrova suo malgrado, che potrebbe irrimediabilmente interferire con la tessitura del continuum spazio-tempo e che potrebbe distruggere l’intero Universo. Grazie al suo amico Doc dell’anno 1955 Marty riuscirà a tornare nel 1985, sistemando il passato ma anche (soprattutto) il nuovo futuro.
LA COLONNA SONORA: SUGGESTIVO.
La complessa trama del film ha offerto la possibilità di creare una colonna sonora davvero eterogenea: la parte orchestrale, maestosa ed intensa, venne affidata ad Alan Silvestri, che fu in grado di sottolineare ogni sfumatura del film grazie al bellissimo tema musicale così riconoscibile già dalle prime due note, che compare anche nei due film successivi, che completarono la trilogia di “Back to the Future”.
“The Power of Love” è il singolo che Huey Lewis scrisse proprio per il film; stranamente, però, la canzone non ha precisi riferimenti alla trama del film, poiché di fatto è sostanzialmente una canzone d’amore (ma forse è perfetta proprio per questo!). Huey Lewis and the News (il suo gruppo) firmò anche la canzone “Back in time”, che accompagna i titoli di coda. Tra i brani che compaiono del film spiccano ovviamente le hit degli anni ’50, come la celeberrima “Johnny B. Goode” scritta da Chuck Berry (che nel film viene suonata e cantata proprio da Marty durante il ballo scolastico nel 1955), “The Ballad of Davy Crockett”, Pledging My Love e “Mr. Sandman”.
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Bianco, rosso e Verdone (Carlo Verdone, 1981)
Il film è un comico road movie ambientato in Italia nei primi anni ottanta diretto da Carlo Verdone. I protagonisti sono tre uomini, tutti interpretati da Carlo Verdone, che si mettono in viaggio per raggiungere i rispettivi seggi elettorali: Furio, un funzionario statale estremamente logorroico e paranoicamente pignolo in viaggio con moglie e figli; Mimmo, un giovane ingenuo e goffo ma allo stesso tempo affettuoso e premuroso con sua nonna e Pasquale, un emigrato del Sud Italia residente a Monaco di Baviera, che tornando in Italia dopo tanto tempo, trova un’accoglienza tutt’altro che calorosa.
La bravura di Verdone come attore è pari alla sua capacità di regista: è bravissimo infatti a “caricaturizzare” i tre personaggi e a racchiudere in essi (che sono diventati un cult per gli amanti del cinema italiano) e nelle loro storie i cliché, le contraddizioni e le peculiarità del nostro Paese di quegli anni, un’Italia di cui, forse, abbiamo addirittura un po’ di nostalgia.
LA COLONNA SONORA: INTRAMONTABILE.
Ebbene sì, sono ripetitiva e noiosa: ancora una volta, ecco una colonna sonora interamente firmata da Ennio Morricone, che si misura questa volta in una pellicola comica, con estremo successo, non deludendoci neanche questa volta.
Morricone è bravissimo a sottolineare i tre personaggi e le loro spiccatissime caratteristiche: per farlo, per esempio, si avvale di strumenti quali mandolino e fisarmonica, tipici della tradizione italiana, che danno voce all’emigrante Pasquale nella “Marcetta popolare” o della bravura del whistler Alessandro Alessandroni che col suo fischio accompagna il corteggiamento quasi danzante in autostrada da parte del musicista bello e dannato verso la “desperate housewife” Magda, moglie esasperata del pignolo Furio. Struggente e perfetta la musica che accompagna il finale a sorpresa, scena in cui finalmente l’ingenuo Mimmo riesce a raggiungere il seggio elettorale in cui dovrà votare la nonna, la bravissima e compianta Sora Lella (Elena Fabrizi).
Vi aspetto per la seconda parte di questo articolo, in cui parlerò delle altre 6 colonne sonore che ho amato.
E voi? Quali sono le colonne sonore che avete amato?
di Ilenia Soprano da yamahamusicclub.it
Le videocamere appartenenti alla fascia professionale (tipo prosumer) hanno già previsti ingressi microfonici bilanciati, identificabili perché al posto del jack si possono osservare due connettori del tipo XLR (grossi e rotondi). La scelta di non applicare delle linee bilanciate sulle telecamere di fascia media dipende prima dal costo dei microfoni bilanciati di tipo xlr, dalla complessità del circuito elettronico e dallo spazio non disponibile nei ridottissimi châssis delle telecamere, tanto da non permettere l'inserimento degli ingombranti connettori XLR.
Il vantaggio del loro uso è evidente, soprattutto se vengono usati dei microfoni senza filo, possiamo cioè mettere i microfoni a spillette (come fanno in tv) persino nascondendole sotto la camicia, se stiamo registrando una ficion, e nascondere il trasmittente del radiomicrofono da qualche parte negli abiti degli attori, mentre il ricevente lo attacchiamo ad una delle 2 (normalmente presenti) prese XLR. Così possiamo far parlare 2 attori in contemporanea, senza far vedere i microfoni, anzi riprendendo in modo perfetto ciò che dicono anche se si muovono e non parlano rivolti verso la nostra telecamera.
Il loro costo non è altissimo, ma in ogni caso il risultato sarà professionale. Ed è questo quello che conta per il nostro lavoro.