Si tende ad ambientare in camera da letto le scene di risveglio (di cui abbiamo già parlato) e quelle di sesso, il che è piuttosto ovvio. In realtà la camera da letto è più simile di quanto si pensi ad una stanza di soggiorno. Scrive Anthony Burgess (Letti, 1982, Rizzoli): "Il letto è un mobile pulifunzionale, intorno al quale si organizza la vita di tutta la famiglia o di alcuni dei suoi componenti. Così il letto ha finito per simboleggiare, anche nella vita di tutti i giorni, i concetti di comodità e di distensione (...) Per i bambini poi il letto è anche il simbolo dell'unità e dell'affetto famigliare e proprio alla ricerca di tali sensazioni tentano con moine e manfrine di vario tipo, di essere accolti nel lettone dei genitori." E' dunque bene che uno sceneggiatore non dimentichi questa natura primaria, simbolica, e insieme sociale del letto. Una conversazione tra amiche, per esempio, che potrebbe essere ambientata in qualsiasi posto, un bar, un salotto, una spiaggia, se viene ambientata in una camera da letto esprime da subito e con immediatezza quel senso di confidenza, di comodità, e di unità d'affetti che in altri ambienti deve essere ricreato attraverso l'isolamento, il tono di voce, i gesti e gli atteggiamenti.
La camera da letto è fondamentale quando si deve raccontare la storia di un bambino.
In questo caso assume anche un aspetto di incrocio tra il contesto di vita e famigliare (l'affetto con cui i genitori l'hanno decorata pensando a lui come "bambino") e il suo privato (gli oggetti e i giochi cui è più affezionato e che rivelano qualcosa di lui, i poster e le affiches con cui il bambino o il ragazzino l'hanno personalizzata). Nel corso della crescita, da ambiente riservato dai genitori al bimbo, la camera da letto accentua il suo carattere personale e privato. C'è un momento dell'adolescenza in cui il ragazzino sente il bisogno di dichiarare esclusiva la SUA stanza e allora affigge sulla porta il classico cartello VIETATO ENTRARE. La camera da letto dunque è un ambiente, in questo caso, evolutivo, che segna il maturare di una propria e autonoma personalità. Non ci si affida più alla stanza dei genitori per ottenere rassicurazione, come nella prima infanzia, ma ci si separa per rassicurarsi sulla propria e autonoma identità. Questo trapasso è mostrato in molti film. Nel film Poltergeist di Steven Spielberg (sceneggiatura) e Tobe Hooper (regia) del 1982, la camera da letto è un ambiente multiplo che esplora tutte queste sfumature: c'è la camera da letto con il lettone dei genitori e la televisione davanti, dove appunto ottenere rassicurazione dalle paure notturne e dove anche vivere un'intimità famigliare rilassata e giocosa, anche sancita da quell'altare di famiglia che è il televisore (con tutte le sue insidie, nel caso); c'è la camera da letto del bimbo che si trova ossessionato dall'inquietante "mondo esterno" (l'albero fuori dalla finestra, scosso dalla tempesta e pronto ad irrompere nella stanza, spezzando i vetri) e dai pupazzi/bambolotti che si mutano di notte in presenze vive e minacciose. Attraverso la camera da letto (le camere da letto) gli autori dipingono un quadro del passaggio dall'infanzia all'adolescenza, raccontando turbamenti che rappresentati in un altro ambiente non avrebbero la stessa forza simbolica. Questo aspetto in cinema è da tenere sempre presente: l'ambiente crea psicologia. Non dovete pensare alla psicologia di un personaggio come se fosse semplicemente inscritta in lui e collocabile ovunque. L'ambiente non è mero fondale e scenario. L'ambiente forma gli stati d'animo. Quando dunque scegliete un ambiente per una situazione narrativa, non sceglietelo per una mera questione di opportunità, sceglietelo per i suoi valori espressivi e simbolici.
In molti film Gialli, l'esplorazione da parte del detective della camera da lettodell'indiziato è spesso la sede della rivelazione della psicologia dell'indagato e non ci si limita all'esplorazione della camera da letto attuale, ma si va persino alla ricerca della sua stanza da bambino, nella quale possiamo vedere la genesi della sua personalità. Nella realtà non avviene mai che un poliziotto vada a frugare nella casa dei genitori, e nella stanza del killer da bambino, sia perchè questa stanza in genere non esiste più (mentre nei film è rimasta come una sorta di sacrario museale mantenuto inalterato negli anni) sia perchè nessun investigatore considererebbe determinante esplorare un ambiente frequentato dall'assassino in epoche assai lontane dal suo delitto. In cinema invece questa "radice" è fondamentale non per un'esigenza realistica, ma simbolica. L'esame della camera da letto, delle fotografie, dei passatempi giovanili, dei vezzi privati di un killer, è esplorazione del suo animo, della sua psicologia, cioè della sua intimità, e insieme del contesto famigliare in cui è maturata la sua personalità.
Ma riprendiamo dalle situazioni ovvie, la più ovvia delle quali è la classica scena d'amore e di sesso, rispetto alla quale il cinema, nella sua storia, mostra un atteggiamento inizialmente piuttosto pudico: la macchina da presa indietreggia o si ferma sulla soglia della camera da letto, da un lato per sottolineare la privacy dei personaggi che in quel momento si separano dal mondo e dagli sguardi altrui, d'altro lato per non raccontare ciò che narrativamente (in un certo contesto narrativo) non offrirebbe spunti particolari: i due fanno l'amore, come normali esseri umani.
Mostrare come lo fanno non aggiunge nulla alla nostra narrazione ed è dunque bypassabile, anzi è meglio immaginarlo, ciascuno con la propria sensibilità, sulla base delle proprie memorie, della propria esperienza e della propria fantasia.
L'identificazione è favorita in questo caso dal non mostrare più che dall'esibire.
Ovviamente in questi film, l'accoppiamento è una manifestazione di sentimento più che di erotismo. Rispetto al "sentimento" il riserbo è maggiore che rispetto a un atto fisico. C'è qualcosa di soggettivo, di intimo, che non può venire rappresentato pienamente nell'oggettività della situazione perchè ne verrebbe svilito. La camera da letto è in questo caso un ambiente per certi versi Tabù, come un tabernacolo dove si è al cospetto del Sacro, cioè del Non Rappresentabile ( Non fatevi immagine alcuna, come recita il Comandamento), luogo non-luogo del Mistero, del cerimoniale segreto che acquista senso solo per chi vi partecipita, non per chi vi assiste.
Nel tempo e con l'evoluzione del costume, a sessualità de-sacralizzata e disvelata, la macchina da presa non arretra più, entra in camera da letto, nella camera degli amanti e ce li mostra mentre si amano. Anche qui, però, se ci fate caso, una certa segretezza, un senso di occultamento permane: nel gioco della penombra che dissolve i corpi in forme, nei dettagli alternati di corpi nudi che si abbracciano avvolti da una musica che detemporalizza la situazione. Non ci vengono mostrate "tecniche" d'accoppiamento, ma una sorta di sintesti emotiva di fasi diverse e accavallate, a dissolvenza incrociata. Il dissolvere esplicita un annullamento/superamento/sublimazione della fisicità e dell'oggettività. Questo tipo di rappresentazione è diventata talmente standardizzata da non esprimere ormai più nulla di creativo. Meglio per certi versi, non mostrare affatto come nel cinema d'un tempo, piuttosto che mostrare una sorta di clip obbligato e replicante in cui i personaggi si spersonalizzano. Il consiglio è dunque di evitare situazioni e modi di rappresentazione che l'uso costante e ripetuto ha reso banali. Un rapporto sessuale e amoroso ha sempre in sè qualcosa di "eccezionale" ed "elettivo" che la riproposizione standardizzata finisce per uccidere. Altra situazione ormai talmente standardizzata da non offrire più alcuna sorpresa al pubblico, è la rappresentazione di un rapporto particolarmente passionale, attraverso la solita carrellata di indumenti frettolosamente abbandonati sul pavimento. Davvero non la si riesce più a vedere, non solo per la noia, ma anche perchè non c'è nulla di meno appassionante dell'abitudine. Se dobbiamo raccontare una passione travolgente, la cosa peggiore che possiamo fare è mostrarla con uno stile di racconto consueto.
E' sbagliato per uno sceneggiatore e ancor di più per un regista appoggiarsi esclusivamente ad elementi di "codice" senza averli verificati criticamente. I codici hanno una storia. Vanno riscritti a seconda della propria sensibilità e delle "ricadute" sulla mutata sensibilità del pubblico. Nell'affrontare queste "situazioni obbligate", in questo caso applicate agli ambienti di vita quotidiana che ci troviamo a dover descrivere nel corso di una storia, dobbiamo imparare a distinguere tra elementi simbolici strutturali non transeunti (ad esempio il senso simbolico della "camera da letto" che ha mantenuto nei secoli, a partire dalle arti figurative, delle sue costanti di senso) e stili narrativi profondamente segnati dalla mentalità e dagli usi di una certa epoca e non meccanicamente trasferibili, nè adatti per raccontare l'attuale e/o il nuovo. Il cinema non è solo quel certo film che state scrivendo, è anche l'insieme dei film. Una sequenza troppo riprodotta, uno stile troppo consueto, una scansione consuetudinaria dei tempi e delle azioni, una scalettatura troppo evidente degli eventi, può essere d'ostacolo alla specificità e all'originalità della vostra narrazione, rendendola indistinguibile dalle altre, dunque banale e inespressiva.
In conclusione: la camera da letto è un ambiente che unisce socialità e intimità. Questo non è un elemento passeggero, ma permanente, è un dato simbolico imprescindibile. Il cosa vi avviene e il come esprimerlo va invece definito sulla base della vostra storia, dei vostri personaggi, del contenuto espressivo e "di senso" che intendete rimarcare, non è copiabile ed espropriabile se non a prezzo di degradare la vostra narrazione a stile corrente (e corrivo) e il vostro presunto "autorismo" a superficialità. E' importante comprendere questo punto, proprio perchè troppo spesso si tende a fare il contrario e cioè a considerare transeunte e accessorio (se non a ignorare del tutto) il significato simbolico specifico di alcuni ambienti, e a considerare invece permanente cioè che è passeggero e datato, cioè il modo in certe fasi prevalente di raccontare una situazione.
LEZIONE XXXIX di Gianfranco Manfredi