IL PRIVATO SOCIALE. Analizzeremo in questa lezione quegli ambienti domestici che ricoprono una funzione sociale: il salotto di casa e gli spazi comuni del condominio.
IL SALOTTO. E' l'ambiente domestico storicamente deputato ad accogliere i visitatori. Chi ha una certa età, ricorderà che un tempo questa stanza era considerata a tal punto riservata agli ospiti occasionali, che in certe famiglie la si teneva chiusa e sempre perfettamente in ordine, per non fare cattiva figura. Oltre alla rivoluzione degli spazi interni caratteristica delle case post-boom, che avevano meno stanze a disposizione, è stata la presenza della televisione (l'apparecchio televisivo) a cambiare radicalmente la natura di questa stanza, mutandola da luogo di rappresentanza della famiglia, in una sorta di teatro privato. Al grande tavolo che normalmente occupava l'ambiente, essendo spesso il salotto anche destinato a sala da pranzo, sono subentrati i divani e le poltrone orientati verso l'apparecchio televisivo.
La televisione è stata anche il medium che ha reso dominante, fin dagli anni 50, questo ambiente della casa con le prime sit-com. La tradizione era stata ripresa dal teatro, in cui il salotto era un ambiente sul quale davano tutte le altre stanze della casa, e sul quale si apriva la cosiddetta "comune", cioè la porta principale d'ingresso.
Dunque, non una stanza riservata, ma il centro stesso della casa, da cui tutti passano e in cui tutti i personaggi si fermano. Una stanza che a volte si apriva su un giardino o su una grande terrazza, per offrire una maggiore profondità e altre possibilità di movimento. Sarebbe infatti terribilmente monotono e ripetitivo fare entrare ed uscire i personaggi, a turno, sempre dalla stessa porta. L'autore del copione si trova in questo modo a dover creare occasioni e pretesti perchè i vari personaggi passino da una porta piuttosto che da un'altra. Dal punto di vista della scritture, si può dire che le porte sono più importanti della stanza in sè. Si tratta di pensare la storia attraverso una regia dei movimenti dei personaggi, che costituiscono il necessario contraltare alla relativa fissità delle posizioni tra personaggi che si intrattengono tra loro nella stanza. Anche se non vengono mostrati gli altri ambienti della casa, dovete immaginarvi una topografia dell'appartamento, in modo che con l'andamento della pièce sia reso trasparente al pubblico che quella porta è la porta d'ingresso, che quell'altra è della camera da letto, l'altra ancora della cucina e così via. La disposizione dei mobili era già qui, in teatro, orientata verso la quarta parete, cioè la parete invisibile, rivolta al pubblico.
Similmente, nella sit-com televisiva, campeggia in genere un grande divano centrale, rivolto verso noi spettatori, che in questo modo ci troviamo di fronte a una sorta di specchio: noi schierati sul divano, guardiamo altri personaggi schierati su un divano.
La prima accortezza di uno sceneggiatore è la stessa sopra ricordata: cercare di muovere i personaggi, facendoli entrare e uscire dalle porte laterali e di fondo, in modo da togliere fissità alla scena, che però per quanti sforzi si facciano rende comunque obbligati e limitati i movimenti degli attori e mai ci mostra la quarta e misteriosissima parete. Nelle sit-com più recenti si ha cura di rendere questo ambiente più vario e multiuso (guardate ad esempio Friends oppure Will and Grace) con angolo salotto, angolo cucina, insomma sezioni dell'ambiente che possono consentirci inquadrature differenti e meno fisse. In cinema, la quarta parete non può essere invisibile, perchè ciò renderebbe appunto troppo teatrale e dunque "innaturale" la messa in scena.
Una ripresa cinematografica in genere mostra gli ambienti a 360°. Anche in questo caso, è bene che pensiate la vostra stanza (che sia un salotto reale, o che sia ricostruito in studio) in modo che si presti a ritagliare nello spazio situazioni particolari, ad esempio un angolo in cui due degli ospiti di una festa possano parlare in privato, senza essere ascoltati dagli altri presenti, punti di fuga su corridoi o altri ambienti, non necessariamente divisi da delle porte. Più un ambiente è affollato più bisogna creare occasioni perchè il quadro d'insieme non soffochi i personaggi, consentendoci comunque di ritagliare per loro ambiti e possibilità di movimento che li isolino (anche se solo convenzionalmente) dagli altri. Uno degli errori che si possono commettere più facilmente in sceneggiatura è quello di mettere in scena un gruppo di persone senza aver chiara la gerarchia dei personaggi. Dobbiamo sempre poter distinguere visivamente i protagonisti su cui dobbiamo concentrare l'attenzione, dai figuranti e dalle comparse. Questo vale soprattutto nel caso di una festa o di un ricevimento, ma quando invece mettiamo in scena un ristretto gruppo di amici, è bene comunque considerarne attentamente i ruoli. La prima distinzione di base è tra il padrone di casa e gli ospiti. Questa differenza ormai si è fatta più sfumata di un tempo. Anche se la casa è di tizio, i suoi amici-ospiti possono essere disinvolti come se si trovassero a casa loro. Già questo però può darvi delle occasioni narrative, perchè pur nella famigliarità di gruppo, i personaggi sono diversi: può esserci l'ospite abitudinario per il quale è più ovvio che si consideri "a casa", ma può esserci anche quello invadente perchè maleducato, o quello curioso che trovandosi lì per la prima volta guarda dappertutto.
Riguardo al dialogo e alla distribuzione delle battute, tutti devono trovare il modo di interloquire, naturalmente nella giusta misura. Evitate lunghi monologhi del protagonista con tutti gli altri che si limitano ad ascoltare o intervengono solo per dargli ragione. Voi non state raccontando solamente il protagonista cui gli altri fanno da mero contorno, voi avete messo in scena un gruppo di amici. Se anche un personaggio in una determinata circostanza parla più degli altri o fa da centro della conversazione, non dimenticate mai che gli altri personaggi devono esprimersi o con le espressioni o con interlocuzioni che corrispondano al loro carattere. Non commettete l'errore di affidarvi solo al dialogo (e/o a un dialogo meramente funzionale). Ciò che si dice è figlio di ciò che si vede. In scena c'è un gruppo di persone differenti, con certe dinamiche tra loro, che non possono venire meramente delegate all'inventività degli attori, devono essere pensate dallo sceneggiatore: se una ragazza è semisdraiata sul divano, un ragazzo seduto sul tappeto schiena al divano, un altro appollaiato sul bracciolo di una poltrona, un altro ancora in posizione più isolata e discosta, uno sempre in movimento per darsi un contegno, questo genere di scelte possono rimarcare e identificare il carattere di ciascuno dei vostri personaggi. Voi dovete "vedere" la scena. E' sulla base di quello che si vede che si costruisce dialogo.
Non viceversa. Questo errore (cioè il viceversa) è comunissimo tra gli sceneggiatori (non solo di cinema, anche di fumetti). Si scrive il dialogo e si suppone che ciò che si deve vedere, vada di conseguenza. Sbagliatissimo nella comunicazione visiva. Non siamo alla radio, né stiamo leggendo un libro. Un gesto, un'espressione, una posizione, possono rendere superflua la battuta, oppure possono darle senso e vita.
Ma ciò che si vede, in cinema, viene sempre prima di ciò che si ascolta. Questo è uno dei motivi per cui quando un personaggio pronuncia una battuta particolarmente importante, nel cinema classico si stringe su di lui, non solo per sottolineare l'intensità della sua espressione, ma anche per escludere possibili distrazioni, per togliere dal campo visivo tutto ciò che può far perdere concentrazione al pubblico. Si tratta in genere di un momento di assoluta intimità (per quanto espressa) che viene isolata dal contesto sociale. Se invece lo stesso personaggio non sta solamente dando voce e sfogo ai suoi pensieri, ma si rivolge a tutti o a qualcuno in particolare, ecco che allora la scena (la posizione stabilita per i personaggi) deve consentirlo. Ci sono attori che tendono sempre a "parlare da soli", altri invece che hanno assoluto bisogno, per dare forza alla propria espressività, di rivolgersi a qualcuno in particolare, di guardarlo negli occhi, di stabilire una comunicazione diretta con questo o quello.
Magari voi non saprete ancora, mentre scrivete, quale attore interpreterà un certo personaggio, ma dovete avere ben chiaro chi è il vostro personaggio: un introverso? Un vanitoso? Un polemico per natura? Un chiacchierone? E dovete aver ben presente anche quali sono i suoi rapporti con le persone che ha intorno. Con qualcuno di loro ha un dialogo più diretto? Ne sta trascurando un altro, magari il suo migliore amico, perchè in quel momento gli preme di più conoscere un nuovo arrivato? Tutte queste dinamiche psicologiche sono il fondamento di un dialogo. E il fondamento di queste dinamiche è visivo, si appoggia sulla dislocazione nell'ambiente e sull'atteggiamento dei personaggi.
In un salotto vi troverete sempre, per le caratteristiche strutturali e storiche dell'ambiente, implicati in una dinamica pubblico-privato. Un film che vi consiglio caldamente di studiare, perchè di impianto teatrale, ma in forma quanto mai cinematografica, è Festa per il compleanno del caro amico Harold (The Boys in the Band, 1970, di William Friedkin). Prima opera Hollywoodiana sull'omosessualità, questo film al di là del tema, può offrirvi un esempio perfetto di narrazione corale (nel primo tempo) cui segue (nel secondo) un approfondimento drammatico dei singoli (spesso isolati e al telefono) e illustrarvi nel modo migliore come si possa dare continuamente dinamica ad un interno con terrazza, attraverso i differenti e distinti ruoli dei personaggi, il loro comparire e uscire di scena, il loro essere centro o margine della conversazione, senza che nessuno venga relegato a mero contorno.
b) IL CONDOMINIO
Gli spazi abitativi comuni, pianerottoli, scale, atrio d'ingresso, portineria, cortile di casa, erano nel cinema italiano del dopoguerra ambienti assolutamente fondamentali.
La famiglia viveva all'interno di un contesto collettivo. Non la si mostrava isolata, conoscevamo anche i suoi vicini, attraverso gli spazi comuni del palazzo. Gli ultimi condominii del cinema italiano datano dai tempi di Fantozzi che vive in un palazzone disumano, ma che già concentra la sua attenzione più sui colleghi di lavoro che sui vicini di casa. Si segna in questo modo un passaggio storico: dal condominio comeluogo di vita in comune, al condominio come coabitazione di assoluti sconosciuti, ciascuno rinchiuso nella privacy del proprio appartamento. Dopo di che, l'ultimo e inevitabile passaggio, è stato segnato nel cinema italiano, dalla scomparsa degli spazi comuni. I personaggi vengono mostrati già nel loro appartamento. Magari c'è un location shot dove si mostra il palazzo in cui abita il nostro protagonista, ma non lo vediamo mai fare le scale, incontrare dei vicini, ritirare la posta, se non quando è narrativamente funzionale al personaggio stesso, e non per raccontare il suo contesto sociale.
Questa ormai consolidata abitudine può rappresentare un colossale errore se per esempio dovete scrivere un film o un film tv ambientato negli anni 40 o 50, dove questo concetto della privacy non esisteva e dove dunque il contesto abitativo va raccontato per forza. Ma può rappresentare un limite anche se raccontate un film nell'epoca attuale. Il condominio si presta ancora e non poco alla narrazione cinematografica. Basti citare La Comunidad (di Alex de la Iglesia, 2000) o Rec (di Paco Plaza e Jaume Balagueró, 2007) entrambi ambientati in un grande condominio.
Sono film spagnoli e può anche darsi che in Spagna sopravviva più che da noi il senso del condominio come spazio collettivo. Può anche darsi però che il nostrocinema abbia nel tempo, consapevolmente o meno, sposato un certo ideale di vita piccolo-borghese che rifugge dall'idea di raccontare il "popolo" e nemmeno le sopravvivenze di costumi "popolari", perchè è indubbio che anche in Italia in un condominio popolare, si instaurano tuttora rapporti più stretti con i vicini di casa che in un palazzo borghese. D'altra parte, nei film americani gli spazi comuni, anche in elegantissimi palazzi di New York, vengono narrati più spesso che da noi. Lo status del palazzo in cui abita il nostro personaggio, il tipo di vicini che incrocia (non necessariamente salutandoli) ci rivelano molto di lui, e sono dunque considerati elementi preziosi per la narrazione. Quand'anche limitati alle scene di passaggio (entrate e uscite di casa) sono senz'altro più identificativi del nostro personaggio e del clima che lo circonda di una scena di transito in auto. Il condominio e i suoi spazi comuni, sono di per sè, elemento di passaggio tra privato e sociale. Non dimenticate mai che questa relazione privato-sociale è il nodo su cui uno sceneggiatore costruisce il proprio personaggio. Tanto più oggi, che l'ambiente di lavoro non identifica più il luogo principe delle relazioni sociali, e il posto di lavoro è spersonalizzato, il palazzo in cui si abita, con la sua stessa socialità decaduta, "privato" anche in quanto deprivato di relazioni, è ambiente da non trascurare per raccontare a tutto tondo il nostro protagonista e la sua vita quotidiana.
LEZIONE XL di Gianfranco Manfredi