Los Angeles. Appena scaricato da un’azienda di armamenti dipendente dal Ministero della Difesa statunitense, il cinquantenne Bill Foster (Michael Douglas) è affetto da un disturbo di personalità borderline che lo ha costretto a tornare a vivere con la madre (Lois Smith) dopo la separazione dalla moglie Elisabeth (Barbara Hershey) costatagli anche un ordine restrittivo che gli impedisce di avvicinare la piccola figlia Adele (Joey Hope Singer). Il suo disagio esplode la torrida mattina del compleanno di quest’ultima quando, dopo essere rimasto bloccato in un pazzesco ingorgo sulla freeway, abbandona la sua macchina (targata D-FENS) per l’ira degli altri automobilisti coinvolti tra i quali c’è anche l’anziano sergente LAPD, Martin Prendergast (Robert Duvall) che sperava di passare diversamente le sue ultime ore di servizio prima della pensione.
♥ Film e dintorni
Alfred Hitchcock diceva che per fare un buon film servono tre cose: “Il copione, il copione e il copione”
* MEMORIE DEI CAMPI - MEMORY OF THE CAMPS | GERMAN CONCENTRATION CAMPS FACTUAL SURVEY
TRAMA
Ordinato nell'aprile 1945 come documentario ufficiale sui campi di concentramento nazisti compilato con filmati girati da cameramen che accompagnavano le truppe alleate. Il film è stato accantonato, incompiuto; nel 2014 l'Imperial War Museum ha completato il film secondo le istruzioni stabilite dal team di produzione originale del 1945.
* RICATTO - BLACKMAIL
TRAMA
Dopo un litigio con Frank, il fidanzato poliziotto, Alice decide di uscire con un altro uomo. Quando arrivano a casa, lui la aggredisce e lei per difendersi lo uccide. Frank indaga sul caso e scopre che Alice non è la sola coinvolta. Allora cominciano i ricatti…
LA NOSTRA OPINIONE
Questo film del 1929 segna l’esordio di Hitchcock nel cinema sonoro. Inizialmente girato muto, fu poi rielaborato con nuove scene per adattarlo ai tempi che correvano. Il risultato è un curioso oggetto estetico, un cupo racconto di sopravvivenza femminile tra i mali degli inganni maschili.
* NUMERO DICIASSETTE - NUMBER SEVENTEEN
TRAMA
Una banda di ladri si riunisce in un rifugio dopo una rapina, ma un detective è sulle loro tracce.
* IL PRIGIONIERO DI AMSTERDAM - FOREIGN CORRESPONDENT
TRAMA
Un reporter scopre che un rappresentante del movimento pacifista inglese non è morto assassinato come qualcuno tenta di far credere, ma è prigioniero di una nazione che vuole carpirgli preziosi segreti. Il giornalista cade così in una rDal sitoete di spionaggio, cospirazioni e celebri scene hitchcockiane.
LA NOSTRA OPINIONE
Per il suo secondo film hollywoodiano, Hitchcock ha creato un thriller di guerra ricco di intrighi e umorismo che vanta uno degli omicidi più memorabili del maestro. Fu candidato all’Oscar® come miglior film, ma il premio andò a Rebecca! Hitchcock era arrivato.
Per il suo secondo film hollywoodiano, Hitchcock ha creato un thriller di guerra ricco di intrighi e umorismo che vanta uno degli omicidi più memorabili del maestro. Fu candidato all’Oscar® come miglior film, ma il premio andò a Rebecca! Hitchcock era arrivato.
ALCUNI DEI PRIMI FILM DI ALFRED HITCHCOCK - Dal sito mubi.com
Lost in Translation aveva un budget di $4 milioni. Eppure c'è una scena girata in mezzo alla folla, a circa metà del film - quando Scarlett Johansson attraversa l'Incrocio di Shibuya a Tokyo nell'ora di punta - che è stata girata come un film indipendente senza un soldo.
Sofia Coppola ha mandato Scarlett Johansson nella folla con una telecamera e il primo assistente operatore alle calcagna.
A quel punto la troupe ha attraversato la strada, ha preso un ascensore per il secondo piano di uno Starbucks, ha finto di ordinare da bere e ha puntato le telecamere fuori dalla vetrata.
Qui potete vedere il leggendario direttore della fotografia, Lance Accord, che fa finta di niente:
A scuola di cinema vi diranno di non filmare mai in un luogo pubblico senza i vari permessi. E a volte i permessi sono necessari. Molte produzioni sono inflessibili riguardo a questo tipo di rischi evitabili e vengono spesi un sacco di soldi per simulare delle folle realistiche.
Ma questo spirito - mischiare la finzione alla realtà, rubare inquadrature nel bel mezzo della vita di tutti i giorni - può produrre un tipo di magia che i soldi non potranno mai comprare.
di Will Bryan per quora.com (Director & Screenwriter presso One-Room Schoolhouse Films)
Il film "Cloverfield" è leggendario per la sua geniale campagna di marketing.
Un espediente che ha venduto il film è stato quello di tenere segreto il mostro. Non hanno nemmeno mostrato il titolo del film sulla locandina, né nel trailer.
In effetti, non era affatto ovvio che ci fosse un mostro e che il film fosse solo un altro disastro di Ronald Emmerich. Ma ben presto la gente ha capito che c'era davvero un mostro di qualche tipo. Ne è seguito il tipico dibattito online con molteplici teorie.
Tuttavia, il poster rivela la creatura.
Capovolgendo i poster si ottiene questo.
Non lo vedete?
Guardate il fumo che esce dagli edifici.
Eccolo lì, che ci fissa con i suoi occhietti. Sembra una mantide gigante.
E pensare che ci sono volute centinaia di nerd e migliaia di ore per trovarlo.
di Ryan Phillips per quora.com
Dieci film tra i più celebri girati negli scorci più spettacolari della Città Eterna
Se uno decide di fare una passeggiata per Roma, non è strano che si imbatta ogni tanto in cartelli che indicano che in quello scorcio è stato girato questo o quel film. La Capitale è infatti una delle città più amate al mondo, anche dai filmmaker, che non esitano a spendere cifre considerevoli pur di girare i propri film tra le sue rovine e le sue vie più caratteristiche. In occasione dell'Oscar a La grande bellezza, film che esalta, appunto, la bellezza di Roma (pur mostrandone la decadenza), ripercorriamo la Città Eterna attraverso i film che l'hanno immortalata al cinema.
La dolce vita
Si tratta della scena più famosa del cinema di Federico Fellini e forse anche la più nota tra quelle girate a Roma: Anita Ekberg che si rivolge a Mastroianni con il celebre “Marcello, come here” e lo invita a raggiungerla tra le acque della Fontana di Trevi. Una scena romantica e sensuale, in un film a cui Sorrentino deve molto.
Ocean's Twelve
Il Pantheon è teatro di una celebre scena di Ocean's Twelve, in cui vediamo Brad Pitt inseguito dalla polizia, che trova il tempo di sorridere a una bella sconosciuta seduta a un caffè, interpretata da Catherine Zeta-Jones. Il giorno dopo entrambi tornano sul luogo del delitto per approfondire la conoscenza...
Vacanze romane
William Wyler dirige Audrey Hepburn e Gregory Peck in questo classico della commedia romantica americana. La location più importante del film è senz'altro Piazza di Spagna, dove avviene il primo incontro tra Joe Bradley e la principessa Anna. Ma la coppia, che gira per la città in Vespa in una scena entrata nella storia, visita anche Piazza Venezia, Piazza Barberini (dove si trova l'ambasciata in cui è alloggiata la principessa) e il Colosseo.
Caro diario
Altro film, altro giro in Vespa. Stavolta, a guidarla attraverso Roma c'è Nanni Moretti, che in Caro diario visita il quartiere Garbatella e i Colli Romani. Nella sua esplorazione, tocca anche Villaggio Olimpico, Tufello, Vigne Nuove e Monteverde. Un omaggio sentito del regista alla bellezza della sua città.
Angeli e demoni
Il sequel de Il codice Da Vinci vede Tom Hanks correre a perdifiato per le strade di Roma, tra Piazza Navona, Piazza del Popolo e il Pantheon. Lì, Tom Hanks fece interrompere le riprese dopo aver notato una coppia di sposi: li scortò attraverso la piazza e si fece anche delle foto con loro. La produzione non ricevette, invece, il permesso di girare in Vaticano: la Reggia di Caserta fece da “controfigura” per gli interni, mentre Piazza San Pietro fu ricreata in studio con l'ausilio del green screen.
Mission: Impossible III
Tom Cruise che solca il Tevere in motoscafo non è una cosa che si vede tutti i giorni, ma è capitato durante le riprese di Mission: Impossible III. Fu la prima scena a essere girata e l'attore chiese al regista J.J. Abrams di sparare il famoso tema della serie da alcuni altoparlanti, per entrare meglio nel personaggio di Ethan Hunt. Una curiosità: Cruise sposò Katie Holmes proprio in quei giorni, nel castello Odescalchi di Bracciano, vicino Roma. Altra curiosità: anche in questo caso, la Reggia di Caserta sostituì l'inaccessibile Vaticano.
Tototruffa '62
Parlando della “grande bellezza” romana, non si può non citare un'altra famosa scena girata nei pressi della Fontana di Trevi. Protagonista, in questo caso, è Totò, che nel film Tototruffa '62 si spaccia per il proprietario della fontana e la vende a un turista italo-americano, con l'aiuto del complice Nino Taranto. Un pezzo di bravura emblematico della “furbizia” italiana, in tempi più innocenti.
L'urlo di Chen terrorizza anche l'occidente
Una delle sequenze di arti marziali più famose della storia del cinema: Bruce Lee contro Chuck Norris nel Colosseo. È il culmine del classico L'urlo di Chen terrorizza anche l'occidente, da Lee anche diretto. In realtà, a parte alcuni totali girati in loco, il resto della scena è ricostruita in studio. Ma quella di ambientare il tutto nell'arena per antonomasia è comunque una trovata geniale, perché dona allo scontro tra i due una dose di epica in più.
To Rome With Love
Nella sua escursione romana, Woody Allen non si è fatto mancare nulla: ha girato in Piazza del Popolo, al laghetto di Villa Borghese (nella foto), a Piazza della Repubblica, Villa dei Quintili, Fontana di Trevi e Piazza di Spagna. Un tour de force che mette in mostra gli scorci più famosi della Città Eterna, anche in maniera furbetta.
L'ultimo uomo della terra
Grande classico dell'horror, L'ultimo uomo della terra di Ubaldo Ragona (e Sidney Salkow) è il primo adattamento di Io sono leggenda di Richard Matheson. Geniale fu l'idea di girarlo interamente a Roma e in buona parte all'EUR: le location, splendide e allo stesso tempo distanti ed eteree, donano al film un'aura di eterna angoscia, specialmente quando sono attraversate dal solitario Vincent Price.
dal sito: www.film.it
Film di genere fantascientifico dagli anni ’30 ai ‘40
Negli anni '30 e '40, il cinema di genere fantascientifico ha iniziato a prendere piede, anche se la quantità di film prodotti in questo periodo non era così vasta come nelle decadi successive. Tuttavia, ci sono alcuni film significativi e pionieristici che hanno contribuito a plasmare il genere. Ecco alcuni esempi di film di fantascienza degli anni '30 e '40:
Leggi tutto: Film di Genere fantascientifico: come si evolve negli anni
Tech journalist Franklin Fausti (Josh Hutcherson) lands an interview with visionary entrepreneur Anton Burrell (Morgan Freeman) after saving him from an assassination attempt. On his way out, Franklin finds a mysterious ring that Burrell dropped on the floor and discovers it allows its user to travel 57 seconds back in time. Driven by revenge, Franklin uses this newfound power to dismantle the pharmaceutical company responsible for his sister’s death. As Franklin dives deeper into an unfamiliar world of wealth and technology, he becomes entangled in a chain of events which has more than his own fate at stake.
Il giornalista tecnico Franklin Fausti (Josh Hutcherson) ottiene un'intervista con il visionario imprenditore Anton Burrell (Morgan Freeman) dopo averlo salvato da un tentativo di omicidio. Uscendo, Franklin trova un anello misterioso che Burrell ha fatto...
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Oilman Paul Sturges (Josh Lucas) takes his family to Bahia Negra, the site of Paul’s best-performing rig, but the vibrant Mexican coastal town he once knew has mysteriously crumbled as the townsfolk believe the rig has awoken a shark of legend, known as The Black Demon. With his family scared to be left alone, they arrive on the rig only to have their boat ferociously attacked by the massive black shark. Laying claim to the local waters aggressively protecting mother nature against human threats, it destroys everything in its path. Paul and his family are now stranded with the few men who have survived. Under constant attack by the giant monster and with time ticking away, Paul must find a way to get his family back to shore alive.
Il petroliere Paul Sturges (Josh Lucas) porta la sua famiglia a Bahia Negra, il sito dell'impianto di perforazione più performante di Paul, ma la vibrante città costiera messicana che conosceva una volta si è misteriosamente sgretolata poiché i cittadini credono che l'impianto di perforazione abbia svegliato uno squalo di gamba...
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Special Ops veteran Tess (Maggie Q) is out of place at her sister’s bachelorette party until an arrow kills the party stripper with a headshot. As the women realize the house is under siege, Tess immediately shifts into strategic battle mode, and instructs them to block all entries and scavenge for weapons. Sneaking out of the house to evaluate the force they’re up against, Tess quickly realizes that the attackers outside have no interest in letting them out alive. They thought this would be an easy take down, but they didn’t account for Tess, her skills, or the determination of the group. She will fight till dawn.
La veterana delle operazioni speciali Tess (Maggie Q) è fuori posto alla festa di addio al nubilato di sua sorella finché una freccia non uccide la spogliarellista con un colpo alla testa. Quando le donne si rendono conto che la casa è sotto assedio, Tess passa immediatamente alla modalità battaglia strategica...
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Carolina is a naive, charming, young girl, who meets Leo in a chat room. He is an adult man, who is tricking her by passing himself off as a 16-year-old boy. Now, he’s managed to arrange a date with her at a remote city park. But when Leo meets Carolina, he starts to suspect that she might not be as innocent and harmless as she appears. Fake identities, police operations, manipulation and dark desires will be the backdrop to this faceto-face encounter, in an ambience somewhere between fairy tale and thriller, in one very hot month of August. Carolina è una giovane ragazza ingenua, affascinante, che incontra Leo in una chat room. È un uomo adulto, che la sta ingannando spacciandosi per un ragazzo di 16 anni. Ora è riuscito a fissare un appuntamento con lei in un remoto parco cittadino. Ma quando Leo m... |
When realtor Jenna can no longer deal with the crushing guilt of her daughters death she walks out of society to sleep rough on the streets of Vegas!
Quando l'agente immobiliare Jenna non riesce più ad affrontare il senso di colpa schiacciante per la morte di sua figlia, esce dalla società per dormire all'addiaccio per le strade di Las Vegas!
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Ten years after a failed music career, Sylvie runs into her former bandmate David, now busking and living on the street, and offers him a place to stay for three days while her husband is away, forcing them to confront their complicated history with music.
Dieci anni dopo una carriera musicale fallita, Sylvie incontra il suo ex compagno di band David, che ora suona per strada e vive per strada, e gli offre un posto dove stare per tre giorni mentre suo marito è via, costringendoli ad affrontare il loro complicato suo...
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Four teenage musicians from 1908 are hurled into the future. With their street smarts, they defeat bullies and stand up to crazy teachers but have no idea how to get back home until they discover their musical talents might be the ticket!
Quattro musicisti adolescenti del 1908 vengono lanciati nel futuro. Con la loro intelligenza da strada, sconfiggono i bulli e resistono agli insegnanti pazzi, ma non hanno idea di come tornare a casa finché non scoprono che i loro talenti musicali potrebbero essere il biglietto!
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Fierce, Bold, Fast, Brave! “Women in the Front Seat” paints a vibrant and diverse picture of women who not only drive their motorcycles but drive their lives. Filmmaker Indy Saini challenges her own fears to capture their inspiring stories.
Feroce, audace, veloce, coraggioso! "Women in the Front Seat" dipinge un'immagine vibrante e diversificata di donne che non solo guidano le loro motociclette, ma guidano le loro vite. La regista Indy Saini sfida le proprie paure per catturare le loro storie ispiratrici.
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da The Film Catalogue Weekly
SINOSSI
Johnny è per metà umano e per metà zombie. Nel suo sangue potrebbe esserci solo la cura per l'epidemia di zombie. Tuttavia, dopo essere fuggito da una prigione medica chiamata Nordac, passa sotto la guida del Gran Maestro Jonray e di suo fratello Crisanto. Questo mette Johnny su un percorso usando le sue abilità nelle arti marziali per trovare un dottore che possa creare la cura; aiutando anche il suo padrone a combattere alcuni demoni personali.
VINCITORE DEL FESTIVAL DEL FILM HORROR DI NEW YORK CITY "MIGLIOR FILM D'AZIONE"
VINCITORE DEL FESTIVAL DEL FILM DI BLAST DI GENERE "MIGLIOR EROE"
VINCITORE DEL FESTIVAL DEL FILM DI BLAST DI GENERE "MIGLIOR FX"
SELEZIONE UFFICIALE PHOENIX FILM FESTIVAL 2023
NOMINATO "MIGLIOR LUNGOMETRAGGIO CANADESE DEL 2023" AI CANADIAN SCREEN AWARDS (GLI "OSCAR" CANADESI)
SINOSSI: Ispirato da fatti realmente accaduti. Quando un giovane recluso sociale si imbatte in una serie di casi irrisolti, si ritrova trascinato più a fondo nel lato oscuro della società e deve affrontare i propri demoni per scoprire la verità. Wolves è stato ispirato da una serie di oltre 25 misteriosi omicidi di animali tra il 2015 e il 2017 avvenuti a Londra, nell'Ontario, in Canada. A causa della legalità che circonda la proprietà degli animali e della mancanza di prove, queste storie hanno ricevuto poca copertura giornalistica. Nonostante i timori delle autorità di un'escalation di vittime umane e la richiesta di assistenza pubblica, i casi rimangono irrisolti.
L’unico, l’immenso capolavoro del genio visionario di Kubrick. Un prodotto talmente particolare da non avere eredi. “2001 - Odissea nello spazio” una trama ce l’ha anche, eppure sembra non ne abbia bisogno.
La vicenda della ribellione della macchina perfetta HAL rappresenta il frutto del superuomo positivo, e insieme il suo fallimento. Kubrick ci lascia sicuramente riflettere sulla volontà di destinare attitudini tipicamente umane (quindi imperfette) ad un oggetto che per stessa ammissione della pellicola dovrebbe, invece, essere perfetto. C’è la scelta di caratterizzare una macchina, che altro non è se non un insieme di calcoli matematici, con linguaggi, emozioni, umori e strutture cognitive tipicamente umane.
E infatti, ad un certo punto prova rabbia, si infuria con i suoi stessi creatori perché, intercettandone il labiale, capisce di avere vicina la sua fine. Elabora un piano, vuole giocare d’anticipo, sabota tutta l’operazione.
Da quel momento seguiranno poi le fatiche di Bowman, per tentare di fermare la cospirazione, e riprendere il comando dell’astronave.
Questa è sicuramente la parte più strutturata e canonica del film (in soldoni, la più comprensibile) ma è tutto ciò che viene prima e dopo a rendere grande Odissea nello spazio.
La distruzione della linearità del tempo, la scelta di parlare al subconscio e non all’intelletto dello spettatore (quasi portandolo all’esasperazione causa la lentezza e l’assenza di elementi logici tra loro). Il tema della nascita della civiltà che ha per madre la violenza, l’ormai celebre monolito nero, l’applicazione visiva dell’eterno ritorno (Kubrick prese molto in considerazione la filosofia di Nietzsche), senza dimenticare l’uso dei suoni stereofonici e della luce notoriamente psichedelica, tutti elementi che rendono grande quest’opera.
Insomma, questa pellicola pur nella sua antinarratività, nella destrutturazione del concetto di cinema, nella quasi totale assenza di parlato, nel finale enigmatico che porta in grembo il concetto di rinascita è sicuramente uno dei prodotti più memorabili del panorama artistico post-moderno, un prodotto che non ha paura della sua singolarità.
“Bisogna tramontare per poter rinascere” (F. Nietzsche)
Breve curiosità:
Sembra strano vederlo in un film che è addirittura antecedente lo sbarco dell’uomo sulla luna, ma il genio visionario di Kubrick pare anticipare di qualche annetto casa Apple.
di GiuliaGib per quora.com
1) Podista ritardato diviene eroe di guerra e milionario, poi aspetta il bus e parla in modo logorroico. (Forrest Gump)
2) Donna senza espressioni fa un triangolo con un vampiro ed un licantropo. (Twilight)
3) Ebreo toscano va in un campo di sterminio con la famiglia, lui muore gli altri no. (La Vita è Bella)
4) Vecchio convince dei giovani ad un viaggio avventuroso. (La Compagnia dell'Anello)
5) Industriale in costume combatte il crimine. (Batman)
6) Eroe di guerra entra nel business di famiglia.(Il Padrino)
7) Ragazza vomita e parla in modo osceno. (L'esorcista)
8) La feccia ribelle ha problemi con papà. (Star Wars 4-5-6)
9) Vanno in normandia a prendere un soldato, muoiono tutti (Salvate il soldato Ryan)
10)Orco con asino logorroico salva principessa. (Shrek)
11)Industriale del cioccolato uccide bambini. (La fabbrica di cioccolato)
12)Ragazza in coma sogna delle scarpe rosse. (Il mago di OZ)
13)I ricchi genitori muoiono, il figlio costruisce gadget. (Iron Man)
14)Non ne parlerai con nessuno. (Fight Club).
15)Donna ossessiva compulsiva sfoga la sua ira. (Kill Bill vol.1)
16)Veterano, schiaccia una gang e da la macchina in eredità a un coreano). (Gran Torino)
17) Pilota di F14 gioca a Pallavolo e van in moto. (Top Gun)
18)Una barca inaffondabile affonda. (Titanic)
19)Alieno trova bambino e torna a casa (E.T.)
20) Uomo con un hard disk nel cervello trasporta informazioni. (Johnny Mnemonic)
di Aruspice per quora.com
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Chocolate Lizards
Completed (2023) | English | Comedy, Drama
Chocolate Lizards follows Harvard-educated Erwin Vandeveer, who, after blowing his first big acting job in New Orleans, finds himself stranded in Buffalo Gap, Texas, where he is taken under the wing of irrepressible, almost-bankrupt, oil driller, Merle Luskey, and his cohort Faye, who see Erwin as their "Savin' Angel." The three set off on a crazy fun-filled adventure to outwit the bank, the sheriff, and a corrupt oil company in a frantic race to hit pay dirt before Merle's dreams are foreclosed.
Chocolate Lizards segue Erwin Vandeveer, educato ad Harvard, che, dopo aver fallito il suo primo grande lavoro come attore a New Orleans, si ritrova bloccato a Buffalo Gap, in Texas, dove viene preso sotto l'ala dell'irrefrenabile, quasi in bancarotta, trivellatrice di petrolio, Merle Luskey. , e la sua coorte Faye, che vede Erwin come il loro "Savin' Angel". I tre si imbarcano in una pazza avventura piena di divertimento per superare in astuzia la banca, lo sceriffo e una compagnia petrolifera corrotta in una corsa frenetica per raggiungere lo stipendio prima che i sogni di Merle vengano preclusi.
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A Home For The Holidays
Completed (2023) | English | Romance
A local hardware store owner purchases a run-down house in a small Colorado town, only for the heir of the original owner to show up with his 10-year-old son to reclaim it. Shannon Elizabeth (American Pie) and Daniel Cudmore (X-men 2) star in A Home for the Holidays, a festive romance set in the foothills of the Rocky Mountains. After years of trying to purchase an old, abandoned house in a small Colorado town, Ella Chandler (Elizabeth), a local hardware store owner, is ecstatic to finally be in possession of the run-down Lewis mansion which no one has come forward to claim in 30 years. Not long after taking possession, the heir of the original owner, Russell Lewis (Cudmore), and his 10-year-old son Ben (Dreyden Stevens), show up to claim what is rightfully theirs. After a tense few days, it’s settled – they will live in the house together until ownership is resolved. Il proprietario di un negozio di ferramenta locale acquista una casa fatiscente in una piccola città del Colorado, ma l'erede del proprietario originale si presenta con suo figlio di 10 anni per reclamarla. Shannon Elizabeth (American Pie) e Daniel Cudmore (X-men 2) recitano in A Home for the Holidays, una festosa storia d'amore ambientata ai piedi delle Montagne Rocciose. Dopo anni di tentativi di acquistare una vecchia casa abbandonata in una piccola città del Colorado, Ella Chandler (Elizabeth), proprietaria di un negozio di ferramenta locale, è entusiasta di essere finalmente in possesso della fatiscente villa di Lewis che nessuno si è fatto avanti. rivendicare in 30 anni. Non molto tempo dopo averne preso possesso, l'erede del proprietario originale, Russell Lewis (Cudmore), e suo figlio di 10 anni Ben (Dreyden Stevens), si presentano per reclamare ciò che è loro di diritto. Dopo alcuni giorni di tensione, è deciso: vivranno insieme nella casa fino a quando la proprietà non sarà risolta. Volano martelli e scintille, ma il romanticismo è nell'aria? |
Left Behind - Rise Of The Antichrist
Completed (2023) | English | Thriller
After millions of people vanish and the world falls into chaos, the only light is a charismatic new leader who rises to become head of the U.N. But does he bring hope for a better future? Or is it the end of the world? When millions of people suddenly vanished in the Rapture, the world was plunged into a state of emergency. Financial markets collapsed, governments toppled and a worldwide lockdown ensued. Now, six months later, people are just beginning to recover from the trauma. So when a so-called ‘expert’ claims that a second wave of vanishings is imminent, news anchor Cameron ‘Buck’ Williams (Greg Perrow) sets out to disprove her theory. Against the wishes of his boss, Steve Plank (Corbin Bernsen), and his network, Buck teams up with hacker Dirk Burton (Stafford Perry) and together they stumble onto a conspiracy to take control of the global money supply led by billionaire media magnate Jonathon Stonagal (Neal McDonough). At the same time, Buck’s girlfriend Chloe Steele (Sarah Fisher) and her father, Rayford Steele (Kevin Sorbo), are on a very different journey. Ray believes that his wife’s disappearance was, in fact, the Rapture, but what does that mean? What can he do now, and how can he convince Chloe? Desperate for answers in a world where Biblical Truth has been censored and vilified, Ray finally finds the answers he is looking for in the last place he would have expected to find them. Dopo che milioni di persone sono scomparse e il mondo è caduto nel caos, l'unica luce è un nuovo leader carismatico che diventa capo delle Nazioni Unite. Ma porta speranza per un futuro migliore? O è la fine del mondo? Quando milioni di persone sono improvvisamente scomparse nel Rapimento, il mondo è precipitato in uno stato di emergenza. I mercati finanziari sono crollati, i governi sono caduti e ne è seguito un blocco mondiale. Ora, sei mesi dopo, le persone stanno appena iniziando a riprendersi dal trauma. Quindi, quando un cosiddetto "esperto" afferma che una seconda ondata di sparizioni è imminente, il presentatore di notizie Cameron "Buck" Williams (Greg Perrow) si propone di confutare la sua teoria. Contro la volontà del suo capo, Steve Plank (Corbin Bernsen), e della sua rete, Buck fa squadra con l'hacker Dirk Burton (Stafford Perry) e insieme si imbattono in una cospirazione per prendere il controllo dell'offerta di denaro globale guidata dal miliardario magnate dei media Jonathon Stonagal (Neal McDonough). Allo stesso tempo, la fidanzata di Buck, Chloe Steele (Sarah Fisher) e suo padre, Rayford Steele (Kevin Sorbo), intraprendono un viaggio molto diverso. Ray crede che la scomparsa di sua moglie sia stata, in effetti, il rapimento, ma cosa significa? Cosa può fare ora, e come può convincere Chloe? Alla disperata ricerca di risposte in un mondo in cui la verità biblica è stata censurata e diffamata, Ray trova finalmente le risposte che sta cercando nell'ultimo posto in cui si sarebbe aspettato di trovarle. |
Mr. Anderson's Possessed Car
Completed (2023) | English | Comedy, Horror
A Texas Jesus freak buys a possessed car and goes through hell to get rid of it!
Un maniaco del Texas Jesus compra un'auto posseduta e attraversa l'inferno per liberarsene!
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One For All: The DJ Chris Villa Story
Completed (2023) | English | Documentary
Rising star DJ Chris Villa seeks redemption as he competes in the Red Bull 3Style World Championship (the "Olympics of DJ-ing") as one of 6 US Finalists.
L'astro nascente DJ Chris Villa cerca la redenzione mentre gareggia nel Red Bull 3Style World Championship (le "Olimpiadi del DJing") come uno dei 6 finalisti statunitensi.
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Pay the Lady
Completed (2023) | English | Thriller
Pay the Lady is an urban neo-noir thriller about an abused wife who seeks revenge against her crime-boss husband.
Pay the Lady è un thriller urbano neo-noir su una moglie maltrattata che cerca vendetta contro il marito boss del crimine.
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The Toy Soldiers
Completed (2023) | English | Drama
On one evening in a decade of sex, drugs and rock 'n' roll, the innocence of youth and family unravels. Five lives will change forever on this final evening before their hangout, The Toy Soldiers Roller Rink, closes its doors.
In una sera in un decennio di sesso, droga e rock 'n' roll, l'innocenza della giovinezza e della famiglia si dipana. Cinque vite cambieranno per sempre in quest'ultima sera prima che il loro ritrovo, The Toy Soldiers Roller Rink, chiuda i battenti.
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Wild Boys
Completed (2023) | English | Action/Adventure, Comedy
When her father's last will demands her to undertake a treasure hunt, recluse Kate must venture into the wild to save her home and unexpectedly finds her life changed forever by the strangers she meets along the way.
Quando le ultime volontà di suo padre le chiedono di intraprendere una caccia al tesoro, la reclusa Kate deve avventurarsi nella natura selvaggia per salvare la sua casa e scopre inaspettatamente che la sua vita è cambiata per sempre dagli estranei che incontra lungo la strada.
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da The Film Catalogue Weekly
Dorothy è una piccola bambina orfana che abita in Kansas con i suoi zii. Un giorno, un tornado spazza via la loro casa, con Dorothy all’interno, trasportandola nel paese di Oz. Qui, la casa, cadendo per terra, schiaccia la strega malvagia dell’Est. Nel paese di Oz, infatti, esistono quattro streghe: due buone (la strega del Nord e la strega del Sud) e due cattive (la strega dell’Est e la strega dell’Ovest).
Leggi tutto: “IL MAGO DI OZ” che spunti puoi prendere per il tuo cortometraggio?
Ecco una cosa che non è semplice ma efficace, provateci anche voi.
- Un americano impasticcato diventa intelligente QUASI quanto un'europeo (Limitless)
- La Brexit vista dal vivo (V per Vendetta)
- Feticisti della pelle che leggono codici sorgente (Matrix)
- Un tizio che mostra i deltoidi (Conan il Barbaro)
- Alieni hippie "in fondo al mar" (The Abyss)
- Cose grosse che si menano ignorante (Pacific Rim)
- Simpatici idioti allo sbaraglio (Una notte da Leoni)
- Steroidi, fonte di ogni potere (Capitan America - Il Primo vendicatore)
- Tizi che si menano con gente a caso (i primi due Avengers…)
- Un uomo/donna si trasforma in altro(un film di Cronenberg)
- Tom Cruise che fa jogging (qualsiasi capitolo di Mission: Impossible)
- Ancora???? (Edge of Tomorrow)
- Dovete salvarmi di nuovo! (The Martian)
- Un tizio viola una sistema alieno con un Mac (Independence Day)
- Gamberoni venuti dallo spazio. Dannati immigrati! (District 9)
di Giovanni Dal Mas per quora.com
De Gaulle è un film del 2020 di genere Storico/Drammatico, diretto da Gabriel Le Bomin, con Lambert Wilson, Isabelle Carré, Olivier Gourmet, Laurent Stocker, Gilles Cohen, Philippe Laudenbach. Durata 108 minuti.
De Gaulle nel maggio 1940 era a capo di una divisione blindata e condusse diversi contrattacchi durante la battaglia di Francia; per questo motivo fu promosso generale di brigata a titolo temporaneo e vuole cambiare il corso degli eventi. Successivamente venne nominato Sottosegretario di Stato alla Difesa nazionale e alla Guerra nel governo Reynaud, durante l'esodo del 1940.
Rifiutò l’armistizio chiesto da Pétain alla Germania nazista. La coppia De Gaulle si trova di fronte al collasso militare e politico della Francia.
Charles De Gaulle raggiunge Londra per negoziare con Churchill mentre Yvonne, sua moglie, si ritrova con i suoi tre figli sulla via dell’esodo.
Da Londra lanciò l'appello al popolo francese alla resistenza e a raggiungerlo nelle Forze francesi libere. Condannato a morte e privato della nazionalità francese dal regime di Vichy, volle incarnare la legittimità della Francia libera e di essere riconosciuto come tale degli Alleati.
Il film ha ottenuto 3 candidature al premio Cesar
Bel film storico, ma romanzato. Uno spaccato di storia che ci racconta le decisioni che queste persone autorevoli dovettero prendere durante l'inizio della seconda guerra mondiale. Toccante storia delle sfaccettature umane del militare; concentrarsi sulla sua famiglia, compresa sua figlia con la sindrome di Down Anne. Da vedere se ti piacciono i film più umani che reali.
Da oggi c’è una nuova stella italiana nel firmamento della Walk of Fame di Hollywood. Quella di Giancarlo Giannini: l’interprete di "Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d'agosto", "Pasqualino sette bellezze", o dei più recenti Casino Royale e Quantum of Solace della saga 007, inaugurerà la sua stella di granito rosso a pochi passi dal mitico incrocio tra Hollywood Boulevard e Vine street, vicino a quella di Gina Lollobrigida. Giannini è il secondo attore italiano ad avere una stella sul marciapiede davanti al Dolby Theatre, dove ogni anno si tiene la cerimonia degli Oscar.
da U.S. Embassy to Italy - Ambasciata Americana a Roma
Nel corso della sua lunga carriera, Giannini ha lavorato con molti dei migliori registi del panorama italiano, tra cui figurano Luchino Visconti (L'innocente, 1976), Mario Monicelli (Viaggio con Anita, 1979; I picari, 1988; Il male oscuro, 1990), Nanni Loy (Mi manda Picone, 1984, David di Donatello come miglior attore protagonista), Tinto Brass (Snack Bar Budapest, 1988) e Franco Brusati (Lo zio indegno, 1989). Fondamentale è anche l'incontro con la regista italiana Lina Wertmüller, con lei nascono alcuni dei più celebri personaggi da lui interpretati, grotteschi e ironici: Mimì metallurgico ferito nell'onore (1972, Nastro d'argento come miglior attore), Tunin in Film d'amore e d'anarchia - Ovvero "Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza..." (1973, premio come miglior attore al Festival di Cannes), il marinaio Gennarino Carunchio in Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto (1974) - tutti questi interpretati insieme con Mariangela Melato - Pasqualino Settebellezze (1975, candidatura all'Oscar come miglior attore protagonista), Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici (1978). (da wikipedia.org)
Sapevi che il maestro della suspense Alfred Hitchcock ha spesso collaborato sia con scrittrici che con sceneggiatrici? In effetti, ci sono molti film che potresti essere sorpreso di apprendere che sono stati scritti da donne, che si tratti di titoli classici, storicamente significativi, candidati e vincitori dell'Oscar o film che hanno ricevuto dal pubblico una valutazione al top.
In onore della Giornata internazionale della donna, vogliamo onorare le sceneggiatrici che non solo hanno dato voce a personaggi femminili forti, ma che hanno anche scritto alcuni dei migliori film di tutti i tempi.
Di seguito è riportato un elenco dei nostri film preferiti che hanno beneficiato dal punto di vista di una donna. Abbiamo separato l'elenco in tre categorie: storicamente significativo, vincitore/nominato all'Oscar e il più votato su Rotten Tomatoes. Ti consigliamo di prendere un sacchetto di popcorn, invitare un amico e organizzare una festa incredibile!
CLASSICI E FILM STORICAMENTE SIGNIFICATIVI
Ecco un elenco di film considerati storicamente significativi a causa di quanto ognuno di essi abbia influenzato Hollywood nel suo insieme e ispirato altri registi. Questi film hanno definito il cinema e mostrato a tutti ciò che è possibile.
Riesci a immaginare Hollywood senza il glorioso Technicolor o la performance iconica di Judy Garland nei panni di Dorothy in Il mago di Oz ? O senza il film classico Il grande sonno, un film che si è basato sulle radici europee del film noir e ha stabilito che il genere fosse unicamente americano? Goditi questo elenco di film influenti con scrittrici elencate per anno di uscita.
CORAZZATA POTËMKIN (1925)
Diretto da Sergei Eisenstein | Sceneggiatura di Nina Agadzhanova, Sergei Eisenstein e Grigoriy Aleksandrov
METROPOLIS (1927)
Diretto da Fritz Lang | Sceneggiatura di Fritz Lang e Thea von Harbou
KING KONG (1933)
Diretto da Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack | Sceneggiatura di James Creelman e Ruth Rose
BIANCANEVE E I SETTE NANI (1937)
Diretto da David mano | Sceneggiatura di Ted Sears, Richard Creedon, Otto Englander, Dick Rickard, Earl Hurd, Merrill De Maris, Dorothy Ann Blank e Webb Smith
IL MAGO DI OZ (1939)
Diretto da Victor Fleming | Sceneggiatura di Noel Langley, Florence Ryerson e Edgar Allan Woolf
FOREIGN CORRESPONDENT (1940)
Diretto da Alfred Hitchcock | Sceneggiatura di Joan Harrison e James Hilton
IL GRANDE SONNO (1945)
Diretto da Howard Hawks | Sceneggiatura di William Faulkner, Leigh Brackett e Jules Furthman.
LADRI DI BICICLETTE (1948)
Regia di Vittorio De Sica | Sceneggiatura di Oreste Biancoli, Suso D'Amico, Vittorio De Sica, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi e Cesare Zavattini
RIO BRAVO (1959)
Diretto da Howard Hawks | Sceneggiatura di Leigh Brackett, basata su un racconto di BH McCampbell
GRAFFITI AMERICANI (1973)
Diretto da George Lucas | Sceneggiatura di George Lucas, Gloria Katz e Willard Huyck
HALLOWEEN (1978)
Diretto da John Carpenter | Sceneggiatura di Debra Hill
ET L'EXTRATERRESTRE (1982)
Diretto da Steven Spielberg | Sceneggiatura di Melissa Mathison
FILM VINCITORI DI OSCAR / NOMINATI
Questi film di scrittrici donne sono stati nominati o hanno vinto l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale o la migliore sceneggiatura adattata. Abbiamo anche incluso i vincitori del miglior film e le nomination per i film scritti e diretti dalla stessa persona. Ogni film in questa lista è emotivamente potente con personaggi che senza dubbio ispireranno i cineasti per molto tempo nel prossimo secolo. I film selezionati sono elencati per anno di uscita.
TESTIMONE (1985)
VINCITORE DELLA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Diretto da Peter Weir | Sceneggiatura di Pamela Wallace, Earl W. Wallace e William Kelley
HARRY TI PRESENTO SALLY (1989)
CANDIDATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Diretto da Rob Reiner | Sceneggiatura di Nora Ephron
THELMA E LUISA (1991)
VINCITORE DELLA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Diretto da Ridley Scott | Sceneggiatura di Callie Khouri
LA FINE DI HOWARD (1992)
VINCITORE DELLA MIGLIORE SCENEGGIATURA ADATTATA
Diretto da James Ivory | Sceneggiatura di Ruth Prawer Jhabvala basata sull'omonimo libro di EM Forster
IL PIANOFORTE (1993)
VINCITORE DELLA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Scritto e diretto da Jane Campion
RAGIONE E SENTIMENTO (1995)
VINCITORE DELLA MIGLIORE SCENEGGIATURA ADATTATA
Diretto da Ang Lee | Sceneggiatura di Emma Thompson, basata sull'omonimo libro di Jane Austen
LOST IN TRANSLATION (2003)
VINCITORE DELLA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Scritto e diretto da Sofia Coppola
I SEGRETI DI BROKEBACK (2005)
VINCITORE DELLA MIGLIORE SCENEGGIATURA ADATTATA
Diretto da Ang Lee | Sceneggiatura di Larry McMurtry e Diana Ossana basata sul racconto “Brokeback Mountain” di Annie Proulx
GIUNONE (2007)
VINCITORE DELLA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Diretto da Jason Reitman | Sceneggiatura di Diablo Cody
PERSEPOLI (2007)
NOMINATO PER IL MIGLIOR LUNGOMETRAGGIO D'ANIMAZIONE
Scritto e diretto da Vincent Paronaud e Marjane Satrapi
FIUME GHIACCIATO (2008)
CANDIDATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Scritto e diretto da Courtney Hunt
I BAMBINI STANNO BENE (2010)
CANDIDATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Diretto da Lisa Cholodenko | Sceneggiatura di Lisa Cholodenko e Stuart Blumberg
DAMIGELLE D'ONORE (2011)
VINCITORE DELLA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Diretto da Paul Feig | Sceneggiatura di Annie Mumolo e Kristen Wiig
PRIMA DI MEZZANOTTE (2013)
NOMINATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ADATTATA
Direttore: Richard Linklater | Sceneggiatura di Richard Linklater, Julie Delpy e Ethan Hawke
DENTRO E FUORI (2015)
NOMINATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE | VINCITORE DEL MIGLIOR LUNGOMETRAGGIO D'ANIMAZIONE
Diretto da Pete Docter e Ronnie Del Carmen | Sceneggiatura di Meg LeFauve, Pete Docter, Josh Cooley e Ronnie Del Carmen
LADY BIRD (2017)
NOMINATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE | NOMINATO PER IL MIGLIOR FILM
Regia: Greta Gerwig | Sceneggiatura di Greta Gerwig
IL GRANDE MALATO (2017)
CANDIDATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Diretto da Michael Showalter | Sceneggiatura di Emily V. Gordon e Kumail Nanjiani
THE SHAPE OF WATER (2017)
CANDIDATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Diretto da Guillermo del Toro | Sceneggiatura di Guillermo del Toro e Vanessa Taylor
MUDBOUND (2017)
NOMINATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ADATTATA
Diretto da Dee Rees | Sceneggiatura di Dee Rees e Virgil Williams
IL PREFERITO (2018)
CANDIDATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Diretto da Yorgos Lanthimos | Sceneggiatura di Deborah Davis e Tony McNamara
1917 (2019)
CANDIDATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Diretto da Sam Mendes | Sceneggiatura di Sam Mendes e Krysty Wilson-Cairns
GIOVANE PROMESSA (2020)
VINCITORE DELLA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Scritto e diretto da Emerald Fennell
NOMADLAND (2020)
VINCITORE DEL MIGLIOR FILM | NOMINATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ADATTATA
Scritto e diretto da Chloé Zhao
CODA (2021)
NOMINATO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ADATTATA
Scritto e diretto da Sian Heder, basato sul film francese La Famille Belier di Victoria Bedos, Eric Lartigau e Stanislas Carré de Malberg
IL PUNTEGGIO PIÙ ALTO SUL SITO ROTTEN TOMATOES
Mentre i premi sono davvero entusiasmanti e aiutano a portare attenzione e prestigio a un film, l'accoglienza da parte della critica e del pubblico è ciò che fa o distrugge davvero un film e gli conferisce longevità.
Ecco le 20 sceneggiature più votate scritte da donne dal sito web di aggregazione di recensioni Rotten Tomatoes. Alcune delle voci potrebbero sorprenderti!
ESTATE 1993 (2017)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Carla Simón
REBECCA (1940)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Alfred Hitchcock | Sceneggiatura di Joan Harrison e Robert E. Sherwood | Adattamento del romanzo di Daphne Du Maurier
QUO VADIS, AIDA? (2021)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Jasmila Žbanić
LAURA (1944)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Otto Preminger | Sceneggiatura di Jay Dratler, Samuel Hoffenstein ed Elizabeth Reinhardt
CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA (1952)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Stanley Donen e Gene Kelly | Sceneggiatura di Betty Comden e Adolph Green
SLALOM (2021)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Regia di Charlène Favier | Sceneggiatura di Charlène Favier e Marie Talon
TRE COLORI: ROSSO (1994)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Krzysztof Kieslowski | Sceneggiatura di Krzysztof Kieslowski, Krysztof Piesiewicz e Agnieszka Holland
L'OMBRA DEL DUBBIO (1943)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Alfred Hitchcock | Sceneggiatura di Gordon McDonell, Thornton Wilder, Sally Benson e Alma Reville
CORAZZATA POTËMKIN (1926)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Sergei M. Eisenstein | Sceneggiatura di Nina Agadzhanova, Nikokay Aseev, Sergei M. Eisensten e Sergei Tretyakov
PRIMA DELL'ALBA (1995)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Richard Linklater | Sceneggiatura di Richard Linklater e Kim Krizan
ALVEARE (2021)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Blerta Basholli
TOPOLINO E L'ORSO (2019)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Annabella Attanasio
RAGNI DI CARTA (2021)
100% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Inon Shampanier | Sceneggiatura di Natalie Shampanier
LADY BIRD (2017)
CERTIFICATO AL 99% SU Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Greta Gerwig
MAI RARAMENTE A VOLTE SEMPRE (2020)
CERTIFICATO AL 99% SU Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Eliza Hittman
LE COSE A VENIRE (2017)
CERTIFICATO AL 99% SU Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Mia Hansen-Løve
LA MIA VITA DA ZUCCHINA (2016)
CERTIFICATO AL 99% SU Rotten Tomatoes
Diretto da Claude Barras | Sceneggiatura di Celine Sciamma
ET L'EXTRATERRESTRE (1982 )
CERTIFICATO AL 99% SU Rotten Tomatoes
Direttore: Steven Spielberg | Sceneggiatura di Melissa Mathison
WADJDA (2013)
CERTIFICATO AL 99% SU Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Haifaa Al-Mansour
MISS JUNETEENTH (2020)
CERTIFICATO AL 99% SU Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Channing Godfrey Peoples
SCONOSCIUTI SU UN TRENO (1951)
98% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Alfred Hitchcock | Sceneggiatura di Czenzi Ormonde e Raymond Chandler | Adattato dal romanzo di Patricia Highsmith
LA VERSIONE QUARANTENNALE (2020)
98% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Radha Blank
IL BABADOOK (2014)
98% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Jennifer Kent
TOY STORY 4 (2019)
97% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Josh Cooley | Sceneggiatura di Stephany Folsom e Andrew Stanton
L'ADDIO (2019)
97% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Lulu Wang
IL CAVALIERE (2017)
97% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Chloé Zhao
COSA C'ENTRA L'AMORE (2003)
96% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Brian Gibson | Sceneggiatura di Tina Turner, Kurt Loder e Kate Lanier
BOOKSMART (2019)
96% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Olivia Wilde | Sceneggiatura di Katie Silberman, Emily Halpern, Sarah Haskins e Susanna Fogel
LA PRIMA MUCCA (2019)
96% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Diretto da Kelly Reichardt | Sceneggiatura di Kelly Reichardt | Adattato dal romanzo di Jonathan Raymond
UNA RAGAZZA TORNA A CASA DA SOLA DI NOTTE (2014)
96% CERTIFICATO Rotten Tomatoes
Scritto e diretto da Ana Lily Amirpour
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Scrittrici che identificano le donne che trovano più successo sul grande schermo (oltre che in TV). Hollywood ha ancora molta strada da fare per raggiungere la parità di genere nel mondo del cinema, ma un nuovo rapporto di Re-Frame e IMDb afferma che nel 2021 un totale di 31 film sono stati scritti da donne, con un aumento del 47,6% rispetto al 21 film scritti da donne nel 2020!
Questo è il progresso.
di Shanee Edwards per screencraft.org
Maddalena Cecconi (Anna Magnani) è una popolana romana che sogna per la sua bambina un avvenire da star, e per ottenerlo è disposta a ogni sacrificio, anche a mettere in crisi il matrimonio. L'impatto col mondo dello spettacolo, dove un trafficone (Walter Chiari) con la scusa di aiutarla le ruba tutti i risparmi, le farà cambiare idea.
Prima di realizzare "Bellissima" (1951) Visconti dovrà attendere oltre tre anni. L'opera segna il suo incontro, con quasi dieci anni di ritardo, con Anna Magnani (che avrebbe voluto nella parte di Giovanna in "Ossessione") e con Cesare Zavattini, e soprattutto consente al regista di ritornare a un'idea di cinema e di regia più aderente alla sua poetica, basata sull'esaltazione della professionalità e sulla massima riduzione dell'improvvisazione. La componente più chiaramente neorealista la vediamo comunque (Visconti aveva un suo stile diverso da Zavattini ma in comune un clima generale e una sensibilità che oggi vediamo più chiaramente) alle spalle di Anna Magnani, Visconti dispone tutto un coro di voci popolari che si muovono e si intrecciano di continuo consentendo uno sguardo lucido su condizioni croniche di miseria e di fame di un'Italia appena uscita dalla fase della ricostruzione e pronta a guardare appena al di là dell'orizzonte dei bisogni immediati. A questo italiano popolare il cinema si offre in tutta la sua capacità fascinatrice non solo di fabbrica di sogni, ma di luogo privilegiato entro il quale si può realizzare il desiderio di mutamento improvviso dello status sociale.
Visconti smonta con crudeltà la macchina cinematografica, cerca di spingere lo sguardo alle spalle della macchina da presa mostrando l'assoluta inconsistenza ideale e morale del mondo del cinema. Ci troviamo quindi di fronte ad un film che parla di cinema.
Ancora una volta Anna Magnani, la cui figlia è stata selezionata per divenire la protagonista del film, mostra il senso di una sconfitta dinanzi al rifiuto del grande regista (Alessandro Blasetti), che è il rifiuto della grande occasione della vita.
La bimba viene ammessa al provino. Ma quando Maddalena vede l'immagine della piccola Maria impacciata e piangente tra le risate del regista e degli aiutanti, s'infiamma di sdegno e dopo aver fatto una violenta scenata, porta via la bambina.
Indignata e avvilita la madre si rende conto delle sue aspirazioni sbagliate e rinuncia al fruttuoso contratto che le viene effettivamente proposto dal regista, che aveva visto in quella bimba, in un secondo momento, qualità espressive non comuni.
Questa sconfitta non è tanto e solo del personaggio popolare rispetto alla macchina dei sogni rappresentata dal cinema di Cinecittà, ci si trova di fronte a molti più significati, è anche un modo di leggere con pessimismo l'utopia sempre presente, di dare al cinema dei significati culturali e politici spesso delusi, utopia che in parte attraversò lo stesso Visconti, ricordiamo ancora che fu proprio il Neorealismo che spesso o in parte diede l'illusione di poter far recitare tutti con facilità, in una ottica ovviamente diversa da come la proponevano al pubblico allora, nello stesso tempo il film ribadisce ancora una volta la capacità di chi credeva in quella utopia di riproporre comunque un discorso critico su di un certo modo di vivere e fare cinema. Da ricordare la sequenza ove la Magnani incontra una ex attrice ora segretaria a cinecittà che le smonta tutta la falsità del sogno in celluloide, pur nello stile di Visconti, il film rientra pienamente nel clima neorealista e a distanza di anni continua ad avere su nuovi spettatori un impatto ancora di rottura, oggi come allora i sogni facili fabbricati ad arte sono alla base dei nostri discorsi sulla verità e la finzione nello spettacolo.
Ricordiamo la collaborazione alla lavorazione del film del regista Francesco Rosi e la sceneggiatura di Suso Cecchi D'amico, sceneggiatrice di molti film di Visconti.
Anno: 1951
Durata: 113'
Origine: Italia
Colore: Bianco E Nero
Genere: Drammatico
Regia: Luchino Visconti
Soggetto: Cesare Zavattini
Fotografia: Piero Portalupi
Montaggio: Mario Serandrei
Sceneggiatura: Suso Cecchi D'amico, Francesco Rosi, Luchino Visconti
Musiche: Franco Mannino
Scenografia: Gianni Polidori
Produzione: Salvo D'angelo per la Bellissima Film Srl
Vittorio De Sica nacque in Ciociaria (Sora) nel 1902, da una famiglia di modeste condizioni economiche; ma la sua vera patria fu Napoli, dove crebbe e cominciò a bazzicare l'ambiente dello spettacolo, si trasferisce a Roma dove più tardi si diploma ragioniere.
Regista di fama internazionale famoso come attore e anche come cantante già negli anni trenta, confluiscono in lui componenti tipiche dello spettacolo italiano in una perfetta sintesi: Teatro ''leggero'' canzone, cinema, avanspettacolo, teatro colto, recitazione, non ultima l'influenza di una città come Napoli ricca di fermenti teatrali e non solo, grande sensibilità umana, regista e attore tra i più popolari un personaggio completo tutto ancora da scoprire, la sua stessa popolarità rappresenta bene un intreccio tra livelli alti e cultura popolare mai appiattiti in un grossolano consumismo televisivo è commerciale, il pubblico sapeva chi era De Sica sia quando lo vedeva in tv, sia nei film ove compariva solo per esigenze economiche.... era il regista di Ladri di biciclette
Da Sottolineare anche la sua capacità di rinnovarsi. Sua la voce della famosa canzone ''Parlami d'amore Mariù'' ma anche suo un canovaccio tipico dell'avanspettacolo il ritornello ''Ludovico sei proprio un vero amico....''. Un uomo di spettacolo Italiano, insomma, che appena poteva cercava di mettere in cantiere un film di ''impegno'', ma non sempre, in specialmodo negli ultimi anni riuscì a concretizzare le sue idee, nel cinema non sempre bastano.
Il Grande regista spagnolo-francese L. Bunuel lo voleva nel un suo ultimo film: ''L'oscuro oggetto del desiderio'', la cosa non si realizzò per la avvenuta morte di De Sica, stA comunque a significare la portata internazionale del nostro.
A Roma, nel 1924, De Sica ottenne una scrittura nella compagna di Tatjana Pavlova, la discepola di Stanislovski da poco emigrata in Italia (è Gastone nella Signora delle Camelie). Tre anni dopo recita Pirandello con Sergio Tofano, e nel giro di altri tre anni diventa "primo attore".
E' l'epoca degli attori dal colletto ''intostato" che cantano con sussiego e vanità ("Ludovico sei bello come un fico" la sua sigla). Da Pirandello De Sica approda così al teatro leggero, sotto la guida del regista Mario Mattoli (poi regista di film con Totò) allora specializzato in spettacoli comico-brillanti. La maschera galante di quell'attore giovane conquista presto anche i cineasti; ma soltanto al quinto tentativo, alle dipendenze di Camerini, i produttori si convincono che De Sica è il protagonista ideale della commedia amorosa borghese. La sua prima apparizione in un film risale al 1912, quando ancora bambino recita una parte in "Il processo Clémenceau", nascono così: "Gli uomini che mascalzoni" (1932) di Mario Camerini, La segretaria per tutti (1933) di Palermi, Darò un milione (1936), "Il signor Max" (1937), "Grandi magazzini" (1939) ancora di Camerini, Napoli d'altri tempi (1938) di Palermi, Tempo massimo (1934) di Mattoli e altri ancora. Nel 1940 è l'attore più amato dal pubblico femminile insieme con Amedeo Nazzari.
Ma De Sica, grazie alla grande, ma misconosciuta spesso dalla critica, scuola del varietà, è già qualcosa di più; nella sua tecnica di recitazione confluiscono le migliori espressioni della rivista italiana nel suo massimo splendore: il macchiettismo cinico e levigato, da cafe' chantant, di Petrolini e del teatro popolare napoletano, l'accorata mimica di Angelo Musco, le pantomime parodistiche di Fregoli. Da questo patrimonio popolare De Sica apprese gli elementi di una recitazione semplice e comunicativa, ma al tempo stesso profonda e acuta, di un rigore quasi classico, e sempre fedele a un concetto chiaro e preciso di serietà professionale.
Nel filone comico-sentimentale De Sica esordisce anche alla regia. Rose scarlatte (1940) una timida analisi della tentazione all'adulterio, "Maddalena zero in condotta" (1941), una commedia degli equivoci di ambiente collegiale, "Teresa venerdì" (1941), il melodramma della conversione di un "mascalzone" (la cui amante, Anna Magnani, è una canzonettista) ad opera dell'orfana che fa la sguattera nel suo orfanotrofio. De Sica mostra subito una propensione alla satira contro gli ambienti repressivi, contro i tutori ottusi, contro l'ipocrisia di classe, e una naturale simpatia per le sognatrici, che violano le convenzioni e sono vittime di persecuzioni. Benchè dominino i dettami della commedia "cameriniana"(del regista M.Camerini, importante regista degli anni trenta) (il mascalzone, il collegio) e della rivista (la canzonettista, gli equivoci), De Sica si avvicina già ad un mondo fino allora trascurato dal cinema, il mondo dell'infanzia (gli orfanelli).
"Un garibaldino al convento" (1942) è ambientato fra le educande di un convento, due delle quali provengono da famiglie rivali, l'una è di carattere mite e tranquilla, ma l'altra, invidiosa dei suoi modi aristocratici, la detesta e una loro maligna compagna attizza i contrasti; ma quando un giovane garibaldino ferito e braccato chiede loro aiuto si danno da fare per soccorrerlo e per trovargli un rifugio nella casetta del giardiniere il quale si rivela un ammiratore del generale; entrambe si innamorarono del giovane, ma lui ricambia la prima ed all'altra non rimane che soffocare stoicamente i singhiozzi; ed è proprio lei a correre da Bixio quando gli altri tre, barricati nella casetta devono fare fronte all'assedio dei borbonici. Con questo film, che peraltro rientra smaccatamente nel genere nazionalistico conseguente all'entrata in guerra dell'Italia che imita goffamente gli stereotipi di Hollywood ("Arrivano i nostri"), e che rimane fedele al film d'ambiente collegiale, De Sica compie un importante passo avanti poichè si stacca dalla recitazione solita, rinuncia alla replica scontata dal proprio personaggio, si rinnova.
In piena guerra De Sica si associò a Zavattini. Per il regista l'incontro segnò una svolta: abbandonando i temi della commedia rosa e dedicandosi interamente alla regia. De Sica e Zavattini affrontano l'altra faccia della vita piccolo-borghese e popolare, quella cupa e drammatica. Il clima bellico d'altronde respingeva come anacronistico il sentimentalismo degli anni trenta, e incombeva con tutto il suo immane orrore sull'animo della gente. ''I Bambini ci Guardano" (1943) ha per protagonista un bambino, che è a sua volta spettatore: spettatore di una violenta crisi familiare. Sua madre abbandona suo padre per vivere con l'amante, e il padre si arrabatta per sistemarlo prima in una sartoria, (la cui proprietaria se la fa con un commendatore e le cui commesse si confidano sottovoce le loro avventure), poi dalla nonna in campagna (la cui servetta ha una relazione con il farmacista) e infine a casa di nuovo perchè la mamma è tornata. Ma durante una vacanza al mare (dove la spiaggia pullula di corteggiatori) l'amante viene a trovare la donna; il bambino fugge via in lacrime e quando i carabinieri lo riaccompagnano dalla mamma, lei lo riporta a casa, ma non vi rimane. Il bambino osserva senza capire tanti episodi che rimandano tutti alla stessa immagine, quella dell'incontro iniziale ai giardini fra la madre e l'amante. Negli occhi del bambino passano ambienti squallidi, dal condominio di casa sua (le pettegole che commentano la separazione o il suicidio) alla spiaggia, dalla sartoria al casolare della nonna. I turbamenti del bambino nascono dal contrasto fra un mondo magico che lo affascina e il crudele distacco della madre che questo mondo provoca. L'attenzione all'infanzia sarà una caratteristica del Neorealismo ed anche F. Trauffaut ebbe la stessa sensibilità.
Nelle mani di De Sica il bambino è soprattutto uno strumento potentissimo per riprendere la realtà: un occhio che guarda. Il clima fatale del film, lo squallido quadro sociale l'incombente senso di catastrofe, il retroscena da film noir, si fondono con un senso chapliniano (molto presente nel nostro persoanggio l'influenza di Chaplin) dell'infanzia vittima della società repressiva. Non a caso il film termina ancora una volta in un collegio, in una prigione per bambini.
Durante l'occupazione De Sica e Zavattini producono in Vaticano: "La parte del cielo" (1944), resoconto di un viaggio in treno compiuto da operai, contadini, e altri umili, che per le precarie condizioni di realizzazione, costituisce il primo esempio di cinema neorealista, fra un coprifuoco e l'altro, lavorando nella basilica o in qualche scantinato, e facendo recitare i rifugiati, riusciranno a scampare ai tedeschi che volevano portarli al nord con la scusa di essere già impegnati con il Vaticano. La sensibilità di De Sica sceglie chiaramente, in quei momenti tragici, la solidarietà e il rifiuto della ottusità Nazista.
"Sciuscià" (1946) fu il film che propagandò meglio di ogni altro l'immagine di un paese, devastato eppure poetico, quale era l'Italia del dopoguerra. Il film nasceva dall'impegno morale di denunciare il fenomeno dei bambini abbandonati e il sistema carcerario che li opprime; cioè da una maturazione in chiave sociale del prediletto tema "collegiale" (presente nel film ''I bambini ci guardano'').
Gli interpreti furono assoldati in riformatorio e le riprese avvennero per le strade di Roma. Sugli schermi di tutto il mondo si potevano così vedere i vicoli squallidi e soffocanti dei quartieri popolari e le precarie condizioni di vita dei loro abitanti. L'immagine internazionale del neo-realismo era completata dall'accorata partecipazione del regista alle disavventure dei bambini, dalla poesia che egli riusciva a far scaturire da tanta maceria di civiltà, e dall'insolito ritmo narrativo, al tempo stesso sobrio e preciso, acuto e lineare. Due bambini lustra-scarpe (shoe-shire) spendono i soldi ricavati dal loro lavoro nell'acquisto di un cavallo bianco (simbolo Zavattiniano del desiderio di riscatto dalla condizione di schiavitù e della laida miseria), ma coinvolti in un furto, vengono internati in un riformatorio dove devono subire le prepotenze dei giovinastri violenti e amorali nonchè dei sorveglianti disumani: la loro amicizia viene infatti spezzata dalla crudele separazione, che propone loro nuove conoscenze in due celle diverse. Il più piccolo evade seguendo un suo nuovo amico durante un incendio. Il più grande, sentendosi tradito, lo insegue deciso a vendicarsi, ma causa involontariamente la sua morte e, mentre il bambino agonizza ai suoi piedi vede passare nella notte il cavallo bianco. Attorno ai due bambini (e visti attraverso i loro occhi) si muovono le macchiette all'italiana del rigattiere, della chiromante, delle famiglie accatastate in ricoveri di fortuna, tutta gente maestra nell'arte di arrangiarsi e ridotta alla più totale miseria. Il realismo fiabesco e il moralismo di Zavattini si intrecciano al tocco del regista, in quell'umano tenero indugiare sull'amicizia dei due bambini e sulle brutalità del mondo. L'arte di De Sica nasce in effetti da una sua ''carenza'': uno sguardo non politicizzato ma non per questo povero o superficiale e una documentazione cinematografica non tecnicamente alta e proprio per questo più realista. Una autenticità non mediata da nessuna ideologia preconfezionata, un ''provincialismo'' autonomo da facili esterofilie caratterizza il meglio del Neorelismo (Fenoglio) di quegli anni e non solo a cinema, lo conferma il succeso internazionale del film.
Analogo mondiale successo ottenne "Ladri di biciclette" (1948), storia di un disoccupato che, trovato lavoro come attacchino, riscatta la bicicletta, lo strumento indispensabile del suo nuovo lavoro, impegnando le lenzuola; ma mentre è intento a incollare un manifesto qualcuno gliela ruba e il disgraziato, poco fiducioso nella polizia, comincia una disperata ricerca in compagnia del figlioletto.
Girato per le strade di Roma con un vero disoccupato, il film aveva qualche debito con ''The crand'' (La Folla) di K. Vidor per la solitudine dell'individuo in balia di una folla indifferente se non ostile del suo dramma, e soprattutto The Kid (il Monello) di Chaplin per la solidale complicità fra i due vagabondi: un uomo e un bambino.
Pur dispiegando al massimo grado il suo sentimentalismo, De Sica riuscì a costruire un reportage fedele; e ciò grazie in primo luogo alle sue magistrali doti di direttore di attori. De Sica ripete in effetti il capolavoro di ''Sciuscià'', ricalcando anche il leitmotiv della coppia di amici; ma questa volta li immerge in un viaggio infernale di tono morale e sociale.
L'umanitarismo generico di De Sica disegna l'inferno dei poveri a grandi tinte emotive indicando fra le righe che in quell'inferno si annidano tanti piccoli paradisi, costituiti da nuclei familiari e dalle amicizie. Il merito più grande di De Sica sta nella disinvoltura con cui tratta quest'inferno e questi paradisi, nell'amore con cui li ritrae, nella capacità di renderne l'essenza fatta di rassegnazione e fierezza.
Il paradiso dei poveri agognato da De Sica è quello di "Miracolo a Milano" (1950), una fiaba scaturita dalla mente surreale di Zavattini e dalla censura imposta dal ''regime'' democristiano: erano film attaccati dalla censura perchè di denuncia, fu un compromesso d'alta classe, uno dei vertici poetici del regista, anche se "ricco" dal punto di vista della realizzazione.
Stupenda l'utopia finale di ''un altro mondo è... impossibile'': in pieno centro a Milano, i miracolati morti di fame si liberano volando; esauditi i desideri dei miserabili, il ragazzo (Totò, tratto da un romanzo di Zavattini ''Totò il buono'') invoca l'ultimo miracolo ed una legione di barboni a cavallo di scope sottratte agli spazzini si leva in volo sulla città, lasciando la terra ai ricchi e lanciandosi verso il paradiso dei poveri.
I temi tipici di De Sica / Zavattini fioccano a ripetizione: l'infanzia, l'orfanotrofio, la solitudine nella folla, la solidarietà, la miseria, il paradiso dei poveri.
I matti cari a Zavattini. Il film si ispira indubbiamente alla favolistica, tanto quella occidentale (fate, streghe) quanto a quella orientale (la colomba magica), ma anche ai vangeli: il ragazzo è una sorta di Cristo comparso in un buffo presepe, a realizzare la profezia degli umili e del Regno di Dio. Ma soprattutto il lieto fine è drammatico: in questo mondo non può esserci giustizia.
L'impianto favolistico nulla toglie al taglio neorealista della macchina da presa, non vi è contrapposizione con i film precedenti.
De Sica fa sempre fare alle autorità e ai tutori dell'ordine la figura dei cattivi: è questo un sintomo del suo anarchismo naïf, che si unisce con la simpatia riposta nei bambini, fortunati cittadini di un mondo senza leggi, di uno stato di natura che l'orfanotrofio o il collegio (lo Stato in ogni caso) vuol sopprimere. Totò ha il potere dell'immaginazione, è il messia di un'utopia non violenta anche se i suoi poveri capiscono ben poche delle sue idee, paurosi, superstiziosi, egoisti ed avidi; un'utopia che si conclude con una specie di suicidio collettivo. Il film è intriso di commozione: il funerale della buona ed umile vecchietta per le strade senza un cane che l'accompagni; il ragazzo che augura una buona giornata a tutte le persone che incontra e che lo prendono per pazzo; la lotteria dell'inaugurazione con in palio un pollo.
Al di là della carica emotiva sono scene di una profonda amarezza, che riflettono la paurosa solitudine a cui ogni uomo sembra destinato. E' questo il secondo significato dell'apologo surreale, ben più profondo del primo (la fantasia dei poveri può battere la forza dei ricchi).
Ed è su questo tema che De Sica costruisce il suo capolavoro ''Umberto D'' (1952), dove tutti i suoi temi preferiti sono trasfigurati nella parabola del povero pensionato, confortato soltanto dalla compagnia di un cagnolino bastardo. Presa la decisione di uccidersi, vaga per la città; alla fine prende in braccio il cagnolino (Chaplin) per buttarsi sotto un treno, (sequenza stupenda) ma all'ultimo momento il cane, spaventato, gli scappa; e il vecchio lo rincorre, ... lo abbraccia, ... lo stringe al petto piangendo: il cane lo ha salvato!
Umberto D è un groppo in gola, un graffio nell'animo. Il più limpido e serio anti-spettacolare studio sociale di De Sica e Zavattini divenne, per la forza della poesia, anche il loro più commovente pamphlet di critica sociale. La totale solitudine di un uomo che ha passato la vita a lavorare, e l'ingratitudine della società che egli con quel lavoro ha contribuito a costruire, sono resi con pathos shakespeariano degno del Re Lear.
Il suicidio del vecchio che nessuno vuole più e che non sa più dove andare è gia un pensiero spaventoso; ma che egli vi rinuncia per dedicarsi a un cagnolino, equivale a un suicidio più grande, al suicidio della dignità del vecchio e al suicidio della intera civiltà umana. Il film rotola di abisso in abisso, ed alla fine... che pena quel paradiso dei poveri! Ecco dove volavano i barboni di Milano!
Tutto il film poggia sulla regia attenta di De Sica, sulla interpretazione pacata e solenne del protagonista, che deve disegnare un uomo onesto, discreto e dignitoso (forse Totò da vecchio) che accetta con rassegnazione i rovesci del destino; ma che a un certo punto, per continuare ad essere onesto discreto e dignitoso, dovrebbe suicidarsi, e invece si ribella. Il cagnolino è il simbolo della rivolta contro la società che lo ha condannato a morte. Ma il cagnolino è anche il sostituto ideale del bambino di Ladri di biciclette; ed il viaggio incontro alla morte del vecchio, rassomiglia quello alla ricerca della bicicletta; così alla fine il vecchio e il cagnolino si prendono per mano e si perdono nella folla. Al culmine dell'ispirazione, De Sica riesce a far fruttare anche gli elementi più ''equivoci'' della sua arte come il sentimentalismo e l'umanitarismo.
Il violento attacco delle autorità bigotte contro Umberto D costrinsero De Sica a riparare in America, dove ricevette i complimenti di Chaplin in persona, ma dovette anche cedere alla logica commerciale di Hollywood. "Stazione Termini" (1953) è una storia d'amore tutta vissuta in una stazione fra una americana sposata e un italiano; il film risente pesantemente dei collaboratori amici americani.
Dopo la breve e insoddisfacente parentesi americana, De Sica gira "L'oro di Napoli" (1954) film a episodi che intende dare un ritratto pittoresco del mondo napoletano (guappi, pizzaioli, nobili, mantenute e imbroglioni) e che sogna il ritorno di De Sica alla recitazione in un proprio film, oltre che confermare la sua formidabile capacità di dirigere gli altri, dal comico dirompente Totò alla diva popolana Loren (la pizzaiola) e al grande Eduardo De Filippo. La spettacolarità teatrale e questa rassegna di divi colloca il film ben al di fuori del neo-realismo e persino al di fuori delle tematiche classiche del regista stesso. L'unico episodio ancora neorealista, sul funerale di un bambino, venne tagliato dalla produzione.
In compenso la parte recitata da lui in persona, quella del conte rovinato dal gioco, è l'atto di nascita ufficiale del nuovo De Sica attore, che, smessa la maschera del mascalzone galante, si cala nei panni del gentiluomo maturo, arguto e affascinante, amante del decoro, che cammina sempre a testa alta, già collaudato l'anno precedente in "Pane amore e fantasia" (di Comencini), e riproposto nella nutrita serie di interpretazioni da "Pane amore e gelosia" alla dozzina di film ad episodi e commedie all'italiana proliferata nel 1954 e 55 (compresi gli ottimi film con Totò).
Dopo Il tetto (1956), altra commedia popolare, De Sica che ha sancito la fine del neo-realismo, si ritira dalla regia e si dedica al cinema come attore. Lavora in un'altra manciata di film, quasi tutti commediole comunque simpatiche; fino al 1961 la sua attività di attore si mantiene frenetica e un po' corriva, fatto salvo ovviamente "Il generale Della Rovere" (1959) di Rossellini. Questa ritirata artistica è dovuta a fenomeni concomitanti: l'insuccesso degli ultimi film, le ambizioni solistiche di Zavattini, il bisogno di soldi (De Sica era assiduo giocatore al casinò di Montecarlo).
Nel 1961 ritorna alla regia con "La ciociara" (da Moravia) caricando l'interpretazione della Loren nella parte della madre. Qua e là traspare di nuovo la mano del maestro: le macchiette della borgata, il sentimentalismo tragico dello stupro, l'infanzia devastata dalla guerra. In seguito De Sica gira ''Il giudizio universale'' (1962) più che altro un pretesto per mettere assieme una dozzina di divi internazionali, un falso film ad episodi costruito sulla gag di un altoparlante che annuncia il giudizio universale. Lo spunto magico surreale alla Miracolo a Milano serve soltanto come occasione per Sordi (che contrabbanda bambini per l'America), Manfredi, Gassman, Fernandel, e tanti altri, per dare un saggio della loro bravura. La gente aspetta terrorizzata, ma alla fine il giudizio si risolve in un acquazzone e tutti possono andare al gran ballo dove coronano il loro amore: gli unici ad essere rimasti indifferenti, due giovani innamorati preoccupati soltanto all'idea del loro incontro. Il film pullula di macchiette: ladri, disoccupati, stranieri, camerieri, avvocati, cantanti; e squarcia uno dei rioni più poveri di Napoli, un palazzo fatiscente affollato di comari petulanti e di bambini seminudi.
Ricordiamo anche I sequestrati di Altona (1963) tratto da Sartre. Il boom (1963) dove un arrivista fallito (Sordi) abbandonato dalla moglie vende un occhio a un commendatore cinico e volgare per pagare i debiti e continuare la sua vita agiata. "Ieri oggi e domani" (1963), 3 Premio Oscar, è un trittico di episodi napoletani interpretati dalla Loren.
"Matrimonio all'italiana"(1965) è la riduzione di Filomena Marturano di Eduardo ma affidata nuovamente al temperamento partenopeo della Loren, di nuovo in coppia con Mastroianni, ed è anche uno dei maggiori successi di pubblico dell'epoca.
Il connubio fra due animi chapliniani come De Sica e De Filippo non può che sortire un risultato emozionante, dove pianto e riso si fondono in un unico appassionato canto di vita. Ma De Sica si strugge dal desiderio di realizzare un altro Umberto D e deve lottare quotidianamente con i produttori.
Per quattro anni De Sica, trasferitosi a Parigi e divenuto cittadino francese, gira Caccia alla volpe (1966), con Peter Sellers nei panni di un ladro inafferrabile che, parodiando le riprese di un film neorealista, riesce a mimetizzare lo sbarco clandestino di un carico d'oro.
Amanti (1968), melodramma cosmopolita basato su un amore impossibile fra un italiano e un'americana afflitta da male incurabile, e "I girasoli" (1970) rievocazione dello sbandamento del dopoguerra centrato sulla ricerca che una napoletana (Loren) conduce in Russia per ritrovare il marito (Mastroianni) dato per disperso.
Nel 1971 "Il giardino dei Finzi Contini" dal romanzo di Bassani è l'occasione per una poetica rievocazione del clima bellico. De Sica ritrova la sensibilità umanitaria e il decoro magico dei suoi capolavori nelle scene d'amore pudico di due giovani ebrei condannati dalla loro nascita, e in quelle strazianti della deportazione che sradica la giovane dalla casa in cui è cresciuta. Siamo al quarto Oscar del regista.
Una rinnovata intensa attività di attore accompagna l'ultima produzione del regista che gira Lo chiameremo Andrea una surreale appendice alla periferia di Miracolo a Milano aggiornata al movimento ecologico e alla satira goliardica della commedia all'italiana); Una buona vacanza (1973) e Il viaggio (1974). Il primo è un film-denuncia della condizione operaia: la protagonista è un'operaia che rinasce a nuova vita dopo essere stata ricoverata in ospedale per la tubercolosi ma che ripiomba nello squallore appena viene dimessa e deve tornare in fabbrica. Il secondo di impostazione melodrammatica.
De Sica muore quell'anno. Talento naturale, attore e regista nella vita prima ancora che sul set, De Sica ha impersonato gli ideali positivi di una parte del popolo italiano durante e dopo il fascismo e, grazie all'innato senso dello spettacolo, è riuscito ad inventare uno stile imitato in tutto il mondo.
In ultimo ricordiamo ancora una volta che i suoi film Sciuscià, Ladri di biciclette, Ieri, oggi, domani e Il giardino dei Finzi Contini hanno vinto l'Oscar al miglior film in lingua straniera, premio al quale fu candidato anche Matrimonio all'italiana.
dal sito di Cicciotti
Riso amaro è un film drammatico del 1949 diretto da Giuseppe De Santis. Fu presentato in concorso al 3º Festival di Cannes e ricevette una candidatura ai Premi Oscar del 1951 per il miglior soggetto.
Il Film si apre con una voce fuori campo radiofonica, da cronaca, con tono solenne descrive il mondo delle mondine, la macchina da presa entra quindi nella cronaca mediatica, anzi in competizione con essa
(immagine di Francesca e Walter)
Siamo nel Torinese Francesca istigata dal suo fidanzato (Walter-Gassman) ruba una collana ad un cliente di un albergo dove la ragazza lavora in qualità di cameriera (intrigo poliziesco). La collana indica molto bene il rapporto realtà finzione, sogno, realtà.
Per far perdere le proprie tracce i due si inseriscono nella folla delle Mondine (ragazze che lavorano nelle risaie) impiegate come stagionali nel Vercellese.
Nel dormitorio delle Mondine, Silvana (Silvana Mangano) deruba Francesca della collana (l'oggetto del desiderio si sposta), la Mangano si presenta con tratti di grande erotismo, la sua immagine ha un grande impatto visivo di vitalità, sogno e ingenuità. Walter sospettando che la bella figliola molto probabilmente ha preso la collana (Francesca scopre il furto e lo dice a Walter) comincia a girarle intorno e a farle la corte, alla presenza fisica della Mangano fa coppia adesso la prestanza fisica del giovane Gassman che nel film è terribilmente cattivo, ma ovviamente piace alle donne.
(immagine del ballo di Silvana)
Sublime a questo punto il ballo a ritmo di Boogie dei due attori - Le mondine non ballano i ritmi americani e soprattutto è un ballo licenzioso perche Gassman quando balla sbircia con libidine sulle tette e le gambe della Mangano (un critico disse che De Santis nei suoi film ci metteva sempre gambe femminili) che risponde con sguardi troppo licenziosi. Questa vicenda del ballo che ha, ripetiamo, un grande impatto visivo-fotografico oltre che simbolico e ci sembra una sintesi di grande cinema, si scontra sostanzialmente con un Paese bacchettone, non ci si riferisce tanto al pubblico, un Paese che censurava i film di Totò o addirittura li vietava ai minori di 14 anni! Ma attenzione il regista in tutto il film filtra questa dimensione dello spettacolo che più colpisce il pubblico, con altre dimensioni che non si soffermano alla descrizione puramente decorativa fine a se stessa e che arriveranno alla tragedia finale ... insomma il ballo è la sintesi visiva di un discorso più ricco.
Tra le persone presenti nel campo non a caso ad iniziare il ballo con passione sono Silvana e Walter, quest'ultimo subito risponde al desiderio della ragazza, di muoversi, percepire un sentimento di libertà, modernità che però poi condurrà ambedue alla tragedia.
Francesca pentita si è legata ad un giovane (Raf Vallone) in precedenza attratto da Silvana, che viene presentato dal regista come opposto a Gassman: senso del reale, cosciente delle illusioni un passato pieno di esperienze vere e significative, il giovane, in occasione del famoso ballo (in realtà ve ne sono due) vedendo la ragazza indossare la collana fa a pugni con Walter-Gassman e dice alla ragazza di stare lontana dalla collana perchè rubata, (la ragazza la indossa durante il ballo) ma ormai la bella Silvana è nelle mani di Walter.
(immagine di Raf Vallone con la Mangano)
L'Intrigo si intreccia con maestria con i sentimenti dei protagonisti (abile il regista in un gioco di inquadrature sui volti dei quattro contendenti), il pubblico è attratto, guidato abilmente dal grande Regista che con questa tecnica fa da contrappunto passo passo e in modo critico alla cultura popolare femminile dell'epoca senza ignorarla. Ma soprattutto dopo il ballo immaginate il pubblico nel cinema invece di alzarsi (un film neorealista non lo deve vedere nessuno ) continua a seguirlo ...
Walter scopre dai giornali che la collana è fasulla ma non lo dice a Silvana, più cattivo di così, anzi rimbambisce così tanto la povera Mangano che le propone una rapina.
Ad un certo punto la Mangano chiede a Walter: "ma quando fai il ladro ti metti la Calzamagia (dice grosso modo) sul viso?" roba da fotoromanzi dicevano i critici (invece di prendere la tessera del sindacato o andare in chiesa). Il regista ciociaro individuava molto bene tra Boogie e Fotoromanzi la cultura di massa di tantissime ragazze, un insieme di segni che poi confluirono nel boom economico degli anni successivi.
La ''Rapina'' proposta da Walter ha del canagliesco, rubare il riso appena lavorato dalle compagne di Silvana.
Non a caso la Mangano sin dal principio si è differenziata dalle sue povere amiche che sembrano accettare senza riserve il lavoro duro che toglie ogni sogno.
Il regista poi non tralascia la condizione del lavoro delle ragazze.
Una delle sequenze di grande impatto scenografico, è data quando il regista riprende le mondine che cantano secondo la migliore tradizione dei canti di lavoro (uso della tecnica Botta e Risposta, Chiamo e Richiamo) attaccando un gruppo di ragazze "clandestine" colpevoli di aumentare il ritmo, unico modo forse di essere assunte. Raf Vallone (il buono) poi suggerisce alle mondine di non scontrarsi tra di loro ma di essere unite così alla fine riescono comunque a lavorare tutte.
La pioggia poi per giorni impedisce alle lavoratrici di continuare il lavoro, in una sequenza tragica le mondine decidono di lavorare lo stesso aiutandosi ancora con il canto, ma non tutte ci riescono una ragazza crolla perchè incinta, in parallelo Walter-Gassman violenta la povera Silvana completamente in mano ormai del delinquente, un momento fondamentale questo del film, Silvana paga il primo grave prezzo al suo sogno proprio mentre le Mondine che ''non sognano'' lavorano sotto la pioggia, il tutto in un turbine di canti e grida che ha del religioso.
Walter così mette in atto il suo piano illudendo completamente la ragazza, mentre le Mondine festeggiano il raccolto, Gassman convince Silvana ad immettere acqua nelle risaie per distrarre l'attenzione, nel frattempo Francesca e il suo amico Raf Vallone intuiscono il tutto e beccano il ladro sul fatto. L'intrigo con sentimento, come un Western (altra parolaccia) giunge quasi al termine, la situazione è seria, non è proprio un drammone e forse il pubblico lo capisce.
Nella macelleria del posto abbiamo lo scontro finale tra la ''coppia di ladri'' e la coppia che ha compreso il gioco di Walter e che in fondo vuole salvare Silvana ritenendola ingenua. Silvana viene a sapere che la collana è fasulla che Walter è un imbroglione e nella colluttazione gli spara, poi come se avesse percepito tutto il dramma vissuto, lo spessore del tradimento fatto alle povere compagne, corre sulla torre del campo e si uccide, e nessuno riesce a fermarla .
Il sogno da fotoromanzo si rivela per quello che è.
Nel film ci sono anche echi della letteratura americana (Furore) ma soprattutto un linguaggio di grande impatto e spessore, la parabola della ragazza che ingenua, tradisce le proprie compagne per un sogno fittizio viene descritta con grande maestria. Il Film aggrappa il pubblico ad una trama e ad una scenografia sino alla tragedia finale. Le amare risaie delle Mondine per lo spettatore non sono facili da dimenticare. Un film Nazional-popolare ci sembra nelle intenzioni dell'autore, che più di altri cerca di confrontarsi con grane rigore con il concetto di Antonio Gramsci.
La recitazione della Mangano è più che convincente nel delineare una ragazza dell'epoca e rimane come un segno indelebile dei film ed al di là di tante legittime chiacchiere rimangono alcune immagini, pochissime le battute, e per questo Riso Amaro è insuperabile e modernissimo.
L'attrice divenne una diva internazionale, il film ebbe un successo in tutto il mondo. Anche V.Gassman deve molto a questo film, la parte di mascalzone viene recitata al meglio, priva ovviamente degli elementi da commedia che lo caratterizzeranno in seguito.
La bella e brava Silvana Mangano, venne scelta dal regista in modo fortuito a causa di alcuni fiori che aveva in mano durante una candida e chiara domanda di poter recitare fatta a De Santis per strada; i fiori in mano alla ragazza sollecitarono nella memoria del regista un film di Chaplin: la Mangano fece centro e venne ammessa al provino.
Nota: nella Mangano l'uso della gomma da masticare simbolo, moda e sogno di una modernità prossima anticipata con spavalderia.
(immagine Silvana durante la lavorazione del film)
Riso Amaro è un film fondamentale in una ricostruzione che vuole leggere la nostra Storia attraverso il cinema, in prossimità di quello che poi sarà chiamato Boom Economico.
Note a margine:
La condizione precaria del lavoro è delineata con nettezza dal regista, l'assenza di sicurezza, il dramma della ragazza che deve partorire, della mondina anziana che in modo perentorio spiega che con la pioggia c'e il rischio della fame, perchè si è schiavi della Natura! Nella Storia del Movimento operaio sin dalla prima descrizione di Engels è questo un motivo costante e continuo, il timore della precarietà, avere una protezione anche nel caso di impedimenti non previsti, crisi del mercato temporanea, pioggia nel caso degli edili o delle mondine ecc.
Infine per quanto riguarda il film: Collabora alla Regia Gianni Puccini mentre alla sceneggiatura troviamo Carlo Lizzani, lo scrittore Corrado Alvaro e lo stesso regista, la musica vede l'intervento oltre che del maestro Trovaioli di un grande musicista come Goffredo Petrassi esponente di primo piano della musica contemporanea.
G. De Santis
RISO AMARO
(Italia 1949, bianco e nero, 108m); regia: Giuseppe De Santis; produzione: Dino De Laurentiis per Lux Film; soggetto: Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Gianni Puccini; sceneggiatura: Corrado Alvaro, Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Carlo Musso, Ivo Perilli, Gianni Puccini; fotografia: Otello Martelli; montaggio Gabriele Variale; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Anna Gobbi; musica: Goffredo Petrassi, Roman Batrov [Armando Trovajoli].
I maniaci è un film a episodi del 1964, diretto da Lucio Fulci, interpretato tra gli altri da Walter Chiari, Enrico Maria Salerno e Barbara Steele.
I magnifici tre è un film del 1961 diretto da Giorgio Simonelli. Con Vianello, Chiari e Tognazzi.
Io, io, io... e gli altri è un film del 1966 diretto da Alessandro Blasetti.
Stasera niente di nuovo è un film del 1942 diretto da Mario Mattoli. Si tratta del quarto ed ultimo film della serie I film che parlano al vostro cuore, tutti diretti da Mattoli.
Retroscena è un film del 1939, diretto da Alessandro Blasetti.
L'attore scomparso è un film del 1941 diretto da Luigi Zampa, che costituisce la prima prova registica della sua più che quarantennale carriera cinematografica.
Se permettete parliamo di donne è un film a episodi del 1964 diretto da Ettore Scola, qui al suo esordio alla regia. Il film segna anche l'esordio cinematografico di Luigi Proietti.
Amore all'italiana è un film del 1966 diretto da Steno. Il film è conosciuto anche con il titolo I Superdiabolici. Strutturato in 10 episodi, il film racconta gli usi, le consuetudini e i vizi dell'Italia in quell'epoca.
La rimpatriata è un film del 1963 diretto da Damiano Damiani. La pellicola è stata presentata in concorso al Festival di Berlino 1963.
L'ultima carrozzella è un film del 1943 diretto da Mario Mattoli. Con Anna Magnani e Aldo Fabrizi.
Gli onorevoli è un film comico italiano del 1963, diretto da Sergio Corbucci e interpretato da Totò, Peppino de Filippo, Gino Cervi, Walter Chiari, Franca Valeri, Stelvio Rosi e Aroldo Tieri.
Due contro tutti è un film parodia del 1962 diretto da Alberto De Martino e Antonio Momplet. È una parodia dei film western statunitensi, girato in Spagna.
Non solo televisione, ma anche musica e cinema. Maurizio Costanzo, morto a Roma il 24 febbraio 2023, era poliedrico. E ha lasciato la sua impronta anche nel cinema. Il giornalista ha sceneggiato e cosceneggiato circa 25 film, tra cui l'indimenticabile "Una giornata particolare" diretto nel 1977 da Ettore Scola. La sceneggiatura era firmata dallo stesso Scola con Maurizio Costanzo e Ruggero Maccari.
E il film, interpretato da Sophia Loren e Marcello Mastroianni, divenne una pietra miliare della storia del cinema italiano. Presentata in concorso al Festival di Cannes, la pellicola ottenne vari riconoscimenti internazionali vincendo, tra gli altri, il Golden Globe quale miglior film straniero e ricevendo anche due candidature al Premio Oscar, per il miglior film straniero e per il miglior attore, a Marcello Mastroianni.
Una giornata particolare, la trama
Il film è ambientato a Roma, a Palazzo Federici (zona piazza Bologna, Municipio II) blocco residenziale di enormi dimensioni vicino al centro della città e si svolge interamente nell'arco di alcune ore di una singola giornata. Perché è una giornata particolare?
I protagonisti sono Antonietta, madre di sei figli e casalinga sposata con un impiegato ministeriale, convinto fascista, e Gabriele, un ex radiocronista dell'EIAR in aspettativa omosessuale. La giornata particolare è il 6 maggio 1938, data della storica visita di Adolf Hitler a Roma, quando Antonietta è costretta a rimanere a casa mentre tutti gli abitanti del palazzo accorrono alla parata in onore del Führer. Antonietta non è completamente sola. Nel palazzo c'è anche Gabriele, che sta meditando il suicidio ma incontra la donna.
Maurizio Costanzo fu anche regista
Costanzo si cimentò, proprio nel 1977, anche nella sua unica regia cinematografica, dirigendo "Melodrammore", un film di metacinema, interpretato da Enrico Montesano nei panni dell'attore Raffaele Calone che, dovendo interpretare un melodramma decide di chiedere consiglio a un divo degli anni cinquanta ormai ritiratosi: il grande Amedeo Nazzari, che recitò nei panni di se stesso.
In diverse occasioni, Costanzo si cimentò anche nella recitazione. Fu nel cast di "FF.SS. che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?" di Renzo Arbore (1983). Poi divenne protagonista della fortunata sitcom di Canale 5 "Orazio" (1984-1986) e della successiva "Ovidio" (1989).
Tornò a recitare in 'Anni 90 - Parte IÌ di Enrico Oldoini (1993), in "Bodyguards - Guardie del corpo" di Neri Parenti (2000) e in "Caterina va in città" di Paolo Virzì (2003).
Articolo de IlMessaggero.it
Da quel momento, la giornata di Foster diventa una personale discesa agli inferi parallela a un’escalation inarrestabile e parossistica di follia e violenza: perché Bill dapprima distrugge un minimarket gestito da un coreano dopo aver questionato per un futile motivo (il prezzo di una lattina di soda), quindi malmena due balordi ispanici dopo aver sconfinato nel loro quartiere, poi si incaponisce al telefono con l’ex moglie per portare a tutti i costi un dono alla sua bambina nonostante il provvedimento disciplinare che lo riguarda. Da quel momento, dopo altre manifestazioni di rabbiosa aggressività, “D-FENS” entra nel mirino proprio di Prendergast e della sua giovane collega Sandra Torres (Rachel Ticotin): e finirà con l’uccidere a sangue freddo un fanatico neonazista (Frederic Forrest) proprietario di un negozio di abbigliamento militare dopo che questi avrà distrutto il regalo di Adele al termine di una furiosa lite ideologica. Oltrepassando senza possibilità di redenzione o salvezza il suo punto di non ritorno.
Presentato nelle sale americane il 26 febbraio 1993 e poi (troppo audacemente) invitato in concorso al Festival di Cannes qualche mese dopo, “Un giorno di ordinaria follia” (Falling Down) di Joel Schumacher è stato un film di grande successo (anche da noi, dove uscì immediatamente dopo la presentazione sulla Croisette) malgrado le sue qualità intrinseche fossero ben distanti da quelle del cinema “d’autore” hollywoodiano che pure qualcuno all’epoca fu pronto a riconoscergli. Interpretato da un cast di prim’ordine (Douglas era all’apice della sua carriera, dopo “Attrazione fatale”, “Wall Street”, “La guerra dei Roses” e “Basic Instinct”, e non si riesce a immaginare un altro attore coevo nel ruolo; Duvall già un mostro sacro), poggiava su una sceneggiatura (di Ebbe Roe Smith) volutamente in bilico tra un registro dichiaratamente grottesco e una volontà di fotografare le tensioni sociali e private dell’America che di lì a poco sarebbe stata “clintoniana” ma su cui ancora pesava la gestione di George Bush sr; ed è un film oggi forse giustamente dimenticato ma che resta suo malgrado un esempio limpido di cascame fuori tempo massimo del cinema mainstream più isterico e a suo modo irripetibile che ha caratterizzato tutti gli anni Ottanta e che sarebbe forse continuato se non fosse stato spazzato via definitivamente da Quentin Tarantino (“Pulp Fiction” è del 1994) e soprattutto dai suoi numerosissimi e impari epigoni.
Tuttavia, a voler ben vedere, come giustamente puntualizzava all’epoca il famoso critico Roger Ebert, le radici più profonde di “Un giorno di ordinaria follia” sono addirittura da ricercarsi nel decennio precedente, e in particolare in “Quinto Potere” (Network, 1976) di Sidney Lumet: dove l’anchorman squilibrato Howard Beale, al grido di “Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!” esortava i suoi spettatori a ribellarsi a un ordine delle cose pesantemente sfuggito di mano a scapito del cosiddetto “cittadino medio”. Nell’era della grande recessione Usa, il film di Schumacher fu effettivamente per i primi anni Novanta ciò che quello (parimenti retorico) di Lumet fu per l’era post-Watergate: uno strumento con cui valutare lo stato comatoso della Nazione uscita dalla presidenza Nixon e traghettata da Ford prima e Carter poi in un cambiamento analogo a quello promesso da Clinton, e quindi la pantografia di una “malattia dello spirito” che rifletteva tutti quei motivi per cui quel cambiamento era di fatto necessario e auspicabile.
Probabilmente, in mano a un regista meno (amabilmente) rozzo, “Un giorno di ordinaria follia” e il suo eroe Bill Foster/D-FENS sarebbero diventati il paradossale paradigma ideologicamente cortocircuitato di un (anti)eroismo certamente “sbagliato” ma in qualche misura “necessario”. E del resto, ad andare in scena tra le righe era anche l’epilogo di tre legislature repubblicane a fila e del loro pesante lascito sociale: diseguaglianza economica, orrore per l’altro da sé, rigurgiti fascistoidi, disoccupazione e disintegrazione capitalista della stessa etica del lavoro; nonché la dissoluzione dei confini tra ideologia “reazionaria” e semplice desiderio di rivalsa (come mostra benissimo la lite “teorica” tra il neonazista del negozio e Foster, che pur agendo “in opposizione” depreca la forma mentis perversamente odiante dell’uomo). Ma a quella dimensione beffardamente catartica para-eastwoodiana a cui il film avrebbe potuto ambire si sostituisce progressivamente una più cartoonesca (e cialtronesca) declinazione “diurna” della furia bronsoniana (leggi “Il giustiziere della notte”) sciolta con la più “naturale” ma qualunquista delle soluzioni.
Perché dapprima il film chiede quasi di parteggiare per l’everyman impazzito che reagisce a un mondo-giungla altrettanto fuori controllo, ma poi ci fa quasi sentire in errore o vergognarci per averlo fatto, quando l’inevitabile autodistruzione del protagonista viene oltretutto propiziata da una giustizia forse superiore che però ancora una volta si sostanzia nel distintivo di un tutore dell’ordine, seppur stanco e in qualche misura riluttante. Difficile dire a quali spettatori dell’epoca possa venir voglia, oggi, di celebrare il trentennale del film con una revisione, ma anche capire quale motivo d’interesse potrebbero avere i “giovani” che ne approccino una prima lettura: malgrado tutto, però, potrebbe non essere tempo perso né per gli uni né per gli altri.
Articolo di Filippo Mazzarella per www.corriere.it/spettacoli
Mixed By Erry è un film di genere commedia del 2023, diretto da Sydney Sibilia, con Luigi D’Oriano e Giuseppe Arena. Uscita al cinema il 02 marzo 2023. Durata 110 minuti. Distribuito da 01 Distribution.
E scusate se è poco.... da un ragazzo che ha iniziato girando cortometraggi come Iris Blu e Noemi e partecipando a concorsi come il nostro! (nota della redazione)
TRAMA MIXED BY ERRY
Mixed By Erry, film diretto da Sydney Sibilia, è ambientato nella Napoli degli anni '80, in quegli anni in cui nasce il mito di Maradona come dio del calcio campano. Racconta la storia di Enrico Frattasio (Luigi D’Oriano), noto a tutti come Erry, che mette su una vera e propria attività illegale. Aiutato dai fratelli Peppe e Angelo (Giuseppe Arena e Emanuele Palumbo), inizia a copiare mixtape per i suoi amici, allargando in seguito il giro fino a dar vita a una vera e propria impresa. La masterizzazione e la vendita delle musicassette contraffatte, però, si trasformerà in un'avventura internazionale, che trasformerà per sempre le loro vite.
Le mixtape note sotto "Mixed By Erry", come se fosse un marchio di fabbrica, non solo poeteranno la musica nelle case e nella vita di tutti giorni, ma daranno anche un nuovo senso al concetto di pirateria nel nostro Paese.
PANORAMICA SU MIXED BY ERRY
La vera storia dei fratelli Frattasio, il re delle musicassette contraffatte negli anni ’80, approda al cinema raccontata da Sydney Sibilia, che ha diretto la trilogia Smetto quando voglio e L’incredibile storia dell’Isola delle Rose. Mixed By Erry, film dal carattere piuttosto personale, nasce dall’esperienza diretta del regista e dal suo primo approccio con la musica: “Nella zona dove abitavo io a Salerno non c’era propriamente un negozio di dischi. Quindi andavi alla bancarella, dicevi l’album che volevi e il venditore ti chiedeva: ma la vuoi falsa, o la vuoi falsa/originale? E io preferivo quest’ultima che era appunto Mixed by Erry” - ha spiegato. Il film è stato girato principalmente a Napoli, (per le vie dei Tribunali, piazza Mercato, Forcella) con alcune scene a Roma e a Sanremo. Nel ruolo di Enrico c’è Luigi D’Oriano, al suo debutto sul grande schermo come protagonista (lo avevamo visto in Ma che bella sorpresa di Alessandro Genovesi nel 2015). Insieme a lui Giuseppe Arena (Peppe), che ha esordito ne L’imbalsamatore di Matteo Garrone (2002) ed Emanuele Palumbo (Angelo), che ha recitato in Californie (2021) e Nostalgia (2022).
NOTE DI REGIA di Sydney Sibilia
È una storia entusiasmante, incredibile ma vera, piena di musica e ambizione, e soprattutto ispirata a eventi realmente accaduti. Sono felicissimo di poter finalmente raccontare la storia di Erry e dei suoi fratelli, una storia che ho vissuto in prima persona da ragazzo, e che mi ha sempre fatto pensare a come talento e passione non abbiano nazionalità e superino ogni confine. Del resto anche a Forcella possono nascere i DJ ! (Sydney Sibilia).
CURIOSITÀ SU MIXED BY ERRY
Le riprese del film, durate otto settimane, si sono svolte tra Roma, Napoli e Sanremo.
FRASI CELEBRI DI MIXED BY ERRY
Dal Trailer Ufficiale del Film
Uomo: Chi di voi tre è Mixed by Erry?
Erry (Luigi D’Oriano): Tecnicamente tutti e tre, soprattutto se parliamo in termini siciliani.
Uomo: Guaglio’! Erry chi ca**’ è?
Erry: È lui!
Erry: Questi ci vogliono fare la guerra, e noi ci prepariamo a vincerla mo la guerra!FOCUS SU MIXED BY ERRY
Chi erano davvero i fratelli Frattasio? Tutto ha inizio tra i vicoli di Forcella negli anni ’80 quando a Napoli Maradona diventa quasi un dio. È in quel periodo che Enrico Frattasio, per tutti dj Erry, inventa un fenomeno destinato a durare per anni: la pirateria. Il giovane, insieme ai fratelli Peppe e Angelo, mette su una vera e propria industria musicale, registrando i dischi sulle musicassette, che poi venivano vendute sulle bancarelle per strada. Quello che era iniziato all’interno di un negozio, diventa in poco tempo un’attività conosciuta in tutto il mondo, raggiungendo persino il continente asiatico.
Il successo fu così grande da spingere altri contraffattori a creare delle false copie delle cassette dei Frattasio. Tanto che questi decisero di creare un marchio dal nome Mixed by Erry, la dimensione ideale per un ascolto pulito. Coniando addirittura un nuovo termine nel gergo musicale: quello del “falso originale”, ossia creato da Erry. Nel 1997 viene arrestato insieme ai fratelli con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e al falso.INTERPRETI E PERSONAGGI DI MIXED BY ERRY
Attore Ruolo Luigi D’Oriano Enrico Frattasio aka ErryGiuseppe Arena Peppe FrattasioEmanuele Palumbo Angelo FrattasioFrancesco Di Leva Fortunato RicciardiCristiana Dell'Anna Marisa FrattasioAdriano Pantaleo Pasquale FrattasioChiara Celotto FrancescaGreta Esposito TeresaFabrizio Gifuni Arturo Maria Barambani
... dall'articolo di comingsoon.it
Ci sono diversi film, sia di genere horror sia di altro tipo, che utilizzano i cimiteri come sfondo principale o come location chiave per alcune delle loro scene più memorabili. Questa scelta è spesso dovuta al fascino misterioso e all'atmosfera inquietante che i cimiteri possono evocare, rendendoli perfetti per storie di fantasmi, horror, ma anche per narrazioni che esplorano temi di lutto, morte e oltre.
Ci sono quartieri che vivono in disparte, zone della città dimenticate.
E poi c’è Ferzan Özpetek, il turco di Roma, che fa della sua arte una serenata alla nostra città. La Roma che ritrae è poetica, antica e melanconica, è la città di tutti i giorni, attenta testimone dei nostri umori e delle nostre fragilità.
Non ci credete? Andate al cinema in questi giorni e lo scoprirete. Dopo alcuni film girati in trasferta, Ferzan torna a casa e ambienta gran parte della sua Dea Fortuna a Roma. I due protagonisti, Edoardo Leo e Stefano Accorsi, vivono in via della Lega Lombarda, nel quartiere Nomentano, poco distante dal Cinema Jolly.
Capire perché Özpetek abbia scelto questa Roma è davvero semplice: nel palazzo-location troviamo terrazze spioventi di un mondo scomparso che collega e intreccia vite e vicinato. E segna una cifra stilistica inconfondibile.
Volevo un quartiere come quello delle Fate ignoranti, dove vivo da anni, ma che non ha più il carattere che aveva una volta. Appena siamo entrati in casa ho detto subito che andava bene, senza nemmeno vedere le altre proposte. Era stupendo, l’ideale… Io stesso vorrei una casa cosi nella mia vita.
Ferzan Özpetek
Tra i siti scelti nella pellicola una menzione speciale spetta al Tempio della Fortuna Primigenia a Palestrina, che dà il titolo al film. Il luogo viene introdotto con una preghiera da Sandro, il figlio minore di Jasmine Trinca, durante un picnic a Villa Pamphili, e trova la sua massima espressione nella cavea teatrale.
Il santuario fu costruito alla fine del II secolo a.C. sulle pendici del monte Ginestro e si articola su sei terrazze artificiali, collegate tra loro da rampe e scalinate di accesso. Sopra il portico di fondo e la nostra cavea troviamo il palazzo Colonna Barberini, ricostruito nelle forme attuali da Taddeo Barberini nel 1640 e dal 1956 sede del museo archeologico prenestino.
La Dea Fortuna è solo l’ultimo tassello di una lunga storia d’amore tra il regista e la sua città d’azione. Quindi prendete posto e mettetevi comodi: lo spettacolo di Roma sta per iniziare!
la Roma di Ferzan Özpetek
uno sguardo diverso: il quartiere Ostiense tra archeologia industriale e pranzi corali
Sono stati fatti talmente tanti film su questa città, che sento forte l’esigenza di posarvi uno sguardo diverso da quello degli altri.
Il suo sguardo diverso è rivolto a Ostiense, un quartiere corale e di antica solidarietà, ripreso sul filo di un’intima dolcezza. Un quartiere che il suo cinema ha contribuito a salvare.
Tutto ha inizio nel 2001 con le riprese de Le fate ignoranti. Nel suo primo film made in Italy, Özpetek racconta luoghi, suoni e profumi familiari, caseggiati brutti e scheletri di vecchie fabbriche rimasti in piedi come occasioni perdute.
Il film si apre con Margherita Buy in abito da sera mentre passeggia per le sale della Centrale Montemartini. Straordinario esempio di archeologia industriale, la Centrale nasce come impianto pubblico per la produzione di energia elettrica.
Oggi è il secondo polo espositivo dei Musei Capitolini e ospita una considerevole parte delle sculture classiche rinvenute durante gli scavi di fine Ottocento. I grandiosi ambienti della Centrale e la Sala Macchine conservano gli arredi Liberty, le vecchie turbine, i motori diesel e la colossale caldaia a vapore. Una scenografia unica di surreale eleganza per tutti i marmi antichi che qui trovano casa.
Moltissime scene del film sono girate in interni, ma Özpetek non rinuncia a mostrare il suo quartiere imperfetto e lo spia da una terrazza, confine di un mondo ideale, libero e colorato. Dove? Al civico 35 in via del Porto Fluviale, accolta da una struttura fatiscente vestita per l’occasione come spazio esterno all’appartamento.
Oggi su questa terrazza visitabile (ebbene sì!) trova spazio il centro culturale Industrie Fluviali, una combinazione di ambienti lavorativi condivisi, sale expo, eventi, bistrot a km zero e orti urbani. Il centro, sintesi perfetta di accessibilità, integrazione, rigenerazione urbana e sostenibilità, fa parte dell’ex Lavatoio Sonnino, costruito agli inizi del ‘900 come sito di lavorazione della lana. Un luogo senza muri, dove tutto è accessibile in nome del fare cultura e dell’inclusione.
Inclusione? Nessun posto unisce e riunisce come la tavola, Özpetek lo sa bene: come nella vita reale, qui il regista fa confrontare i suoi personaggi, li sovrappone, li mescola. Tutto sullo sfondo del Gazometro. Credetemi, non c’è ragazza cresciuta a pane&Accorsi che non sospiri vedendo il profilo di questo Colosseo d’acciaio!
Simbolo di un quartiere a metà tra antichità e modernità, la struttura in via del Commercio fa parte di una vecchia centrale del gas in disuso. Fino agli anni ’60 i gasometri venivano usati per accumulare il gas di città, una miscela di monossido di carbonio, idrogeno, metano e anidride carbonica sfruttata sia per usi domestici, che per l’illuminazione pubblica. La diffusione del gas metano ha condannato all’oblio i gasometri di Roma e i loro scheletri d’acciaio.
Fino all’arrivo delle nostre Fate e di un invito a cena, s’intende.
A tal proposito, per la serie anche questa è arte, nella nostra to do list non può mancare una tappa fondamentale dell’Ostiense ozpetekiana. La storica Pasticceria Andreotti, che per fortuna è rimasta com’era, in via Ostiense 54: da qui provengono i cornetti impastati da Elio Germano in Magnifica presenza e le torte artigianali di Giovanna Mezzogiorno ne La finestra di fronte.
una finestra aperta sul centro di Roma
Nonostante l’amore dichiarato e contraccambiato per il suo quartiere d’adozione, lo sguardo di Özpetek su Roma non si ferma alla periferia, ma con La finestra di fronte del 2003 procede verso il centro. A influenzare l’ambientazione e la scenografia del film sono le pareti della città, impregnate di ricordi e di energia.
Da una parte il Ghetto Ebraico, che si estende da via Arenula fino alla rive del Tevere, da via del Portico d’Ottavia a Piazza delle Cinque Scole; dall’altra Piazza dell’Emporio e le case popolari A.T.E.R. di via di Donna Olimpia a Monteverde, quartiere già noto alla romanità per i Grattacieli dei Ragazzi di vita di Pasolini.
Due facce della stessa medaglia, due anime di Roma che si sovrappongono come le vite clandestine dei protagonisti: lì qualcuno si è amato, qualcun altro è stato ammazzato.
Sono gocce di memoria, per dirla tutta.
Mentre Roma è ancora stordita per la scomparsa di Alberto Sordi, arriva un film che è una specie di lettera d’amore alla nostra città, ‘La finestra di fronte’. È una lettera esigente, come ogni vero messaggio d’amore, perché non solo dichiara i propri sentimenti ma chiarisce l’origine, la portata e le condizioni grazie alle quali quei sentimenti potranno crescere e fiorire oppure spegnersi e appassire.
Fabio Ferzetti su Il Messaggero, 28 febbraio 2008
Se il Gazometro è il simbolo de Le Fate Ignoranti, la fontana del parco di Monte Caprino è il luogo chiave de La Finestra di Fronte. Proprio qui, tra le fessure del marmo, Simone e Davide nascondono biglietti d’amore, mentre Giovanna e Lorenzo scambiano pensieri, ricordi e un bacio appassionato.
il giorno perfetto di Özpetek a Roma
Il viaggio romano più lungo e articolato di Özpetek si svolge in Un giorno perfetto. Il film, tratto dal romanzo di Melania Mazzucco, racconta la Roma bene del centro storico e la Roma popolare con le periferie di ultima generazione.
La grande, la tanto amata Roma si risvegliava alla realtà nuda del primo
mattino, tutta di strade, piazze, chiese, così come appare ai passeggeri del
primo autobus, ubriachi di sonno, e ai nottambuli, ubriachi di musica, che
escono dalle discoteche – la città dopo la battaglia che affiora dalla marea
della notte.
Melania Mazzucco
In Un giorno perfetto troviamo una Roma caotica e contraddittoria, capace di togliere il fiato con le sue dimore e di trasmettere angoscia tra i canneti del Tevere. Fra le immagini proposte riconosciamo l’Isola Tiberina con l’ospedale Fatebenefratelli, palazzo Sacchetti, ponte Duca d’Aosta, piazza Colonna e i vecchi Mercati Generali dove ritorna l’inconfondibile sagoma del Gazometro (sospirone).
Per gli interni abbiamo girato in case e ville private mai utilizzate dal cinema, i cui proprietari ci hanno aperto la porta solo perché amanti e appassionati del cinema di Özpetek.
Giancarlo Basili, scenografo
Tre le case protagoniste: l’appartamento di Antonio al numero 17 di piazza Vittorio, quella di Adriana nel quartiere di Torrevecchia e quella centralissima dell’onorevole Fioravanti, che si affaccia sulla chiesa di Sant’Andrea della Valle.
La facciata che domina le inquadrature fu realizzata da Carlo Rainaldi nella seconda metà del XVII secolo. Costruita in travertino, presenta due ordini di colonne, nicchie con statue, cornici in aggetto e un finestrone centrale. Il fasto degli interni lascia a bocca aperta! Ma aspettate di vedere la cupola! Seconda solo al Cupolone di San Pietro per grandezza, è affrescata da Giovanni Lanfranco che realizza un capolavoro d’illusionismo barocco: il cielo in una chiesa.
un’ultima magnifica replica: il Teatro Valle
Nel 2012 Özpetek ritorna a Monteverde per Magnifica presenza: a via Cavalcanti, Elio Germano trova il suo posto nel mondo e la sua nuova casa, antica e misteriosa, diventa il centro di tutta la narrazione. Solo nel finale c’è un cambio di scena: il tram numero 8 attraversa Trastevere e conduce i protagonisti al Teatro Valle per l’ultima pièce.
Trecento anni di storia fanno del Valle il più antico teatro moderno di Roma. Il suo palcoscenico ha visto passare i più grandi, da Goldoni a Rossini, Totò, Anna Magnani, Eduardo de Filippo e Pirandello, che qui ha messo in scena la prima assoluta di Sei personaggi in cerca d’autore.
Costruito da Tommaso Morelli e Mauro Fontana, il Teatro è stato oggetto di restauri e migliorie,come la splendida facciata neoclassica a opera del Valadier. Dal 2011 al 2014, un gruppo di attori, attivisti e liberi cittadini hanno occupato il teatro per impedirne la vendita, ma l’11 agosto 2014 è stato pacificamente riconsegnato alle autorità comunali.
Che i luoghi parlino è cosa risaputa e a Roma le voci del passato riecheggiano nel presente. Ci sono luoghi che urlano e luoghi che sussurrano col rumore antico dei tacchi sui sanpietrini, il suono dei calici a festa, il ciak a fine riprese. Roma è tutto questo e molto di più, Ferzan Özpetek lo sa e regala ai suoi spettatori uno sguardo diverso, il suo sguardo diverso.
Non resta che dire buona visione a tutti!
dall'articolo di Veronica Verzella per https://www.design-outfit.it
Testaccio continua a mantenere una forte identità e quella genuina romanità che è da sempre tratto distintivo dei quartieri popolari. La sua veracità e i suoi scorci differenti ed innumerevoli hanno fatto sì che il rione Testaccio sia stato utilizzato spessissimo dal cinema nostrano.
Qui raccontiamo le 10 location cinematografiche più famose.
1. I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli
Candidato ai premi Oscar 1959 come miglior film straniero, questo film sancisce l’esordio ufficiale di un nuovo genere cinematografico, in seguito ribattezzato Commedia all’italiana che segnerà la fortuna del cinema italiano degli Anni Sessanta. La Commedia all’Italiana racconta la gente comune, la periferia degradata, il sottoproletariato urbano, ma – a differenza del neorealismo – lo fa con toni comici, divertenti, ironici tagliati sottilmente da una vena drammatica, amara, lo fa con un sorriso un po’ triste. “I soliti ignoti” racconta le gesta della miserabile banda del buco, dipingendo con maestria un mondo di povertà urbana che resiste nei suoi valori tradizionali all’attacco della nuova società di massa della quale però sente un’attrazione sempre più forte.
Cosimo, interpretato da Memmo Carotenuto, apprende da un altro detenuto un piano per un colpo di facile realizzazione presso il Monte di Pietà, piano che gli viene letteralmente scippato da Vittorio Gassman. Nel frattempo Cosimo, uscito dal carcere grazie a un’amnistia, raggiunge la banda per vendicarsi, ma viene tramortito da un pugno di Peppe che gli offre di partecipare al furto alla pari con gli altri. Cosimo rifiuta per orgoglio e da solo tenta di rapinare il Monte di Pietà, dove l’impiegato allo sportello gli toglie di mano la vecchia pistola con cui era minacciato e, poiché crede che Cosimo la voglia impegnare, dopo averla esaminata offre allo sbalordito rapinatore 1.000 lire. Andata fallita la rapina, Cosimo ormai terribilmente affranto, per racimolare qualche soldo si ritrova in bici a girovagare proprio nel rione Testaccio, tra via Benjamin Franklin e via Manuzio finchè adocchia la sua vittima, una donna con una borsetta. Lo scippo andrà malissimo, con tragico finale sotto un tram di passaggio: il tram viene da via Galvani e lo schianto avviene all’angolo con via Franklin. La zona non è facilmente riconoscibile perchè sulla sinistra c’è tutta una zona di caseggiati, i cosiddetti “villinetti”, che è stata abbattuta ed è sparita da decenni. Tuttavia, l’indizio ce lo fornisce in fondo la scritta “Da Checchino”: si tratta del famoso ristorante storico, ai piedi del Monte Testaccio, che contribuì alla nascita della cucina popolare romana e che esiste tuttora.
2.Accattone (1961) di Pier Paolo Pasolini
Anche in questo film si scorgono i cosiddetti “villinetti” di Via Benjamin Franklin. Primo film diretto da Pier Paolo Pasolini, e può essere considerato la trasposizione cinematografica dei suoi precedenti lavori letterari. Accattone è il soprannome di Vittorio, interpretato da Franco Citti, un “ragazzo di vita” romano il cui stile di vita è improntato al vivere alla giornata, al sopravvivere. Il film è una metafora di quella parte di Italia costituita dal sottoproletariato che vive nelle periferie delle grandi città senza alcuna speranza per un miglioramento della propria condizione. Come anche in tutti gli altri film che seguiranno, quest’umanità reietta, disperata, tenta un riscatto sociale, un salto in avanti, ma ogni soluzione sembra concretizzarsi solo con la morta. Anche Accattone morirà, e morirà proprio nel rione Testaccio.
E’ la scena finale che chiude la pellicola, che comincia inquadrando via Gian Battista Bodoni, poi si passa a via Benjamin Franklin con Accattone e i suoi compagni di furti, Balilla e Cartagine, che si preparano al furto dei salumi nascosti in un carretto di fiori, l’ultimo furto del protagonista.
La scena, poi, ci mostra i carabinieri che stanno per salire sulla loro Seicento con la quale andranno ad intercettare Accattone. Sullo sfondo, dietro al motociclista di passaggio, Pasolini inquadra i “villinetti” di via Aldo Manuzio, in cui si nota un caseggiato che oggi non esiste più. Infine, durante la corsa in moto di Accattone che cerca di fuggire, si inquadra nuovamente via Benjamin Franklin.
Da via Franklin c’è un salto, una di quei giochi tipiche del cinema, ed Accattone si ritrova magicamente al Ponte Testaccio, che in realtà è più distante, su cui troverà la morte, compiendo così il destino che pesa su di lui sin dall’inizio. Guarda l’intera scena.
3. Così parlo Bellavista (1984) di Luciano De Crescenzo
Sempre in Via Franklin, ma con i “villinetti” ormai scomparsi, è girata una famosa scena di un film in realtà ambientato a Napoli, “Così parlo Bellavista” di Luciano De Crescenzo. Ebbene si, la magia del cinema fa anche questo: un film che esalta la napoletanità è stato girato per gran parte nella Capitale. Nello specifico nel rione Testaccio è stato girato l’episodio iniziale, quello famosissimo dell’ingorgo a croce uncinata.
La strada del bar dove il milanese Cazzaniga, interpretato da Renato Scarpa, sceso dal taxi a seguito ingorgo del traffico, trova prima il vigile intento beatamente a sorseggiare un caffè e successivamente deve scappare perchè assalito da una ressa di persone che gli chiedono un’assunzione in quanto incautamente gli è scappato che è il nuovo capo del personale dell’Alfa Sud è via Beniamino Franklin a Roma.
4. “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970) di Elio Petri
Oscar per miglior film straniero nel 1971. Nato con all’origine l’idea dostoevskiana dell’assassino che sfida la giustizia, il film risente del clima politico dell’epoca: Gian Maria Volontè, promosso da capo della Sezione Omicidi a capo della Sezione Politica, uccide, sgozzandola, l’amante con cui aveva un rapporto sadomasochistico e che lo tradiva con uno studente appartenente alla contestazione attiva. Invece di cercare di occultare le prove le rende sempre più evidenti, convinto che il potere in suo possesso gli possa consentire di continuare ad essere al di sopra di ogni sospetto. Il poliziotto assassino, in virtù della vittoria dell’ordine costituito, finisce per agognare la propria punizione, cadendo in un groviglio di psicosi che sfocia in un finale kafkiano: il protagonista oramai deciso sulla sua posizione autopunitiva, consegna una lettera di confessione ai suoi colleghi. L’ufficio postale da cui l’insospettabile commissario spedisce prove della sua colpevolezza è quello di Via Marmorata: un gioiello di architettura razionalistica realizzato tra il 1933 ed il 1935 da Adalberto Libera e Mario De Renzi.
5. “Brutti, sporchi e cattivi” (1976) di Ettore Scola
Presso lo stesso edificio postale di Via Marmorata avviene l’esilarante sequenza del ritiro della pensione “de nonna” del capolavoro di Ettore Scola, “Brutti, sporchi e cattivi”, che vinse il 29° Festival di Cannes. Al centro del film sono la periferia romana dei primi anni settanta e le sue baracche, raccontate impietosamente con tutte le loro miserie, morali e materiali. La pellicola, infatti, racconta di una famiglia di baraccati – circa venticinque persone tra genitori, figli, consorti, amanti, nipoti e nonna – al cui capo c’è il vecchio e dispotico Giacinto Mazzatella, mirabilmente interpretato da Nino Manfredi. Festa grande per tutta la famiglia è il giorno della pensione della nonna, in cui, come una caotica tribù, si reca l’intera famiglia a ritirarla facendo spingere ai più piccoli la carrozzella dell’anziana. Una volta che però il denaro è nelle loro mani viene diviso e ognuno si avvia per la propria strada, lasciando l’anziana sola con i bambini che hanno il compito di riportarla a casa.
6. Ferzan Ozpetek: “Le fate ignoranti” (2001) e “La finestra di fronte”(2003)
Il regista turco romano che ha eletto il quartiere Ostiense come sua dimora e come set di innumerevoli pellicole, non poteva fare qualche capatina nell’adiacente rione Testaccio. Lo troviamo, infatti, sul retro dell’ufficio postale di Via Marmorata, che – come abbiamo visto – è stato teatro di varie scene del cinema italiano. Proprio nei giardinetti retrostanti l’edificio di Libera e De Renzi, i due protagonisti de “Le fate ignoranti”, Margherita Buy e Stefano Accorsi, mangiano spensieratamente un cono gelato.
A Testaccio Ozpetek torna due anni più tardi con una scena de “La finestra di fronte”: è sera e la protagonista Giovanna, interpretata dalla Mezzogiorno, entra in un bar portando dei dolci e fa la conoscenza di Lorenzo, interpretato da Raoul Bova. Il bar è l’attuale Rec42 e si trova in Piazza dell’Emporio a Roma. Subito dopo, infatti, vediamo uscire dal bar Giovanna e Lorenzo e ritrovarsi, appunto, su Piazza dell’Emporio alla ricerca di Simone, il signore che ha perso la memoria e che la ragazza sta provando ad aiutare: lo ritroveranno subito, seduto affranto sugli scalini della Fontana delle Anfore, fontana che ora non può più essere ammirata in loco perchè è stata risistemata nel fulcro del rione Testaccio, ossia in Piazza Testaccio.
7. Elsa Morante e “La Storia”
All’esterno dell’edificio, una targa ricorda che qui la scrittrice Elsa Morante visse i primi dieci anni della sua vita. Elsa Morante, nata a Roma nel 1912 e morta nel 1985, è considerata una delle più importanti autrici di romanzi del dopoguerra. Elsa Morante nasce a Roma nel 1912, e trascorre la sua infanzia nel rione Testaccio. Fuori l’ingresso della sua abitazione in Via Amerigo Vespucci, una targa ci ricorda la grande scrittrice italiana abitava qui. Nel cortile, sulla parete della Scuola dei bimbi, un’altra targa recita una frase della scrittrice: «Solo chi ama conosce». La sua realizzazione è opera dell’architetto Massimo Iannuccelli.
Proprio a pochi metri da qui vagabondavano i protagonisti del romanzo “La storia”, Useppe e la sua compagna inseparabile, la cagna Bella, “in libera uscita nel quartiere Testaccio e dintorni”, tra via Bodoni, via Marmorata, il Lungotevere, ponte Sublicio nella primavera-estate del 1947.
Elsa Morante scrisse il romanzo “La storia” tra il 1971 e il 1973. Ambientato per lo più nella Roma della seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra, il libro narra la tragica vicenda di Ida Ramundo e dei suoi due figli. I tre si trasferiscono da San Lorenzo, distrutta dai bombardamenti, in una camera ammobiliata in via Mastrogiorgio, poi dopo la guerra prendono un appartamento in via Bodoni.
Il romanzo “La storia” ha avuto una sua trasposizione cinematografica: nel 1986 Luigi Comencini gira “La Storia” per la televisione, anche se ne è stata distribuita anche una versione ridotta destinata al circuito cinematografico. Il film non è in grado di rilasciare le stesse atmosfere, i particolari, i dettagli, gli infiniti intrecci del romanzo, però dobbiamo sottolineare l’estrema difficoltà di adattare l’opera cinematografica al testo complesso della Morante. Il risultato, dunque, non è dei migliori, ma dobbiamo riconoscere a Luigi Comencini almeno il merito di averci provato.
8. Fantozzi e Fracchia
Anche il ragioner Ugo Fantozzi, personaggio creato e interpretato da Paolo Villaggio, ha abitato nel rione Testaccio nel terzo film della saga, “Fantozzi contro tutti” (1980) di Paolo Villaggio e Neri Parenti. Tutte le scene dell’abitazione di Fantozzi sono state girate a Roma in via Giovanni Battista Bodoni n. 79, nel quartiere Testaccio. Questo grande stabile ospiterà non solo la scala da cui sale Fantozzi, e quindi il suo appartamento, ma anche il forno del panettiere Cecco, di cui si innamorerà perdutamente la Pina.
Il panificio, che è sopravvissuto fino a poco tempo fa con il nome de “La contea del pane”, in cui lavora dal rozzo Cecco, interpretato da Diego Abatantuono, è ubicato nella medesima via a poche centinaia di metri dall’abitazione in direzione di Lungotevere Testaccio dove Fantozzi abita. Il forno notturno, teatro della storica scena con Villaggio, Abatantuono e Ennio Antonelli, l’incontenibile “zio Antunello”, in cui Fantozzi va a “insultare” il panettiere, reo di avere una tresca con la moglie è stata girata proprio all’interno del forno del citato panificio, che è all’interno dello stesso stabile di via Bodoni.
Concludiamo con il finale del film: avviene il rientro di Fantozzi e Pina a casa, accompagnati dalla scritta in cielo “Fantozzi è stronzo”.
Paolo Villaggio e Neri Parenti torneranno l’anno successivo a Testaccio per girare “Fracchia la belva umana” (1981)
La casa del ragioniere Giandomenico Fracchia è ubicata sul Lungotevere Testaccio 11; la vediamo nella scena di apertura del film, quando Fracchia esce di casa facendo jogging.
9. Acqua e sapone (1983) di Carlo Verdone
L’esterno della tintoria dove Rolando, interpretato da Carlo Verdone, si reca di corsa a prendere il vestito da prete che la nonna, la Sora Lella, ha lasciato a lavare è nel rione Testaccio, più esattamente in Via Ghiberti 35, accanto allo storico Roma Club, il primo di Roma. Rolando, poi, troverà la tintoria chiusa causa morte del proprietario, il sor Gino.
10. L’ex-Mattatoio nel cinema
Nel cinema l’ex-Mattatoio è stato molto sfruttato. Lo troviamo per la prima volta in “Domenica d’agosto” (1950) di Luciano Emmer, il film che ha aperto la strada al vituperato neorealismo rosa ed anche al filone del cinema balneare, poi ripreso, anche troppo, negli anni Sessanta. La pellicola racconta una tipica domenica d’agosto in cui persone di diverse estrazioni sociali si dirigono verso la spiaggia per sfuggire alla calura cittadina. Tutti tranne dei rapinatori che approfittando della città deserta per fare il colpo nel Mattatoio. In questo modo possiamo vedere il Mattatoio al suo interno.
Due anni più tardi al Mattatoio fa capolino anche Roberto Rossellini con il suo film “Dov’è la libertà” (1952) con Totò. Si tratta di uno dei film più travagliati di Totò, poiché, dopo aver girato alcune scene, Rossellini si disinteressò della pellicola. L’opera fu completata dopo circa un anno principalmente da Mario Monicelli; le inquadrature finali risultano essere state girate da Federico Fellini.
Il protagonista Salvatore Lojacono, un modesto barbiere, esce di galera dopo aver scontato 22 anni di prigione per aver ucciso un suo amico che insidiava sua moglie. Spaventato, come chi è ormai abituato alla protezione del carcere, trova una realtà completamente stravolta, una giungla in cui non riesce ad adattarsi e, schiacciato dai sensi di colpa per un destino beffardo, vaga per la città alla ricerca di un alloggio e di un lavoro che lo faccia rientrare nel tessuto sociale. In questa scena, vaga per Roma con la sua valigetta senza sapere bene dove andare. “Dopo aver contato 20 chiese, 18 monumenti e 35 fontane” si imbatte in una mandria di buoi e si ritrova davanti al macello. Guarda la scena.
Infine, un utilizzo molto anomalo dell’ex-Mattatoio operato da “La leggenda del pianista sull’oceano” (1998) di Giuseppe Tornatore, ispirato al monologo teatrale dello Baricco “Novecento”. E’ la storia di un pianista, nato a bordo di una nave, che decide di spendere tutta la sua vita sulle rotte dell’Atlantico, avanti e indietro fra Europa e America, senza mai scendere a terra, diventando un pianista mirabile, e che diventa metafora del nostro secolo. La nave, la Virginian del film, ha avuto una triplice location: la vera nave si trovava nel porto di Odessa, dove hanno girato per cinque settimane. Ma l’ex-Mattatoio ha ospitato per diversi mesi la sagoma della Virginian, alta 35 metri, imponente, maestosa, che si poteva scorgere da vari punti della città. Intorno a quella sagoma che condensa tutta la magia del cinema e’ stato ricostruito il porto di New York, il Pier n. 3, con i magazzini, i carri carichi di botti, i sacchi, la gente vestita come negli anni ’30.
Infine, l’ultimo set: Cinecittà, dove e’ stata costruita la sala da ballo del piroscafo. Il Teatro 5 è diventato il sontuoso salone delle feste della nave Virginian, tutto luci, boiseries e motivi floreali, dominato da una grande cupola scintillante di vetrate Liberty, da cui pende un immenso lampadario a gocce.
di GABRIELLA MASSA per romaslowtour.com
France, Slovakia, Czech Republic, 2022, 1h20, Animation, drama, VOstf French, Czech, Farsi
Di Michaela Pavlatova
Una giovane donna di origine ceca decide per amore di lasciarsi tutto alle spalle per seguire l'uomo che diventerà suo marito a Kabul (Afghanistan). Diventa quindi testimone e attore degli sconvolgimenti che la sua famiglia afghana vive quotidianamente. Prestando la sua prospettiva di donna europea, in un contesto di differenze culturali e generazionali, vede allo stesso tempo la sua vita quotidiana scossa dall'arrivo di Maad, un insolito orfano che diventerà suo figlio.
Il primo lungometraggio della regista ceca Michaela Pavlatova, “My Afghan Family”, è tratto dal libro della giornalista Petra Prochazkova che racconta la storia della sua vita e della sua scelta di andare a vivere a Kabul. Evoca gli sforzi delle donne afghane per vivere libere in Afghanistan sotto il regime talebano. Il film è anche, come dice Michaela: "Una storia universale di coppie, amanti e amici, tutti alla ricerca della felicità e del riconoscimento di fronte a eventi inaspettati".
L'animazione si rivela una tecnica cinematografica e una modalità espressiva particolarmente adatta ad affrontare questi temi seri e, come cita Michaela, ci permette di essere più vicini ai personaggi e al loro ambiente, di capirli e condividere la loro vita quotidiana.
La sfida ricorrente di mettere in scena nella maniera più realistica possibile il luogo più difficile da rappresentare. Lo Spazio è la sfida per eccellenza del cinema di fantascienza. Più del design degli alieni o dei mezzi spaziali, lo spazio è la sfida più ardua di ogni film per via delle sue dinamiche uniche (in primis la mancanza di gravità). Ogni film che abbia davvero voluto prendere di petto lo spazio, seriamente, ha dovuto creare qualcosa che prima non c’era.
............. Necessariamente i 10 film che hanno raccontato lo spazio nella maniera più realistica sono quasi tutti moderni o modernissimi, perché è anche una questione di tecnologia. Ma accanto ad effetti speciali di volta in volta nuovi e più evoluti ognuno ha necessitato di un’idea.
10. Una donna sulla Luna
Fritz Lang, regista di Metropolis, negli anni ‘20 tenta di bissare il successo nella fantascienza con questo film dall’ambizione smisurata: raccontare lo Spazio senza mezzi e senza conoscenze sufficienti. I dettagli che poi si sono rivelati sbagliati sono tantissimi, dalla gravità fino all’assenza di ossigeno (accendono un fiammifero nell’atmosfera della Luna), eppure tantissimo di quel che riguarda razzi, viaggi e problemi di un’ipotetica astronave che marci verso la Luna erano stati azzeccati.
9. Gravity
È probabilmente il film sullo Spazio più odiato da chiunque ne sappia qualcosa di Spazio, perché quasi nulla di quel che vediamo è fedele a come potrebbe accadere nella realtà. Gravity è deliberatamente pieno di errori e imprecisioni o deliberate falsità. Eppure questo film (bellissimo) di Alfonso Cuaròn poteva stare anche in cima a questa lista, perché è il primo a svolgersi al 99,9% nello Spazio con una libertà di messa in scena che fa paura. È il primo che sembra non porsi limiti e potersi muovere come vuole in uno Spazio che (visivamente) è perfettamente realistico.
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il resto dell'elenco su Wired.it
"Secretary" di Steven Shaimberg
Un'affascinante ragazza dal sorriso compiaciuto e sornione, vestita da perfetta segretaria in gonna al ginocchio, camicetta castigata e tacco alto, si aggira per l'ufficio svolgendo le sue mansioni quotidiane: prepara un caffè per il suo capo, sistema delle pratiche. Cammina per l'ufficio con le braccia a mò di croce tenute in quella posizione da una specie di gogna che le cinge collo e polsi in una posizione innaturale.
Rapido rewind di qualche mese e ritroviamo la stessa ragazza bruttina, sciatta e spenta appena uscita da una clinica per disturbi psicologici. Soffre, ma non vuol darlo a vedere e l'unico sollievo lo prova nel tagiuzzarsi le cosce con le forbicine da cucito.
Sua madre pensa che un lavoro potrebbe distrarla, ma non sa che quel lavoro sarà per lei la salvezza, la luce. La consapevolezza che c'è un modo per non nascondersi, per portare la propria voglia di sottomissione verso gli apici del piacere, intrecciandola con un vero amore.
Da vedere assolutamente... geniale e giustamente esplicito.
Folgorata! Ho visto “Mi chiamo Sam”. Bello, commovente. Colorato e triste. Pieno di vita come di drammaticità. Lineare e controverso. Dolce e nervoso. Non può lasciare indifferenti, non credo. Ti butta addosso talmente tante emozioni e tante sfumature che non puoi non captarne almeno una, e rifletterci.
Accade soprattutto in Italia, che una suicida politica assistenzialistica incoraggi la produzione di film vecchi che hanno scarsi contatti con i profondi mutamenti della società contemporanea […] e vengono quasi sempre rifiutati dal pubblico. Il nostro cinema sopravvive attorno a contenuti e a modelli estetici superati dai tempi. E alla lunga, come constatò Angelo Guglielmi ai tempi in cui dirigeva l'Istituto Luce, le piccole storie finiscono per ucciderlo.
Gli autori italiani hanno gli occhi sulla nuca, ma non lo sanno e credono di interrogarsi sul nostro futuro anche quando in realtà guardano soltanto indietro. I loro personaggi – ha ragione Bertolucci – parlano e si comportano come se su di essi non fosse mai passata la travolgente ondata di “novità” tecnologiche, ideologiche e mediatiche che negli ultimi trent’anni ha spazzato brutalmente usi e consuetudini secolari, non soltanto nel nostro vivere privato quotidiano, ma anche e soprattutto nel nostro modo di pensare.Il mondo di sentimenti, di rapporti e di problemi che esprimono nel loro lavoro sembra ancora immerso in un’atmosfera, in un profumo da tardo Ottocento o da primo Novecento.
…
Ma non è del tutto colpa degli autori. Nel nostro paese esiste un clima, si respira un’aria, vorrei dire una consuetudine, una tradizione di censura che, al di là o al di qua delle leggi vigenti e della loro applicazione, è ormai penetrata nel loro stesso DNA. Le idee si formano nella loro mente già mutilate da una sorta di congenito spirito di sudditanza, una sorta di istinto che funziona come un freno automatico e li avverte che si possono spingere fino a quel punto e non oltre.
I veri poteri forti, i “grandi” poteri che controllano la nostra vita sociale e politica – ma anche la nostra vita privata e dunque la cultura, lo spettacolo, – non sono mai stati chiamati in causa dal nostro cinema. Argomenti come il mondo dei grandi affari, delle multinazionali, delle banche, delle assicurazioni, del traffico d’armi e di droga, la grande corruzione della politica e quella delle “carriere” costruite sulla corruzione della politica, sono rimasti fuori, o quanto meno appena sfiorati, ai margini del nostro cinema, anche di quello migliore.
Con qualche eccezione, certamente. Ne voglio citare un paio a solo titolo indicativo, per spiegare meglio cosa intendo: Il caso Mattei, di Francesco Rosi e Tonino Guerra, e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, di Elio Petri e Ugo Pirro, due opere che in qualche modo si sono sollevate da una dimensione angustamente “dialettale”, e hanno almeno tentato e in parte raggiunto un respiro più ampio. Potremmo trovarne, forse, un’altra dozzina. Piuttosto poco per oltre cinquant’anni di cinema.
E avete notato che, a giudicare dal cinema e dalla TV, solo gli autori statunitensi dispongono di una così fertile fonte di materiali narrativi come quella fornita dalla corruzione degli organi di polizia? In Europa siamo sfortunati: possiamo contare solo sulla incrollabile efficienza ed onestà di personaggi come l’ispettore Derrick, il maresciallo Rocca, il commissario Maigret. Che sventura sarebbe stata per il povero James Ellroy nascere, chessò, a Napoli, o a Marsiglia, o ad Amburgo, invece che a Los Angeles. Cosa diavolo avrebbe mai potuto raccontarci?
Anche ammesso che vi passassero per la mente, storie come quelle narrate nei film citati – o in altri come Wargames, Affari sporchi, Traffic, Virus letale, Codice d’onore, Full Metal Jacket, La conversazione, Insider, Liberty Stands Still, Indagini sporche, La figlia del generale e ne potremmo elencare ancora moltissimi – belli o brutti che siano, qui in Italia non vi potreste sognare di proporle a nessuno. E non per una mera questione di budget. Piuttosto (e se non ci arrivate da soli qualcuno vi aiuterà ad arrivarci) per una questione di opportunità. Farei meglio a dire: di “opportunismo”?
Un esempio tra tutti. In Scarface (1983), scritto da Oliver Stone e diretto da Brian De Palma, c’è una scena in cui l’ispettore dell’antidroga Mel Bernstein (l’attore Harris Yulin) avvicina in un locale pubblico il gangster Tony Montana (Al Pacino) per ricattarlo e costringerlo a pagare una tangente sul giro d’affari della droga. Gli offre i suoi servigi e nello stesso tempo lo minaccia dicendo: “… Ho otto killer col distintivo che lavorano per me…” Riuscite a immaginarvelo voi, un autore italiano che metta in bocca ad un commissario della nostra polizia una battuta del genere? Io no.
Certo, si può obiettare che nel nostro giocondo e illibato Paese certe cose non succedono. Ma ne siamo sicuri?
Ciò di cui possiamo essere assolutamente sicuri è che nel nostro giocondo e illibato Paese vi sono argomenti tabù anche a prescindere dalla loro concreta “possibilità di accadere”; argomenti sui quali è assolutamente sconsigliabile lavorare di fantasia.
Se per caso vi frullasse nel cervello la tentazione di raccontare addirittura – come negli Stati Uniti hanno fatto con Potere assoluto David Baldacci, autore del romanzo, e Clint Eastwood regista del film – che un ipotetico presidente della Repubblica, durante un appuntamento erotico con la moglie di uno dei suoi più importanti finanziatori elettorali, la uccide e tenta di soffocare il delitto e lo scandalo con l’aiuto dei servizi segreti, state attenti: ammesso che troviate un produttore disposto a produrlo, un noleggiatore disposto a distribuirlo e un circuito di sale disposto a programmarlo, in Italia rischiereste seriamente di finire in galera.
Ci è invece permesso di vedere tranquillamente il film di Baldacci e Eastwood perché il presidente di cui vi si parla, non è quello della Repubblica Italiana, ma quello degli Stati Uniti.
Sul presupposto che vi fossero in Italia alcune centinaia di creature chiamate da una prepotente e ineluttabile vocazione ad abbracciare il mestiere dell’autore di film, e fosse loro negato da rigorose prescrizioni mediche di tentare – pena gravi rischi per la salute – una qualsiasi attività diversa quale, ad esempio, un impiego nella difesa ambientalista, un servizio civile o altro incarico socialmente utile, il nostro Stato, il nostro provvido e paterno Stato, predispose alcuni decenni or sono una legge che rendesse loro possibile soddisfare la prepotente, ineluttabile vocazione.
In base a tale legge, tutti i contribuenti, lo volessero o no, fossero o non fossero disposti ad andare a vedere i film realizzati da quelle povere creature malate di cinema, erano obbligati a pagare una piccola invisibile tassa, o se preferite una sorta di tacito obolo, per rendere possibile quell’opera di caritatevole misericordia.
Mi sia perdonata l’ironia, nella quale, vi prego di credermi, non c’è niente di personale nei confronti di quanti hanno beneficiato di tale obolo; anche i produttori di un paio di progetti firmati da me ne fecero richiesta, e una volta persino con successo. La mia ironia ha come bersaglio il principio amministrativo, il “progetto” politico-culturale – chiamatelo come volete – che stava dietro questa legge.
Intanto va detto subito che non si trattava di un prestito regolato dalle consuete norme bancarie. La legge prevedeva che i beneficiari di quel contributo non fossero tenuti a restituirlo se il loro film non incassava, se cioè nessuno andava a vederlo.
La sostanza della legge, secondo la sintesi che ne forniva nel suo sito Internet il Ministero dei beni culturali, diceva che: “... La caratteristica di tali prestiti, per i film di interesse culturale, consiste nell’essere assistiti da un Fondo di Garanzia.” E precisava che, “… trascorsi due anni dall’erogazione, le somme eventualmente non restituite dal produttore alla Banca, per insufficienza di proventi di mercato, sono coperte da questo Fondo nella misura massima del 70% del prestito concesso. Il restante 30% deve essere restituito, in ogni caso dal produttore alla Banca Nazionale del Lavoro entro 5 anni dal momento della concessione del prestito, pena l’impossibilità di ricevere, per tre anni, qualsiasi altro prestito o beneficio di legge.”
Riuscite a vedere la magagna?... No?... Allora provo a spiegarvela io.
Poniamo che io sia un produttore e proponga un film che viene approvato dalla commissione esaminatrice e ottiene dal fondo di garanzia il prestito di un miliardo di vecchie lire. Vi sono stati casi di film finanziati con molti miliardi (fino a dieci, e in qualche caso, pare, anche oltre), ma noi semplificheremo facendo un calcolo dimostrativo sulla base dell’ipotetico, unico miliardo.
Dunque, io produttore incasso il miliardo, realizzo il film e lo distribuisco, ma (facciamo l’ipotesi peggiore) non incassa un soldo. Devo restituire un miliardo, ma so già che il 70% di questa cifra (settecento milioni) è coperta dal fondo di garanzia. Non sono tenuto a restituirla. Mai. So anche che per restituire il residuo 30% (trecento milioni) ho tempo cinque anni, scaduti i quali, se non ho assolto il mio debito, non potrò più godere per almeno tre anni di altri fondi di garanzia.
Niente paura. Ho già proposto un altro progetto di film alla commissione esaminatrice; mettiamo che anch’esso venga approvato, e io ottenga in prestito un altro miliardo. Mentre realizzo il mio secondo film, “distraggo” da questo secondo miliardo i trecento milioni necessari a saldare il mio debito precedente; con gli altri settecento milioni faccio il film e lo immetto sul mercato. Neanche questo fa una lira d’incasso, ma che importa? Ho sempre solo trecento milioni da restituire e cinque anni di tempo per farlo. E intanto, presento alla commissione esaminatrice il progetto di un terzo film... Divertente, no?
Vi state chiedendo come faccio a realizzare il secondo film con “soli” settecento milioni, avendo dovuto “distrarre” trecento milioni dal secondo finanziamento per pagare il debito del primo?... Beh, non occorre essere il mago Casanova. Qualunque “onesto” produttore potrà facilmente spiegarvi, se vuole, come si possa con settecento milioni produrre un film da un miliardo. Questi piccoli miracoli amministrativi sono il pane quotidiano di certa nostra brillante imprenditorìa cinematografica.
Si narra che qualcuno sia riuscito a ripetere questo giochetto fino a sei, sette... nove volte!...
Si narra anche – ma forse si tratta di leggende metropolitane – che qualcuno sia riuscito a farlo senza produrre effettivamente neanche un solo film!!...
Ma io non ci credo.
Mi rifiuto di crederci.
Sono quasi certamente fantasiose calunnie.
Anzi, lo sono assolutamente.
Estratti da “Sunset Boulevard”, editore Filema, di Ottavio Jemma
Regia: Martin Scorsese; Interpreti: Harvey Keitel, Robert De Niro, David Proval, Amy Robinson, Richard Romanus; Origine: USA; Anno: 1973; Durata: 110’
Charlie è un trentenne italoamericano diviso tra l’aspirazione a una scalata sociale offerta dallo zio mafioso e l’amicizia e l’attaccamento al suo gruppo di amici, in particolare a Johnny Boy, scapestrato e arrogante. Le situazioni in cui Johnny Boy trascina l’amico sono sempre più pericolose e la vita di Charlie è complicata anche dalla relazione con Teresa, cugina epilettica di Johnny, non ben vista dallo zio.
Schermo nero. Una voce di uomo pronuncia alcune parole: “You don’t make up for your sins in church. You do it in the streets. You do it at home. The rest is bullshit and you know it” (“Non rimedi ai tuoi peccati in chiesa. Li sconti per le strade. Li sconti a casa. Il resto sono stronzate, e lo sai.”). Non appena ha finito di parlare, nell’inquadratura appare un giovane che si sveglia di soprassalto, sollevandosi sugli avambracci. La stanza è semibuia, la luce proviene dalla finestra, filtrando dalle veneziane socchiuse. L’uomo si passa una mano sugli occhi (il sogno sembra averlo turbato), scosta le coperte e si alza dal letto. La mdp lo segue, senza staccare, mantenendolo quasi sempre in primo piano. Fa qualche passo e si guarda in uno specchio appeso al muro di fronte al letto. Sospira, si passa ancora la mano sul viso, sospira di nuovo. Poi, facendo il tragitto inverso, torna a letto. Si sentono rumori di automobili che passano, clacson, una sirena della polizia. Pochi movimenti, molta verosimiglianza e “naturalezza” della scena. Ma ecco che, mentre si sta coricando, tre veloci stacchi avvicinano sempre di più l’inquadratura, passando da un piano americano, a un piano medio, a un primo e un primissimo piano, mantenendo sempre la stessa angolatura e coordinando il primo e il terzo stacco con le battute iniziali di “Be my baby” delle Ronettes. La canzone prosegue, l’uomo si passa ancora le mani sugli occhi, si gira di lato e l’inquadratura (ma non il sonoro) cambia: iniziano i titoli di testa di Mean Streets.
Non succede niente in questa sequenza iniziale, c’è solo un ragazzo che si sveglia di soprassalto e si rimette a dormire. Proseguendo nella visione, capiamo che Scorsese ci dà qui dei suggerimenti su come guardare al protagonista, Charlie (Harvey Keitel, alla sua terza collaborazione con Scorsese), le cui notti sono evidentemente turbate da quello che si rivelerà essere un tormento interiore, un conflitto tra i dettami della religione e la sua vita quotidiana, tra la devozione agli amici del quartiere e la sua ambizione, e tutte le conseguenze che ne derivano. Perché, come Scorsese stesso ricorda nelle battute iniziali (la voce off dell’inizio è quella del regista), i peccati si scontano in strada (le mean streets del titolo) e a casa, non confessandosi in chiesa. Ma sono la naturalezza del risveglio di Charlie e, in contrapposizione, il “virtuosismo” di quei tre stacchi a fine scena montati sulle note della canzone delle Ronettes che proprio non ti aspetti, che mi spiazzano ogni volta e rendono la sequenza iniziale di Mean Streets la mia preferita.
L’uso della musica, una canzone che ha un forte contrasto rispetto all’atmosfera che già si respira nelle prime inquadrature del film, così tesa e quasi cupa, e la contravvenzione alla regola dei 30° del cinema “classico” (secondo cui due inquadrature di uno stesso oggetto devono differenziarsi di almeno 30 gradi l’una dall’altra, altrimenti si avvertirà uno “sbaglio” nel montaggio) catturano l’attenzione, fanno scattare quella curiosità che ti incolla alla sedia e ti costringe a continuare la visione. Niente di eclatante, piccoli particolari che costruiscono una certa atmosfera e sono la firma del regista: insomma, ciò che ti fa innamorare di un film.
Uscito nel 1980, “Toro scatenato“, è considerato l’ultimo capolavoro della New Hollywood. Il regista ha quindi ancora un forte valore autoriale ed il film mostra un realismo ed una violenza molto cruda che da una grande potenza alle immagini.
Tratto dall’ autobiografia dell’ex campione mondiale dei pesi medi Jake La Motta, Toro scatenato in realtà non è un film sul pugilato.
Scorsese veniva da un periodo difficile, aveva problemi di salute e inoltre aveva perso fiducia in se stesso, più come persona che come regista. Nel personaggio di Jake LaMotta c’è tutta la rabbia personale di Scorsese e c’è la frustrazione e l’ignoranza dell’immigrato italiano che lotta disperatamente per emergere. Jake picchia la gente mentre viene picchiato, è una forma di masochismo, si fa picchiare perché si fa schifo da solo. Infatti ad un certo punto nel camerino Jake dice “In vita mia ho fatto delle cose brutte” buttando fuori il suo enorme senso di colpa.
Scorsese non ha fatto un film di analisi ambientale e sociale. Ma si occupa di entrare nella mente dei personaggi e vedere come essi si muovono in un determinato ambiente, occupandosi cioè dell’aspetto mentale.
Altro aspetto rilevante del film sono le sequenze degli incontri di pugilato. Esse portano le didascalie con il nome degli avversari e le date, privandosi così di ogni elemento di suspense. Questo aspetto è chiaramente ricercato dal grande Scorsese che con la sua maestria dona un atmosfera sempre più stilizzata agli incontri, cercando di staccarsi dal punto di vista dello spettatore di pugilato ma entrando pienamente nella testa dei personaggi, enfatizzando suoni e immagini e rendendo il tutto più mentale possibile, con un’ atmosfera onirica e dilatata.
Lo spettatore che assiste ai duelli del film sente ciò che accade ai duellanti, percepisce il loro dolore e la loro rabbia, e vede con estremo realismo la forza dei colpi che si abbattono sui pugili. Ogni singolo combattimento si presenta inoltre diverso dagli altri, poiché riflette i vari stati mentali di La Motta durante i combattimenti.
Nell’ incontro finale con Robinson, è chiaro che non si tratta più di un incontro di pugilato. La Motta si lascia massacrare esprimendo così tutto il suo desiderio di autopunizione, di “redenzione”. Mentre il ring è ormai un mondo onirico, Jake è qualcuno che non schiva i colpi, ma che va a cercarseli, sforzandosi di picchiare ancora più forte dell’altro.
Nel finale Jake, ingrassato di 30 kg(De Niro si ingrassò veramente al punto di rischiare per la sua salute), tra i suoi imbarazzanti discorsi cabarettistici recita il famoso discorso di Marlon Brando in “Fronte de porto” : “Io ero un combattente nato, potevo diventare qualcuno”. A quel punto Jake è più capace di accettare se stesso, come succede proprio a Scorsese dopo aver girato questo film.
Per quanto riguarda la struttura temporale le prime scene del film mostrano Jake LaMotta in età avanzata che prepara uno dei suoi consueti spettacolini comici in un piccolo locale; segue un lungo flashback, che si chiude poco prima della fine, sulla sua precedente carriera di pugile.
Scorsese e il direttore della fotografia decisero di girare il film in bianco e nero per ragioni di autenticità temporale, dato che sia i filmati sia le foto degli incontri del periodo in questione (anni quaranta) erano in bianco e nero. In quest’ottica si inseriscono le riprese a colori sbiaditi del matrimonio di Jake e Viki, come ad indicare la novità tecnologica dell’epoca di cui potevano disporre i fotografi di matrimoni.
Capolavoro di Scorsese sull’America e sull’Italia, sulla vittoria e sul compromesso, sulla sconfitta e sull’ accettazione, sulla colpa e sulla redenzione, sono tanti i temi affrontati da questo “gioiello” di Scorsese che anche se l’apparenza può ingannare tutto è tranne che un film sul pugilato. Il maestro Martin può vantare poi di un De Niro in strepitosa forma (con questo film vinse proprio l’oscar), di un Joe Pesci sempre perfetto accanto al suo amico Bob e soprattutto di una montatrice, Thelma Schoonmaker(con questo film vinse l’oscar al montaggio), che probabilmente ha grandi meriti sul successo dei film di Scorsese, una delle migliori montatrici di sempre.
Adoro Scorsese e invito tutti a vederne l’intera filmografia. Non è solo il regista di film gangster, come molti, non conoscendo bene i suoi film, lo definiscono. Scorsese ha sfornato capolavori come Taxi driver, Fuori orario, L’età dell’innocenza, Re per una notte…Tanti sono i film che affrontano temi molto profondi, e gli stessi film gangster nascondono dei profondi significati oltre gli spari e gli schizzi di sangue.
Scorsese ha la forza di entrare nella psicologia dei personaggi e di farci empatizzare con loro come pochi registi sanno fare. Poi se gli attori in questione sono un De Niro prima, e un Di Caprio poi, è chiaro che il livello è altissimo.
Me ne viene in mente solo uno attualmente:
L’unico, l’immenso capolavoro del genio visionario di Kubrick. Un prodotto talmente particolare da non avere eredi.
“2001 - Odissea nello spazio” una trama ce l’ha anche, eppure sembra non ne abbia bisogno.
La vicenda della ribellione della macchina perfetta HAL rappresenta il frutto del superuomo positivo, e insieme il suo fallimento. Kubrick ci lascia sicuramente riflettere sulla volontà di destinare attitudini tipicamente umane (quindi imperfette) ad un oggetto che per stessa ammissione della pellicola dovrebbe, invece, essere perfetto. C’è la scelta di caratterizzare una macchina, che altro non è se non un insieme di calcoli matematici, con linguaggi, emozioni, umori e strutture cognitive tipicamente umane.
E infatti, ad un certo punto prova rabbia, si infuria con i suoi stessi creatori perché, intercettandone il labiale, capisce di avere vicina la sua fine. Elabora un piano, vuole giocare d’anticipo, sabota tutta l’operazione.
Da quel momento seguiranno poi le fatiche di Bowman, per tentare di fermare la cospirazione, e riprendere il comando dell’astronave.
Questa è sicuramente la parte più strutturata e canonica del film (in soldoni, la più comprensibile) ma è tutto ciò che viene prima e dopo a rendere grande Odissea nello spazio.
La distruzione della linearità del tempo, la scelta di parlare al subconscio e non all’intelletto dello spettatore (quasi portandolo all’esasperazione causa la lentezza e l’assenza di elementi logici tra loro). Il tema della nascita della civiltà che ha per madre la violenza, l’ormai celebre monolito nero, l’applicazione visiva dell’eterno ritorno (Kubrick prese molto in considerazione la filosofia di Nietzsche), senza dimenticare l’uso dei suoni stereofonici e della luce notoriamente psichedelica, tutti elementi che rendono grande quest’opera.
Insomma, questa pellicola pur nella sua antinarratività, nella destrutturazione del concetto di cinema, nella quasi totale assenza di parlato, nel finale enigmatico che porta in grembo il concetto di rinascita è sicuramente uno dei prodotti più memorabili del panorama artistico post-moderno, un prodotto che non ha paura della sua singolarità.
“Bisogna tramontare per poter rinascere” F. Nietzsche
Breve curiosità:
Sembra strano vederlo in un film che è addirittura antecedente lo sbarco dell’uomo sulla luna, ma il genio visionario di Kubrick pare anticipare di qualche annetto casa Apple.
Ci sono film che nascono per scommessa e incuriosiscono come le sfide di varia specie. Nel cinema se ne sono visti più di uno. Ricordo un cortometraggio italiano degli anni Dieci in cui una storia d’amore e di adulterio era raccontata, filmando solo i piedi e le scarpe dei protagonisti: il primo incontro, la seduzione, la scoperta del marito, il duello con il rivale, la conclusione. Una prova di estrosità, innegabilmente.
In La spia di Russell Rouse, un thriller spionistico del 1952, la colonna sonora è riempita di musiche e rumori, ma non di parole, neanche una. Si sopprime il dialogo e il racconto è comprensibile dall’inizio alla fine con le sue giravolte e complicazioni. Delmer Daves in La fuga (1947) descrive l’evasione di Humphrey Bogart dalla prigione, condividendo il punto di vista del fuggiasco a lungo – almeno una ventina e più di minuti – finché, dopo aver superato svariati ostacoli, il protagonista, si imbatte in un conducente di taxi che lo mette nelle mani di un medico radiato dall’ordine professionale che lo sottopone a un intervento di chirurgia plastica per cambiargli i tratti fisionomici. Tolte le bende che coprono il volto di Bogart, la macchina da presa adotta la visuale oggettiva. Lo stesso procedimento è stato impiegato da Robert Montgomery in Una donna nel lago (1946), desunto dall’omonimo romanzo di Raymond Chandler. In questo caso, il film è interamente coniugato in prima persona, tranne un rapido prologo e un veloce epilogo e due brevissime immagini in cui Philip Marlowe si riflette in un paio di specchi. Come si vede, l’acclamatissimo The artist di Michel Hazanavicius, insignito dell’Oscar 2012, ha più di un precedente e ripropone gli stessi interrogativi che avevano suscitato gli altri film. Ci si domanda se ci sia una necessità espressiva per eliminare l’uso della voce, narrando di un divo al tramonto e di una giovane attrice, astro ascendente, mentre la rivoluzione del sonoro sconvolge Hollywood e il mondo del cinema. Ad essere schietti e immediati, non riesco a scorgerla, avendo il film la sua ragion d’essere in un esercizio mimetico, consistente nel dimostrare come sia possibile allestire un melodramma con l’appendice di un happy end, sfoderando modalità drammaturgiche, convenzioni linguistiche e stilemi di un’epoca lontana, tuttavia capaci ancora di reggere l’impatto con il pubblico odierno. Un’impresa mediata da un gusto cinefilo, consono a un approccio sentimentale e affettivo, adatto a un lavoro di ricalco. Un’esercitazione da eseguire senza contrappunto ironico o parodistico, ma nel compiacimento più assoluto per aderire in pieno all’essenza manieristica di un gioco fine a se stesso, che non per questo non richieda precisione di riferimenti, levità e pertinenza, una certosina cura dei particolari e ricostruzioni ambientali e atmosferiche insindacabili. Sono queste, virtù che The artist vanta, sfrutta e spreca in un intrattenimento che ha per scopo di “rifare il verso” a qualcosa che gli preesista e lo ispira a imitarne ritmi, movenze e contenuti piuttosto elementari. Scartando un’inclinazione critica e concependo il componimento come se fosse un’apparecchiatura tecnicistica, uno scherzo in punta di penna, un artifizio virtuosistico. Assente peraltro una impostazione metalinguistica, poiché per tale si spaccia soltanto l’autoreferenzialità, categorie, l’una e l’altra, diverse tra loro e non assimilabili. Quando eravamo studenti, io e i miei amici ci dilettavamo a scrivere qualche pagina alla maniera di Hemingway e di Caldwell per puro divertimento, ma non ci saremmo mai sognati di essere presi sul serio. Forse nemmeno il regista di The artist avrà avuto in principio pretese ambiziose, ma in parecchi gliene hanno prestate, rimanendo Hazanavicius un giocoliere che ha avuto abbastanza abilità per vincerla la sua scommessa, ma niente altro. Il film sta in piedi e risulta piacevole ai più, siano spettatori o critici, gli uni e gli altri troppo abituati a quel che scodella il convento per non accontentarsi facilmente e per scambiare lucciole per lanterne. Non azzarderei paragoni con Cantando sotto la pioggia di Stanley Donen e Gene Kelly (1952), che inquadrava con esattezza di appigli una fase di transizione e riversava un fresco umorismo sui tic e sui vizi del divismo e della Hollywood leggendaria, oltre ad allineare una fantasiosa parte coreografico-ballettistica tradotta in una forma cinematografica innovativa nel genere del musical. Né reggerebbe il paragone con la commedia teatrale di George Kaufmann e Moss Hart (sono gli autori di Non te li puoi portare appresso da cui nel 1938 Frank Capra ha tratto L’eterna illusione), Una volta nella vita (1930), la più scoppiettante, mordace e indiavolata satira dell’industria cinematografica americana all’indomani della proiezione di Il cantante di jazz nel 1927 (dalla pièce la Warner ha ricavato un film in cui recitava il comico Joe Brown). Nessun parallelismo possibile nemmeno con Hugo Cabret di Martin Scorsese. Non bastano il fascino stregante della fotografia in bianco e nero, l’eleganza dei costumi, i cappellini a cuffia, le vecchie automobili, la verosimiglianza dell’enfasi emanata dalle didascalie e le musiche e le canzoni del sex age e del jazz age e le sovrapposizioni, a spostare su un gradino più alto una operazione gratuita, calligrafica, che riceve legittimazione estetico-culturale in un clima di postmodernismo declinante eppur sempre confusionario. Sarei perciò cauto nel consegnare accrediti eccessivi a un film che nella sua epidermica gradevolezza ed effervescenza cova una crisi dell’inventiva, la pochezza in cui spesso si dibatte il cinema d’oggi, soprattutto quello che ha a cuore la cassetta.
Articolo di Mino Argentieri da cineclubroma.it Diari di Cineclub
Shutter Island è il film in cui il regista Martin Scorsese mette Leonardo DiCaprio di fronte a un personaggio che deve affrontare demoni personali all'interno di un manicomio. Shutter Island è spesso considerato uno dei film più deboli della lunga carriera di Martin Scorsese, presentato fuori concorso al Festival di Berlino. Il film, infatti, fu accolto con opinioni discordanti anche dalla critica statunitense: non è un caso se Shutter Island è l'unico film del duo Scorsese-DiCaprio a non aver ricevuto nessuna nomination ai premi Oscar. In realtà, Shutter Island - tratto dal romanzo omonimo Dennis Lehane - è una pellicola affascinante e complesso, che cattura l'attenzione dello spettatore su molteplici livelli, già a partire dalle tematiche affrontate.
Che cosa ha fatto il cinema per Michael Tolkin? Chiedetevi piuttosto che cosa può fare Michael Tolkin per il cinema. Ha sceneggiato, per prima cosa. The New Age — Nuove tendenze (The New Age) Regìa: Michael Tolkin Orig.: U.S.A., 1994 Sogg. e Scenegg.: Michael Tolkin. Fotogr.: John H. Campbell. Musica: Mark Mothersbaugh. Mont.: Suzanne Fenn. Scenogr.: Robin Standefer. Costumi: Richard Shissler. Suono: Stephen Halbert. Interpr.:Peter Weller (Peter Witner), Judy Davis (Katherine Witner), Patrick Bauchau (Jean Levy), Corbin Bernsen (Kevin Bulasky), Jonathan Hadary (Paul Hartmann), Patricia Heaton (Anna), Samuel L. Jackson (Dale Deveaux), Audra Lindley (Sandi Rego), Paula Marshall (Alison Gale), Maureen Mueller (Laura), Tanya Pohlkotte (Bettina), Bruce Ramsay (Misha), Rachel Rosenthal (Sarah Friedberg), Sandra Seacat (Mary Netter), Susan Traylor (Ellen Sal-tonstall), Adam West (Jeff Witner). Prod.: Nick Wechsler e Keith Addis, per Regency Enterprises lAlcor Films Ixtlan Addis-Wechsler prod. Distr.: Warner Bros. Durata: 112 min. Due coniugi in crisi nella Los Angeles del jet-set. Lui perde il suo lavoro da mezzo miliardo all'anno per vivere, lei deve abbandonare la sua vita agiata. Per guadagnare e rimanere nell'alta società, aprono un pretenzioso negozio di moda dal nome "Hyppocratie". Dopo i primi successi, l'iniziativa ben presto fallisce e il buco nell'acqua li isola ancora di più nella crudele Beverly Hills. Non rimane altro da fare, allora, che affidarsi a santoni e medium e, forse, suicidarsi. Che cosa ha fatto il cinema per Michael Tolkin? Chiedetevi piuttosto che cosa può fare Michael Tolkin per il cinema. Ha sceneggiato, per prima cosa. Ha scritto un film ( Gleaming the Cube di G. Clifford) già atipico per un pubblico statunitense che non si aspettava quel tipo di film, figuriamoci in Italia dove è stato intitolato California Skate ed è passato quasi solo in Tv, confuso e contestualizzato alle serate dedicate al film giovanilistico (bikini-movies, skate-movies, la filmografia di Sam Firstenberg, etc.). Poi si è diretto il suo film, il cupissimo The Rapture, da noi uscito solo in videocassetta. Il titolo Sacrificio fatal e, dove il suffisso "-ale" serve a guadagnare tre o quattro spettatori stanchi che sperano nel solito innocuo giallo made-for-cable e a dare vaghe suggestioni mistico-omicide. Poi, l'incontro con Altman, per I protagonisti, dove il taglio antropologico/tribale del romanzo di Tolkin si è ben innestato nell'allegoria corale altmaniana. Tutta questa divagazione non dispiacerebbe comunque a Tolkin, visto che The New Age è un film su e per la divagazione, dove non c'è spazio per il centroflessismo, e la dinamica del divertimento e dell'hobby contamina ed "infetta" il mondo del dovere e del lavoro. La tensione dialettica su cui vive il film riguarda il dentro ed il fuori, il dentro per le tendenze neo-irrazionaliste e semi-pagane in cui si tuffano i protagonisti del film, alla ricerca di (fuga dalla) auto-coscienza (a proposito, in Italia il film ha come sottotitolo Nuove tendenze vanificando il senso sottilmente metastorico e ironico di "age"), che però somiglia terribilmente ad un cupio dissolvi (confermata dal finto suicidio finale, in fondo paradossalmente rito iniziatico attraverso l'assunzione di uno yogurt/veleno da società delle merci sofisticate); il fuori perché è in esso che i due coniugi protagonisti devono affermarsi, alla ricerca della monetizzazione del loro (alto) status sociale, da confermare pena l'espulsione di tipo tribale/ totemico dalla confraternita dei ricchi west toast. Il negozio che comprano (chiamato con lo straordinario neologismo di "ippocrazia") è una prigione e da dentro attendono clienti, continuamente spiando fuori, un marciapiede vago, anonimo, qualunque, quasi del tutto attanziale. Tolkin infatti, nel suo mondo polimorfo e mutante, non crede molto, mette in scena archetipi dell'orribile tempo contemporaneo (o futuro?) e chiude claustrofobicamente l'inquadratura attorno ai due coniugi. Nella sua Los Angeles non c'è isteria e foll(i)a, c'è solo una pan-nevrosi contaminante e assolutizzante. Quasi tutte le scene sono auto-sufficienti, viene eluso ogni movimento causa/effetto, come se fosse finita l'umanità e rimasto solo il delirio con due o tre sopravvissuti (anche i party assomigliano a funzioni religiose di tipo misterico, con pochi adepti, più che alle immense "macchine da cocktail" cui siamo abituati nel cinema americano). Lo spazio/libertà giunge solo durante la separazione della coppia (che sancisce peraltro soltanto l'inizio di una serie di esperienze sensoriali malriuscite nell'enorme tempio-Beverly Hills che contiene tutti i riti e tutte le confessioni) e poi si restringe di nuovo fino a minacciarne la vita (ancora il suicidio incombente). Quale impiego/ruolo migliore allora (per P. Weller) del venditore via telefono di falsi viaggi per false lotterie? (A differenza dei venditori incarogniti di Americani, nel new age anche fregare il cliente avviene per telefono o telefonino come ennesimo surplus finzionale). A fianco di attori dagli occhi così glacialmente blu da sembrare volutamente cyborg (che la ritualità delle neo-religioni sia l'unica via possibile alla coscienza per replicanti che Deckard non ha trovato?) riscopriamo l'ingrassato Patrick Bauchau già (e ancora) Fritz Munro/Monroe in Lo stato delle cose e Lisbon Story, nei panni di un santone belga che predica di seguire la propria strada e di "vivere con la domanda", vox clamantis ridicola e grottesca (più o meno il ruolo odierno del censore Wenders). Chiedersi quanto c'è di intenzionalmente grottesco e quanto di realmente malriuscito in questo film non avrebbe senso. E una onirica parabola americanologica, con una tale parade di stravaganze, tra guru mistico-psichedelici, orge tra tatuati, culti misterici da mitologia metropolitana, freaks e feste sulfuree da ricordare l'ultimo, abrasivo e raggelante, Bret Easton Ellis, solo più senile e meno disperatamente mortuario. Il paragone sia perdonato, visto che Tolkin, anche se poli-artista, fa pur sempre parte della scena letteraria nord-americana, innegabilmente però lontano dall'orizzonte di nascita dei neo-minimalisti Un'ultima annotazione: il produttore è Oliver Stone, evidentemente attirato dalla quantità di suggestioni para-buddiste, presenti nel film (c'è pure la solita sequenza da allucinogeni nel deserto, come in The Doors e NBK).
da Segnocinema n.73
Titolo GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK (Idem - Francia/Giappone/G.B./U.S.A. - 2005) Regia: George Clooney Interpreti: George Clooney, David Strathairn, Alex Borstein, Robert Downey Junior Soggetto George Clooney, Grant Heslov Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov Fotografia: Robert Elswit Costumi: Louise Frogley Scenografia: James D. Bissell Montaggio: Stephen Mirrione Durata 1 h 30min
Il film La storia vera del conflitto tra Edward R. Murrow, un famoso anchor man del giornalismo TV, e il senatore Joseph McCarthy responsabile della "caccia alle streghe" contro i comunisti. Nonostante le intimidazioni e le minacce di morte, Edward riuscirà, anche grazie all'appoggio del produttore della CBS, a liberare l'America dal fanatismo del maccartismo.
Il regista Figlio del giornalista Tv Nick Clooney, George Clooney è più noto come attore che come regista. Nel 1994 viene scelto per interpretare il dottor Doug Ross nella serie "ER". Il telefilm ottiene un grande successo e l'attore diventa molto popolare. Ha fondato con Soderbergh una società di produzione (Section Eight) con la quale ha prodotto nel 2003 il suo primo film da regista (Confessioni di una mente pericolosa).
I commenti dei critici Un film corroborante. secco, quasi un esercizio di stile impeccabile (...) ti fa sedere e ti dice, dai su, guardami, con quel sax, quella notte, quel bianco e nero, quelle facce, quegli anni in America dei primi anni '50, e quel titolo "Good Night, and Good Luck", regia di George Clooney. Un omaggio a un giornalista, Edward R. Murrow, che si è battuto contro la caccia alle streghe del senatore McCarthy, un persecutore che sbandierava il comunismo come scusa. Da conservare nella memoria per l'interpretazione di David Strathairn (Coppa Volpi a Venezia), per la fotografia di Robert Elswit, perché è un buon atto d'accusa contro i modi sventati di fare tv e per questa frase: "la nostra storia sarà quella che vogliamo che sia". (Gianluca Favetto - la Repubblica - settembre 2005)
I commenti dei critici (...) Sulla base di sofferte esperienze familiari, Clooney immerge in un bianco e nero che si fonde perfettamente, e in qualche passaggio miracolosamente, con rari e preziosi inserti d'epoca la strenua campagna giornalistica che l'anchorman televisivo E. R. Murrow conduce contro le crociate del senatore Joseph McCarthy. Siamo tra il 1953 e il 1954. quando il grossolano presidente del famigerato Comitato per le Attività Antiamericane è all'apogeo della sua caccia alquanto paranoica a tutti coloro che potrebbero avere avuto dei contatti con il semiclandestino partito comunista locale. Mirabilmente interpretato dal segaligno David Strathairn (circondato da altri attori da applausi, tra cui lo stesso Clooney), il giornalista della CBS non nutre - come avvenne nella realtà - la minima simpatia per le idee dei sospettati (...) quello che gli sta a cuore e per cui è disposto a rischiare il posto e persino a destabilizzare i meccanismi commerciali nel network è l'inammissibilità delle persecuzioni senza prove, la tutela dei diritti civili e, soprattutto, il principio costituzionale del diritto al dissenso. (Valerio Caprara - Il Mattino - settembre 2005)
Note La virgola del titolo sta ad indicare la pausa che il conduttore del programma TV, Edward Murrow, faceva nel pronunciare le parole di saluto al termine della sua trasmissione.
Titolo: IN HER SHOES - SE FOSSI LEI (In Her Shoes - U.S.A. - 2004) Regia: Curtis Hanson Interpreti Cameron Diaz, Toni Collette, Shirley MacLaine Soggetto tratto dal Bestseller "A letto con Maggie" di Jennifer Weiner Sceneggiatura Susannah Grant Fotografia Terry Stacey Costumi Sophie De Rakoff Carbone!! Scenografia Dan Davis Musica Mark Isham Montaggio Craig Kitson, Lisa Zeno Churgin Effetti Speciali John C. Hartigan, Kirk Tedeski Durata 2h 10min Il film Rose e Maggie sono sorelle ma non potrebbero essere più diverse tra loro. Rose è un avvocato in carriera, sogna da sempre di incontrare un uomo che le sciolga i capelli, le tolga gli occhiali e le dica che è bellissima. Maggie, è più giovane di Rose, non ha un impiego fisso, ha un corpo perfetto e scarta gli amanti come fossero caramelle. Il regista Ha lavorato per la rivista 'Cinema' prima di dedicarsi alla sceneggiatura e alla regia. Nel 1978 ha scritto la sceneggiatura del film "L'amico sconosciuto". Nel 1982, con lo scomparso Samuel Fuller, ha scritto la sceneggiatura di "Cane bianco", e un anno dopo quella di "Mai gridare al lupo", di Carroll Ballard. Nel 1987 ha diretto "La finestra della camera da letto", di cui aveva scritto la sceneggiatura. Sono seguiti poi due thriller, "Cattive compagnie" (1990) e "La mano sulla culla" (1992). Nel 1994 ha diretto "River Wild - Il fiume della paura". Nel 1997 ha diretto, prodotto e scritto "L.A. Confidential", tratto dal romanzo di James Ellroy, vincitore, fra l'altro. di un Oscar per la miglior sceneggiatura e uno per la miglior attrice non protagonista (Kim Basinger). I commenti dei critici Curtis Hanson è tra i pochi registi che a Hollywood ancora crede nel cinema dei personaggi, delle storie, nel cinema che si costruisce lentamente (non significa praticare un cinema lento e tedioso), con dettagli, dialoghi, scene di paesaggio, raccordi che esplorano il plot. La complicità, l'interdipendenza, il dissidio, l'emulazione, lo scacco emotivo e la lacerazione tra due sorelle sono materie affascinanti e difficili per lo schermo. La fisiologia del rapporto sororale deborda facilmente nella patologia psicanalitica. È un tema che richiede una buona sceneggiatura, personaggi-modello strutturati e conosciuti, un cast credibile, una regia accorta sensibile a tenere sotto controllo la temperatura emotiva, a condensare e diluire gli slittamenti del rapporto. (...) (Enrico Magrelli - Film TV - novembre 2005) I commenti dei criticiConsigli per chi voglia gustare serenamente "Se fossi lei", titolo inglese più carino " In her shoes". Lasciare a casa: a) fidanzato, marito, amico, qualsiasi maschio e andare al cinema tra ragazze; b) ogni sovrastruttura critica, concedendosi una vacanza dai propri cinegusti intellettuali. Dopodiché, buon divertimento. Si parte infatti da una fiaba, diventata un mito molto cara alle donne, quella di Cenerentola: che qui raddoppia, perché le Cenerentole sono due, due sorelle di Philadelphia di buona famiglia ebrea. Una è Maggie. Cameron Diaz, sottile. molto graziosa, molto sexy e vestita succintamente: Cenerentola perché è dislessica, non trova lavoro e gli uomini la prendono e la lasciano come un oggetto. L'altra è Rose, Toni Collette, avvocato, gran lavoratrice, buon guadagno: Cenerentola perché è piena di complessi, è sovrappeso e non riesce ad avere una vita sentimentale. (...) Principi azzurri? ci vorrebbero, ma non contano, sono insignificanti, pretesti per battute. Come in tutti i film per signore, le quali non vogliono più sognare il bel divo ma immedesimarsi nei personaggi femminili. Prima perdenti e poi vincenti. (...) (Natalia Aspesi - la Repubblica delle donne - novembre 2005)
Titolo: THE INTERPRETER (Idem - G.B./U.S.A. - 2005) Regia: Sydney Pollack Interpreti: Nicole Kidman, Sean Penn, Catherine Keener, Yvan Attal Soggetto: Martin Stellman, Brian Ward Sceneggiatura: Charles Randolph, Scott Frank, Steven Zaillian Fotografia Darius Khondji Costumi Sarah Edwards Scenografia Jon Hutman Musica James Newton Howard Montaggio William Steinkamp Effetti speciali R. Bruce Steinheimer, Jon Farhat Jerry Pooler Durata 2h 8min Il film: Silvia lavora come interprete nella sede delle Nazioni Unite a New York. È una donna colta e raffinata, che ha girato il mondo, anche se nasconde tra le pieghe del suo passato qualcosa che le ha instillato un forte dubbio nei confronti della società. Un giorno, casualmente, ascolta una conversazione segreta e viene a conoscenza del complotto per assassinare il presidente di Matobo. Si trova a dover fare i conti con un poliziotto cinico, reduce da una dolorosa storia d'amore. I due provengono da mondi diversi e le loro idee sembrano essere inconciliabili ... Il regista: Regista. produttore e attore. E' un esponente del cosiddetto "New Hollywood". un filone artistico caratterizzato da una visione pessimistica della realtà. Nei suoi film viene accentuata la rievocazione amara del passato e il disinganno del presente. Viene considerato uno dei registi di successo culturalmente impegnati. I suoi film sono caratterizzati da un'accuratissima fotografia a colori. I commenti dei critici: (...) Così Sydney Pollack, uno dei più grandi registi americani di sempre, quando racconta come è riuscito ad ottenere ciò che anche ad Alfred Hitchcock era stato rifiutato: girare un film dentro il palazzo dell'Onu. E quel palazzo, in una zona periferica di Manhattan, è il terzo protagonista di "The Interpreter" (...) è una bella scommessa quella che il 71 enne Sydney Pollack gioca e vince con questo film: aggiornare le atmosfere inquietanti del "Condor" girando un film moderno, anzi, post-moderno; con tutti tic del cinema d'oggi. con lo stile nervoso e senza respiro imposto anche da una sceneggiatura molto piena, che fatica a stare dentro ai minuti canonici. Ottenendo un thriller che sembra classico e non lo è: quando lo vedrete, fate caso a come cambia continuamente ritmo, distendendosi nelle sequenze in cui Penn e la Kidman sono in scena insieme, e diventando frenetico quando si tratta di costruire la complessa trama che circonda il rapporto fra i due. Spesso il montaggio fa sì che ogni scena contenga un'altra scena (...) (Alberto Crespi - l'Unità - ottobre 2005) I commenti dei critici: (...) Un tentativo di fare del buon vecchio cinema e un perfetto gioiello dark. `The Interpreter" di Sydney Pollack è Nicole Kidman, con accanto Sean Penn; un'interprete, come dal titolo, dell'Onu e un agente dei servizi segreti. Lei traduce, lui indaga, il resto non importa tanto. Il resto serve a fare spettacolo: l'infanzia e l'adolescenza in Africa di lei, nonché la sua malinconia, la moglie di lui morta in un incidente automobilistico e il suo cinismo stanco, una conversazione ascoltata per caso. un crudele dittatore africano che dovrebbe finire al tribunale dell'Aja, un autobus che esplode a New York. Rimane il fatto che Kidman e Penn sono una bella coppia, e possono bastare. (...) (Gianluca Favetto - la Repubblica - novembre 2005) Note: In un centro linguistico inglese e' stata elaborata una nuova lingua tra lo swahili e lo shona, due lingue africane simili. La lingua di Matobo è stata chiamata "ku" e la Kidman ha imparato a parlare correntemente questa lingua che non esiste.
A volte capita che, per la versione in video i film vengano modificati: si tagliano scene di sesso, violenza, dialoghi eccessivamente offensivi.
Se pensiamo alla versione TV de “Il silenzio degli Innocenti”, (Jonathan Damme, 1991) contiene ad esempio scene diverse rispetto a quella distribuita al cinema.
Viene utilizzata la Compressione dei Tempi, che accelera impercettibilmente la velocità del film al fine di inserirvi al suo interno spot pubblicitari.
Alcune scene vengono ridoppiate…
Spesso anche film destinati al noleggio di videocassette vengono revisionati; le colonne sonore possono essere sostituite a causa dell’impossibilità di negoziarne i diritti.
Differenze notevoli si notano tuttavia nel formato d’immagine adattata allo schermo televisivo.
Solo in casi rari infatti la versione video rispetta il formato originale disponendo bande nere sopra e sotto l’immagine: si tagliano cioè porzioni dall’immagine originale, spesso sino al 50%.
E’ il tecnico che decide quali porzioni dell’immagine eliminare.
A volte decide di ricavare inquadrature distinte da quella che in origine era una inquadratura unica alterando così la versione originale del film.
Per questa ragione alcuni registi girano già in funzione del formato televisivo, concentrando l’azione importante nell’area che resterà intatta poi per la versione in video.
Ad esempio, James Cameron ha girato il “Titanic” (1997) tenendo conto della distribuzione in videocassetta in modo tale che le scene più intime soffrissero meno delle sequenze più spettacolari.
Da qualche tempo tuttavia, la diffusione dei DVD fornisce allo spettatore sempre più opzioni; e così all’interno dell’inquadratura è possibile vedere o meno le bande nere.
articolo di Diana Rodi
NEMICO MIO Regia di Wolfgang Petersen. Un film con Louis Gossett Jr., Brion James, Dennis Quaid, Richard Marcus, Carolyn McCormick. Cast completo Titolo originale: Enemy Mine. Genere Fantascienza - USA, 1985, durata 108 minuti.
UN FILM ORMAI INTROVABILE, ASSOLUTAMENTE SOTTOVALUTATO, MA UN CULT ED UN INNO AL PACIFISMO
Siamo nella seconda metà degli anni Duemila. Il terrestre Davidge, incurante degli ordini, si scaglia con la sua astronave all'attacco di una navetta entrata nell'orbita della stazione spaziale, ma dopo un furibondo scontro, precipita con il suo nemico sul pianeta Fyrine IV, abitato da mostriciattoli carnivori. Il nemico di Davidge è un Dracon, essere unisex proveniente da una lontana galassia: ben presto i due naufraghi dello spazio capiscono che l'unico modo per sopravvivere è cessare le ostilità e allearsi. Dopo essersi salvati la vita a vicenda, Davidge e il Dracon si rifugiano in una grotta, nella quale il Dracon muore dopo aver partorito un piccolo Drac. Film rarissimo, praticamente disperso banché sia stato girato da Petersen già autore de La Storia Infinita, La Tempesta Perfetta, e Troy tra i tanti blockbuster. Tratto da un toccante racconto breve di Barry Longyear, pubblicato nel 1980 in Italia da Mondadori nella Rivista di Isaac Asimov, il film - girato con pochi mezzi - perde qualcosa rispetto al testo originale. Sottovalutato dalla critica e accolto tiepidamente dal grande pubblico, viene tuttavia tenuto in grande considerazione dagli appassionati del genere. È un vero inno alla pace uno di quei film che ci hanno fatto credere che l'Occidente fosse vaccinato contro la guerra
Titolo: A HISTORY OF VIOLENCE (Idem - U.S.A. - 2005) Regia: David Cronenberg Interpreti: Viggo Mortensen, Maria Bello, Ed Harris, William Hurt Soggetto: tratto dal fumetto "Una storia violenta" di John Wagner disegnato da Vince Locke (Ed. Magic Press) Sceneggiatura: Josh Olson Fotografia: Peter Suschitzky Costumi: Denise Cronenberg Scenografia: Carol Spier Musica: Howard Shore Montaggio: Ronald Sanders Effetti: Neil Trifunovich, Aaron Weintraub, Mr. X Inc Durata: 1h 35min. Il film: Tom Stall vive tranquillo e felice con la moglie e i suoi due bambini. Ma la loro idilliaca esistenza va in pezzi quando una notte Tom sventa una rapina nel suo ristorante uccidendo i due criminali. La vita di Tom cambia dopo quella notte, tutti lo considerano un eroe, ed inutilmente Tom cerca di ritornare alla vita normale ... ma non è detto che tutto sia come appare. Il regista: Figlio di un giornalista-scrittore e di una pianista, si laurea in letteratura inglese presso l'Università di Toronto dopo aver abbandonato gli studi al Dipartimento Scientifico. Fin da bambino scrive brevi racconti intrisi di mistero. E' considerato il maestro assoluto di un cinema mutante e visionario, è stato anche definito come un "depravato, un sovrano dell'horror venereo, un barone amante del sangue". In realtà è un inventore di visioni cinematografiche nuove nello stile e nella scelta dei soggetti. I commenti dei critici: Se il plot ricorda i vecchi western dove l'eroe in ritiro si trova faccia a faccia con lo proprio passato, Cronenberg fa subito piazza pulita di ogni giustificazionismo per mettere in scena una parabola sulla natura ontologica, genetica della violenza. Ogni tipo di violenza -legittima, sessuale, scolastica, mentale - è descritta con un approccio minuzioso, quasi clinico; cui corrisponde l'estrema precisione di ogni dettaglio della messa in scena, dalle singole inquadrature ai movimenti di macchina, dall'illuminazione al montaggio. (...) (Roberto Nepoti - la Repubblica - dicembre 2005) I commenti dei critici: Un film da non perdere. Dal grande Cronenberg ancora un discorso sui difficili traslochi di identità, travestito da western di serie B, ma che sembra scritto da Camus dopo aver visto "La legge del Signore" (...) Harris e Hurt sono una super coppia di vilain, il finale con la famigliola pronta alla felicità è crudele, Mortensen ha una dose perfetta di ambiguità. Da vedere. (Maurizio Porro - il Corriere della Sera - marzo 2006) I commenti dei critici: (...) " A History of Violente" traduce sullo schermo un romanzo grafico, una sorta di fumetto. elevandolo al rango di letteratura. (...) Cronenberg usa, come mai aveva fatto prima, gli stilemi del cinema di genere, che alcuni ritengono erroneamente incompatibile con i canoni di autorialità. Il genere è quello del noir, che Cronenberg usa in modo piuttosto libero, rinunciando agli effetti neo-espressionisti, importati in America dai cineasti tedeschi, emigrati all'avvento di Hitler. Se un paragone col noir classico vale, riguarda tutt'al più i film che Fritz Lang girò a Hollywood, vicini alla tragedia classica. Sulla vicenda regna un senso quasi matematico di ineluttabilità. che trascende la moralità dei personaggi (...) Un ineluttabilità che imporrebbe, come nelle tragedie e nei film di Lang, l'esito infelice della vicenda. Invece Cronenberg adotta un finale in apparenza lieto, che rifiuta la catarsi. Quindi molto più inquietante. (Callisto Cosulich - Avvenimenti - marzo 2006) Note: Nella maggior parte dei film di Cronenberg, i costumi sono curati da sua sorella Denise.
da ilclubdelcinema.com
Contrariamente al luogo comune sulla perenne crisi del cinema, quello di film è, da diverso tempo, il principale consumo culturale e ha superato abbondantemente quelli di musica, libri, teatro, sport, musei e mostre, ecc. In crisi è il sistema delle sale cinematografiche. Secondo una ricerca del 2018, Sala e salotto, patrocinata dall’Anica, la principale associazione delle imprese cinematografiche e audiovisive, in Italia solo il 2% degli atti di visione di un film avviene in una sala cinematografica e rappresenta la piccola punta della piramide stratificata della visione. Di fatto il 98% dei film si vede sulle tv generaliste o su canali digitali gratuiti, sulle tv a sottoscrizione, tramite piattaforme online, in abbonamento o con pubblicità, ricorrendo alla pirateria, mediante dvd o acquistando singoli spettacoli. Questa è la situazione. La chiusura delle sale dovuta alla pandemia ha quindi accentuato non provocato un fenomeno già esistente da anni per cui, nel 2020, è quasi certo che la percentuale di visioni di film in sala sarà attestata sotto l’1%.
Parlando di cinema ci sono altri due dati di cui in genere non si tiene conto: il 98% dei titoli potenzialmente disponibili in Italia non può essere visto in una sala cinematografica (perché non ha distribuzione) e il 92-95% di tutti i film prodotti dal 1895 a oggi fa parte del patrimonio cinematografico, cioè di tutti film prodotti esclusi quelli degli ultimi 10 anni (definizione utilizzata negli studi e ricerche dell’Ue). Il primo dato è stato ribadito da Gianluca Guzzo, amministratore della piattaforma online Mymovies, in occasione di un recente incontro pubblico per festeggiare i primi vent’anni della piattaforma stessa. L’altro è un calcolo per approssimazione basato sui dati disponibili. Entrambi dimostrano che la maggior parte dei film prodotti sono finora inaccessibili, sia per il consumo commerciale che per quello culturale, e non sono certamente accessibili tramite le sale.
Posto che la pandemia ha accentuato una crisi delle sale già esistente, ha però privato il sistema cinema di un potente veicolo di promozione, in quanto era a principalmente a partire delle proiezioni in sala che il sistema dei media era organizzato per parlare di cinema. La vera rivoluzione prodotta dalla pandemia, oltre al boom delle piattaforme online, che ha modificato la rilevanza dei vari strati della piramide della visione di cui sopra, è stata quella dei festival. Costretti a trasformarsi in manifestazioni online, hanno acquisito una visibilità che prima non avevano, stanno scoprendo nuovi pubblici, da locali diventano fruibili a livello nazionale e, a volte, europeo e mondiale, e incrementano il loro valore come strumenti per la promozione dei film, che ormai passano direttamente dalla presentazione in un festival alla fruizione casalinga, senza il passaggio in sala.
L’effetto però più sorprendente, dovuto al Covid-19, di questa rivoluzione del sistema cinematografico e audiovisivo, alla quale tutti noi assistiamo e partecipiamo, è la nuova vita delle cineteche. Archivi, sconosciuti e ignorati dal grande pubblico, che curano quel 90% di cinema che è il patrimonio cinematografico, frequentati finora da studiosi o da autori in cerca di materiali da inserire in film e documentari, hanno cominciato durante il periodo della clausura a rendere disponibile gratuitamente il loro patrimonio, organizzando vere e proprie rassegne. In pochi mesi hanno acquisito familiarità con l’uso delle tecnologie dello streaming. Sono adesso in grado di trasformarsi e gestire canali tematici alternativi e di qualità che si potrebbero inserire in poco tempo in quella piramide della visione dei film che ha alla base ancora le televisioni generaliste e i canali digitali gratuiti e al vertice le sale.
La Cineteca di Bologna è da anni la più importante cineteca italiana, a parte, forse, la Cineteca Nazionale di Roma. Dispone di uno dei più prestigiosi laboratori a livello mondiale per il restauro dei film, L’immagine ritrovata, che ha ormai persino delle sedi all’estero. Ogni anno organizza uno dei più importanti festival internazionali italiani Il Cinema Ritrovato, giunto nel 2020 alla 34a edizione, dedicato particolarmente ai film del e sul patrimonio cinematografico. Il festival nel 2020 è stato il primo festival importante che si è svolto in presenza dopo la riapertura delle sale, a fine agosto invece che a fine giugno, subito prima della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
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Il paradosso, poi, continua perché, dopo l’esperienza online, la Cineteca di Bologna, consapevole che la maggior parte dei film della storia del cinema è introvabile e che anche titoli famosissimi sono misteriosamente non reperibili in rete o visibili solo attraverso copie illegali e di ignobile qualità, ha deciso di rendere, da effimero che era, permanente Il Cinema ritrovato, avviando il progetto Il Cinema ritrovato fuori sala.
Ogni mese Il Cinema ritrovato fuori sala arriverà nelle case degli spettatori grazie alla piattaforma mymovies con un programma di non meno 15 film di lungometraggio. Tutti i film saranno presentati nella migliore versione possibile e introdotti da critici, esperti, registi e testimoni. Il primo programma è disponibile fino al 17 gennaio 2021 e comprende 16 lungometraggi e un totale di 142 titoli tra lungometraggi, corti, documentari e introduzioni ai film.
Si comincia con le versioni restaurate di due film italiani del 1950 ambientati entrambi nel mondo dell’avanspettacolo: il primo film di Federico Fellini, co-diretto con Alberto Lattuada, Luci del varietà, e Vita da cani diretto da Mario Monicelli, con Aldo Fabrizi che praticamente interpreta se stesso.
Saranno disponibili le versioni integrali e non censurate di due film di Marco Ferreri con Ugo Tognazzi, L’ape regina, dove Marina Vlady consuma letteralmente il marito pur di rimanere incinta, e La donna scimmia, nel quale un marito sfrutta la pelosità della moglie per esibirla a pagamento. Di quest’ultimo film si potranno vedere tre finali diversi, quello della versione italiana censurata, quella non censurata e la versione francese.
Per Natale verrà presentata una selezione di materiali d’archivio della Cineteca di Bologna, dalla star del muto Cretinetti, alle immagini del Natale italiano degli anni Sessanta e Settanta.
Dalla Francia provengono due opere con Jean Gabin, un film da riscoprire, Le Plaisir di Max Ophuls e un noir, tratto da un romanzo di Simenon, La verità su Bèbé Donge, firmato da Henri Decoin.
Non potevano mancare, visto il periodo natalizio, due classici con Charlie Chaplin, Gold Rush – La febbre dell’oro e City Lights – Luci della Città.
La biografia del pittore Toulouse-Lautrec ambientata nella mitica Parigi della Belle Époque è raccontata in Moulin Rouge diretto da John Huston, ancora oggi un esempio straordinario di sofisticata utilizzazione del colore al cinema.
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In occasione del compleanno del cinema (28 dicembre) Thierry Fremaux, direttore del Festival di Cannes, illustrerà i primi film dei fratelli Lumière restaurati da L’Immagine ritrovata. Per il pubblico italiano: la voce narrante è quella di Valerio Mastandrea.
Sono anche in programma dieci documentari di Vittorio De Seta, definito da Martin Scorsese “un antropologo che si esprime con la voce di un poeta”, che descrisse con la sua cinepresa un mondo in via di estinzione nel Sud Italia.
Lo stesso Martin Scorsese sarà presente con un documentario del 2014, provocatorio, eccentrico ed incendiario, The New York review of books, nel quale ripercorre la storia letteraria, politica e culturale della celebre rivista.
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Oltre alle qualità delle copie dei film, integrali e restaurate, uno dei valori aggiunti del programma sono le presentazioni dei film, curate dallo stesso Gianluca Farinelli, da Thierry Fremaux o da critici ed esperti come Paolo Mereghetti e Goffredo Fofi.
Il Cinema ritrovato fuori sala è un esperimento che durerà sei mesi. Saranno mesi cruciali per scoprire come evolverà ulteriormente il mondo del cinema, quello dei festival, che potrebbero cominciare a distribuire i film, e quello delle cineteche, che non si limiteranno a conservarli.
Articolo di Ugo Baistrocchi per IlSussidiario.net
Foto: una scena del film "Vita da cani"
E ora, per la serie "La mia abilità indiscussa di fare terra bruciata intorno a me", la posta della settimana. Caro Daniele, volevo andare al cinema a vedere qualche film italiano e mi sono reso conto che non ce n'era uno che mi attirasse. Come mai? (Luciano F.)
Leggi tutto: ECCO PERCHÉ IL CINEMA ITALIANO NON FUNZIONA di Daniele Luttazzi