I GENERI MODERNI (II)
IL CINEMA COMICO (Parte Prima)
SULLA DIFFERENZA TRA COMMEDIA E COMICO
Un errore molto comune (infatti si continua a farlo) è considerare il genere comico come un derivato della Commedia, o più esattamente come una commedia che fa più ridere , con una maggiore presenza di situazioni paradossali. Questo non è affatto vero.
Nella lezione dodici, parlando della Commedia, abbiamo rilevato tra l’altro che:
1. Il protagonista precede l’azione
2. L’azione consiste in una serie di situazioni che mettono a dura prova il protagonista e ci consentono di esaltarne le qualità e le risorse, anche insospettate
3. Le azioni e il racconto nel suo insieme sono finalizzati a uno scopo “morale” : mettere in risalto l’inconsistenza dei ruoli sociali “smascherandoli” e insieme consentire al protagonista dopo tante disavventure, di diventare e manifestarsi di fronte a tutti come “un uomo migliore” , mostrando con ciò che anche la società può migliorare
Nel genere comico questi punti sono tenuti ben fermi, quanto meno i primi due, tuttavia con una specificità che li rende profondamente diversi:
1. Il protagonista non è un attore che interpreta un ruolo, è il comico , che interpreta se stesso o più esattamente assorbe il ruolo nella propria figura. C’è perfetta coincidenza tra Attore e Maschera.
2. Le situazioni in una commedia sono spesso intricate e paradossali , in un film comico possono invece essere anche situazioni normalissime (la dettatura di una lettera, come in Totò ,Peppino e la Malafemmina; il mangiare un piatto di maccheroni ,come in Un Americano a Roma con Alberto Sordi). La situazione non è buffa di per sé, è il comico a renderla buffa.
3. Le vicende che il comico attraversa lo lasciano assolutamente inalterato : tale era all’inizio, quale resta alla fine. Certo mentre all’inizio può sembrarci un perdente predestinato, alla fine possiamo scoprirlo vincente. Ma questa fine e questo inizio non sono necessariamente l’inizio e la fine della storia, sono il più delle volte l’inizio e la fine delle singole azioni, dei singoli rammenti di racconto. Charlot è un vagabondo vincente, sempre, se non altro per il fatto che non soccombe mai e sempre si ripresenta immutato. Su di lui, tutto scorre. Sovverte le cose, ma in modo così unico, esemplare e non replicabile dagli altri, che questo sovvertimento non tocca in alcun modo la natura del mondo che lo circonda, un mondo in sostanza non riformabile. Se il Comico è un anarchico, è del tipo anarchico-individualista, non pretende di realizzare un’utopia, anzi i suoi sogni e le sue aspirazioni sono spesso modesti ( piccolo-borghesi, come è stato detto appunto per Charlot), in realtà il suo unico orizzonte è la sopravvivenza. Vince perché sopravvive nella sua unicità/diversità, che non è un dato di “cultura”, ma di “natura”, non è un fine da raggiungere, ma una condizione da mantenere e rimarcare in ogni singolo istante. Il comico vive in un eterno presente.
Abbiamo anche sottolineato come l’attore che interpreta un ruolo di Commedia debba necessariamente identificarsi con il personaggio, il quale vive molto seriamente le vicende in cui si ritrova coinvolto. Anche Syd Field rileva che gli attori ideali, perfetti per una commedia, sono Marcello Mastroianni (di cui cita l’interpretazione in Divorzio all’Italiana di Pietro Germi) e Cary Grant. Nella dodicesima lezione, ho anche citato il Dustin Hoffman di Tootsie. Si tratta insomma di autentici attori, in grado di interpretare con lo stesso rigore (e realismo) ruoli drammatici o ruoli brillanti. In entrambi i casi sanno aderire perfettamente alla vicenda, rendendo efficacemente la dinamica di “cambiamento” del proprio personaggio nel percorso dall’inizio alla fine della storia. Interpretano cioè una “biografia”, con un passato, un presente, un futuro.
Charlot, Laurel e Hardy, Harold Lloyd, Buster Keaton, Jerry Lewis, Totò, Benigni, sono attori di tutt’altra natura: al di là delle loro capacità nell’interpretare occasionalmente dei veri e propri ruoli, non sono affatto degli interpreti in senso proprio. Sono Maschere. Ciò che li definisce è il volto, il costume, il modo di muoversi, loro firme inconfondibili, che si replicano identiche in ogni film che interpretano. Qualunque situazione, anche la più banale (entrare o uscire da un’automobile) diventa per loro, al di là di qualsiasi esigenza narrativa, uno spunto per far ridere.
Se avete scritto una Commedia e chiamate un Comico ad interpretarla, sappiate che correte un grandissimo rischio: al Comico, per sua natura, non interessa nulla della storia, delle sue scansioni e del suo divenire, e nemmeno del cammino psicologico del personaggio, il Comico si preoccupa di far ridere nell’istante in cui appare, attraverso l’uso del proprio corpo, non attraverso l’uso del personaggio, né tanto meno aderendo con realismo alla situazione. Nella vostra Commedia, il Comico svilupperà inevitabilmente una tale serie di gag, da far smarrire qualsiasi senso e credibilità alla storia. D’altro canto, non è questo che il pubblico chiede a un Comico, ma semplicemente di farlo ridere con lo spettacolo di se stesso.
Come il cinema horror si fonda sull’emozione della paura, così quello comico si fonda sul riso. Far ridere è l’unico centro e fine del racconto, al di là e oltre ogni possibile contenuto morale.
Come il cinema horror vive di frammenti, così il cinema comico vive di sketch e di gag, cioè di una serie di mini-racconti incentrati su esibizioni, performance del protagonista, rispetto alle quali la storia vera e propria non è altro che un pretesto. L’origine del genere Comico è pre-narrativo, cioè precede il racconto strutturato. Si tratta, come per le attività circensi (non necessariamente clownesche) e come per il teatro di varietà , di Numeri. E il numero è un’entità astratta. Se lavoriamo con un comico, nell’espressione “una pera” , non deve interessarci la pera, ma “una”. Cioè la pura, astratta, unica qualità comica, non la concretezza del “ruolo/personaggio” nel contesto di una storia. E questo rende ovviamente molto difficile il lavoro di uno scrittore per un comico. Si possono certo escogitare delle battute, ma anche queste non risolvono il nocciolo del problema. Abbiamo già notato come il cinema sia racconto per immagini e dunque, in esso, la fisicità del comico sarà sempre prevalente rispetto alla parola. Il cinema comico per eccellenza nasce muto e resta muto. La stessa voce del Comico, attraverso l’uso dei toni, degli accenti o del dialetto , si esprime più attraverso il suono della parola ( cioè la sua fisicità) che attraverso il contenuto del discorso. Un Comico può far ridere pronunciando a modo suo una frase che di per sé non fa ridere (Nu vulevon savoir l’indiriss, come Totò chiede a un “ghisa” milanese, nel contenuto è solo una richiesta di informazioni, non è una battuta, non è un motto di spirito).
Una volta mi è capitato di leggere una pagina di sceneggiatura che era più o meno così:
STRADA DI ROMA – Esterno Notte
L’automobile di Antonio si blocca improvvisamente in mezzo alla strada. Lucia esce di fretta dalla macchina. Antonio smonta dal posto di guida, la insegue e la ferma.
ANTONIO
(a soggetto)
A soggetto? Restai allibito. La sceneggiatura era stata scritta da uno dei migliori e meglio retribuiti sceneggiatori su piazza. Com’era possibile che lui non si fosse scomodato neppure a scrivere la battuta di Antonio? Dato che era di fronte a me, glielo chiesi. Mi rispose: “ tanto anche se la scrivo, lui dice quello che gli pare.”
Già! Può essere molto frustrante per uno sceneggiatore scrivere per un comico. Uno sceneggiatore non può limitarsi a sfornare vaghissimi canovacci per improvvisazioni dell’ultimo istante. E dentro di sé, se ama il cinema, sente che rinunciare a raccontare una storia o il percorso di un personaggio, smarrire totalmente il senso della narrazione, è sbagliato perché il racconto cinematografico è certo per immagini, ma fondamentalmente resta e deve restare un racconto, con un inizio, uno sviluppo e una fine . Un film , qualsiasi film, non si regge senza drammaturgia . Del resto la storia del cinema comico stesso ci mostra come il semplice impianto a gag o a sketch non è sufficiente ad accontentare lo spettatore (per questo, basta la televisione) ed espone a un rischio terribile: se il comico di turno non è in forma e le sue performance risultano deboli, il film frana. Inoltre oggi, al contrario dell’epoca del muto, i comici “fisici” (che cioè fanno ridere con il proprio corpo) sono rarissimi, mentre i “battutari” da stand up televisivo si sprecano e spesso sono renitenti ad imparare battute scritte e schiavi di modi di esprimersi fatti solo di tormentoni, di frasette-slogan ripetitive, tanto facili da ricordare sul momento, quanto deperibili nel breve periodo.
Dunque ora che abbiamo stabilito alcune differenze fondamentali e un antagonismo di base tra Commedia e Comico, cercheremo di analizzare, attraverso alcuni esempi (che non pretendono certo di esaurire la grande molteplicità di soluzioni) quali soluzioni si siano escogitate, nella storia del cinema, per risolvere il problema. Le soluzioni che indagheremo in questa Prima Parte sono indirizzate a garantire una certa autosufficienza al Genere Comico, potremmo anche dire: di esprimere Comicità Pura.
1. La Parodia
Definizione di Parodia: “ Composizione che contraffà con intento comico o satirico un’opera conosciuta.”
Cioè: 1. Si usa come racconto un racconto già esistente;
2. Lo si distorce;
3. Perché l’operazione funzioni, il racconto originale dev’essere ben conosciuto.
La soluzione consiste dunque in questo: se il Comico stravolge l’abitudine, consideriamo allora come abitudine non la vita reale nel suo più ordinario e banale svolgersi, ma una storia di fantasia che tutti già conoscono. Non dovremo raccontarla di nuovo, in quanto è già nota, dovremo invece alterarne profondamente il senso, capovolgendola (per esempio) da tragica a comica. Non avremo più così il problema di scrivere una storia che colleghi i diversi numeri del Comico, perché la storia c’è già, precede il suo trattamento comico. D’altro canto i numeri del Comico avranno un punto preciso di riferimento nelle azioni già rappresentate, non comicamente, in precedenza e così note da costituire un retaggio, un bagaglio culturale assestato, un racconto divenuto Luogo Comune, dunque Abitudine.
Cerchiamo ora di analizzare un modello classico di Parodia: Frankenstein Junior di Mel Brooks (1974). La sceneggiatura del film risponde perfettamente ai tre requisiti sopra elencati. Ci si basa su una storia talmente nota da essere risaputa, facendo dei suoi snodi narrativi, delle situazioni, dei personaggi, uno spunto per una serie di numeri comici a getto continuo. Non ci sono scene di connessione tra uno sketch e l’altro, si ride dal principio alla fine e i singoli frammenti ci appaiono sorprendentemente uniti in un unico racconto.
Il problema degli sceneggiatori di una Parodia è analogo a quello che incontrano gli sceneggiatori che si trovano a trasporre sullo schermo un racconto letterario. Bisogna trovare, nell’originale, sufficienti spunti per poter riempire due ore di film e spesso nell’originale non ce ne sono abbastanza, oppure sono poco adatti per l’effetto che si vuole ottenere: la risata. Dunque si tratta anzitutto di scegliere quali elementi usare e quali scartare.
Gli sceneggiatori Mel Brooks e Gene Wilder, non usano soltanto il film Frankenstein(1931), cioè l’originale di Whale, ma anche i due successivi della serie: Il Figlio di Frankenstein e La Moglie di Frankenstein. Cioè tre film per ricavarne uno. In questo modo si ritrovano a disposizione una vera miniera di spunti comici.
Questo è un esercizio che vi consiglio vivamente: guardate i tre film di Frankenstein sopraccitati e confrontateli alla loro parodia. Vedrete da soli, senza bisogno di troppe parole, e credo ne resterete stupiti, che nel film di Mel Brooks (così unico e originale nella storia del cinema comico) non c’è quasi nulla di veramente originale: persino i personaggi collaterali (come l’ufficiale borgomastro con il braccio di legno) esistevano già nei film della serie, con le gag già belle e pronte. Di più: se vedete i film originali dopo aver visto Frankenstein Junior, quei film, destinati a far paura, vi faranno ridere!
Mel Brooks e Gene Wilder inseriscono nel film anche situazioni che non ci sono nei film originali, e che sono parodie (più difficili da riconoscere) di altri film: per esempio la scena in cui il Mostro faticosamente si arrampica fino ai merli della torre e alla fine, distrutto dalla fatica, sembra non farcela più. Il dottor Frankenstein non lo aiuta affatto e impedisce anche agli altri di farlo: il Mostro deve dar prova di riuscirci da solo. Questa è un’esilarante parodia del finale di Fronte del Porto (1954) il drammatico film di Elia Kazan con Marlon Brando. Si ride lo stesso anche se non si riconosce la citazione beffarda, ma certo se quella situazione viene in mente si ride di più.
Ho citato quest’ultimo dettaglio per rimarcare quanto sia importante il punto 3: perché l’operazione funzioni , il racconto originale dev’essere ben conosciuto. Precisiamolo meglio: in una Parodia se una singola scena fa ridere, fa ridere anche se non ne riconosciamo l’origine. Né necessariamente tutte le scene devono essere parodistiche, possiamo anche inserire dei numeri comici originali. Però questo limite la Parodia se lo porta sempre dietro.
Pensate ai film della serie Scary Movie: è evidente che le scene fanno tanto più ridere, quanto più riconosciamo i film che vengono presi in giro. In uno degli ultimi film della serie, per esempio, il protagonista, che mette in parodia Tom Cruise , viene invitato ad un talk show televisivo e lo vediamo dare in escandescenze mostrando un entusiasmo del tutto sopra le righe. Questo è realmente accaduto (e proprio con Tom Cruise) ad un popolare talk show americano. Noi in Italia non lo abbiamo visto e dunque questa scena ci fa ridere meno di quanto abbia fatto ridere il pubblico americano.
Altri e analoghi limiti della Parodia possiamo vederli in un altro film di Mel Brooks: Alta Tensione (1977) nel quale vengono presi in giro i film di Alfred Hitchock. Qui Mel Brooks si vincola meno che nel caso di Frankenstein a una storia definita, scrive un racconto molto più frammentario e scomposto, puro pretesto per una scorribanda di citazioni parodistiche. In qualche punto, fa persino la parodia dello stile di ripresa di Hitchcok: c’è per esempio una scena in cui la macchina da presa si muove con un carrello ad avanzare dall’esterno verso l’interno di un ambiente (cioè un movimento da piano sequenza che possiamo ritrovare anche all’inizio di Psycho) ma trova sulla sua strada un vetro e lo infrange. Quando vidi questo film in sala, mi accorsi che a questa scena avevamo riso solo in tre. E’ molto difficile far ridere sul linguaggio stilistico, questo è un vezzo da appassionati di cinema . Il largo pubblico non coglie al volo questi aspetti e dunque non ride.
Vicina a Frankenstein Junior è la serie L’Aereo più pazzo del mondo. Lo spunto per la Parodia viene non da un singolo film, ma da una serie di film e telefilm sui disastri aerei e sulla traccia di questa parodia principale si inseriscono singoli sketch che mettono in satira altri film di generi disparati (per esempio La Febbre del Sabato Sera). Qui, in modo ancora più trasparente che nei film di Mel Brooks, si usa una struttura narrativa tutta composta di frammenti allineati, senza preoccupazioni eccessive di connessione. L’unità narrativa è garantita da un lato dal riferimento al film principale Airport (1970) e ai suoi sequel, dall’altro dal viaggio aereo stesso che ha un inizio (la presentazione dei vari personaggi e le fasi di imbarco), uno sviluppo (incidenti di volo) e una fine (l’atterraggio d’emergenza). In questo percorso ci può stare di tutto, anche dei flash back che ci portano fuori dalla situazione e consentono a loro volta di citare e parodiare altri film.
Una riflessione a margine
Avrete notato che abbiamo citato dei film che hanno scelto come oggetto di Parodia il cinema dell’orrore o il thriller o l’action-drama (il dramma d’azione). Non è un caso. Anzitutto i film originali sono per loro natura già ricchi di frammenti narrativi, cioè di scene a se stanti o che si ritagliano un’evidenza assoluta nel corpo della narrazione. In secondo luogo si tratta di film nei quali la risata non è affatto prevista: anzi, se avessero fatto ridere, non avrebbero funzionato. Cioè meno comica è la storia di riferimento, più sorprendente ed esilarante sarà l’esito della distorsione. In altre parole: tendenzialmente alla base della Parodia, c’è la Tragedia.
Molti grandi comici hanno sottolineato che un vero Comico non deve mai dimenticare la Tragedia, sia quella quotidiana vissuta dalla gente comune sulla propria pelle (la fame, la malattia, la guerra, la miseria), sia quella narrata. Mentre uno degli esiti della Tragedia, come abbiamo visto, è la catarsi (patire dolore per via mediata e senza subirne le conseguenze materiali), uno degli esiti possibili del lavoro del comico è il totale capovolgimento dell’esperienza, anche simulata, del dolore, in riso liberatorio. Benigni ha spesso rimarcato (anche con qualche eccesso di retorica “edificante”) come l’arte del Comico stia non nel negare la sofferenza, ma nel farne occasione di riscatto vitale. Non è questa la sede per approfondire interpretazioni filosoficamente più ricche e complesse. Basterà osservare che questo atteggiamento non va affatto confuso con il masochismo: il Comico sbatte contro una porta e la cosa ci fa ridere, ma questo non significa affatto che il Comico cerchi apposta di andare a sbattere contro la porta ,tanto meno allo scopo di provare godimento! Una gag che sembri troppo voluta, è una gag mal realizzata e mal riuscita: lo sbattere contro le porte è un dato di fatto, un evento esterno, non è una situazione cercata. E’ proprio una situazione Tragica, nel senso che viene subita, e deve apparirci assolutamente chiaro che il Personaggio l’ha subita senza volere. Nel momento in cui subisce gli eventi, il Personaggio/Comico è assolutamente Passivo, esattamente come quello della Tragedia. Nel caso della Commedia, l’evento viene visto come una prova , un ostacolo attraverso il superamento del quale il Protagonista ci mostra le sue capacità, e il suo saper essere Attivo e risolutivo. Nel caso del Comico, l’ostacolo non viene necessariamente superato, anzi spesso non viene superato affatto: nelle comiche di Stanlio e Ollio ogni ostacolo ne produce un altro, in un accumulo al di là di ogni realismo. Il tentativo stesso di superamento dell’ostacolo viene irriso: qualsiasi gesto venga fatto per rimediare a un danno, produce una reazione a catena di danni sempre più devastanti. Il punto è che il Comico ne esce sempre miracolosamente indenne. Il Comico, ripeto, incarna l’arte di sopravvivere, non quella di prevalere.
Come si lavora a una Parodia ?
Per scrivere una buona Parodia è evidente che bisogna avere una notevole cultura cinematografica. Come detto sopra, è bene non scegliere un unico film come riferimento, ma diversi film, partendo da un filone principale per poi aggregarvi riferimenti a film d’altro genere.
E’consigliabile lavorare in gruppo. In generale accade abbastanza di rado che uno sceneggiatore lavori da solo, ma in questo caso è anche più sconsigliabile. Per scrivere una parodia bisogna divertirsi . Può essere un esercizio utile riunirsi con un gruppo d’amici a vedere dei film di un certo filone (che so… tanto per fare un esempio recente, i film della serie Fast and Furious) e commentarli ad alta voce, cogliendo spunto da certe scene per escogitare delle distorsioni comiche.
E’qualcosa di simile a quello che avveniva frequentemente in una normale sala cinematografica (oggi avviene più raramente): c’era cioè sempre in sala qualche spiritoso che commentava ad alta voce le scene, facendo ridere tutti magari in un punto dove il film prevedeva tensione. Si allentava così la tensione e si parodiava il film in diretta. Scrivere una parodia è naturalmente più difficile: non si tratta di commentare una certa scena, ma di rifarla in modo che risulti ridicola. Spesso le scene originali, proprio per essere efficaci, si fermano a un pelo dal ridicolo: si tratta di spingerle oltre. In gruppo questo metodo di lavoro può somigliare a un gioco: la scelta delle scene, la discussione su come alterarle, il ricordo di scene simili di altri film e che possano venire allineate a quelle prescelte, insomma il discutere a ruota libera accumulando spunti è un’ottima base per cominciare.
Il meccanismo comico scatta dal fatto che si prendono in giro dei luoghi comuni, a partire dal carattere stesso dei personaggi che in un film “serio” tendono tutti ad essere fin troppo seri, e nella sua parodia invece risultano in genere dei totali idioti.
Il tipo di comicità è insomma affine a quella dei “Contrari”, i clown delle tribù indiane che facevano ridere reinterpretando a modo loro (farsesco e persino scandaloso) cose serissime, come ad esempio i rituali religiosi. I film horror, d’azione o drammatici devono assolutamente rendere credibili personaggi e situazioni. Più i personaggi e le situazioni sono improbabili, ai confini della realtà, più gli sceneggiatori devono sforzarsi di renderli verosimili. Uno scrittore di parodie deve fare esattamente il contrario: mostrare l’assurdità del carattere o del comportamento dei personaggi e l’improbabilità assoluta delle loro azioni, persino di fronte a situazioni normali. Questa è la regola fondamentale del gioco.
Ma siccome in una Parodia il divertimento dev’essere a getto continuo, bisogna fare riferimento a quanti più spunti possibili. Una testa sola non basta: se si lavora in gruppo, ci si sollecita a vicenda e si può anche verificare dalle reazioni degli altri se la nostra personale reinterpretazione di una certa scena fa davvero ridere oppure no.
2. La Slapstick Comedy
La parola “Slapstick” significa Schiaffi e Bastonate. La Slapstick Comedy è una forma di racconto comico che esaspera ed esagera la violenza fisica, senza che questa produca danni definitivi e letali. Cioè è un racconto per iperbole destinato a suscitare risate non crudeli, proprio in quanto talmente esagerato da non essere realistico, e da risultare negli effetti, altrettanto esageratamente innocuo: i protagonisti/vittime di tali incidenti si rialzano come se fossero di gomma, pronti a subirne altri. In questo caso il cinema comico usa lo stesso modulo espressivo dei cartoni animati.
Esaminiamo questo tipo di cinema comico attraverso due esempi: la serie Scuola di Polizia e la serie Fantozzi. Già il fatto che si tratti di film in serie è indicativo: le storie , in questi film, non hanno fine, sono una pura successione di eventi che potrebbero durare all’infinito. Quello che li tiene insieme è la cornice di luogo (la Scuola di Polizia, l’ambiente di lavoro e di vita di Fantozzi) e la narrazione viene scandita sulla base di un ordine di tipo cronologico. Nel caso di Scuola di Polizia: l’arruolamento, l’inizio del corso, un’emergenza e l’intervento/risoluzione dell’emergenza che coincide con la fine del corso. Nel caso di Fantozzi, un anno tipo nella vita dell’impiegato d’azienda. L’andamento frammentario ed episodico è giustificato (in Scuola di Polizia) dalla coralità, cioè dal fatto che non raccontiamo un unico protagonista, ma diversi personaggi e possiamo passare dall’uno all’altro con stacchi frequenti. In Fantozzi la frammentarietà è addirittura fondante: si tratta di una sorta di Diario (recitato dalla voce fuori campo dell’autore). I film di Fantozzi, almeno i primi, derivavano da una serie di brevi racconti comici pubblicati su una rivista, poi raccolti in volume. Nei film però c’è qualcosa di più: Paolo Villaggio usa una struttura narrativa fissa nella quale i singoli episodi si inseriscono come tappe. Questa struttura è geniale e molto italiana: si tratta infatti di una vera e propria Via Crucis, di cui ogni singolo episodio narrato rappresenta una stazione. Il finale, fateci caso, è fisso ed è sempre rappresentato da una sorta di coronamento mistico della tragica esperienza di Fantozzi: l’incontro con il Megadirigente, Suprema incarnazione del Potere (e più in generale di tutto ciò che Fantozzi non ha e non è) e che di film in film si colora sempre più di simbolismo religioso, in una sorta di parodia del Paradiso (che per Fantozzi è solo la soglia di una nuova umiliazione e ricaduta nell’Inferno da cui mai si risolleverà).
Gli slapstick comportano dal punto di vista della sceneggiatura un lavoro più complesso e preciso di quanto non si pensi. Non si possono girare film di questo genere sulla base di un mero canovaccio. Essendo ogni singola azione esagerata al limite del cartone animato, essa deve venire studiata e preparata nei dettagli . Non è consentita approssimazione nella sceneggiatura. Si tratta di film molto costosi e più un film è costoso e più la sceneggiatura rappresenta non solo una narrazione, ma un vero e proprio programma di lavorazione, per tutti i reparti della troupe.
Dal punto di vista della storia, non ci si appoggia affatto sulla Parodia. Scuola di Polizia non fa la parodia dei telefilm polizieschi o dei film polizieschi. Le singole situazioni del film non fanno ridere perché riferite ad altri film, ma perché sono originali. Le diverse situazioni comiche sono vissute da personaggi che non sono caricature di altri personaggi, ma caratteri originali. Lo stesso si può dire per Fantozzi e i personaggi fissi o ricorrenti che lo circondano (la moglie, la figlia-scimmia, i colleghi eccetera). Ciascuno di loro è stato ideato e sviluppato nel suo rapporto con gli altri.
Il lavoro di sceneggiatura dunque non consiste soltanto nell’ideare una serie di scenette, di frammenti narrativi dotati di una qualche autonomia rispetto all’insieme, ma anche nell’ideazione dei personaggi, senza i quali le singole scene non avrebbero senso, nel mostrare i rapporti tra questi personaggi e anche un’evoluzione di questi rapporti. Da questo punto di vista la commistione con la Commedia è evidente. Si parte dai singoli frammenti, ma questi frammenti originano dai personaggi, che vanno a loro volta inter-relati e disposti lungo un percorso. Anche se si parte dai frammenti dunque, si deve pervenire a una storia .
In Scuola di Polizia gli episodi che si susseguono mirano a un finale positivo: gli smacchi dovuti all’imperizia dei protagonisti alla fine vengono superati. Quegli imbranati, attraverso un addestramento strampalato, ma soprattutto attraverso la solidarietà tra loro, riescono alla fine a trionfare. C’è a suo modo un insegnamento morale: bisogna dare spazio ai “diversi” perché hanno una maggiore motivazione dei “normali”, i diversi cercano un riscatto sociale. Si potrebbe dunque dire che il Comico ha prodotto dal suo seno una perfetta Commedia.
Il riferimento alla Tragedia è invece estremamente rimarcato in Fantozzi. Il racconto è addirittura di film in film diventato “storico”. Questo alla lunga si è rivelato un grave errore. I personaggi non comparivano sempre identici a se stessi, come in un cartoon, ma invecchiavano, cioè sviluppavano una loro biografia. Contemporaneamente i Numeri diventavano sempre più ripetitivi e tristi, gli autori parevano preoccupati solo di incrudelire sul povero protagonista e sui comprimari, ed emergeva un fondo di desolante cinismo, una disinvolta allegria nell’infierire, che non faceva e non poteva far ridere (al di là di qualche singolo frammento).
E’ ovvio che la Slapstick Comedy, facendo della Violenza Estrema un’occasione di spasso, ha una radice per nulla confortante, ma è Comica proprio perché sa renderla innocua, sublimandola nel puro gioco infantile del “fingere” lo scontro e la morte. L’uso dell’iperbole consiste appunto in questo. Willy il Coyote resta vittima delle sue stesse mirabolanti trappole infernali, viene schiacciato come una pizza, triturato, bruciato, gliene succedono di tutti i colori, e si ripresenta sempre, miracolosamente indenne e testardo. Ma è un personaggio che non ha storia, non ha biografia. Se invece ci mettessimo in testa di scrivere la storia della vita di Willy Coyote e lo rappresentassimo nel corso del tempo sempre più spelacchiato, debole, patetico, frustrato, e sempre più intento a farsi del male, beh allora racconteremmo proprio un’altra storia, che Comica non è.
Non c’è neanche bisogno di vedere il film, basta il titolo Fantozzi va in pensione, per capire che non c’è niente da ridere. L’idea stessa che ci si possa divertire nel vedere un anziano pensionato scippato fuori dall’Ufficio Postale, è inquietante.
Si vuole rimarcare a tutti i costi il lato tragico? Non si può farlo così. In questo caso, infatti non si dà vera catarsi: nella catarsi si partecipa al patimento altrui, ma qui si pretende di far ridere di fronte alle disgrazie che colgono un altro, talmente indifeso e spogliato di ogni dignità, da rendere molto difficile se non impossibile identificarsi in lui: ci suscita infatti un profondo disagio l’idea che un giorno potremmo essere simili a lui. E non ci consola neppure pensare: tanto quello è Fantozzi… io mica sono così sfigato. Se ci consoliamo così, e ridiamo dell’inferiorità di Fantozzi, siamo dei veri pezzi di merda. La direzione presa, insomma, sembra quella del grottesco con un fondo horror neppure troppo mascherato. Ma uno spettatore moderno può ancora ridere a un Freak Show? Ne dubito. E lo dimostra il semplice fatto che un personaggio popolarissimo come Fantozzi ha visto nel tempo naufragare il proprio successo di pubblico.
Ciascuno la pensi come vuole, questo corso non presume di preparare dei critici cinematografici, né tanto meno di dare giudizi morali sulle scelte di racconto indicando come unico orizzonte possibile il politically correct (questo sarebbe del tutto assurdo nel caso della Slapstick Comedy che anzi non deve mai temere di usare spesso e volentieri il politicamente scorretto, la maleducazione e anche la volgarità), però resta indispensabile fornire qualche occasione di riflessione in merito ai limiti dei modelli narrativi proposti. Ora, nel caso della serie Fantozzi, e mi riferisco in particolare agli ultimi episodi della serie, l’errore (riassumo) sta in questo: storicizzandosi, raccontando l’invecchiamento dei suoi personaggi che replicano gli stessi e sempre più stanchi gesti, infierendo nel ridicolizzare la vittima, la serie diventa troppo crudele per far ridere.
C’è un limite che una Slapstick Comedy non può superare: non deve mai suscitare risate crudeli.
Spesso è arduo anche per dei professionisti navigati individuare il limite che separa la cattiveria innocua dalla crudeltà che può ferire sul serio. Tenete ben presente il caso Fantozzi e (confrontando i primi film agli ultimi) studiatelo bene: è un esempio perfetto, sia dei risultati notevolissimi che si possono ottenere, sia dei rischi fatali che si possono correre.
Come si lavora a una slapstick comedy?
Per la slapstick, come per la parodia, si tratta di elaborare una serie di numeri comici. Il cinema comico si struttura a partire dai Numeri, non dalla storia, come abbiamo rilevato. Ma la Slapstick Comedy mette capo a una Commedia e la Commedia origina dai personaggi e i personaggi hanno una storia (con un inizio e una fine). Nella Slapstick Comedy corale, gli stessi Numeri sono Numeri dei Personaggi e spesso il Protagonista che conduce la vicenda, non è affatto un comico, ma un tipico attore da commedia. (In Scuola di Polizia per il ruolo di protagonista al principio si era persino pensato a Bruce Willis , poi si è scelto Steve Guttenberg). Questi film seguono in parallelo le vicende di personaggi diversi, alternando scene nelle quali i personaggi compaiono da soli ad altre in cui compaiono insieme. Accade così anche nei film ad episodi intrecciati. I fratelli Vanzina hanno prodotto diversi film ad episodi intrecciati (ad esempio Via Montenapoleone ) e anche film definibili come Slapstick Comedy (come S.P.Q.R.nel quale compare un vero campione della Slapstick Comedy: Leslie Nielsen ). Lo stile di lavoro di Enrico Vanzina, che scrive la sceneggiatura di questi film, parte dalle storie dei singoli personaggi (o delle coppie di personaggi) scritte separatamente. La storia di questi personaggi viene divisa per frammenti successivi, ciascuno dei quali coincide con uno sketch. Solo in seguito queste storie separate vengono mescolate tra di loro in un ordine definito e con scene di connessione nelle quali i personaggi si incontrano. Questa tecnica consente anche di equilibrare i personaggi, in modo che ciascuno abbia il giusto rilievo nel film e che non se ne perda qualcuno per strada. Nella serie Scuola di Polizia i diversi personaggi comici hanno uno spazio “separato” per le loro gag e questi spazi in genere si equilibrano in modo che uno non schiacci eccessivamente l’altro. Il ruolo di connessione è assegnato all’agente Mahoney (Steve Guttenberg) un attore brillante (da Commedia) e dunque più adatto ad assumere su di sé il ruolo di collante narrativo. Anche altri personaggi (per esempio il nero Hightower) possono intervenire nel percorso della vicenda generale, non limitandosi cioè al semplice numero a se stante. Fateci caso: chi agisce da collante narrativo quasi mai è un Comico. Il Comico si esprime e si consuma nelle sue gag, non raccontando la storia. Tutto ciò richiede comunque sempre un grande equilibrio tra scene singole e insieme del film che racconta (nello stile Commedia) una vicenda unitaria. In questo genere di film il lavoro di sceneggiatura di gruppo è importante, ma qualcuno deve poi assumersi il ruolo di connettere i diversi numeri in una struttura narrativa coerente. Dividere il lavoro in fasi diverse è da questo punto di vista molto utile. Il soggetto può individuare una traccia del tutto generale di percorso. Poi la definizione dei singoli caratteri diventa fondamentale per elaborare le gag che a quei caratteri devono corrispondere. In questa fase i singoli caratteri possono venire esplorati singolarmente e le loro scene scritte isolatamente come scene a se stanti (anche se disposte in successione cioè lungo un percorso cronologico). Da ultimo si tratterà di unificare queste scene, cioè di elaborare l’insieme, come se ci si trovasse di fronte a un puzzle da comporre, con la differenza però (non da poco) che in un puzzle i singoli pezzi vengono ritagliati dall’insieme (che strutturalmente li precede) mentre qui l’insieme viene prodotto (non semplicemente riprodotto) dall’incastro dei singoli pezzi. Come in un lavoro di intarsio i singoli pezzi spesso dovranno venire modificati perché possano incastrarsi bene e dare luogo ad un insieme coerente. E’ importante notare come, rispetto a un film tradizionale, qui nel lavoro di sceneggiatura non si procede dall’inizio alla fine, ma per assemblaggio. Questo fa della Slapstick Comedy un mix tra Comico e Commedia tutt’altro che facile, al di là delle apparenze. Se il risultato finale è scorrevole vuol dire che si è lavorato bene, la fatica e la complessità del lavoro di incastro non devono apparire: al pubblico deve sembrare anzi il contrario e cioè che abbiate raccontato una storia dal principio alla fine e che nessun frammento, nella storia, sia lì, in quel preciso punto, per caso o per un accostamento pretestuoso e di comodo. Ma ciò che alla fine appare come “facile” e scorrevole non vuol dire affatto che sia stato facile da realizzare nel lavoro di sceneggiatura e che non abbia richiesto grande attenzione e sapiente equilibrio tra le parti e il tutto.
Nella seconda parte di questa lezione, affronteremo il tema della Contaminazione tra Comico e Commedia, esaminando alcune soluzioni eccellenti al problema principale che resta sempre lo stesso: come si possono, nel cinema comico, conciliare una storia d’insieme ben strutturata e i singoli Numeri.
16° Lezione di Gianfranco Manfredi by www.gianfrancomanfredi.com