Andiamo in bagno diverse volte ogni giorno, eppure questa abituale attività non è rappresentata con corrispondente frequenza nel cinema. In particolare il tempo che dedichiamo alle necessità fisiologiche non viene abitualmente considerato in una storia. D'altro canto, anche nella storia dell'arte figurativa, della letteratura e del teatro, sono rarissimi gli esempi in cui si rappresenta questo genere di attività, da un lato oggetto di persistente pudore, dall'altro, momento di pausa per eccellenza, poco significativo nello sviluppo di una storia e sul quale si può dunque tranquillamente soprassedere. Eppure, come ambiente, il bagno una sua importanza ce l'ha nella nostra vita individuale e nello sviluppo stesso della nostra società. Nello spazio di un secolo siamo passati da bagni o latrine esterne, ai doppi/tripli servizi come indicatore di livello di sviluppo civile. Gli standard minimi di confortevolezza abitativa, passano dalla storia delle stanze da bagno.
Il numero e la confortevolezza delle sale da bagno in un harem è sempre stato di gran lunga maggiore di quello dei nostri bordelli, e persino delle nostre regge e palazzi nobiliari: per secoli questa differenza ha evidenziato un livello di igiene pubblica molto più sviluppato in oriente che in occidente. Gli esempi di "scene in bagno" sono d'altro canto di gran lunga aumentati in letteratura e in cinema nel dopoguerra. Questo è il sintomo evidente di un abbassamento della "soglia del pudore" e insieme di una identificazione del bagno come luogo esemplare, particolarmente adatto a rappresentare situazioni narrative "di limite".
Ad esempio, alle origini del cinema neo-realista che programmaticamente intendeva rappresentare tutti i momenti dell'esistenza quotidiana e dunque anche le permanenze "in cesso", questa scelta destò non poche polemiche. Quando il senatore Andreotti denunciò il fatto che il cinema italiano non faceva onore al paese rappresentando situazioni che sarebbe stato meglio evitare di mostrare (cioé "lavava i panni sporchi in pubblico"), non si riferiva tanto al cinema di denuncia sociale, quanto all'indulgere nella rappresentazione di situazioni giudicate "indecorose" come ad esempio mostrare persone in canotta e mutande calate che leggevano il giornale sulla tazza del cesso e consimili situazioni di vita quotidiana che il "comune senso del pudore" giudicava quanto meno di cattivo gusto. E persino negli anni 60 e 70, ormai vaccinati dall'abitudine alla provocazione, ben più dei "bed-in" di John Lennon e Yoko Ono, destò scandalo il poster di Frank Zappa che dissacrando violentemente anche il mito della rock star, abitualmente rappresentata come una sorta di divinità, sifece effigiare seduto sul cesso. Da allora, lentamente e progressivamente, l'aura di scandalo attorno alla stanza da bagno si è molto stemperata.
Intendiamoci: anche oggi è molto difficile che una star cinematografica accetti di farsi riprendere seduta sulla tazza del cesso, però l'inviolabile sacralità del bagno è finita. Questo genere di scene si sono moltiplicate nei film e non sono più un tabù. Ma come e perchè vengono utilizzate? Dev'esserci alla base un elemento di coerenza con il racconto. E devono essere occasione per rappresentare qualcosa che non si riduce al semplice mostrare ciò che possiamo dare per scontato e cioè che ogni persona ha la necessità di fare i propri bisogni e/o di lavarsi regolarmente.
Consideriamo in proposito alcune scene celebri nella storia del cinema, ambientate in bagno, da un lato nella commedia, dall'altro nel dramma.
a) Il Bagno in commedia
Consiglio di vedere attentamente due scene esemplari dei film Hollywood Party (in originale The Party, 1968) di Blake Edwards, e Tutti pazzi per Mary (There's Something About Mary, 1998) di Bobby e Peter Farrelly. Nel primo film, il protagonista Peter Sellers ospite di una faraonica villa hollywoodiana e afflitto da un'irrefrenabile necessità fisiologica, riesce finalmente a trovare un gabinetto nel quale combina guasti a catena. E' una delle scene comiche più irresistibili del film, nella quale tutti gli elementi dell'ambiente vengono usati: i rotoli di carta igienica, l'impianto idrico della tazza, eccetera. Scene simili erano state coraggiosamente interpretate in televisione già anni prima, ad esempio nella famosa serie di telefilm per famiglie I Love Lucy (1951/1957) con Lucille Ball. La serie ironizzava sui nuovi costumi di vita americani della middle class, in particolare l'uso sempre più spinto degli elettrodomestici nella vita domestica, con un satira spesso corrosiva che valse persino all'attrice l'etichetta di "comunista". In uno degli episodi viene mostrato il tentativo di Lucille e della sua amica di installare da sole una doccia, nella quale finiscono imprigionate fin quasi ad annegare. Le gag basate sull'acqua e sui tubi sono antiche quanto il cinema: una delle prime comiche mute rappresentava appunto i guai provocati da una pompa da giardino. Lo sviluppo di Blake Edwards, che parte dalla situazione di un bisogno fisiologico, rappresenta uno scatto in più e riesce a rendere non solo gradevole, ma spassosa una situazione che fino a pochi anni prima sarebbe parsa volgare e non rappresentabile: ad esempio il senso di liberazione nello sfogo di una pisciata troppo a lungo trattenuta.
Tutti pazzi per Mary è un gradino ulteriore in quanto mette in scena il protagonista Ben Stiller che in previsione di un incontro erotico, temendo di non riuscire a controllare l'eccitazione e di avere un'eiaculazione troppo precoce, su consiglio di un amico, si masturba in bagno prima che l'incontro abbia luogo. Lo sperma stesso diventa origine di una scena comica irresistibile, quando la ragazza, giunta prima del previsto, lo scambia per un gel e se lo mette sui capelli. Anni prima, una scena simile sarebbe stata bandita da un film comico "per tutti". Anche in questo caso, più la scena è al limite, più si tratta di essere accorti nel renderla "lieve" cioé nel non involgarirla con dettagli che potrebbero causare disgusto. D'altro canto se una simile scena era ormai rappresentabile, ciò significava senza ombra di dubbio che ormai la generalità del pubblico non la considerava più istintivamente fastidiosa. Del resto non è l'unica scena in bagno del film. Ce n'è un'altra nella quale Ben Stiller, anni prima, ha un altro incidente in bagno, nella casa della ragazza, quando si chiude la zip sui coglioni. In altre parole, l'ambiente bagno viene usato per rappresentare una sorta di evento traumatico che si ripete come un imbarazzante destino nella vita del protagonista. E in questo si può già evidenziare come il bagno mantenga tutta la sua natura originale di ambiente "eccezionale", riservato, privato per definizione e ai limiti della rappresentazione. Insomma: non si mette in scena un bagno per rappresentare qualcosa di abituale, al contrario il bagno è l'ambientazione ideale per rappresentare una situazione estrema.
b) Il Bagno nel dramma
Anche in questo caso consiglio due film fondamentali: Psycho (1960) di Alfred Hitchcock e The Shining (1980) di Stanley Kubrick . Il primo, con la famosissima scena della doccia, condiziona la storia del cinema a venire: mai scena è stata infatti più imitata. Come ho già rilevato in una precedente lezione, se si facesse una compilation di tutte le scene di delitti o di aggressioni o di minacce sotto la doccia nel cinema (non solo horror) dopo Psycho, ne uscirebbe un video di durata interminabile.
E se si confrontassero queste scene, si potrebbe scoprire quante infinite varianti si possono sviluppare da un'unica radice. Del resto, lo stesso Hitchcock è probabile si sia ispirato a un precedente, cioè il film The Seventh Victim (1943) di Mark Robson prodotto da Val Lewton. In una scena di questo film, vediamo la protagonista, sotto la doccia, che riceve la improvvisa visita di una inquietante signora di cui vediamo soltanto l'ombra minacciosa attraverso la tenda della doccia. La signora non aggredisce, si limita a rivelare un inquietante segreto alla protagonista, ma la situazione di tensione c'è già tutta e nasce da un paradosso. La doccia infatti non è soltanto un luogo di estrema riservatezza, ma è anche un luogo eminentemente confortevole. Che un ambiente ideato come rimedio antistress, diventi invece l'ambiente stressante per eccellenza, è un capovolgimento drammatico non da poco. Il trovarsi nudi sotto un getto d'acqua, da cerimoniale di purificazione, diventa sintomatico della totale impossibilità di difendersi. Ora, per quanto la scena di Psycho sia stata imitata, per quanto sia diventata un topos quasi obbligato, uno sceneggiatore deve tenere in debito conto alcuni elementi di ordine pratico e produttivo: la scena dura soltanto quarantacinque secondi nel film, ma comportò duemila dollari di spesa soltanto per pagare lo storyboard di Saul Bass. Infatti prima delle riprese fu necessario disegnare ogni singola inquadratura. L'esigenza di superare i prevedibili ostacoli della censura, spinse Hitchock a scegliere di girare la scena per stacchi repentini e improvvisi "in modo che il pubblico non possa rendersi conto di che diavolo sta succedendo". Dunque vennero alternati i più diversi punti di vista e angolazioni, in genere piani molti stretti. Bisognava creare l'effetto di un'aggressione selvaggia e di inaudita violenza, senza mostrarla in dettaglio. Per consentire questa varietà di riprese in un ambiente ristretto come quello di una doccia, fu necessario costruire un ambiente con quattro pareti rimovibili. Dopo vari adattamenti si programmarono ben settantotto diverse posizioni di camera per riprendere la sequenza. Secondo il foglio di produzione per realizzare la scena della doccia sarebbero stati necessari undici giorni di riprese! Se dunque qualcuno di voi pensa che una scena di paragonabile efficacia possa venire realizzata semplicemente piazzando una donna nuda sotto una doccia, commette un errore di ingenuità. Oggi è praticamente impossibile che una produzione autorizzi un regista ad impiegare undici giorni per girare una scena di quarantacinque secondi. E' già difficile ottenere che per una scena in bagno si ricostruisca un bagno in studio. Ma in un bagno autentico le difficoltà per girare una scena simile sarebbero insormontabili: lo spazio per muoversi è estramente ridotto, le angolazioni possibili poche e obbligate, e anche girando con una camera digitale e più flessibile, la doccia stessa, il vapore, la disposizione "naturale" delle luci, renderebbero la scena impraticabile.
Insomma: se ambientate una scena in bagno, dovete appurare prima di scriverla, se la produzione consente riprese in studio e in un ambiente attrezzato allo scopo oppure se la scena verrà girata in un ambiente reale, cioè in un vero bagno. In quest'ultimo caso, toglietevi dalla testa Psycho. In The Shining il bagno è egualmente usato drammaticamente come luogo di un'aggressione. La ristrettezza dell'ambiente, che ha come unica via di fuga una finestrella, viene anche in questo caso sottolineata e rese ancor più angosciosa da riprese molto strette e la dinamica viene assicurata da una notevole quantità di stacchi. Si tratta egualmente di una scena estremamente complessa nella preparazione e nell'esecuzione, che richiede notevoli mezzi economici e molti giorni di riprese. In questo caso le preoccupazioni hicthcokiane di evitare la censura, erano cadute ( c'è un'altra scena in bagno, nel film, dove una donna viene mostrata completamente nuda). Restava però l'esigenza di usare l'ambientazione per una resa drammatica estrema. In un tempo contratto e in un ambiente ristretto il ritmo e la mobilità della scena devono aumentare e ciò comportauna location adeguata e tempo per le riprese.
Tenete dunque a mente, quando sceneggiate, che un scena di breve durata non è necessariamente una scena che si possa girare alla svelta. Tutto dipende non solo da cosa avviene, ma da cosa bisogna esprimere, e dunque dallo stile necessario a dare il massimo sotto il profilo dell'intensità espressiva e dai quattrini a disposizione.
Riassumendo: le scene in bagno (che si tratti di una commedia o di un dramma) sono da considerare scene climax. Quello che nella realtà è un ambiente abitudinario, in cinema è un ambiente eccezionale, cui è bene ricorrere per situazioni limite e di massimo risalto espressivo e a condizione che la macchina produttiva lo consenta.
LEZIONE XXXVIII di Gianfranco Manfredi