♥ dalle Idee alle Sceneggiature
Per creare un antieroe è prima di tutto necessario definirlo. Si tratta di un personaggio che sovverte i canoni di un eroe, non si tratta di un antagonista. Non è un cattivo da etichettare come malvagio, ma uno che non ha le caratteristiche fisiche, intellettuali e morali tipiche degli eroi. Ecco le cinque categorie principali:
1. L’antieroe classico
Sovverte tutti i tratti classici di un eroe: coraggio, intelligenza, stoicismo, bell’aspetto. Questo personaggio è veramente mal equipaggiato per affrontare le sfide proposte dalla storia. È insicuro, ansioso e privo delle normali capacità che ha ogni eroe che si rispetti. Se la trama prevede dei combattimenti, potrebbe essere uno che non ha mai brandito una spada o un’arma in generale e non aver mai gestito una lotta. Anzi potrebbe non aver mai intrapreso un’avventura in tutta la sua vita. Però supera le proprie paure e i punti deboli sono invece punti di forza. Questo è un personaggio moralmente abbastanza giusto. Semplicemente non lo sceglieremmo come un eroe. Un esempio è Bilbo Baggins, non è una cattiva persona, è solo uno a cui piace la sicurezza, la comodità e la ricchezza che non ha.
2. L’antieroe cinico
È un personaggio che conosce perfettamente la differenza tra il bene e il male, ma tende a essere molto cinico. Pensa di non poter fare la differenza con le proprie azioni. È troppo pigro e privo di motivazione per unirsi a una lotta. Anche se potrebbe non avere una moralità cattiva, preferisce occuparsi delle proprie cose piuttosto che aiutare qualcun altro. Anche se ha queste mancanze caratteriali poi si unisce al combattimento, ma di solito per un interesse personale. Un esempio è Han Solo di Star Wars che inizia come un mercenario motivato dal guadagno personale. Infatti, accetta solo di aiutare a liberare la principessa Leia perché gli è stata offerta una ricompensa monetaria.
3. L’antieroe pragmatico
È un po’ come una versione peggiorata di quello precedente. Quello che lo contraddistingue è l’egocentrismo e l’essere riluttante ad accettare il ruolo da eroe. La differenza è che in realtà ha maggiori possibilità di entrare in azione perché è meno apatico. Tuttavia, è disposto a fare anche cose cattive se lo ritiene necessario. Diciamo che si sporca un po’ le mani. Un esempio è Edmund di Le cronache di Narnia che è estremamente giusto e pragmatico ma allo stesso tempo risulta antipatico e non è disposto a mostrare misericordia a differenza di un eroe tradizionale.
4. L’antieroe disturbato
Ha un grande bisogno di mettersi alla prova in acque moralmente molto torbide. Non avrebbe problemi a commettere crimini se lo ritenesse necessario. Ha il desiderio di fare del bene, ma tende a essere molto disturbato. Potrebbe non aver superato dei traumi oppure potrebbe avere un forte desiderio di vendetta.
Conan il Barbaro è un esempio perfetto di questo antieroe senza scrupoli. È un personaggio che può lottare per la sua sopravvivenza e spesso compie delle imprese eroiche nel corso della storia.
5. L’antieroe compromesso
Siamo arrivati all’antieroe moralmente più compromesso. Non solo è privo di valori morali, ma può essere anche completamente sinistro. In alcuni casi ha una possibilità di riscatto perché non è malefico come il cattivo della storia. Un esempio è Walter White, uno dei protagonisti di Breaking Bad. All’inizio produce metanfetamina per provvedere al futuro della sua famiglia, ma poi si manifesta un motivo più egoistico. I confini morali si abbattono completamente e alla fine della serie si è trasformato in un vero e proprio criminale.
di ERICA STORI MEZZACQUI per https://ericastorimezzacqui.com/
Se vuoi conoscere meglio questa e altre tecniche di scrittura, clicca qui
Syd Field, autore di Screenplay e The Screen Writer's Workbook ha delineato il paradigma che seguono la maggior parte dei registi. Un paradigma è uno schema concettuale. Il paradigma è la struttura che tiene legate insieme le varie scene. Secondo Field le scene seguono una struttura a tre atti e ciò significa che ogni sceneggiatura può essere divisa in tre parti: impostazione, confronto e risoluzione.
L'atto primo comprende il primo quarto della sceneggiatura. (Nel nostro film l'atto primo durerebbe approssimativamente 30 minuti)
L'atto secondo comprende i seguenti due quarti del film (Nel nostro film durerebbe più o meno 60 minuti)
L'atto terzo comprende il quarto finale del film (Nel nostro film durerebbe circa 30 minuti)
Il "Punto della trama": secondo Field i tre atti sono separati da due punti. Un punto della trama, chiamato anche cambiamento, è un evento che spinge la trama in una nuova direzione, guidandola dentro un nuovo atto della sceneggiatura.
Successivamente i guru della sceneggiatura hanno lavorato su questa teoria, affermando che il primo punto della trama, che guida nell'atto 2, è quando l'eroe raccoglie il problema.
Atto 1:
Esposizione: è la parte della storia che presenta i personaggi, mostra alcune delle loro interrelazioni e li colloca in un tempo e in uno spazio.
Questa parte della storia presenta il personaggio principale, la premessa drammatica e la situazione drammatica.
Protagonista: è il personaggio nella storia che una necessità, un obbiettivo, a cui adempire e le cui azioni guidano la storia.
Premessa drammatica: di che cosa parla la storia.
Situazione drammatica: le circostanze che fanno da sfondo all'azione.
Incidente incitante: un evento che mette in moto la storia. Di solito si presenta approssimativamente a metà del primo atto.
Atto 2:
Ostacoli: nel secondo atto il personaggio principale incorre in ostacoli che l'uno dopo l'altro gli impediscono il raggiungimento della sua drammatica necessità.
Prima culminazione: un punto prima del punto di metà film (O.o) in cui il personaggio principale sembra vicino al raggiungimento del proprio obiettivo. Poi, all'improvviso, tutto crolla, conducendo al punto di metà.
Atto 3:
Climax (Seconda culminazione): il punto in cui la trama raggiunge la sua massima tensione e le forze in opposizione si confrontano in un picco di azione fisica o emozionale.
Scioglimento: breve periodo di calma alla fine del film in cui ritorna uno stato di equilibrio".
Soggetto cortometraggio: “DIVA”
Quando l’attrice Eva Santi scompare dalle scene a ridosso di uno spettacolo una grande attenzione mediatica da parte di giornali e TV accresce l’interesse del pubblico. Quando il suo compagno Renato è invitato a parlarne nel talk show della domenica pomeriggio, incalzato dalle domande della conduttrice è palese il suo imbarazzo nel dover dare una spiegazione plausibile su questa vicenda: “è stressata” queste sono le parole di giustificazione alla scomparsa di Eva, ma la realtà è ben diversa. Il destino della donna è nelle mani del subdolo avvocato Baldassoni e di suo fratello, contadino dalla testa calda. Ancora non è chiaro come questi destini si incrocino ma presto la verità verrà svelata.
PER TUTTA LA VITA
di Susanna Nicchiarelli
con Annagrazia Bassi, Silvio Carloni, Monica Carosi, Guido Cravero, Paola Daidola, Sveva Marinelli, Luciano Nicchiarelli
SINOSSI: a quarant'anni dal referendum sul divorzio, una riflessione sulla battaglia civile che c'è stata e su cosa significava sposarsi prima e dopo la legge sul divorzio. Attraverso il racconto fatto dai protagonisti di storie d'amore finite bene o male, si riflette sulla possibilità dell'amore eterno, mentre un'etologa ci aiuta a rispondere alla domanda che sottostà a tutta la questione: l'uomo è un animale monogamo? La coppia è un fatto sociale o un fenomeno naturale?
SYNOPSIS: forty years after the divorce referendum, a reflection on the meaning of that civil battle in Italy, on what it meant to get married before and after divorce became legal. Couples that have separated or that are still together tell us their story, while an ethologist answers the ultimate question: is man a monogamous animal or not?
COMMENTO DELLA REGISTA: con l'occasione dell'anniversario del referendum sul divorzio, della campagna elettorale che ci fu e dell'importantissima battaglia civile di quegli anni, ho cercato di fare un film che parlasse dell'amore, ossia di come e perché s'inizia una vita di coppia, e di come questa vita in comune ad un certo punto finisce. Volevo anche ricordare com'era distante, e al tempo stesso vicina, l'Italia del 1974, ma soprattutto ho cercato di capire se il significato del matrimonio (e del divorzio) sia cambiato negli anni: mi sono chiesta se alla base della formazione di una coppia ci sia un istinto naturale, oppure solo un fenomeno sociale. Non so se ho trovato delle risposte, il film racconta la mia ricerca.
BIOFILMOGRAFIA: nasce a Roma nel 1975. Dopo la laurea in filosofia, prosegue gli studi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, poi frequenta il Centro Sperimentale di Cinematografia diplomandosi in regia.
Nel 2009 gira il suo primo lungometraggio, Cosmonauta, vincitore del premio Controcampo Italiano alla Sessantaseiesima Mostra del Cinema di Venezia, nominato come miglior regista esordiente sia al Nastro d'Argento che al David di Donatello, vincitore del FrauenfilmFestival di Colonia e del Ciak d'Oro Miglior Opera Prima 2010.
Nel novembre del 2012 realizza il suo secondo lungometraggio, La scoperta dell'alba, con Margherita Buy e Sergio Rubini, presentato in apertura al Festival Internazionale del Film di Roma, selezione ufficiale Prospettive Italia. Tra i suoi lavori, alcuni dei quali prodotti con la propria società di produzione Nicchia Film, ricordiamo i documentari Ca Cri Do Bo (I diari della Sacher), prodotto dalla Sacher di Nanni Moretti, Il Terzo Occhio e L'Ultima Sentinella.
Un film racconta una serie di azioni che delle persone compiono in determinate situazioni. Per iniziare a scrivere una sceneggiatura bisogna avere un’idea di cosa si vuol far fare a queste persone, ai personaggi, di quali situazioni gli si vuole far affrontare, di quali luoghi gli si vuol far visitare. Nonostante tutti gli sforzi che uno scrittore può fare, è praticamente impossibile trovare un’idea assolutamente originale, riecheggerà sempre qualcosa di già visto in un altro film, o letto in un libro, o sentito in una canzone… L’importante, comunque, è non copiare, ma prendere spunto. Si può partire dalla stessa idea, dallo stesso punto di partenza, di un altro autore, per poi prendere tutt’altra direzione ed arrivare in un luogo completamente diverso.
Arto fantasma prende il nome dalla sindrome dell’arto fantasma che è la sensazione anomala di persistenza di un arto dopo la sua amputazione, spesso la sensazione più diffusa è il dolore, metafora tra la perdita di un arto e la perdita della persona amata che subisce il protagonista. Questa perdita è da subito uno shock, il protagonista si “rifugia” dentro se stesso trasportato da una forza invisibile e misteriosa che non gli lascia altra scelta che immergersi nella profondità, una profondità però che all’inizio è vuota, colma solo di ricordi che il protagonista straccia nella sua mente, ma ancora una volta lo soccorre una forza di cui avverte la presenza misteriosa che lo trasporta in un viaggio denso di emozioni. Dapprima c’è l’incontro con la bellezza ma questa si blocca e ancora una volta lui viene investito dal vuoto dello shock, e dell’incredulità. Il “viaggio” continua e al vuoto subentra la rabbia, e nella disperazione legata a così tanta negatività e alla voglia di distruggere il mondo, un mondo felice ormai lontano, qualcosa cambia, la rabbia se ne va, e nel protagonista giunge una leggera serenità che culmina con l’incontro tra il protagonista e quella misteriosa forza (che può essere chiamata destino o Dio), tramite quell’incontro il protagonista riacquista, almeno in parte, la fiducia nel destino.
“Arto Fantasma” si vorrebbe proporre dunque come un flusso mentale di emozioni e pensieri, che si
svolgono nella profondità di un uomo, dove la razionalità, lascia spazio alla verità, a cui si giunge
solo tramite la bellezza che genera l’emozione, che è irrazionale, e mediante l’estasi e la meraviglia
nell’avvertire qualcosa di grande ed eterno, che forse decide il nostro destino.
Una riflessione fondata principalmente sul concetto del Destino, ma anche su come l’uomo può
affrontare la morte e la sofferenza che genera la profondità, e l’elogio dell’emozione e del bene.
LE MUSICHE
Gustav Mahler (1860-1911) è considerato, nell’ambiente classico, forse l’ultimo grande compositore
di sinfonie e la nona (l’ultima completata) è una delle poche sinfonie capolavoro del XX secolo.
La nona sinfonia (della quale, in arto fantasma, è presente solo il IV movimento)è principalmente
caratterizzata da un senso di solitudine e un sentimento di morte, che sono stati d’animo prevalenti
del tardo romanticismo.
Il pezzo centrale è invece il IV movimento della quinta sinfonia, caratterizzata dal suo portamento
eleganza ottenuto con timbri orchestrali delicati.
LA PRODUZIONE
La produzione di “Arto Fantasma” è autonoma e senza nessuna supervisione di un educatore o di un
operatore specializzato.
Il soggetto è stato sviluppato da Alberto Frigo a partire dal mese di Giugno (2013).
Le riprese si sono svolte alla fine di Luglio, terminando il 6 settembre, a Vicenza.
Le fasi di editing si sono svolte parallelamente alle riprese e terminate il 14 settembre.
Si tratta di una produzione no-budget.
GLI EFFETTI SPECIALI
Gli effetti speciali comprendono le scene costruite in grafica computerizzata dei due pianeti, e sono
state create grazie al software Blender, adoperando le texture delle nuvole scaricabili dal sito della
NASA.
MEZZI UTILIZZATI
Nikon D3100 – 18-105 VR
Software Adobe Premiere Pro
Software 3D Blender
Satana è in gran forma
di Manuel Lopez
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GIANLUCA
Sicuro che non mi si rovinano?
senti quanto sono soffici…
Sto usando un balsamo fantastico, non vorrei…
GREGORY (spazientito)
Gianluca, giuro che se non la smetti
prendo la macchinetta, ti faccio la boccia
e ti raso pure le sopracciglia!
GIANLUCA
Gregory, mia madre m’ammazza…
GREGORY
Cazzo, hai trent’anni,
ancora pensi a quello
che dice la mamma?
GREGORY (convincente)
Oh, mettila così:
tua madre avrà presto
un figlio la cui faccia
sarà in tutte le librerie.
Pensa che soddisfazione!
Pensa quanto la farai felice!
GIANLUCA
Gregory…
GREGORY
Dimmi.
GIANLUCA
Perché sul tuo libro
non ci metti la tua faccia?
GREGORY
Te l’ho detto, cazzo, non posso,
pubblico il libro con un altro nome.
GIANLUCA
Uno pseudomino…
GREGORY
Si dice pseudonimo.
Comunque sì, quello.
Quindi non posso usare la mia faccia.
L’editore non me lo permette.
GIANLUCA
Gregory…
GREGORY (spazientito)
Che c’èèè?
GIANLUCA
Di che parla il libro?
GREGORY
Di un uomo che cerca
la perfezione in ciò che fa.
GIANLUCA
E la trova?
GREGORY
Certo che la trova cazzo!
GIANLUCA (disperato)
Oh mio dio…
GREGORY
Oh mio dio!
Sei perfetto cazzo!
Sei Skull Crasher!
GREGORY
Fermo così.
Poi la passo a Photoshop!
GREGORY (v.o.)
Facevano un weekend a testa,
da tre anni, un’estenuante relazione
a distanza Roma/Milano
che lo stava lentamente logorando.
Quel venerdì 28 settembre
toccava al mio amico Gianluca Rentoni.
Sarebbe arrivato in Stazione Centrale alle 17:30.
Alessandra l’avrebbe aspettato
come sempre davanti al Mc
nella sua Golf GTI nera.
A lei i soldi non mancavano,
infatti aveva già prenotato
al cubano di via Venini.
L’aveva fottuto. Fottuto di nuovo.
A Gianluca quel ristorante faceva cacare.
Costava un botto.
Perché non era riuscito a dire ad Alessandra
che era scannato e preferiva una pizza?
Era incastrato e non aveva
le palle per tirarsene fuori.
GIANLUCA
E’ già passato il 61?
SIGNORA ANZIANA
No.
SIGNORA ANZIANA
E’ in partenza?
GIANLUCA (scazzato)
Sì, Milano.
SIGNORA ANZIANA
Mi saluti la Madonnina.
GIANLUCA
Gregory!
GREGORY
Su Facebook sono sommerso di “like”.
GIANLUCA
Quanti?
GREGORY
Più di mille.
Una media di uno ogni mezz’ora.
GIANLUCA
Di già?
GREGORY
Ne parlano tutti.
Anche quello psicopatico di Fromell.
GIANLUCA
Fromell?
GREGORY
Filip Fromell.
è lo pseudonimo di Ettore Molinaro,
uno scrittore splatterpunk milanese,
mio diretto concorrente.
Se vai sul suo profilo
c’è da schiattare…
GREGORY (ridacchiando)
…mi vuole morto.
GIANLUCA
Come sarebbe ti vuole morto…
GREGORY
è invidioso
perché in questo momento
vendo più di lui.
Vabé, lasciamo stare… Stai partendo?
GIANLUCA
Sì.
GREGORY
Ancora appresso ad Alessandra?
Mollala Gianluca.
GIANLUCA
Fosse facile…
Non ce la faccio.
GREGORY
Milano ti sta uccidendo.
Non puoi fare avanti e indietro
ogni due settimane.
Per fare cosa poi?
Cenetta romantica al solito
cubano di merda e poi scopatina
a casa coi suoi che guardano la tv?
GIANLUCA
Ma che ne sai tu…
Stai in camera tutto il giorno,
ti pagano per scrivere.
Ti sei fatto un nome
che neanche ti basta più e
hai avuto bisogno di trovartene un altro…
GREGORY
Allora?
GIANLUCA (sconsolato)
Allora…
A volte mi chiedo che farebbe
Skull Crasher al mio posto.
GREGORY
Lo vuoi proprio sapere?
Se ne sbatterebbe il cazzo.
GUENDALINA (assonnata)
Gregory…
GREGORY
Gianlu’, ti devo salutare,
c’è del lavoro per Skull Crasher.
Roba impegnativa…
MIRIAM
Hey! Sei mica Skull Crasher?
GREGORY (v.o.)
Povero Gianluca…
se avesse detto la verità
sicuramente sarebbe ancora tra noi.
Non lo fece, decise di giocare.
È eccitante essere qualcuno
che la gente ammira.
GIANLUCA (atteggiandosi)
Si, sono io.
MIRIAM (eccitata)
Merda! Glielo dicevo alla mia amica!
Non ci credeva. Mi chiamo Miriam.
Lei è Erika.
ERIKA
Verde stavi meglio…
Ti vesti sempre così?
GIANLUCA
Così come?
MIRIAM
Così normale…
GIANLUCA
Solo quando ho un appuntamento di lavoro.
Vado a Milano a
parlare con un produttore.
MIRIAM
Wow! Di che si tratta?
GIANLUCA
Una serie web.
MIRIAM
Non dirmi che
è tratta dal libro!
MIRIAM
Questa roba è una bomba,
te la batti con Fromell,
mica è da tutti!
ERIKA (riprendendo la birra)
Fromell non si batte!
MIRIAM
Senti ma girate anche
la scena dell’affettatrice all’asilo?
GIANLUCA
Forse.
Dipende dal budget…
MIRIAM
Non vi servono attrici,
comparse, assistenti?
Facciamo tutto.
(Strizza un occhio) Ma proprio tutto…
GIANLUCA (estraendo l’i-Phone)
Se mi date i vostri numeri
vedo quello che posso fare.
ERIKA
Prima dimostraci
che sei Skull Crasher!
MIRIAM (girandosi di scatto)
Erika!
ERIKA
Che c’è! Voglio essere sicura
che non ci stia
prendendo per il culo!
MIRIAM
Ha ragione,
dimostraci che sei Skull Crasher.
GREGORY (v.o.)
Gli avevo raccontato che in
“Satana è in gran forma”
ci sarebbero state
più nefandezze e turpitudini
di qualsiasi libro di Fromell.
ERIKA
Allora?
MIRIAM
Stiamo aspettando.
GIANLUCA (alzandosi)
Scusate, è il produttore.
ERIKA
Non mi convince…
Guarda com’è vestito,
è un fighetto!
MIRIAM
Si vede che gli piace
andare in giro così, tu che ne sai…
Dio, se ci fosse qui Fromell
sai che gli farebbe?
ERIKA (ghigno perverso)
Non oso immaginarlo.
MIRIAM
Sei pronta?
GIANLUCA
Ma come non puoi venirmi a prendere!
Lo so che esiste la metro,
però dai, ho la valigia…
Alessandra… pronto… prontooo!!!
Vaffanculo, tu e il cubano!
Maledetta…
MIRIAM (v.o.)
Hey! Scrittore!
Facci vedere se
Satana è davvero in gran forma!
GUENDALINA
Chi cazzo è Miriam Deathpunk?
GREGORY (nudo sul letto)
Non lo so, chi è?
GUENDALINA
Dimmelo tu!
Ti ha appena taggato su Facebook.
GREGORY
Sarà una fan di Skull Crasher…
GUENDALINA
Giuro che se è una
delle tue troie…
GUENDALINA
Cazzo!
GREGORY (saltando giù dal letto)
Che roba è?
GREGORY
Merda… Gianluca…
GREGORY (v.o.)
Pensai a uno scherzo,
a una trovata di Filip Fromell.
Non era nuovo a quel genere
di pubblicità splatter.
Poi mi ricordai dello status su Facebook:
“Morte a Skull Crasher!
Trovate quel cane,
strappategli gli occhi
o smetto di scrivere!”
GREGORY (v.o.)
Miriam Novelli ed Erika Borghi
vennero rintracciate e arrestate il giorno stesso.
La psicologa che le ebbe in cura,
la dottoressa Eleonora Franzi,
bella gnocca,
disse che l’ingenuità delle assassine
nell’aver postato le foto
della vittima su Facebook
era proporzionale al nero
in cui si perse scrutando le loro menti.
Stronzate. Erano solo due fanatiche del cazzo!
MIRIAM
Il cervello di un tossico.
GREGORY (v.o.)
Ettore Molinaro, alias Filip Fromell,
maledisse il giorno
che aveva ordinato su Facebook
di uccidere il suo diretto concorrente.
Le vendite di “Satana è in gran forma”, infatti,
salirono vertiginosamente. Grazie Ettore!
GREGORY (v.o.)
I genitori di Gianluca Rentoni
appresero della morte del figlio al TG5,
ma si consolarono un po’ quando,
entrando sconvolti alla Feltrinelli,
videro la foto dietro al libro di Skull Crasher.
La signora Rentoni si rifiutò
di andare oltre la seconda pagina.
GREGORY (v.o.)
…Il marito, invece, lo lesse d’un fiato
e a sessant’anni apprese interessanti cose nuove,
come la scopofilia o cos’è un dental dam.
GREGORY (v.o.)
In quanto a me.. beh..
il vero autore del romanzo rimane tutt’ora
uno sconosciuto,
ma non fatevi venire strane idee:
di Skull Crasher ce n’è uno solo
ma lo capirei se anche a voi venisse voglia
di prendere il mio posto,
ELEONORA
Gregory…
GREGORY (v.o.)
dopotutto,
È eccitante essere qualcuno che la gente ammira!
FINE
SINOSSI del cortometraggio “11.sette.82”
L’11.07.82 è per moltissimi italiani un giorno di memorabile felicità: alle ultime luci di quella caldissima giornata estiva, infatti, la nazionale di calcio entra sul prato del Santiago Bernabeu in Spagna per giocare una finale, quella contro la Germania Ovest, che le darà il suo terzo titolo mondiale.
Quel giorno, però, in un paesino del sud Italia, mentre i più sono incollati ai televisori per seguire un’ormai storica telecronaca sportiva e subito dopo si riversano per strada, distratti da chiassosi festeggiamenti, qualcuno consuma scelte drammatiche che segneranno la propria esistenza e quella di altri in modo ineluttabile, fino alla conclusione dei nostri giorni. Dopo trent’anni, quindi, un epilogo carico di tensione e con finale a sorpresa che dà spunti per riflettere sulle dolorose conseguenze di scelte indotte in una fragile mente allorché condannata all’emarginazione dal pregiudizio o dalla una non meno colpevole indifferenza.
DOLCETTO O SCHERZETTO
(soggetto cortometraggio)
GENERE: muto, perciò onirico
TEMI: bullismo, amicizia
Nella prima B gli alunni sono seduti ai loro banchi, in maniera composta, e scrivono sui fogli che hanno davanti. Le loro braccia sembrano muoversi meccanicamente, da sinistra verso destra.
Tutto è ordinario, tutto è preciso, tutto è perfetto.
Finché un ragazzo non si accascia: la testa di RICHARD casca sul tavolo.
I compagni si voltano lentamente a guardarlo, poi fissano la scrivania dell'insegnate: è vuota.
Rimasti soli, si alzano in piedi e si avvicinano al banco di Richard.
LORENZO afferra una manica del maglioncino del ragazzo, la solleva e lascia ricadere il braccio.
Qualche ragazza è spaventata. Gli altri si fissano tra di loro cercando una spiegazione.
Poi ALESSIO nota la carta di una caramella accartocciata sul banco di Richard. La prende, la osserva e la mostra ai compagni.
Iniziano a sospettare qualcosa e MARTA ha un ulteriore indizio. Richiama l'attenzione degli altri, per mostrare che all'interno dello zaino di CHIARA c'è un pacco di caramelle, le stesse che hanno fatto svenire Richard.
I compagni non perdono tempo e giungono alla conclusione: Chiara è colpevole. Le puntano le dita contro e la minacciano con sguardi severi.
Chiara è scioccata, non può credere che la si accusi di questo né tanto meno sa come difendersi.
Sentendosi afferrare dalla mano di MANUEL, si libera e scappa fuori dall'aula. In cuor suo spera di trovare qualcuno a cui chiedere aiuto, ma la scuola è deserta.
Il banco di Richard trema, la sua testa si sta muovendo, sta ridendo!
Richard solleva il capo divertito e gli amici si compiacciono dello scherzo.
DESIRÉE, arrabbiata, segue Chiara nel tentativo di tranquillizzarla.
ANDREA, vedendo correre Desirée fuori dall'aula, la segue a sua volta.
Chiara si sta muovendo lungo il corridoio del piano superiore, spia fuori dalle finestre, ma anche da là non riesce a vedere nessuno.
A un tratto le appare LUCA alle spalle e le fa prendere uno spavento. Poi riconoscendolo si tranquillizza.
Luca sorride, tira fuori di tasca un foglio di quaderno, poi lo accartoccia e lo attorciglia, fino a fargli prendere la forma di una caramella. A quel punto si avvicina a Chiara, la quale appare preoccupata; infatti Luca la sta spaventando con la sua caramella di carta. Ma Chiara indietreggia, fino ad arrivare contro la parete.
Una volta con le spalle al muro sembra bloccata, ma per fortuna la porta accanto a lei si apre. Una mano dall'interno si sporge per afferrare Chiara per un braccio e trascinarla dentro.
La porta si richiude di scatto. Luca tenta di aprirla ma inutilmente.
Dall'altra parte c'è Desirée che, con forza, la tiene bloccata.
Quando Luca sembra essersi calmato, Desirée lascia la maniglia. Chiara le si getta tra le braccia per ringraziarla.
In quel momento, nel corridoio arriva Richard con la sua gang. Luca si agita per far capire loro che le ragazze sono chiuse dentro la stanza. Non vede l'ora di divertirsi, ma gli altri non sembrano ascoltarlo.
Desirée spia dal buco della serratura quel che sta accadendo fuori: a un gesto di Richard, GIUSEPPE e VALTER reagiscono afferrando Luca per le spalle e bloccandolo a terra.
A quel punto Richard gli si siede sopra per schernirlo.
Luca grida e tenta di sollevarsi, ma senza successo.
Desirée, approfittando della distrazione dei ragazzi, spalanca la porta e, afferrando Chiara per una mano, corre via trascinandosela dietro.
Richard si volta e le vede scappare. Grida ai suoi di prenderle ma sono già lontane. Ad ogni modo, si staccano da Luca che ne approfitta per sgattaiolare via e rifugiarsi in bagno.
I ragazzi e le ragazze rimaste in classe si sporgono dalla porta per spiare, ma non vedono nulla di interessante e si ritraggono.
Intanto Chiara e Desirée provano a uscire dalla scuola ma le porte sono chiuse.
Non sanno dove andare, ma in loro soccorso arriva Andrea che le sprona a seguirlo.
Gli allievi in classe si appoggiano con le spalle al muro e si siedono per terra, non hanno la forza di agire in alcun modo.
Chiara, Desirée e Andrea vedono finalmente un portone aperto. Felici, si fiondano verso l'uscita ma a pochi metri dalla salvezza, la via viene loro ostruita da Richard e la sua gang.
La banda era nascosta fuori, pronta ad attenderli.
I tre si fermano di schianto. Chiara e Desirée si guardano non capendo come abbiano fatto a precederle, ma quando si sentono afferrare le braccia da Andrea, comprendono di essere state tradite. Andrea se la ride.
ERIKA, che era seduta sul pavimento della classe, si alza in piedi. Tira un colpo a un quaderno e lo fa cadere. Ha trovato la forza di decidere.
Chiara è spaventata e Desirée prova a incoraggiarla.
Circondate dai ragazzi, si stringono una all'altra.
Richard le afferra per i capelli, loro chiudono gli occhi... ma non succede nulla.
Quando li riaprono si accorgono degli altri: coloro che erano rimasti fermi in classe, ora le stanno aiutando. Fanno scudo con i loro corpi e allontanano gli aggressori o li assimilano a loro.
Desirée e Chiara si sentono protette e parte dell'insieme.
Richard si allontana, sa di aver perso.
Frugando nella tasca trova ancora una caramella. La scarta e la mangia.
Ma la caramella gli va di traverso, Richard si sente soffocare.
Ormai è solo, nessuno può aiutarlo...
ma Chiara, che si era accorta di lui, lo raggiunge per dargli due colpi sulla spalla e farlo tornare a respirare.
Richard è commosso dal gesto della ragazza.
FINE
da Istituto Comprensivo Statale "E. FRASCARO" di Supersano (LE)
TITOLO : Il peso di una piuma
DURATA : 8'17”
ANNO : 2013
FORMATO ORGINALE : Mini Dv
SUPPORTO DI RIPRESA : Panasonic AG-DVX100BE
REGIA : Liberto Savoca, Francesca Rizzato
SINOSSI : Stanca di una situazione familiare difficile da vivere per un'adolescente, una ragazza arriva a pensare che l'unica soluzione sia quella di togliersi la vita. Con un blister di pillole e un album pieno di ricordi nella sua borsa, raggiunge quella panchina isolata all'interno del parco. Ricordi di felici momenti della sua infanzia sopravvivono solo in quelle foto. Ormai sono solo istantanee di un passato troppo lontano.
CAST : Francesca Rizzato, Liberto Savoca, Diego Rizzato, Daniela Martignoni, Denise Martignoni
COLONNA SONORA : Mauro Crivelli, Giusi Bisantino
BIOGRAFIA DELL’AUTORE:
Liberto Savoca(1980) e Francesca Rizzato(1991), sono una coppia dal 2007. Perito informatico in cerca di occupazione lui, grafica pubblicitaria impiegata presso un'azienda di Livorno lei, nel 2011, complice una grande passione per tutto ciò che è cinema, decidono di fondare la Frozen Lake Movie Productions. Una piccola produzione indipendente di cortometraggi, a budget 0, unendo la passione alla voglia di creare qualcosa dal niente. Iniziano con due semplici handycam e un cavalletto, girando i primi corti(Kora, L'ombra di un sorriso) e ottenendo qualche piccola soddisfazione, tra selezioni alle fasi finali di vari concorsi ed un paio di premi. Ciò li spinge a cercare di migliorare la loro attrezzatura tecnica, e ad inizio 2012 acquistano una Panasonic DVX100 e un cavalletto semi professionale. Continuano a girare cortometraggi, variando tra thriller, horror e drammatico, ottenendo qualche altro riconoscimento. Liberto e Francesca curano ogni dettaglio, tecnico e non, della realizzazione delle loro opere, dalla scrittura del soggetto e della sceneggiatura, alla regia, riprese e montaggio. A parte l'ultimo corto girato, Il peso di una piuma, è Francesca a curare anche la colonna sonora, componendo brani attraverso Magix Music Maker. Un lavoro dove entrambi cercano di dare il meglio unendo le loro capacità. La realizzazione delle opere è solamente frutto della loro “fantasia” e della passione per questa arte, senza studi pregressi. Gli interpreti dei loro cortometraggi sono, finora, tutti a livello familiare, amatori del genere, ma senza alcuna competenza in merito.
FILMOGRAFIA:
2011 : Oltre l'eternità (cortometraggio), Kora (cortometraggio), L'ombra di un sorriso (cortometraggio)
2012 : Un euro di felicità (cortometraggio), Spengi tutto, accendi il cervello! (spot), Una storia qualunque
(cortometraggio), Il conflitto del buio (cortometraggio), Rovi (cortometraggio), Proprietà privata
(cortometraggio), Per un pugno di dollari (cortometraggio), Chi cerca... non trova (cortometraggio)
2013 : Il peso di una piuma (cortometraggio)
SELEZIONI CONCORSI PRECEDENTI : Family Film Festival 2013, Premio Carpine D'Argento 2013 –
CortiFestival sulle Problematiche Sociali
PREMI RICEVUTI : Family Film Festival 2013 – Miglior Cortometraggio, Miglior Attrice (Francesca Rizzato)
L’ASSENZA
di Giovanni Romeo
Sinossi:
Nella solitudine claustrofobica di una stanza un uomo, inquieto e insicuro, affronta le angosce di un amore (non corrisposto) che lo ha condotto ad un allontanamento dal mondo (e dalla realtà). Il suo quotidiano scorre via lento e gravido di disperazione, una disperazione che lo accompagna inesorabilmente anche nei gesti più comuni (mangiare, fumare). All’interno di un cassetto l’uomo custodisce/cela la foto della donna che ama (e dalla quale non è ricambiato), pensiero ossessivo e causa delle sue maggiori conflittualità interiori. Il protagonista cerca invano di vincere l’angoscia e il senso profondo di inadeguatezza che la situazione gli provoca, ma il tentativo di riconciliazione col sé (e col mondo) rimane insoluto, nonostante uno spaccato erotico in cui il desiderio (in via secondaria) verrà appagato.
Buongiorno Buonasera
di Vittorio Merlo
Sinossi
“Buongiorno Buonasera nasce dalla nostalgia del mare, in particolare del Mediterraneo. Abitando in Lussemburgo da quasi 20 anni il mare è per me diventato ancora più lontano di quando ero a Milano. Sento nostalgia per i colori, gli odori e sapori. Scrivere questa canzone è stata una specie di autoterapia, un viaggio con la fantasia tra i miei ricordi di posti visti e il mio desiderio di posti ancora da visitare: il sogno del mare. La canzone vuole essere anche un omaggio alla cultura di questa zona geopolitica il cui ruolo è stato troppo spesso sottovalutato.”
Vittorio Merlo e Riccardo Zappa si conoscono da molto tempo, avendo già collaborato, negli anni ’80, per poi, come capita, perdersi di vista. Questa collaborazione nasce dalla tensione di Vittorio a “vestire” le sue canzoni in maniera assai personale; tanto da spingerlo, più recentemente, a ricontattare Riccardo Zappa, tramite un social network, per proporgli di gestirne gli arrangiamenti.
Il risultato è un tessuto sonoro assai originale, fatto unicamente di chitarre e percussioni, con l’aggiunta di pochissimi colori, come l’accordéon suonato da Patrick Bessire.
L'ARTE DEL FAI DA TE
di Alessandro Tamburini
Sinossi estesa
Alessandro è un giovane appassionato di cinema, povero in canna.
Al paese, dove sta girando il suo film amatoriale è disturbato dalle pressioni dei
compaesani affinché trovi un lavoro normale e si sistemi, lasciando perdere
definitivamente la sua passione. A partire dallo zio, che procura al ragazzo un primo
lavoro, al ragazzo romeno, che prende in giro il ragazzo per la sua scarsa voglia di
lavorare.
Alessandro si trova, quindi, in una sorta di campo minato, nella piccola realtà di un
paesino romagnolo dove l’unico modo per vivere un’esistenza tranquilla sembra quello di
trovare un lavoro sicuro.
Alessandro sceglie, quindi, di sopravvivere, a vantaggio di un maggior tempo da
dedicare alla sua passione: il cinema. “Perché il cinema è la mia prima ragione di vita”,
dice il protagonista. Due figure salvifiche si faranno strada nella vita di Alessandro, tra
queste un pittore settantenne, grande amico di Alessandro, che suggerisce al ragazzo un
modo alternativo per vivere un'esistenza tranquilla.
Note di Regia
L’Arte del Fai da Te, ovvero l’Arte di Arrangiarsi in un contesto dove molti fattori sono ostili. Qui il titolo calza alla perfezione, alludendo sia all’Arte di arrangiarsi “morale” (dopo il disfacimento della condizione sentimentale del protagonista), sia a quell’Arte “materiale” della sopravvivenza, dovuta al fatto di trovarsi di colpo con i soli introiti del padre e della sorella: quei venti euro al mese che portano il povero Alessandro in una girandola di comici sotterfugi anche solo per spostarsi da un luogo all’altro.
Cosa lo tiene in vita, cosa gli permette di affrontare ogni giorno una nuova sfida? La sfrenata passione per il cinema.
“Perché il cinema è la mia prima ragione di vita”, dice il protagonista.
E’ un cortometraggio a bassissimo budget, composto (sia in parte del cast e nella troupe) da allievi ed ex-allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Come in alcuni miei lavori amatoriali ho fatto recitare attori non professionisti, che qui fungono da pittoresco ed efficace contorno per delineare il disagio del protagonista al paese: dall’anziano e sfruttato zio che offre il primo lavoro al ragazzo; dal gruppetto degli anziani al cimitero, durante la recita di una scena horror; al ragazzo rumeno che dà in consegna il trattore ad Alessandro; al pittore, grande amico del protagonista, che gli svela la ‘strada maestra’. Tutta gente di paese che ha affrontato per la prima volta un set vero e proprio.
Fondamentale, dunque, la presenza di una strepitosa Sandra Milo. Già icona del cinema di Fellini, rappresenterà l’immagine salvifica per il ragazzo, che lo aiuterà nella sua svolta.
Sandra, entusiasta della sceneggiatura, ha acconsentito gratuitamente di partecipare al film.
Regia: Alessandro Tamburini
Anno di produzione: 2013
Durata: 15'
Tipologia: cortometraggio
Generi: commedia
Paese: Italia
Distributore: n.d.
Data di uscita:
Formato di proiezione: DV 16:9, colore
Titolo originale: L'Arte del Fai da Te
Sinossi: Alessandro è un giovane appassionato di cinema, povero in canna.
Al paese, dove sta girando il suo film amatoriale è disturbato dalle pressioni dei compaesani affinché trovi un lavoro normale e si sistemi, lasciando perdere definitivamente la sua passione. Un pittore settantenne, grande amico di Alessandro, gli suggerisce un modo alternativo per vivere un'esistenza tranquilla.
Ambientazione: Solarolo (RA) / Massa Lombarda (RA)
Come provare a venirne a capo in un mondo privo di regole (quale è la nostra immaginazione). La Poetica di Aristotele
Aristotele è il padre (in)consapevole della narrazione contemporanea. In un certo senso, se non fosse stato per lui non saremmo qui a parlare di regole, strutture e paradigmi. Non lo faremmo noi comuni mortali, ma non lo farebbe neppure Syd Field e non lo farebbero neanche Vogler o Campbell.
Intorno al 330 a.C., Aristotele è un filosofo affermato: ha già fondato la sua scuola, il suo Peripato, e si accinge a pubblicare la Poetica, un trattato che prova ad approfondire l’arte della narrazone, analizzando principalmente la tragedia e l’etica, focalizzandosi sulla mimesi (la riproduzione della realtà) e sulla catarsi (la purificazione che porta alla trasformazione).
(foto: Thelma & Louise (1991, di Ridley Scott))
Partendo da questi presupposti, Aristotele arriva a sostenere che la narrazione, per essere compiuta e “perfetta”, deve avere unità al suo interno. Ci sono, però, tre tipi di unità: unità di tempo, di luogo e di azione.
Secondo Aristotele, infatti, un’opera narrativa è tale quando si svolge in un unico spazio (unità di luogo), possibilmente in un arco temporale definito (unità di tempo) e portando avanti un unico obiettivo (unità di azione).
Il Paradigma di Syd Field
Su questa base, Syd Field (autore e sceneggiatore americano) ha sviluppato il Paradigma, un modello preziosissimo per sviluppare al meglio una storia e trasformarla, piano piano, in una sceneggiatura pronta per essere venduta al mercato americano.
Il Paradigma di Syd Field è costruito partendo dagli insegnamenti di Aristotele e arriva alla suddivisione della narrazione in 3 atti (che io preferisco chiamare parti, per non rischiare di chiudermi troppo in costruzioni “scomode”).
Secondo Field, perché una storia funzioni deve avere un inizio, una parte centrale e una fine (Atto I, Atto II, Atto III). L’inizio, detto Set Up, è l’apertura della narrazione, la presentazione dei luoghi e dei personaggi della storia. Qui conosciamo il nostro protagonista, le sue abitudini, il luogo in cui si trovava poco prima dell’inizio dell’azione. La parte centrale, detta Confrontation, è il cuore della narrazione, quella in cui il protagonista comincia il suo viaggio e affronta i suoi ostacoli, i suoi mostri, i suoi demoni. La fine, detta Resolution, è la resa dei conti, la soluzione a tutto, la fine dei giochi. Il protagonista ritorna a casa dopo il suo lungo viaggio e, forse, può tirare un sospiro di sollievo.
Come si passa da un atto a un altro, da una parte all’altra della narrazione? Ci sono due punti focali da tenere a mente, uno tra il primo e il secondo atto, uno tra il secondo è il terzo atto: Syd Field li chiama Plot Point.
Il Plot Point I è quella cosa che dà avvio alla nostra storia, l’eventoche spinge il protagonista a intraprendere il suo viaggio: succede qualcosa, all’improvviso, nella vita dell’eroe che lo porta a lasciare temporaneamente la sua vita precedente e a “partire”, anche simbolicamente, alla ricerca di qualcosa, una sola cosa, che lo riporterà a casa trasformato, diverso, possibilmente migliore. Il viaggio ha luogo durante tutto il secondo atto, la parte centrale, quella del confronto.
Questo momento, nel Viaggio dell’Eroe di Vogler, lo abbiamo riconosciuto come Il Varco della Soglia, ricordate?
Il Plot Point II, invece, è l’evento che porta l’eroe alla risoluzione dei suoi conflitti, alla fine del suo viaggio, al ritorno a casa. Nello schema di Vogler che parla del viaggio dell’eroe, questo momento specifico coincide con l’uscita dalla “caverna” verso La Via del Ritorno.
Prima di procedere alla stesura del nostro racconto, dobbiamo avere a mente, più di ogni cosa l’inizio, la fine e i due “plot point”, le due svolte narrative. Una volta chiari questi punti, siamo pronti per procedere.
La regola delle 4 pagine
C’è chi paragona il processo creativo alla gestazione di una gravidanza. Prima di partorire qualcosa di oggettivamente importante per noi e per la nostra esistenza, dobbiamo passare in entrambi i casi un periodo doloroso e faticoso, fatto di crisi, stress, paure, ripensamenti.
La fase iniziale è quella più critica: hai un quadro generale molto confuso di ciò che vorresti, il tuo protagonista è ancora un essere informe che ha bisogno di uno scopo per andare avanti e la tua narrazione è ferma a un bivio, in stallo, non sa bene dove andare.
In questa fase iniziale, Syd Field ci propone un ottimo esercizio, un piccolo trattamento di 4 pagine che funga da base e tramite tra la scaletta preparatoria e il vero trattamento che precede la sceneggiatura.
Prendete un po’ di fogli (6, se possibile, poi capirete perché).
Sul primo foglio sviluppate tutto il primo atto. Usate mezza pagina per descrivere visivamente tutto ciò che ha luogo in apertura della vostra storia. L’altra metà dedicatela, invece a creare un riassunto degli avvenimenti che accadono durante il primo atto.
Prendete un secondo foglio. Usate mezza pagina per sviluppare il Plot Point I: cosa succede? dove si trova il protagonista? qual è il suo bisogno drammatico? E’ cambiato o è sempre lo stesso?
Prendete un terzo foglio ed elencate tutti i potenziali ostacoli che il vostro protagonista affronterà in tutto il secondo atto. Mettetelo momentaneamente da parte.
Prendete un quarto foglio. Usate l’intera pagina per sviluppare tutto il secondo atto. Recuperate il foglio con gli ostacoli e cominciate a creare una linea tratteggiata da un punto all’altro. Cosa succede? Come si muove il protagonista? Chiede aiuto? Lo riceve? Chi sono i suoi nemici?
Prendete, ora, un quinto foglio. Usate mezza pagina per descrivere tutto ciò che accade durante il Plot Point II. Cosa succede a due passi dalla risoluzione del conflitto? Provate a raccontarlo anche utilizzando dei dialoghi, non siete costretti a descrivere un’azione.
(La scena finale di Thelma & Louise)
Ora prendete il sesto e ultimo foglio. Usate mezza pagina per fare un riassunto breve di tutto ciò che accade nella fase finale del racconto. L’altra metà vi servirà a descrivere visivamente i luoghi e le azioni nel dettaglio.
Come mai Field parla di 4 pagine se le pagine che vi ho chiesto di usare sono 6? Facciamo i conti insieme: ogni atto ha bisogno di una pagina intera, i plot point si sviluppano su mezza pagina e una pagina extra ci serve per appuntarci un elenco più o meno sterile degli ostacoli che il nostro eroe deve superare. 4 pagine (più 1).
Il trillo di un telefono, una donna che sale le scale di un condominio con il cellulare schiacciato sull’orecchio e una ciabatta per la corrente che le pende da una mano.
E’ l’inizio di una preparazione ossessiva ad un mondo irreale, minuziosamente architettato per conseguenza ad una società alienante e consumista. E’ l’inizio di una corsa asociale che rifiuta ogni tipo di contatto esterno alla propria intimità, trovando rifugio nel sogno illusorio di una vita parallela. Una vita dettata da un mezzo di comunicazione di massa, che addormenta.
Un tango appassionato, un uomo che sembra caduto dal cielo e che cancella la tensione provocata da qualcosa di ignoto.
Nel finale, lo sguardo inquietante della protagonista si rivolge al pubblico svelando la coscienza di essere una vittima sociale. Chissà se uno degli spettatori, specchiandosi con lei attraverso lo schermo, si domanderà: “sono anch’io nella stessa, pessima condizione?”
di Ermelinda Coccia
NOTE DI REDAZIONE: E' UNA IDEA MOLTO, MA MOLTO GENERICA. IL FINALE E' DI QUALCOSA CHE NON C'E'.
Un uomo si risveglia legato in un ambiente che non riconosce. Un ragazzo comincia la sua giornata lavorativa di venditore porta a porta. Entra in un condominio e comincia a suonare vari campanelli. Un signore risponde sgarbato. Una ragazza sembra interessata, ma poi gli sbatte la porta in faccia. Finalmente una signora lo fa entrare in casa. Gli offre tè e pasticcini mentre cerca di convincerla ad acquistare il suo prodotto. Conversando si scopre che la donna ha perso i tre figli in un incidente e la cosa sembra interessare molto al ragazzo. Senza assaggiare i pasticcini il ragazzo con una scusa se ne va. La ragazza viene rapita e si sveglia legata accanto all'uomo dell'inizio. É sera, il ragazzo è appostato sotto casa della signora. Quando la vede uscire di casa, si intrufola nel suo appartamento.
di Daniele Esposito
NOTE DI REDAZIONE: E' UNA IDEA MOLTO, MA MOLTO GENERICA. IL FINALE NON E' UN FINALE. PERCHE' VEDERE UNA STORIA SCONCLUSIONATA?
Piero vive con la madre in un piccolo appartamento nella periferia di Torino. Il giovane è alla ricerca di un lavoro, poiché la fabbrica nella quale è occupato naviga in cattive acque e presto potrebbe licenziarlo. Avrebbe la possibilità di trasferirsi, ma il desiderio di non abbandonare la madre, vedova, lo spinge a scartare quest’opportunità. Intanto, per sostenere la difficile situazione familiare, si sottopone sistematicamente a pesanti turni di straordinario, che gli consentono di arrotondare lo stipendio.
Una notte, per caso, è costretto a rinunciare ad uno di questi turni: la mattina successiva è previsto uno sciopero dei mezzi pubblici e il collega che lo dovrebbe riaccompagnare a casa in macchina viene licenziato improvvisamente. Quindi, fa ritorno anzitempo a casa e, dopo un colloquio con la madre, va a letto, sempre più in ansia per le sorti del proprio lavoro. Ma Piero non sa ancora che, proprio in quella notte d’autunno, deve accadere qualcosa di tragico; qualcosa in cui egli non viene coinvolto solo per quella fortuita assenza dalla fabbrica.
di Marco Doddis
NOTE DI REDAZIONE: E' UNA IDEA MOLTO, MA MOLTO GENERICA. E' UN RACCONTO. MOLTO DIFFICILE DA SCENEGGIARE.
La comunicazione
Gli esseri umani comunicano tra loro nelle più svariate forme e per i più diversi motivi. Ad esempio si scambiano parole per informare, gesticolano per salutare, utilizzano segnali per avvisare, producono musica per intrattenere… Ogni tipologia di comunicazione ha le sue caratteristiche, ma tutte possono essere ricondotte in ultima analisi ad un sistema che contiene, tra gli altri, tre elementi: l’emittente, il messaggio, il destinatario. Uno studente (emittente) dice ad un suo compagno (destinatario) che l’indomani non ci sarà lezione (messaggio); oppure: un pittore (emittente) espone per il pubblico di una mostra (destinatario) una sua opera (messaggio); e ancora: la radio (emittente) diffonde agli ascoltatori (destinatario) le previsioni del tempo (messaggio).
La narrazione
Anche la narrazione è una forma di comunicazione: un ragazzo (emittente) racconta agli amici (destinatario) una barzelletta (messaggio); uno scrittore (emittente) scrive un romanzo (messaggio) per i suoi lettori (destinatario); una rete tv (emittente) trasmette un film (messaggio) per gli spettatori (destinatario).
Ciò che distingue una narrazione dal resto delle comunicazioni (che possono essere denominate “non narrative”) è la particolare forma che assume il messaggio. La barzelletta, il romanzo, il film posseggono, tra tutte le tipologie di messaggi, una caratteristica unica: l'esistenza necessaria e contestuale di eventi e personaggi. Nessuna barzelletta divertirebbe se si limitasse a descrivere gli eventi rinunciando a tratteggiare chi ne è protagonista. Film, romanzi, programmi tv raccontano una serie di fatti che sono vissuti da persone ben caratterizzate. Può esistere una narrazione senza eventi? No, perché descriverebbe solo i personaggi, limitandosi unicamente ai loro connotati psicologici e fisici: una sorta di affresco, immobile, senza azione. Può esistere una narrazione di eventi senza personaggi? No, perché sarebbe solo una fredda cronologia. É soltanto la combinazione di eventi e personaggi che dà vita ad una narrazione. Le altre tipologie di messaggi sono costituite invece da dati, informazioni, descrizioni… e gli eventi e i personaggi eventualmente presenti non sono strettamente legati tra loro. Una discussione politica, un segnale stradale, un saluto, non sono narrazioni. Uno stesso tema può essere oggetto di una comunicazione narrativa o di una non narrativa. Ad esempio:
"Per farmi passare la bronchite il medico mi ha dato degli antibiotici da prendere per sei giorni". E' una comunicazione non narrativa, diversamente da:
"Oggi sono andato dal dottore per la bronchite. Hai presente: è uno che non alza nemmeno la testa dal tavolo. Gli ho detto di farmi la ricetta per gli antibiotici. Lui ha farfugliato qualcosa e ha scritto quello che gli dicevo. E' una comunicazione narrativa". Ci sono due personaggi che interagiscono e un evento: una piccola storiella.
Definiamo dunque la narrazione come una forma di comunicazione il cui messaggio, che denominiamo racconto, è costituito da un insieme di eventi concatenati e correlati ad uno o più personaggi.
La narrazione, come molte modalità di comunicazione, può avvalersi di diversi linguaggi.
Uno stesso racconto può essere narrato attraverso diversi linguaggi: eventi e personaggi sono identici, ma li si può ritrovare in un film, in un fumetto, o in un programma radio: cambia solo il veicolo sul quale sale. Il dramma di Romeo e Giulietta è stato rappresentato a teatro da Shakesperare, adattato al cinema da decine di film, trasposto in balletto da Prokofiev, adattato al fumetto da Gianni De Luca. Ogni volta che cambia veicolo, il racconto deve adattarsi al diverso linguaggio. Ciò comporta inevitabilmente delle trasformazioni, ma non esiste alcuna storia che non possa essere raccontata da un linguaggio narrativo. Non tutti i linguaggi infatti si prestano per la narrazione. I linguaggi della pittura, della fotografia, della poesia, ad esempio, possono essere narrativi, ma il più delle volte sono evocativi. Parlano raramente attraverso storie, personaggi ed eventi tra loro strettamente intrecciati. La narrazione invece è sempre esplicita e deve servirsi di linguaggi che assicurino una chiara esposizione della storia.
Narrazione e linguaggio cinetelevisivo
Il linguaggio che universamente gode di maggior successo quando si tratta di narrare è quello cinetelevisivo. Gli spettatori di un film ad esempio sono sempre inesorabilmente superiori al numero dei lettori del romanzo da cui il film è stato tratto. La storia è la stessa, ma la massa del pubblico preferisce vederla al cinema o in tv. Definiamo pertanto narrazione cinetelevisiva, ogni concatenazione di eventi e personaggi raccontata con il linguaggio cinetelevisivo.
Il linguaggio cinetelevisivo è naturalmente narrativo. La lingua parlata e scritta può essere usata per pregare, elencare, incitare, non solo per raccontare. Il linguaggio cinetelevisivo invece si è costituito solo per raccontare qualcosa a qualcuno. O è così o non è. Se filmiamo un evento senza creare un racconto, il girato potrà essere conservato come archivio e memoria, ma nessuno lo vedrà mai come "pubblico", sarà qualcosa di simile alla registrazione di una telecamera di sicurezza.
Persino l'informazione, passando attraverso il linguaggio cinetelevisivo, diventa narrazione. Il telegiornale presenta una o più persone che raccontano storie fatte di eventi e personaggi. Queste storie possono essere vere o false oppure distorte, non ha importanza in questa sede. Fatto sta che qualsiasi TG deve organizzare la notizia come se fosse un racconto. Nei programmi di varietà televisiva sono gli stessi presentatori a farsi personaggi: sono scelti per disporre di un insieme di caratteristiche pubbliche che li rende credibili per quel certo tipo di trasmissione. Gli autori studiano come questo personaggio deve comportarsi, quello che deve dire, come deve vestirsi e truccarsi. Poi redigono la scaletta degli eventi che si svolgono sotto gli occhi dello spettatore, magari facendo entrare in scena altri personaggi secondari, gli "ospiti". Anche nelle cronache sportive televisive la tendenza è sempre quella di creare il personaggio ed enfatizzare l'evento. Un documentario naturalistico sui ghepardi, seguirà uno solo di loro, gli darà un nome, racconterà le sue avventure, cioè cercherà di articolare una storia, anche se nella realtà per costruire quel filmato sono stati ripresi diversi ghepardi in diversi momenti e luoghi.
Il ruolo della narrazione nelle opere cinetelevisive
Si è portati a pensare che il prodotto cinetelevisivo sia, in ultima analisi, un insieme di immagini e suoni. Nella realtà è soprattutto narrazione. Non è un caso se la progettazione della narrazione, dal punto di vista produttivo, viene prima della ripresa filmata: tutte le opere cinetelevisive sono precedute da un lavoro di scrittura chiamato fase letteraria. Esso parte sempre da idee base che si arricchiscono successivamente di dettagli sino a costituire la tela, più o meno precisa secondo la tipologia dell'opera, che reggerà la successiva fase produttiva. Il lavoro letterario costituisce sempre la percentuale maggioritaria del tempo dedicato alla realizzazione di un'opera: la sceneggiatura di un film viene elaborata mediamente nel corso di un anno, le riprese invece possono risolversi in due mesi; l'edizione di un telegiornale di venti minuti, del resto, è preceduta da ore di scrittura a più mani. La fase letteraria serve a mettere a fuoco la narrazione, in tutti i suoi aspetti. Le immagini e i suoni intervengono successivamente, sono la realizzazione di ciò che prima è stato pensato, dibattuto, scritto e riscritto. Una volta che l'opera è conclusa essa appare costituita solo da immagini e da suoni, nella realtà essa sta in piedi perché vi è, in filigrana, una trama narrativa che regge tutto.
Forme discorsive e forme drammaturgiche della narrazione cinetelevisiva
La narrazione cinetelevisiva si articola in due tipologie di opere: quelle discorsive e quelle drammaturgiche. Le opere discorsive sono caratterizzate dalla presenza di uno o più narratori che si rivolgono direttamente al pubblico per raccontare o presentare la storia. Questa modalità suona assai familiare agli spettatori perché richiama la piccola narrazione, quella in cui chiunque può prendere l'iniziativa di raccontare qualcosa a qualcuno: un aneddoto, una barzelletta, un accadimento. Ma è stata anche l'antica forma della grande narrazione, quando le mitologie erano trasmesse oralmente e non attraverso i libri. Si tratta di opere che possono essere presenti sia al cinema, attraverso i documentari, sia alla televisione con i telegiornali, i talk show, i varietà musicali, i programmi sportivi, i reportage, ecc.
Le opere drammaturgiche sono caratterizzate invece dalla rappresentazione di una storia. Anche questa modalità è familiare al pubblico perché recitare e mettere in scena fanno parte del repertorio dei giochi infantili ma anche delle tradizioni più ancestrali. Le opere cinetelevisive che si presentano in questa forma comprendono i film di vario metraggio e varia tipologia (dai lungometraggi ai corti, dalla serie tv alla telenovela).
Denomineremo le forme drammaturgiche della narrazione cinetelevisiva fiction, e quelle discorsive non fiction. Sia l'una che l'altra sono costituite da personaggi ed eventi, ma nelle prime i personaggi sono gli attori, e si relazionano tra loro di fronte ad un pubblico che ha il ruolo di osservatore esterno, nelle seconde i personaggi sono narratori (presentatori, giornalisti, esperti, ecc. presenti anche solo con la voce) e si rivolgono direttamente al pubblico come interlocutore muto; per quanto riguarda gli eventi, nelle fiction essi sono rappresentati, nelle non fiction sono raccontati oppure mostrati. Una news che visualizza un giornalista sul luogo di un disastro e che informa su quanto è appena accaduto, dà vita ad un'opera non fiction. Un film dove un attore recita la parte di un giornalista che parla sul luogo di un disastro ricostruito, è fiction. Nelle popolazioni cosiddette primitive gli uomini raccontavano intorno al fuoco le avventure vissute durante una battuta di caccia: era narrazione non fiction; la stessa storia raccontata attraverso ruoli in cui uno "faceva la parte" del cacciatore e l'altro quella dell'animale cacciato, costituiva il passaggio dal racconto orale alla sua rappresentazione, cioé alla sua drammatizzazione. Era fiction. La drammatizzazione è basata sulla convenzione, tacitamente concordata tra attori e pubblico, che tutti devono fingere che gli eventi raccontati stiano accadendo in quel momento, davanti agli occhi degli spettatori.
Tra i due poli, drammaturgico e discorsivo, vi sono numerose possibilità di ibridazione. Nei documentari spesso alcune situazioni vengono ricostruite, si chiede cioé ai protagonisti di ripetere qualcosa che è accaduto fingendo che sia l'originale. Del resto abbondano i film dove interviene anche del materiale documentario di repertorio. Anche uno spot interamente costruito su una fiction contiene comunque quasi sempre una parte, come minimo grafica, in cui un narratore, anche se virtuale, si rivolge direttamente al pubblico.
di Michele Corsi per cinescuola.it
Le tappe del viaggio dell'eroe – un’analisi del film Django unchained di Quentin Tarantino (USA, 2012) secondo il modello di Vogler
La struttura generale del film è molto simile a quella di “Bastardi senza gloria”: anche qui ci sono tre atti ben definiti, ma non come li intendeva Field nel suo “paradigma”. Qui ogni atto è come se fosse “concluso”, una storia è con principio, svolgimento e fine, con un personaggio principale – mai lo stesso e non sempre quello che chiameremo eroe – che viene seguito e raccontato in maniera più approfondita. Ogni atto ovviamente segue il filo rosso principale della vicenda che si conclude nel terzo atto.
Atto I: partenza, salita (Departure)
- Mondo ordinario (Ordinary World): L'eroe lascia un mondo per cominciare un viaggio, ed entra in un altro mondo (Special World). È il mondo consueto da cui proviene l’eroe, quello da cui parte, e può essere ovviamente positivo o negativo, prevedere quindi un peggioramento delle condizioni iniziali o un miglioramento. Nel caso di Django è ovvio che la condizione di partenza del protagonista è estremamente sfavorevole: Django è uno schiavo, in catene, e si sta muovendo in un luogo imprecisato (così descritto perfino dalla didascalia), al buio, una specie di limbo pieno di difficoltà da cui sembra non avere alcuna possibilità di uscire.
- Richiamo all'avventura (Call to Adventure): La sfida per l'eroe, dove si stabilisce l'obiettivo e il percorso da farsi. La chiamata all'avventura stabilisce il rischio o il prezzo da pagare e rende chiaro l'obiettivo (goal) dell'eroe. Un certo evento, un accidente iniziale (initiating incident) è necessario per far partire la storia. Il dottor Schultz libera Django (incidente iniziale che cambia completamente le prospettive del protagonista e gli permette di fare una scelta, di cambiare il corso della propria vita) e gli propone una collaborazione, ma prima di tutto gli offre la libertà.
- Rifiuto del richiamo (Refusal of the Call): Ci sono casi d'eroi riluttanti (proprio perché in questo modo aumentano la percezione del rischio che correranno) che cercano di "negare" la chiamata e fanno sforzi per fuggire. Django non fugge, ma inizialmente non è convinto della proposta del dottore: ha bisogno di una vera motivazione per intraprendere il viaggio, ovvero la possibilità di liberare sua moglie.
- Incontro col mentore (Meeting with the Mentor: Quello di cui ha bisogno l'eroe per mettersi in viaggio: consigli, direzione, guida, uno strumento "magico" da portarsi (un'arma, ma anche una conoscenza, o la fiducia in se stesso, la protezione, l'allenamento). È ovvio che il mentore del film è il dott. Schultz, che incarna il ruolo di “saggio” del film – che accresce le sue conoscenze non solo grazie alle esperienze ma anche grazie alla cultura, in questo caso di matrice europea - di guida e di “donatore” di strumento magico, in questo caso più di uno: la libertà, la pistola, la motivazione, l’insegnamento di un mestiere, ecc.
- Varco della prima soglia (Crossing the First Threshold): L'eroe accetta la sfida. Qui si entra nel mondo speciale del racconto. È il momento più difficile dell'atto I, il suo vero inizio. È una soglia su cui ci sono guardiani (vedi sopra tra i personaggi/archetipi), esseri che cercano di fermare l'eroe e che vanno ignorati, assorbiti, riconosciuti o trasformati in alleati. Django inizia il viaggio, si allea con il dott. Schultz e va alla ricerca dei fratelli Brittle, li trova e permette al dottore di riscuotere la taglia. Contemporaneamente si imbatte nella materializzazione del razzismo (tematica di fondo lungo tutto il film), ovvero Big Daddy e i suoi sodali pasticcioni e insieme al dottore li ridicolizza, assorbendone metaforicamente l’energia: l’eroe è pronto per progredire nel suo viaggio, è più forte e più sicuro di sé, infatti accetta la proposta del mentore (diventare cacciatore di taglie per l’inverno, aumentare la propria forza, sviluppare le proprie qualità, in vista dell’obiettivo)
Atto II: discesa, iniziazione (Initiation)
- Prove, nemici, alleati (Tests, Allies, and Enemies): In questa zona l'eroe fa i primi incontri, viene coinvolto nelle sfide che servono a imparare le regole del mondo speciale. Qui si rivela il vero carattere dell'eroe, si mettono in evidenza i sentimenti, i ritmi, le priorità, i valori e le regole che contano. Essenziale in questa fase la scena in cui Django esita nello sparare al delinquente che sta lavorando nei campi con suo figlio: l’eroe sta “familiarizzando” con il nuovo mondo in cui ha deciso di entrare una volta abbandonato il “mondo ordinario”, ne sta conoscendo le regole, contemporaneamente conosciamo qualcosa di più del suo carattere, dei suoi valori di riferimento (l’importanza della famiglia), e si stabiliscono le priorità: se salvare Broomhilda è l’obiettivo, non bisogna guardare in faccia a nessuno. poco dopo finisce la fase “preparatoria”, Django è cresciuto, è pronto e insieme al dottore scoprono che Calvin Candie tiene schiava Broomhilda nella sua piantagione. Si incontra il primo vero nemico di Django, ma non il peggiore (che sarà Stephen); si affrontano prove difficili (fare finta di essere un negriero, assistere alla morte di uno schiavo sbranato dai cani, ecc.).
- Avvicinamento alla caverna più recondita (seconda soglia) (Approach to Inmost Cave): L'eroe si avvicina all'apice, al posto pericoloso. L'eroe si sta formando una nuova percezione di sé e degli altri, È anche la fase dove i compagni di viaggio spariscono e la lotta si fa più dura, con la sorpresa di veder emergere nuove qualità nei personaggi. Django, letteralmente, si avvicina alla “caverna”, o nascondiglio dell’obiettivo (Broomhilda), che è anche il posto più pericoloso dove essere, la piantagione di Candie. È una fase estremamente tesa e piena di suspence: poco prima della “prova centrale” il mentore soccombe, sottolineando ancora una volta la sua statura morale (morte del dott. Schultz).
- Prova centrale (Supreme Ordeal): È il momento critico della battaglia con l'ombra, lo scatenamento della suspense. La prova in cui l'eroe rischia davvero di morire o muore per poter rinascere di nuovo. Nel momento cruciale in cui l'eroe o i suoi obiettivi sono a rischio in genere c'è un rovescio di fortuna, temporaneo, che mette suspense. Durante la prova centrale l'eroe si trova faccia a faccia con le sue più grandi paure, con il fallimento dell'impresa, o con la fine di un rapporto, dove si conclude definitivamente la sua vecchia personalità e si torna cambiati. La sparatoria a Candyland è il “secondo punto di svolta” secondo la struttura di Field: il piano di Django è stato scoperto, il mentore è stato ucciso, tutto sembra volgere al peggio. L’eroe rischia di morire, ma riesce a cavarsela anche se le sue prospettive sono cambiate in peggio. Dalla prova centrale Django esce trasformato, ma riappropriato della sua vera – nuova – identità. Non deve più fingere, né interpretare parti: è se stesso, ma ancora in difficoltà.
- Ricompensa (Reward): L'eroe, sopravvissuto, "festeggia" Se c'è un tesoro da prendere, questo è il momento. Qui anche è il momento di un piccolo riposo prima del viaggio di ritorno (spesso una scena d'accampamento, o d'amore). Finita la burrasca ci si misura, si diventa consapevoli della propria volontà o forza, raggiungendo il rispetto di sé. Dopo un momento di sconforto e di paura, Django ritrova la forza e la determinazione, inganna i due che lo stanno portando ai lavori forzati, conquista un vero “tesoro” (la dinamite che gli servirà per la “Resurrezione”), diventa consapevole della sua forza e conquista anche il rispetto degli altri (in questo caso degli altri schiavi).
Atto III: ritorno (Return)
- Via del ritorno (The Road back): Bisogno del ritorno, ma trasformato. L'eroe non è ancora fuori dalla "foresta". Django torna a prendersi sua moglie, non è ancora tempo di riposare. Cavalcando a pelo, in ralenti, verso sua moglie e i suoi nemici l’eroe ha ritrovato se stesso, il suo vero io, la sua vera missione ed è pronto ad affrontarla.
- Resurrezione (terza soglia - climax) (Resurrection). Non è la prova più grande, ma la definitiva. È come un esame finale per provare che si è imparata la lezione, è la purificazione, l'adattamento al ritorno, il momento delle carte in tavola. È anche il momento della catarsi, dove si porta il materiale emozionale in superficie, facendo che la consapevolezza dell'eroe diventi anche del lettore (o spettatore) della storia. Tarantino conosce bene il potere della catarsi finale e la realizza come suo solito, con i fuochi d’artificio. Django torna da “uomo nuovo”, definitivamente più potente del suo nemico: la resa dei conti finale è con il nemico più subdolo che potesse incontrare, Stephen,il “nero bianco”, il “mentore” – in negativo – di Candie, suo servitore/amico/padre/confessore/protettore.
- Ritorno con l'elisir (Return with Elixir): L'eroe è tornato rinato, definitivamente cambiato, e ha portato con sé l'esperienza raggiunta, un dono da usare nel mondo ordinario. Django ha finalmente raggiunto il suo obiettivo, ha trovato sua moglie, l’ha liberata (letteralmente e metaforicamente, le ha dato nuova vita). Ora sono entrambi pronti per tornare nel mondo ordinario, ma da ex schiavi, con in più l’esperienza, la forza, la consapevolezza e soprattutto i documenti che attestano la libertà.
Articolo di Maria Elena Arcangeletti per cinescuola.it
Per scrivere una sceneggiatura cinematografica non ci sono regole precise, anche i manuali che insegnano i trucchi per sfornare uno script di successo sono da leggere con prudenza. Quello dello sceneggiatore è un mestiere delicato, che si fonde su alcune qualità o talenti specificatamente cinematografici: non necessariamente un bravo scrittore è anche un bravo sceneggiatore, i codici e i linguaggi utilizzati fanno parte di mondi diversi ( che qui approfondiremo). Esistono comunque delle “strutture narrative” di riferimento che possono aiutare, in particolar modo nella fase iniziale di scrittura, per organizzare meglio le idee ed evitare almeno gli errori più grossolani. Una di queste è la “struttura in tre atti” o “paradigma di Syd Field”.
Un altro esempio di struttura narrativa a cui è possibile ispirarsi nella scrittura di una sceneggiatura è quella cosiddetta del “Viaggio dell’eroe”, teorizzata da Christopher Vogler, uno sceneggiatore statunitense di Hollywood. Vogler ha lavorato per la Disney ed insegna alla UCLA. Il suo nome è legato al saggio The Writer's Journey: Mythic Structure For Writers, pubblicato in italiano come Il viaggio dell'eroe e nato come quaderno di appunti personali.
Influenzato dagli studi di Joseph Campbell, e dal suo L'eroe dai mille volti (The Hero With a Thousand Faces, 1973*), Vogler approfondisce la struttura del mito a uso di scrittori di narrativa e cinema. I miti sono qualcosa di cui la gente ha bisogno, momenti chiave di passaggio da uno stadio della vita al prossimo, racconti che segnano la strada. Ogni racconto ha quindi degli elementi universalmente rintracciabili nel viaggio di un eroe, essi consistono di moduli (patterns) e varianti. Dunque è possibile tracciare un atlante dei comportamenti d'un eroe: una mappa per il suo viaggio di trasformazione (cresce, cambia, fa un percorso da un modo d'essere a un altro). Sono dodici fasi (stages) sul cui telaio stanno appunto le molte possibili varianti.
Vogler, nel Viaggio dell'eroe ha analizzato diverse decine di film trovando delle strutture ripetitive ricorrenti. Possono essere personaggi positivi e negativi, fisici o metaforici, persone od oggetti. Un personaggio può rappresentare in sé più di una funzione.
Seguendo lo schema riportato nella Guida Pratica All’Eroe dai Mille Volti la Disney fu in grado di uscire dal periodo nero in cui si era ritrovata tra gli anni ’80 e ’90, producendo i film che l’aiutarono a risollevarsi, a partire dal Re Leone su cui ha lavorato lo stesso Vogler. In seguito Vogler torno sul suo compendio e lo ampliò fino a sviluppare il libro Il Viaggio dell’Eroe, che parte dalle considerazioni teoriche di Joseph Campbell per arrivare a un pratico manuale per scrittori.
*Lo studioso di mitologia comparata Joseph Campbell sostiene nel suo L’Eroe dai Mille Volti che diversi miti, provenienti da diverse regioni del mondo e diverse epoche storiche, condividono la stessa struttura narrativa. Una successione di eventi ed episodi che si ritrova praticamente invariata in ogni storia o leggenda di sapore iniziatico, che lui riassume così:
Un eroe si avventura dal mondo di tutti i giorni in una regione di meraviglia sovrannaturale: lì incontra forze favolose e ottiene una vittoria decisiva. L’eroe ritorna da questa misteriosa avventura con il potere di conferire doni favolosi agli altri uomini.
Campbell chiama questa struttura narrativa “monomito” e la scompone in 17 passi fondamentali. Il lavoro di Campbell ha avuto una grande influenza nella narrativa moderna.
Il suo ammiratore più celebre è probabilmente George Lucas, amico e studioso di Campbell, che in più di una occasione ha affermato che la sceneggiatura di Guerre Stellari ricalca fedelmente la struttura del Viaggio dell’Eroe. Altre opere in cui si ritrova questo schema sono Matrix, Il Gioco di Ender di Orson Scott Card, i libri di Harry Potter di J. K. Rowling, Il Re Leone della Disney, la serie di Indiana Jones, molte opere di Neil Gaiman e numerosi altri film, romanzi, fumetti.
In alcuni casi, gli autori riconoscono di aver seguito consapevolmente lo schema di Campbell, in altri hanno seguito gli stessi schemi archetipali che lui ha analizzato per sintetizzare i passaggi del monomito.
I 7 archetipi - principali personaggi funzione (basic figures) - non sempre sono tutti presenti, a volte un personaggio può racchiudere in sé più di una funzione
- L'eroe (Hero): È colui che muove la storia, compie il viaggio, fisico o mentale. Ha in genere un punto debole (fatal flaw) su cui può essere colpito, e deve confrontarsi con la morte (spesso simbolica, e comunque l'eroe accetta la possibilità del sacrificio). Ha inoltre qualità con cui possiamo identificarci ed è sospinto da motori universali e originali. Può anche avere impulsi contraddittori.
- Il mentore (Mentor): Se l'eroe è l'io della storia, il mentore è il suo sé. È la guida che aiuta, allena o istruisce l'eroe. Gli procura doni, lo convince o sospinge nell'avventura. Spesso il mentore è un ex-eroe, una persona saggia o maestro, come una coscienza o codice di comportamento morale, e serve a motivare l'eroe.
- Guardiano della soglia (Threshold Guardian): Mette alla prova l'eroe creandogli difficoltà: ne sonda la volontà e la rinforza. Apparentemente è un nemico, ma può anche essere sorpassato o trasformato in alleato. A volte non è nemmeno un nemico, ma qualcuno che l'eroe incontra lungo il cammino e che deve conquistare, assorbendone l'energia. Naturalmente anche il guardiano può essere interno, un aspetto dell'eroe stesso con cui deve avere a che fare.
- Messaggero (Herald): Comunica l'inizio dell’avventura, il cambiamento che arriva, la sua necessità. È l'incidente scatenante. Può anche essere un oggetto, come una telefonata o un telegramma. Risveglia la motivazione.
- Mutaforme (Shapeshifter): Cambia forma, si traveste. È l'archetipo instabile, l'amico che diventa nemico. Questa figura ha la funzione di seminare dubbi e suspense.
- Ombra (Shadow): In genere è l'antagonista. Anche gli opponenti hanno però bisogno di risultare umani, e non sono mai solo stereotipi di cattiveria (anche perché in fondo un nemico è un "eroe" di un suo proprio viaggio mitico, e Vogler suggerisce di attraversare o rileggere la storia almeno una volta dal punto di vista dell'ombra). È l'incontro-scontro ombra-eroe che muove il motore della storia.
- Imbroglione (Trickster): è la spalla e il momento goliardico. Crea contrattempi, stimola cambiamenti, anche in senso negativo. È un'energia infantile da marachella, se incarnata in un personaggio in genere con caratteristiche di confusionario, nemico dello status quo, dell'ipocrisia e dell'egocentrismo. Naturalmente questa sua funzione, legata all'eroe, non va confusa con la figura dell'imbroglione di certe storie, dove è invece un altro tipo di eroe.
di Maria Elena Arcangeletti
Riferimenti: Da Wikipedia l'enciclopedia libera e www.magrathea.it in cinescuola.it
Un giovane contadino si sveglia ogni mattina alle 4:30 per andare a lavorare nei campi. Ma un giorno il ragazzo si troverà a dover difendere i propri diritti, come tentò di fare suo nonno nel 1948.
DICHIARAZIONE DI INTENTI
Questo cortometraggio si pone l’intento di affrontare il tema della Politica dal punto di vista di un giovane del sud Italia ai giorni nostri. La storia si risolve in un inno alla libertà individuale: ripartire da noi stessi per ribadire la difesa dei diritti e fra questi, primo e inalienabile, il lavoro. Un grido contro le ideologie stantie e sterilmente dicotomiche che, alla stessa stregua di vecchie religioni, risultano ormai sorpassate e sempre più spesso nocive.
Pierluigi Ferrandini
Rivisitazione panoramica dei racconti di tre ragazzi che confluiscono in un unico prodotto. Uno scorcio rivelatore di una realtà non a tutti nota: quella di una Rimini invernale. Esperienze differenti e slegate tra loro, in termini di luoghi e per via delle relazioni tra gli interpreti coinvolti. Ci si muove tra una discoteca, alla strada dove si incontrano alcuni ragazzi, per giungere alla tenerezza del primo appuntamento.
Tutte e tre le linee narrative, alternate e parallele, convergono solo nel “leitmotiv” di fondo che viene esplicitato nell’epilogo da una battuta di uno dei tre protagonisti: l’orgoglio di mostrare Rimini di inverno. Ci si rivolge a coloro che affollano la nostra riviera nel periodo estivo, affermando che la vitalità e lo spirito dei riminesi, restano vivi anche nel freddo periodo invernale. Proprio il nostro protagonista volgendo lo sguardo verso il mare, come ipnotizzato dalla sua magia, suggerisce agli altri due coprotagonisti come riuscire nel loro intento, senza sapere che è già stato raggiunto attraverso la descrizione dei loro racconti. Vivendo questo racconto, come in una terapia psicanalitica, si riappropriano di una dimensione sottovalutata e trascurata. La battuta finale attribuisce un senso di incompletezza in attesa di un’ epilogo venturo.
Asade è una favola sull’amore e sull’integrazione attraverso la metafora del cinema; sul vero significato del velo, sulle difficoltà a convivere con le proprie origini in terra straniera. E’ un viaggio alla ricerca della comunicazione tra culture e linguaggi, da sempre perno mancante di comprensione e tolleranza.
Asade è una giovane ragazza di origine iraniana che giunge in Italia per completare gli studi. E’ solare ed ha una fervida fantasia che sfoga disegnando tutto ciò che le sta attorno. La prima cosa che decide di fare appena giunta in Italia è levarsi il velo che le copre il capo. Come d’improvviso, la sua vita pare trasformarsi in una favola animata piena di colori pastello e personaggi stravaganti come il buffo ragazzo che incontra per strada e che nella casualità degli eventi le lascia un grazioso pesciolino rosso tra le mani. Sarà il tempo a dimostrare le tremende difficoltà di vivere in una terra straniera dove gli individui sono incapaci di rapportarsi con la cultura altrui, di scavare sotto la sottile parete delle apparenze e dove regna la superficialità delle cose inutili e appariscenti. Asade è una favola sull’amore e sull’integrazione attraverso la metafora del cinema; sul vero significato del velo, sulle difficoltà a convivere con le proprie origini in terra straniera. E’ un viaggio alla ricerca della comunicazione tra culture, da sempre perno mancante della comprensione e della tolleranza.
Asade is a fable to the love and integration; to the true one meant of the veil, to the difficulties to cohabit with own origins in foreign earth. It's a travel to the search of the communication between cultures, from always hinge lacking understanding and tolerance.
ASADE (di Daniele Balboni)
DIALOGHI (dialogs)
SCENA 1
donna -È un bravo ragazzo, figliola.
He’s a good guy, my dear.
Asade -non gli ho nemmeno mai parlato.
I haven’t even ever talked to him.
Donna -Ti ho detto che vi conoscete da almeno 10 anni, è gentile, è un ragazzo rispettoso.
I told you you’ve known each other for almost 10 years, he’s gentle and respectful.
Asade -il problema non è questo.
That’s not the problem.
Voce di uomo al telefono, distante -Basta, devi smettere di viziarla, Mariam.
(man away from the phone) That’s enough, you must stop spoiling her, Miriam.
Voce della donna al telefono: - Adesso è ora di tornare a casa. Devi lasciare stare quei libri inutili. Basta divertirsi.
(woman) It’s time to come back home. Give up those stupid books. Stop enjoying. Stop having a good time.
Asade - Io torno a casa quando mi pare.
I’ll come back home when I want to.
Padre - Come ti permetti di parlare così con tua madre, qua c’è un ragazzo che ti aspetta, Ma cosa ti sei messa in testa figlia mia? Un’occasione così non capita a tutte, questo ragazzo è un dono, per te e per noi.
(father) how dare you treat your mother that way! There’s a man waiting for you here, what ideas are you running away with? Such a chance doesn’t happen that often, this man is a gift, both for you and for us.
Asade -Papà ti prego, ti prego, lasciatemi dare questo esame, devo preparare i documenti, devo finire delle cose e poi, c’è qualcuno che devo vedere.
Please Dad, please, let me take this exam, I have to prepare the documents, get through some other things and then, there’s someone I must meet.
Padre - Ma chi devi vedere? Avevi promesso di cambiare, di diventare una persona responsabile, io e tua mamma abbiamo fatto di tutto per realizzare il tuo desiderio di andare all’estero. Ascolta, tu devi tornare a casa con o senza quell’esame.
Who are you meeting? You promised you would change, you would become sensible, your mother and I have done all we could to satisfy your desire of going abroad. Listen, you must come back home having taken that exam or not.
1° scena con animazioni
Mo dove devi andare? Fa vedere sulla cartina.
(in local dialect) Where do you need to go? Show me on the map.
Mo l’è distante, devi prendere l’autobus 33.
(in local dialect) It’s far from here, you need to take the bus n. 33.
SCENA 4
RAGAZZO (balbetta) Io non riesco a capire, perché le cose devono andare storte, sempre tutte storte, non capisco perché?
I just can’t under stand why things are going wrong, always wrong, I can’t understand, why? After four years Why?
RAGAZZA …si hai ragione… dovevamo smettere prima prima…
You’re right, we should have given it up earlier.
RAGAZZO non è questo che intendo. Non pensi a tutte le belle cose che abbiamo passato?
Come on, I didn’t mean that. Can’t you think of all the things we’ve done together?
RAGAZZA Tipo? Gli ultimi due anni a litigare? Non fai altro che analizzare film muti nei minimi dettagli e non ti accorgi di come cambiano le persone che ti stanno davanti. Io sto male.
For example? Arguing for two years? You’re always analysing your silent films, you don’t even realise how people around you change. I feel bad.
RAGAZZO Non sono film muti, sono Non Sonori e poi…Tu stai male? E quando ero io dentro una stanza di ospedale, tu dove eri? Fuori con le amiche.
It’s not silent cinema. It’s soundless cinema. So you’re feeling bad, but where were you when I was at the hospital? You were out with your friends as usual.
RAGAZZA Basta, prendi la tua roba e vattene.
That’s enough. Get your stuff and go away.
RAGAZZO Ah si è? Allora mi prendo pure Gino.
Oh yes… then I’ll take Gino away with me as well.
RAGAZZA Ecco..ecco bravo, prendi pure Gino, che non è Gino. Gino, è morto più di un anno fa…e lasciami la boccia di vetro di Murano.
Right, good. Take away Gino too. It’s not Gino by the way, you haven’t even realised it. Gino died more than a year ago. But leave the murano glass bowl here.
SCENA 8
ZEINAB Asade Asade…
Asade Asade
ZEINAB Non hai lezione oggi?
No classes today?
ASADE Si è fatto tardi…
It’s late now.
ASADE…. Proprio oggi che comincia il primo giorno del seminario.
The seminar is just starting today.
ZEINAB A cosa ti serve questa lezione di cinema, proprio non lo so.
I just can’t figure out what you need this cinema lecture for.
ASADE Dovevo scegliere una materia facoltativa, almeno è qualcosa che mi piace
I had to choose an optional subject, at least it’s something I like.
ZEINAB Dai corri che si è fatto tardi, preparo io la borsa vai.
Hurry up, it’s late, I’ll get the bag ready for you, go.
ZEINAB In questi 6 mesi che sei stata qui non sei mai arrivata in tempo, voglio vedere come farai in queste due settimane.
In six months you’ve been here you’ve never been on time, I wonder how you’ll make it these last two weeks.
ASADE Dai che ce la faccio
(in Italian) I can make it.
ZEINAB Tieni la borsa
Here’s your bag.
ASADE Ho chiesto altri 6 mesi di studi
I’ve applied for a 6-months study permit.
ZEINAB Cosa? Cosa stai dicendo? Cosa hai detto?
What? What are you saying? What did you say?
ZEINAB L’hai detto ai tuoi?
Have you told your parents?
ZEINAB Mia madre mi ha detto che la tua famiglia è preoccupata per te
My mother told me your family is worried about you.
ZEINAB È da un tanto che non li chiami, vogliono parlare con te.
You haven’t called them for a long time, they want to talk to you.
ASADE Conosci mio padre, certe cose gliele devo dire con calma.
You know my father, I must take my time to tell him certain things.
ASADE Mh, brucia.
Mh, (in Italian) it’s hot.
SCENA 9
RAGAZZO La lavagna per cortesia…Un tenero sguardo, un simbolo: un fiore che vale più di mille parole e poi sfiorarsi e riconoscersi. Il cinema di Chaplin è questo: sconfiggere le apparenze dello sguardo per rivelare la verità stessa dell’immagine.
The blackboard, please….A tender glance, a symbol: a flower worth more than a thousand words, then touching lightly and recognising each others. That’s Chaplin’s cinema: overcoming appearances of sight to reveal the actual truth of images.
RAGAZZO Va bene, si è fatto tardi, continuiamo domani intanto, ricordo per l’ultima volta: per chi vuole approfondire il discorso sul cinema muto…o meglio: non sonoro e partire da un voto più alto con il professore, può passare domani al mio studio per concordare l’argomento della tesina. Grazie e buona giornata.
Ok, It’s getting late. We’ll resume our topic tomorrow. One last thing however. Those of you who wish to delve into silent cinema, or rather soundless, and to start with a higher grade at the exam, they can arrange the subject of their paper with me tomorrow in my office. Thanks to everybody and have a nice day.
Student: professor, we would like to ask...
Professore: oh yes, we’ll talk about it tomorrow.
ASADE si ricorda di me?
Do you remember me?
ASSISTENTE (BALBETTA)S…s…s…ccc…s..s.
y.. y.. ssss
RAGAZZO Signorina, aspetti un attimo.
Please, wait a second.
RAGAZZO: che cosa ci fai qua eh?
What are you doing here?
Ex ragazza: Mi sono rotta di avere sta roba in casa.
I’ve had enough of your stuff in my house.
RAGAZZO: ho capito, la venivo a prendere io la mia roba a casa.
I see but I would have come and get my stuff myself.
EX RAGAZZA: sono passati sei mesi.
Six months have passed.
RAGAZZO: eh ho capito…e poi qua non si fuma, è un’aula universitaria.
I see… but you can’t smoke here, it’s a lecture hall.
EX RAGAZZA: e io fumo lo stesso.
I smoke all the same.
RAGAZZO: ma ti rendi conto…
Can’t you realise it…
EX RAGAZZA: e lasciami… l’hai comprata la boccia per il pesce?
Have you bought the fish bowl?
RAGAZZO: il pesce…il pesce…ah signorina?!?
The fish… the fish! Miss…
scena 11
ZEINAB si può sapere cosa succede qui?
What’s going on here?
ASADE L’ho visto, l’ho visto
I saw him, I saw him!
ZEINAB calmati fammi capire di chi stai parlando,
Calm yourself, who are you talking about?
Asade è lui, insegna cinema, è un assistente
(in italian) It’s him, he teaches cinema, he’s an assistant lecturer
Zeinab Ma di chi parli?
Who are you talking about?
Asade Il ragazzo, quello che era alla fermata dell’autobus…quello che mi ha lasciato il pesciolino rosso
(in Italian) That guy (in Persian) the one I met at the bus stop… (in Italian) the one who gave me the goldfish.
Zeinab E cosa ti ha detto?
And what did he tell you?
Asade Non mi ha detto niente…non lo so, voglio dire, è venuta una ragazza e lui se ne è andato con lei
(in Italian) He didn’t tell me anything… (in Persian) I don’t know, I mean, a girl came and he left with her.
Zeinab E tu signorina perché non gli hai detto niente?
And you, why didn’t you tell him anything?
Asade Vestita così? Sembro uno straccio. E poi Lui le metteva le mani sui fianchi.
(in Italian) Dressed like this? I look like rubbish. (in Persian) And he put his hands on her sides.
Zeinab Se le cose stanno così, non è il ragazzo per te.
If this is the way things are going, he’s not the guy for you.
Asade Dai zeinab, voglio solo sembrare un po’ come le altre. Al posto di criticare, aiutami a scegliere qualcosa tra questi vestiti.
(in Italian) Come on Zeinab, (in Persian) I just want to look more like the others. Help me choose from among these clothes and stop criticising me.
Zeinab Appena sei arrivata ti sei tolta il velo, fin dove vuoi arrivare con questi atteggiamenti? Credi che andando in giro più spogliata attirerai più attenzione?
The moment you arrived you took off your veil, where are you going with your behaviour? Do you believe that by undressing you’ll attract more attention?
Asade Qui non siamo in Iran, anche tu puoi togliertelo quando vuoi, nessuno ti obbliga.
This is not Iran, you too can take it off whenever you want, no one’s forcing you.
Zeinab Se fino ad adesso hai portato il velo perché te lo diceva tuo padre, o per la paura della polizia, allora non hai capito niente.
If you’ve worn the veil till now because your father told to, or for fear of the police, then you’ve never understood a thing.
Asade Non c’entra niente.
That has nothing to do with it.
Zeinab Questo velo ti aiuta a dimostrare ciò che sei dentro e non quello che vuoi apparire. Quella gente che frequenti non capisce niente di tutto questo.
This veil helps you show how you are inside, not how you want to appear. Those people you hang around with don’t understand anything about it.
Asade Stai parlando come i miei genitori, sono scappata da loro e sono finita con te….tu nemmeno lo conosci.
You’re talking like my parents, I’ve escaped from them and ended up with you… (in Italian) You don’t even know him.
Zeinab Tu lo conosci? Lui ti conosce? Se vali così tanto per lui, ti riconoscerà , anche con il velo.
D’you know him? Does he know you? If you’re so worth to him, he’ll recognise you, even with your veil on.
Zeinab A proposito dei tuoi genitori, questa lettera è arrivata da loro.
Regarding your parents, this letter is from them.
SCENA 12
VOCI AL TELEFONO E’ un bravo ragazzo…c’è un uomo che aspetta di diventare tuo marito… Quell’uomo è un dono…Il velo ci protegge dagli stupidi…superficiale “ragazzo”… tu lo conosci?...ti riconosce anche se porti il velo…
He’s a good guy… there’s a man waiting to become your husband… That man is a gift… The veil protects us from stupid men… shallow guy… d’you know him?... He’ll recognise you even with your veil on…
Scena 13B – Animazioni – assistente e Asade col velo
Table on the animation:
Voi? You?
Mi avete riconosciuta? Have you recognised me?
Certamente. Of course.
SCENA 15
RAGAZZA: ma chi è quella ragazza là giù in giù in fondo?
Who’s that girl over there?
RAGAZZO: avanti il primo.
Who’s next.
SCENA 16:
RAGAZZO: mi dica pure..
Tell me.
ah è qui per la tesina…
Oh, you want to talk about the paper.
mi proponga pure un titolo…
Please, suggest your topic.
mi proponga pure un titolo…
Please, suggest your topic.
vuole che le suggerisca io qualcosa?
D’you want me to suggest a subject?
Non ha un argomento che l’ha interessata? Che le piace?
Isn’t there any topic that you are interested in, that you like?
Allora?
What, then?
Senta fuori c’è altra gente eh?
Listen, there are other people waiting outside.
Ma capisce cosa sto dicendo?
Can you understand what I’m saying?
Vuole che parliamo inglese?
Do you want to talk in English?
Signorina? Signorina…
Miss! Miss!
SCENA 17:
RAGAZZO: Si ho preso anche il maglione…Soccia mamma, ci saranno cinquanta gradi all’ombra lì. Dai, ti saluto, adesso ho trovato posto. Si, ti chiamo io, ciao.
Yes, I’ve got a jumper too. Come on mum, it must be fifty degrees in the shade there. I’ll go now, I’ve just found a seat. Yes, I’ll call you, bye.
RAGAZZO: E’ libero questo posto?
Is this seat free?
RAGAZZO: Bello quel pesciolino, dove lo stai portando?
(in Persian) That fish is lovely. Where are you taking it?
FINE
THE END
Il film è come un palazzo: si arriva alla sua costruzione gradualmente, per differenti gradi. E per “mani” differenti. Ma ognuna dovrebbe essere in grado di comprendere il linguaggio utilizzato dalle altre. Per costruire un palazzo serve un’“idea”, proprio come per costruire un film. Idea che va elaborata attraverso la stesura di un progetto che deve contenere la struttura (la parte portante in cemento armato dell’edificio) e gli impianti (termico, idrico-sanitario, elettrico). Il progetto arriva quindi nelle mani di un’impresa edile (la quale mette a disposizione muratori, elettricisti, idraulici, etc.) che si mette al lavoro per dar vita fisicamente al palazzo, sotto la guida di un direttore dei lavori.
Tutti utilizzano e comprendono un linguaggio in codice. Più o meno quanto accade agli “addetti ai lavori” di un film. L’analogia è lampante: gli ingegneri che si occupano delle strutture e degli impianti sono gli sceneggiatori, non un unico individuo ma più tecnici.
La stesura di un copione cinematografico si alimenta di un linguaggio in codice che tutti gli addetti ai lavori comprendono e utilizzano, vive di convenzioni. Due sono note ai più, la terza è meno facile da assimilare:
- QUI E ORA: l’unico verbo della sceneggiatura? Il presente. Il cinema esiste solo e unicamente al presente. Anche quando la vicenda è collocata nel passato (o nel futuro), lo spettatore si trova ad assistere ad azioni che si svolgono davanti ai suoi occhi (hic et nunc/qui e ora). Una vera e propria regola di scrittura, il primo tratto distintivo rispetto alla letteratura.
- LA VISIBILITÀ: la sceneggiatura deve descrivere solo ciò che è visibile, visualizzabile. Emerge quindi una seconda differenza rispetto alla narrativa: ciò che non è visualizzabile non è filmabile, e non dovrebbe trovare posto in uno script. “Che cosa vedo ora sullo schermo?”. Non si dovrebbe scrivere che qualcuno è il migliore amico di qualcun altro, né descrivere la vita interiore dei personaggi.
- MAI SOLI: la stesura di un copione cinematografico dovrebbe essere un lavoro eseguito a più voci, a più mani, proprio come il progetto di un palazzo. Le ragioni sono tante. Banalmente, sarebbe meglio non trovarsi soli ad affrontare questo impegno su cui si regge tutto il film.
Articolo di CRISTINA BORSATTI per FareFilm.it
Secondo il professore dell'UCLA Corey Mandell, tra tutte le sceneggiature che vengono sottomesse alle varie case di produzione, solo il 2% finisce per essere considerato dai capi, mentre il rimanente 98% viene direttamente cestinato. Ecco gli errori più frequenti che sono stati scovati in questi poveri script buttati via senza pietà:
Leggi tutto: Gli errori più comuni che commettono gli aspiranti sceneggiatori
Telecamera fissa su donna che si distende completamente sul divano; uomo fuori campo mette sul giradischi un disco.
“I’ll be your mirror” da “The Velvet Underground & Nico” si diffonde nell’appartamento.
Uomo canticchia la canzone guardando la donna.
La donna sorride di nuovo e abbassa gli occhi.
U: “Cosa ti ha fatto innamorare di me?”
D: “I tuoi occhi disperati, i tuoi modi pacati, la tua curiosità e il tuo talento.”
U: “Il Mio Talento?”
D: “ Certo non esistono molti clown al giorno d’oggi e tu sei molto bravo”
U (contrito): “Io non sono un clown. Sono Un Pierrot. E’ una cosa diversa.”
D: “Ah si? Coraggio, spiegami la differenza!”
U (ironico): “Ok… Hai un paio d’ore?”
D (sbadigliando): “No mi sta venendo sonno!
Tra poco vado a dormire, domani mattina presto devo andare all’aeroporto a prendere Nadia”
U: “Perché?”
D: “Perché resta da noi un paio di giorni, te l’avevo detto!”
U: “Devo avere aggiunto questa informazione allo scompartimento del mio cervello che contiene le cose che non mi interessano o non voglio ricordare. Comunque com’è questa Nadia?”
D: “Il tipo di donna che non sopporti: finta alternativa, impegnata nel sociale, che vuole l’acqua pubblica ma non si lava e ascolta musica orribile che non si caga nessuno.
U: “Tette?”
D (toccandosi i piccoli seni [la donna porta una seconda scarsa]):
“Più o meno come le mie”
U: “Tornando al perché mi ami; c’è dell’altro?”
D: “Si, ma prima voglio sapere perché tu mi ami”
U (sorpreso): “Perché ti amo?”
D: “Si!”
U: “Perché hai due tette enormi!”
Fondo al nero con September di David Sylvian
di opinionidiuncane [31-10-2012] da http://www.ewriters.it
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Sono trucchi per ingannare noi stessi e anche se lo sappiamo già prima, a volte funzionano, magari non tutti per tutti, ciascuno ha i suoi punti deboli. Sono solo attrezzi in più che teniamo nella nostra cassetta immaginaria.
1. Abbassa i tuoi standard. Li rialzerai più tardi.
Il foglio immacolato davanti e standard troppo alti sono una miscela altamente inibitoria. Meglio abbassarli all'inizio, quando l'importante è cominciare. Potrete rialzarli fase di revisione, con tante pagine ormai sotto gli occhi.
2. Prima di scrivere, immagina la tua storia.
La scrittura inizia molto prima che le mani comincino a muoversi. Più si lavora nella testa, meglio riuscirà la prima bozza.
3. Recita l'inizio come se stessi parlando con una persona.
Si può scrivere anche con la voce. Ascoltare, e poi scrivere.
4. Non stai scrivendo il tuo pezzo, ma un promemoria per te.
Se immagini di scrivere per te stesso, abbassi i tuoi standard in modo naturale e produttivo. Una volta che le mani si mettono in moto, anche le parole cominciano a fluire.
5. Scrivi più veloce che puoi per dieci minuti. Senza fermarti.
Ogni scusa è buona per procrastinare. Meglio mettersi a scrivere presto e velocemente. Il risultato forse non sarà dei migliori: chiamiamola "bozza zero". Ci insegnerà come scrivere meglio la prima.
6. Metti a tacere il critico che è in te.
Il critico ci serve in fase di revisione, quando gli standard qualitativi devono essere altissimi. Ora serve solo a metterci in crisi.
7. Se non riesci a scrivere nel solito posto, cambia posto.
Di solito le abitudini aiutano, ma se alla scrivania non riusciamo ad andare avanti, meglio il tappeto col computer in grembo o il bar di fronte.
8. Prendi carta e matita.
Lo schermo fa apparire bello e nitido qualsiasi testo, anche una pessima prima bozza, scritta tanto per cominciare. Questo non succede con carta e matita, che ci rendono più attenti e meno ansiosi.
9. Chiedi a qualcuno di farti un po' di domande sul testo che devi scrivere.
Le domande, soprattutto quelle aperte, ci possono mostrare il nostro tema da altri punti di vista e darci finalmente lo spunto per cominciare.
10. Per il momento scordati l'inizio. E comincia dalla fine.
Se all'inizio è il blocco, basta fare una deviazione e cominciare da un'altra parte. Quella più semplice, o quella che ci piace di più.
da Il mestiere di scrivere di Luisa Carrada
Mi viene in mente il cosidetto fraintendimento del Terzo Atto. Ovvero, quella particolare scena, piuttosto comune nelle commedie romantiche ma non limitatata ad esse, e posta generalmente verso i 3/4 del film, in cui fra i protagonisti scatta un qualche tipo di disaccordo o incomprensione, necessario a reintrodurre un nuovo elemento di tensione che "tenga su" l'atto finale.
Tipicamente: la dolce A e l'affascinante B si sono appena dichiarati eterno amore, ma la rivale C fa intendere a A che B è ancora interessato a lei (cioè C).
Una infuriata A non vuole ascoltare le motivazioni del presunto fedifrago B (anche se avrebbe tutti i motivi per credere che la rivale C stia mentando apposta per farli mollare) e d'altro canto questi viene colto da una improvvisa incapacità di spiegarsi chiaramente. Poi comunque litigano e non si vogliono più vedere.
Amici impiccioni e coincidenze improbabili a volte complicano ulteriormente la situazione.
Questo momento non è necessariamente imbarazzante di per sé, ma quando è scritto male fa sembrare i protagonisti degli idioti che, con un minimo di comunicazione in più risparmierebbero (a sé stessi e a noi) un'altra mezz'ora di incomprensioni, e di conseguenza fa sembrare lo sviluppo degli eventi forzato e artificiale, utile solo a separare i protagonisti a forza per poi riavvicinarli sul finale.
Non è in discussione ovviamente l'efficacia drammatica di questo meccanismo, solo la sua esecuzione di qualità spesso altalenante. Va detto anche che si tratta di uno sviluppo narrativo abusatissimo e che quindi risente della sua condizione di cliché.
di Michele Zaccaria per it.quora.com
Molte persone credono (erroneamente) che scrivere un romanzo (o una serie di romanzi) fantasy di sucCESSO sia una impresa epocale che soltanto poche penne elette posso portare a termine ! Niente di piu´ sbagliato ! Malachi Harkonnen, con un´altra delle sue veloci e snelle guide on-line, vuole dimostrare l´esatto contrario ! Seguite i consigli qui riportati e la strada come futuro scrittore di fama universale sara´ alla vostra portata:
1) Una delle prime uno stile di scrittura particolare o addirittura conoscere le regole grammaticali di base della vostra madre lingua: niente di cose che bisogna immediatamente smentire a proposito della stesura di un romanzo fantasy e´ che sia necessario avere piu´ sbagliato. Eventuali errori e/o svarioni da fa rivoltare nelle rispettive tombe tutti gli scrittori da Omero a Pirandello, verra´ commentato dai critici dei giornali ( gente, che secondo alcuni, dovrebbero essere considerati al pari dei criminali di guerra) come : "un perfetto esempio di innovazione stilistica in un panorama letterario altrimenti stagnante ".
2) Punto chiave della carriera di ogni futuro scrittore di un romanzo fantasy che si rispetti e´ aver letto il Signore degli Anelli ... lo so´, alcuni di voi potrebbero avere improvvisi attacchi di sonno al secondo capitolo del suddetto tomo, a causa del vivace stile di Tolkien che arriva subito al punto, senza perdersi in inutili spiegazioni che nulla hanno a che fare con la storia o canzoncine per bambini, ma il vostro destino dipende da questo !
Una volta terminata la lettura di suddetto capolavoro epico ( si consiglia di assumere 50 cc di caffeina per capitolo se non volete cadere in letargo), copiate la trama e il gioco e´ fatto. Plagio ? No, citazione, lo fanno tutti da piu´ mezzo secolo e nessuno si e´ mai lamentato.
3) Come gia´ detto precedentemente, la trama in un romanzo fantasy non ha molta importanza visto che piu´ o meno sono tutti plagi.. ehm... copi... ispirati al capolavoro del Signor Tolkien ( un professore inglese amante della birra alla spina e delle dormite epocali). Per chi nonostante la buona volonta´ e´ caduto in coma profonda dopo il primo paragrafo de " La compagnia dell´Anello " ecco un breve riassuntino dei punti cardine da rispettare:
- In passato tutti vivevano in pace, amore e armonia (come una comunita´ hippy, ma senza canne, orge gigantesche e nemmeno musica rock ...) , poi gli umani corrotti da un´oscuro signore del male (spuntato dal nulla) hanno alterato l´equilibrio cosmico generando una serie di giganteschi casini che rischiavano di portare il mondo sull´orlo della distruzione.
- Ci fu´ una violenta battaglia, gli elfi con la loro perfettosita´ sconfissero il signore del male e le sue armate ... o almeno cosi´ sembrava perche´ ...
- ... Dopo N (dove N, e´ un numero naturale intero bello grosso) migliaia di anni il signore del male si ripresenta con tanto di armate invincibili, fortezze inespugnabili e branchi di mostri schifosi (il tutto ovviamente spuntato dal nulla senza che nessuno notasse minimamente la cosa ... hey ! Non ricordavo che la fattoria di Tuc, aveva una lugubre torre per esporre le teste decapitate dei suoi nemici ancora grondanti di sangue ... ), pronto a disputare il secondo tempo della partita.
- Ma L´oscuro signore del male ha un punto debole ! Un artefatto, che ha perso durante la battaglia con gli elfi, gli e´ necessario al fine di conservare tutto il suo potere ...
- ... Destino vuole che questo artefatto sia nelle mani dell´alleanza del bene ( capitanata dagli elfi perfettini, che non si fidano dei propri alleati, e li considerano " minus quam merda ", visto che non sono assolutamente perfetti come loro). Di solito l´artefatto ha bisogno di un particolare rituale per essere distrutto, rituale che necessita, lunghi viaggi in terre pericolose infestate da gente che ti vuole abbassare di una testa con una roncola arrugginita ...
- ... Un qualsiasi deficiente affiderebbe l´artefatto ad un gruppo di marines cazzuti e indistruttibili, armati fino ai denti e capitanati da un sempre incazzato sergente urlante spara-ordini. Ma la logica ( che non c´e´) dei romanzi Fantasy preferisce affidare tale gravoso compito a 5 cretini di passaggio che si odiano a pelle, che non hanno esperienza alcuna di combattimento e si lamentano ogni due per tre dei calli ai piedi o del drago nero che vuole ridurli in cenere.
3) Gli elfi devono essere OBBLIGATORIAMENTE PRESENTI, magari gia´ che ci siete create un centinaio di diverse sottorazze ( elfi del sole, elfi della luna, elfi del sottosuolo, elfi metalmeccanici, elfi comunisti mangiabambini, ecc ...) una piu´ perfetta dell´altra.
Gli elfi devono essere OBBLIGATORIAMENTE: belli ( al contrario degli orchi, che sembrano avere un´esempio pratico di teoria del caos, sul viso), agili, scattanti, incorruttibili (al contrario degli umani, che vendono l´anima anche per un lecca lecca con su´ scritto "MAGGIA POTENTTE"), amici della natura, abili arcieri, maghi imbattibili, custodi di antichi segreti, immortali, omosessuali (i maschi, i nani con folte barbe e alito impestato da birra, sono un must), ninfomani ( le femmine, ma solo nei confronti del vigoroso eroe umano, sembrano disdegnare i maschi della loro stessa specie) ma soprattutto perfettini.
Gia´ perfettini, cosa significa cio´ ? Che qualsiasi cosa, loro la fanno meglio: Riesci a colpire un fagiano a 25 metri di distanza con un´arco ? Loro uccidono un topolino che si trova a mezzo chilometro di distanza dietro un monte con gli occhi bendati. Tu sei un´abile cantante ? Loro riescono a ruttare in Doulby Sorround, da soli. Fulmine, il tuo cavallo, ha vinto tutte le gare possibili nella contea ? Bene, state sicuri che anche il piu´ scalcinato ronzino elfico puo´ batterlo in corsa, trottando all´indietro e utilizzando una sola zampa.
4) Un´altro punto importante di ogni capolavoro fantasy sono i nomi da affibbiare a persone/luoghi/regni/oggetti magici/razze/super alcolici/ecc ... tutti devono avere le seguente caratteristiche:
- devono essere lunghi
- devono essere impronunciabili
- devono assomigliarsi tra di loro
- devono essere difficili da ricordare
Ecco un paio di esempi (visto che siete duri come nemmeno il granito):
- " La mite popolazione dei Rogi viveva nella vallata di Sandu, rinomata per la produzione di Kiram, un vino ad alta gradazione alcolica che fungeva anche da collutorio e liquido per frizioni idrauliche. I loro acerrimi nemici, I Gonrak intanto tramavano nell´ombra ... " - Oh mio dio che orrore ! In questa maniera il lettore potrebbe perfino CAPIRE qualcosa della storia !
- " La mite popolazione dei Vringherbilltinky viveva nella vallata di Vringherbilinky , rinomata per la produzione di Ingherbilltinky, un vino ad alta gradazione alcolica che fungeva anche da collutorio e liquido per frizioni idrauliche. I loro acerrimi nemici, I Vringerbilstiky intanto tramavano nell´ombra ... " - Ottimo, sublime ! in questa maniera il lettore perdera´ il filo del discorso entro 5 righe, ma poco importa visto che i romanzi fantasy, non ne hanno.
5) Siate schifosamente razzisti: gli elfi perfettini sono tutti perfetti, buoni e carini, i nani sono tizi barbuti dalla voce roca e il commento gagliardo che vivono in buche, gli hobbit sono una razza di neocon pigmei, bigotti, amanti della birra e nemici dell´igene degli arti inferiori, gli umani sono una plebaglia di contadinotti e sovrani corrotti, gli orchi sono tutti cattivi dal primo all´ultimo ( qualcuno sostiene che XicH@ilYn´ibFlitirbilJ la divinita´ elfica dei denti cariati gli abbia scagliato contro una terribile maledizione) e il loro unico scopo e quello di finire infilzati dall´eroe di turno,
6) ECCEZZIONE alla regola sopraccitata ! Gli eroi si elevano sopra la marmaglia per diritto divino ! Non perche´ hanno le abilita´, la forza o l´intelligenza per vincere, ma perche´ gli dei (lo scrittore) ha deciso cosi´ (meritocrazia nel Fantasy, ma dico siete impazziti per caso ?!). Gli eroi ce la fanno sempre e comunque, sono il meglio del meglio ! Perfino gli elfi perfettini accettano di buon grado di aver a che fare con eroi umani e le elfe hanno ricorrenti perdite di sangue al naso, non appena vedono il rude eroe scendere da cavallo con la barba incolta, mentre sventola un´arma/simbolo fallico.
Come gia´ detto il principale potere degli EROI e´ il fatto che sono PREDESTINATI: non avendo dalla loro nessuna abilita´ di sorta per affrontare le avversità, si possono affidare soltanto al loro CVLO ( o meglio, agli strani eventi favorevoli che guarda caso capitano intorno a loro e permettono di proseguire nei loro viaggi).
Voglio dire, secondo voi, un nano di 90 cm, senza ne´ armi, ne´ armature, ne´ addestramento militare, che possibilita´ ha di passare attraverso le fila dell´esercito nemico, infilarsi nel suo Santa Sanctorum, passare sotto il naso (o l´occhio) del signore del male e distruggere l´artefatto del male nel cortile di casa del rispettivo padrone ?
Nessuna, risponderanno i miei lettori che hanno ancora 6 neuroni in parallelo nella scatola cranica ... ERRATO ! E´ predestinato ! Quindi avra´ successo, anche se e´ un pollo con la difterite e la forfora.
7) Ho citato la predestinazione per caso ? O si altro fetis... ehm ... punto chiave della narrazione fantasy: ogni personaggio e´ predestinato e non puo´ scappare al suo destino. Korris il pavido morira´ affogato anche nel bel mezzo del deserto del Sahara, se Lala la sibilla ninfomane (lo scrittore ) ha stabilito´ cosi´. Bergaramh V il casto (o " colui che si amputo´ le mani pur di non toccarsi " ) sconfiggera´ il terribile Vrumgrum scorticatore della valle dei fucili a tappo poiche´ il profeta ha cosi´ predetto (anche se magari Bergham e´ un tizio con piu´ testicoli che neuroni nella scatola cranica).
Il fantasy e´ il mondo del politically correct al 100 %, nessuna remora morale se massacrate villaggi su villaggi di orchi, goblin e troll, anzi ! Siete un rispettabile eroe che combatte il male. Viceversa, se un´orco pensa anche di aver un benche´ minimo diritto (oltre quello di rantolare e contorcersi dal dolore dopo essere stato colpito a morte dall´eroe ) e fa´ notare che anche la sua specie e´ in fondo una civilta´ degna di rispetto, questo dovra´ essere massacrato seduta stante per le sue assurde idee !
Altra particolarita´ e´ l´immutabilità´ totale del mondo: i contadini sono amorevolmente sfruttati dal loro signore che lascia loro la possibilita´ di scegliere di morire in maniera violenta durante una battaglia come truppe sacrificabili o come zappatori malnutriti, il tutto da 12.000 anni circa.
9) Prendetela larga. Molto Larga. Il 99.9 % del testo di un qualsiasi libro fantasy e´ composto da parti che nulla hanno a che vedere con la trama principale: antiche leggende di come il mondo e´ stato creato da 4 divinita´ ubriache che giocavano a Twister, descrizioni delle perversioni sessuali del sindaco della citta´ nei confronti degli ortaggi da giardino, ricette a base di testicoli di orco, canzoncine senza senso ( da cantare ad alta voce nel bel mezzo di una foresta oscura piena zeppa di bestie sbrindella-carne), storielle piccanti con elfe e minotauri, ecc ...
Dette parti devono essere piazzate strategicamente, per distruggere psicologicamente il lettore. Per esempio : l´eroe e´ circondato dai nemici, si trova sul precipizio di un baratro, la sua lama e´ rotta e la sua fidanzata lo ha appena lasciato per un´ogre impotente. Carica, gettandosi nella mischia, gli occhi carichi d´ira e mentre un´orco perdeva la sua virilita´ a causa di un suo fendente, gli torno´ in mente una filastrocca della sua infanzia: " oh balla l´elfo ballerino / balla sotto la luna / dolce stellina, chioma fatata / si chino´ scurreggiando a tonalita´ alternata / ... ( la filastrocca prosegue per circa altre 180 pagine..)"
Tutto cio´ ha tre scopi fondamentali: 1) Gonfiare una storia che poteva tranquillamente finire in un´edizione tascabile, in un´interminabile raccolta di 150 volumi da 600 pagine cadauno 2) Nascondere al lettore, il fatto che sta´ leggendo un´altra versione del signore degli anelli 3 ) Far addormentare il lettore
10) La copertina e il titolo del vostro libro non sono cose da sottovalutare ! Anzi molto probabilmente il vostro cliente (non lettore, quello e´ un termine che utilizzano ancora soltanto scrittori comunisti mangia bambini) acquistera´ il vostro capolavoro basandosi sui colori presenti sul frontespizio. Se volete sperare di vendere piu´ di una dozzina di copie la vostra copertina dovra´ presentare:
- Draghi ( da soli o cavalcati come un qualsiasi animale da soma, poco importa, un drago e´ sempre un drago)
- Tizie anoressiche con addominali scolpiti e seni giganti, (S)vestite con aderenti tutine in cuoio borchiato (poco importa se nel periodo in cui e´ narrata la storia il must dell´abbigliamento e´ il pastrano in pelliccia di orso) e/o bikini in ferro battuto e ghisa (per qualche strana ragione, il costume a due pezzi, se indossato da una femmina, offre la medesima protezione di un´armatura completa), mentre brandiscono spadoni/simboli fallici grandi quanto loro
- Brutte copie di Conan il barbaro.
- Fortezze a 150 piani piazzate in posizioni assurde (di fronte ad una montagna, sotto terra, sotto un ponte, ecc ...)
- Personaggi carismatici che fanno qualcosa che non avra’ luogo nel libro.
- Eventi epocali che non hanno luogo nel libro
- Navi volanti
- Giardini fantastici con zucchini troppo cresciuti
- Miss luglio in pose equivoche
Per il titolo invece esistono delle leggi codificiate, come al solito non rispettarle vi condannera´ ad un´esitenza da mesto scrittore fallito tra sciroppi per la tosse contraffatti e reality show in terza serata:
- Le <avventure/cronache/storie/leggende> di <nome impronunciabile>
- La <condanna/sfida/maledizione> di <nome che che provoca spasmi involontari alla lingua se pronunciato correttamente>
- Il/la <nome arma> di <parola pronunciabile solo in un dialetto thailandese dimenticato da tempo >
- < nome protagonista > e < oggetto magico/congiura galattica/luogo sacrilego/mago che soffre di areofagia / ecc ... >
Piccola nota, non prendete questo topic seriamente !
Premetto che le fasi sotto esposte non sono in alcuna maniera vincolanti nella redazione di una sceneggiatura. Nel mio caso, ad esempio, passo dalla creazione del "Soggetto" alla redazione della "Sceneggiatura" aperta o letteraria in cui viene specificata la successione di inquadrature, scene e sequenze (con indicazioni sommarie su ambienti, azioni e movimenti, e note sulla rispettiva colonna-dialoghi). Lascio al regista o ai suoi collaboratori l'eventuale trattamento o scaletta e il cosidetto découpage tecnico.
"Esistono regole, ma per essere violate"
La redazione della sceneggiatura, che prevede sovente la stesura dei dialoghi, segue solitamente alcune fasi fondamentali che possono essere sviluppate in modo diverso a seconda dei metodi e delle preferenze del regista e del produttore del film. Scopo della sceneggiatura è quello di riassumere e ordinare le indicazioni relative alle azioni e operazioni da effettuare sul set, in modo da consentire il passaggio dalla fase ideativa a quella operativa.
IL SOGGETTO
La progettazione del film parte solitamente da un testo, detto "soggetto", nel quale sono esposti l'argomento, la trama e l'intreccio del racconto; il soggetto può derivare da un'idea preesistente (come ad esempio un'opera letteraria o teatrale, da "adattare" alle esigenze cinematografiche) oppure risultare "originale", vale a dire scritto espressamente per lo schermo. Questo testo, che mantiene una forma di tipo letterario e non contiene alcuna specificazione tecnica e operativa, viene poi sottoposto al cosiddetto "trattamento" e trasformato infine in "scaletta".
TRATTAMENTO E SCALETTA
Per trattamento si intende uno sviluppo della struttura narrativa esposta nel soggetto che contenga già un principio di articolazione per scene, una traccia degli snodi della progressione drammaturgica e i tratti principali della psicologia dei personaggi, nonché una descrizione di massima dei luoghi nei quali si ambienterà la vicenda e (talvolta) l'abbozzo di alcune battute di dialogo. Il trattamento rivela le intenzioni programmatiche e le peculiarità stilistiche dello sceneggiatore, la cui attività può prevedere talvolta la partecipazione diretta dello stesso regista (qualora le due figure, come sovente accade, non siano riunite in una sola persona).
Con la scaletta, infine, viene resa maggiormente esplicita la suddivisione per scene, e si precisano gli eventi contenuti in ciascuna di esse.
A questo punto si perviene alla stesura "definitiva" del testo sceneggiato.
TIPOLOGIE DI SCENEGGIATURE
Il complesso percorso sin qui descritto può sfociare, come si è accennato sopra, in esiti differenti. Infatti, accanto a sceneggiature per così dire "aperte", o semplicemente ancora "letterarie", in cui viene specificata la successione di inquadrature, scene e sequenze (con indicazioni sommarie su ambienti, azioni e movimenti, e note sulla rispettiva colonna-dialoghi), vi sono sceneggiature dettagliate fin nei minimi particolari, tali da richiedere solamente l'esecuzione; questo è ad esempio ciò che accade nel "découpage tecnico" (o "sceneggiatura di ferro") caro a cineasti come Alfred Hitchcock, che giunge persino a contemplare i tipi di obiettivi o le fonti luminose da utilizzare e viene elaborato dal regista in accordo con i suoi più stretti collaboratori.
Vi sono inoltre casi in cui la sceneggiatura si risolve in uno scarno e schematico insieme di appunti, modificabili in qualsiasi momento in base agli stimoli indotti dal set, ad esempio dall'improvvisazione di dialoghi e situazioni o da semplici imprevisti; è questo un procedimento diffuso nel neorealismo italiano o in alcune correnti cinematografiche europee degli anni Sessanta e Settanta.
Ultimamente, soprattutto nelle produzioni di maggior impegno finanziario o in quelle in cui l'adozione di complicate scenografie e di raffinati effetti speciali rende particolarmente delicate le operazioni di ripresa, si tende ad affiancare alla sceneggiatura un insieme di visualizzazioni grafiche (note col termine anglosassone di story-board). Va inoltre precisato che il découpage finale di un film, oltre che direttamente sul set, può essere considerevolmente modificato anche in sede di montaggio. Infine, non è infrequente la pubblicazione come testi autonomi tanto delle sceneggiature "letterarie" quanto di quelle cosiddette "desunte", ovvero delle trascrizioni delle pellicole cinematografiche così come sono state portate sullo schermo.
di Massimo D. Zilioli
Qualche tempo fa ho visto a un festival un cortometraggio premiato per la migliore sceneggiatura. La sceneggiatura infatti era ottima ma fin quasi al termine, secondo me, fino a che proprio coi titoli di coda gli autori non hanno avuto un cedimento per un grosso errore. Evidentemente la giuria non si è accorta di questo errore. E’ interessante parlarne perché nel contempo si comprenderà cosa è il colpo di scena.
Il corto narra di un giovane alla disperata ricerca di un lavoro. Un giovane “avanzato in età”, Mario ( per dargli un nome), con fidanzata che vorrebbe sposarsi, con genitori che si avviano alla pensione, con una sorellina che gli vuol bene, con uno zio premuroso, con una nonna che capisce e non capisce. Storia dei nostri giorni ben costruita, famiglia convincente per le dinamiche relazionali che esemplificano ciò che accade comunemente nella realtà. La storia è centrata su un ennesimo tentativo di colloquio di assunzione, sul colloquio stesso e sull’attesa dei risultati. Proprio durante il colloquio la nonna viene ricoverata in ospedale. Abbastanza normale, non è la prima volta, in fondo è molto anziana.
Mario dopo il colloquio viene avvertito dalla segretaria dell’azienda, in tono confidenziale, che se non riceverà alcuna telefonata entro le tredici del giorno dopo potrà considerarsi assunto; la telefonata ufficiale di assunzione e l’invito a presentarsi viene di norma inviato in seguito. Mario sembra soddisfatto del colloquio sostenuto, racconta a casa che bisogna pregare che non arrivi nessuna telefonata da quella azienda fino alle tredici del giorno dopo.
E il giorno dopo verso le undici la madre impaziente e speranzosa, che “ sente che questa è la volta buona”, prepara di nascosto una torta, mentre lo zio anche lui ottimista corre a comprare lo spumante. Insomma c’è chi spera e c’è pure chi si tormenta: e se questa volta sarà come le altre? I pessimisti sono, oltre Mario, il padre, serio, preoccupato, che non commenta e attende; la fidanzata che oscilla tra fiducia e sfiducia, anche lei in ansia; la sorellina di Mario che la imita. Alle tredici meno dieci, ormai quasi ora di pranzo, alcuni sono già seduti a tavola e c’è chi guarda l’orologio di nascosto, e chi proclama l’orario apertamente. Alle tredici meno cinque lo zio fa apparire la bottiglia di spumante e subito la madre mette la torta in bella vista. Mancano ormai pochi secondi alle tredici e tutti sono in fibrillazione, persino il padre ora sorride, la fidanzata esulta, figurarsi madre e zio! ma ecco che squilla il telefono… e continua a squillare lacerando il silenzio.
Fermiamoci un attimo per spiegare il colpo di scena. Mettiamoci dalla parte degli spettatori, non è difficile immedesimarsi e pensare come loro. Gli spettatori, a questo punto in tensione come i personaggi del film, si chiedono ansiosi: chi sarà!?, oppure sono già delusi: addio! ecco la telefonata che boccia Mario. Dunque il percorso della narrazione scivola perfettamente: tutto accade come in una famiglia qualsiasi, la telefonata che si teme arriva. Potrebbe essere un’altra persona che telefona. Oppure Mario non ce l’ha fatta. In tutti e due i casi ( la telefonata di altri e la telefonata di bocciatura ) siamo di fronte a un normale svolgersi degli eventi. Invece colpo di scena, ossia svolta nella narrazione: accade qualcosa d’altro, che non si attendeva, o di cui ci si era dimenticati.
Risponde ovviamente Mario, con la faccia che pende. Dall’altra parte c’è qualcuno dell’ospedale che avvisa che è morta la nonna. Gli spettatori ascoltano, come Mario, e apprendono la notizia, e siccome sono al di fuori della storia, per quanto partecipi siano, rimangono un po’ costernati: è vero che non è stato bocciato, però la notizia è una notizia di morte. Ma gli altri personaggi del film non sanno ancora e sono in attesa spasmodica. Mario non reagisce subito, chiude il telefono e dà la notizia. Non è la notizia temuta! Tutti esultano, urlano di gioia, lo zio stappa lo spumante, si fanno gli auguri. Questa reazione è il secondo colpo di scena.
Mettere un intero gruppo in condizioni di reagire esultando a una notizia di morte, senza per questo apparire crudeli è una trovata geniale. La risata del pubblico scaturisce dal paradosso, dall’equivoco emotivo che sorge per via dell’attesa di qualcosa che rinvierebbe il gruppo nella penosa realtà di un giovane che non ha lavoro. Se questo qualcosa non avviene l’emotività positiva, la gioia, è così alta che tutto ciò che avviene è come se non avvenisse. Se il film termina qui lo spettatore va via soddisfatto, col volto sorridente, convinto di ciò che è accaduto, non importa se è un evento estremo. Il colpo di scena, l’evento paradossale, è riuscito. E oltretutto Mario è stato assunto. Che è importante per il lieto fine, che ha il suo peso sullo spettatore. Questo secondo colpo di scena veramente straordinario avrebbe dovuto chiudere il film.
Ma il film non termina qui, continua nei titoli di coda. La segretaria dell’azienda, che gli spettatori conoscono, è al telefono. Il direttore le chiede se ha avvertito tutti gli esclusi e la segretaria risponde che le è rimasto l’ultimo, un tal Mario… il cui telefono prima era occupato…
Il film termina con questo terzo colpo di scena. Un colpo di scena di troppo, secondo me. Ben tre colpi di scena! Se si utilizzano più colpi di scena, e ovviamente si vuole che funzionino, devono essere organizzati in progressione di efficacia sempre maggiore. In questo caso l’ultimo non si può paragonare certo al secondo quanto a originalità e forza. Perché accade facilmente che un Mario sia bocciato per l’ennesima volta ( purtroppo oggi ) e che la persona che glielo deve comunicare trovi il telefono occupato. Mentre è molto improbabile che si esulti di gioia a una notizia di morte. Non solo. C’è un altro aspetto. In questo caso si raggiunge un obiettivo non voluto, quello di mandar via gli spettatori delusi. Forse sorridono pure per questo finale, ma di sicuro non ridono come prima. E questo è il grave errore.
Maurizio Mazzotta - www.essereuomo.it
Fare cinema
di Maurizio Mazzotta
Il colpo di scena
Il film può essere scritto a vari livelli di precisazione. E si può partire da un’idea abbozzata in poche righe o da un racconto letterario. Si può scrivere una semplice scaletta o una sceneggiatura precisata in ogni parte. E si può arrivare a disegnare la singola inquadratura, come una vignetta, modalità preferita spesso da Fellini.
Naturalmente condiziona se il film è un corto ( misura variabile dai 10 ai 20 minuti ) o un medio-lungometraggio (dai 20 ai 90 minuti e oltre). Per un cortissimo (cinque minuti) l’idea, pure solo abbozzata, è in genere sviluppata e tradotta direttamente in una scaletta, cioè una sequenza di azioni descritte ( chi sono e cosa fanno i personaggi e dove agiscono ) con un dialogo accennato. Ma se si considera un corto che abbia uno sviluppo di eventi o a maggior ragione un lungometraggio e se si parte da un soggetto scritto da altri, allora bisogna sedersi a tavolino e pensarlo per immagini e a questo punto più il film scritto è definito meno problemi si affronteranno in seguito sul set e in fase di montaggio. Ciò non significa che in queste fasi non si possa intervenire con modifiche. La sceneggiatura serve per avere tutto chiaro il film nella testa, poi in ogni momento se sorgono idee si può cambiare. Dunque sceneggiatura precisata ma flessibile.
La sceneggiatura parte da un’analisi approfondita della storia e dei personaggi e questi ultimi sono costruiti rivelando tutto ciò che può essere utile: dai gesti ai modi di dire ai difetti ai modi di muoversi, di acconciarsi, di vestire. In questo senso lo sceneggiatore dà suggerimenti ai truccatori e ai costumisti che in seguito saranno coinvolti. Così pure gli ambienti sono descritti per facilitare il compito dello scenografo. Ci sono sceneggiatori che suggeriscono a chi dirigerà il set i tempi di durata delle inquadrature. Se non sempre almeno quando una inquadratura è significativa. Comunque è necessario stabilire il tempo delle scene per un’ipotesi di durata totale del film.
Ecco un esempio di descrizione di ambienti e personaggi.
Il tribunale della Sacra Rota ( dal sito www.essereuomo.it )
Vicariato. Tarda mattina di primavera. Personaggi principali: Giò il Rosso, il Monaco Dottore, il monaco segretario.
Per le Inquadrature alternare Campi Lunghi ( CL ) e Totali ( CT ) con Figure Intere ( FI), Primi Piani (PP) e Dettagli ( DET). Evitare i Campi e i Piani Medi ( PM,CM).
Per il sonoro solo dialoghi e rumori d’ambiente.
Scena I. - Interno-esterno. Durata 1 minuto.
Corridoi che si affacciano in un chiostro. Netto contrasto di luci e ombre. Distorsione percettiva delle profondità e delle altezze. I corridoi sono larghissimi e si restringono a cuneo allo stesso modo delle autostrade quando si procede ad altissima velocità. Questa percezione contrasta con il procedere al rallentatore dei personaggi.
Giò, il Rosso, indossa un paio di jeans estivi celesti, mocassini di cuoio chiaro, giacca avana di cotone, camicia a fiorellini celesti su fondo nocciola, cravatta azzurra con petali di fiori colorati delicatamente di giallo e di marrone, i ray-ban per via della luce bianca e violenta. Ha in mano un libro.
CL - Il Rosso segue un monaco tutto nero: il saio e anche la testa, rallegrata da riccioli scuri.
Vanno lungo corridoi con svolte ad angolo retto, per scale interminabili.
Corridoi e scale sempre più stretti.
PP – del monaco accompagnatore che bussa con eccessiva discrezione. Viene da pensare se chi sta dentro può aver udito quel tocco leggero.
FI - La porta viene aperta da qualcuno che sembra sia stato là dietro appostato con una rapidità che contrasta con il movimento lento dei personaggi. E’ un monaco bianco e marrone. La sua figura è attraversata dalla luce.
PIANO SEQUENZA – di Giò. Il monaco accompagnatore si fa da parte per lasciar passare Giò, e diventa un affresco sulla parete della scala, mentre Giò va incontro al viso radioso e dolcissimo del monaco bianco e marrone.
Scena II. - Interno. Molta luce. Durata 10 minuti
Macchina da ripresa ( MdR ) a terra in angolo. C L. Si tratta di uno studio, pareti di legno massiccio foderato di libri. Lungo, rettangolare, volta bassa, archi gotici alle finestre. In fondo una grande scrivania. Di spalle, seduto, Giò il Rosso.
CARRELLO IN AVANTI. La MdR si alza lentamente e si scopre a poco a poco un altro personaggio, seduto dall'altra parte della scrivania, di fronte a Giò: è il Monaco Dottore. Giò è inquadrato sempre di spalle, ma viene decentrato dal movimento della MdR che avanza fino a inquadrare parte della scrivania (carte e libri giganteschi ), il busto e il volto del Monaco Dottore.
La MdR avanza fino a PP del Monaco Dottore.
La sua figura è assimilabile a una raffigurazione pittorica, senza profondità, dalle linee essenziali, ricca di colori sfumati. Un volto tondo con una cornice di capelli castano-chiari ben ordinati, occhi nocciola che esprimono severità con dolcezza. Incarnato molto chiaro. La testa potrebbe essere un cerchio poggiato sulla sommità di un triangolo. Il triangolo è il saio marrone con sfumature di luce che in certi punti lo sbiancano. Il saio parte direttamente dal collo come un tetto spiovente a formare le maniche sicché il monaco pare senza spalle: una figura ieratica ritagliata da una pala d'altare. La sedia ha una spalliera assai più alta della figura del monaco che risulta come fosse un dipinto su legno…..
Maurizio Mazzotta www.essereuomo.it
Un colpo di scena è diverso da una sorpresa. Ecco la differenza.
Una sorpresa nella trama
Succede qualcosa che è in linea con quello che è successo prima. Potrebbe esserci stata anche una sorta di prefigurazione. Ma la sorpresa non sconvolge l’aspettativa del lettore, perché il lettore non aveva formato alcuna aspettativa particolare in relazione a questo particolare problema.
Poniamo il caso che un personaggio passi molto tempo a cercare oro in un canyon noioso Il lettore non ha idea di che cosa troverà. Quando trova l’ingresso di una grotta, il lettore è sorpreso, ma non turbato. Semplicemente non aveva idea a cosa stesse portando l’intera faccenda della ricerca dell’oro.
Il lettore è attanagliato perché vuole sapere quale significato ha la grotta. Ma non è confuso o spaventato, perché non aveva alcuna aspettativa precedente su ciò che sarebbe potuto accadere.
Un colpo di scena
Perché qualcosa possa essere considerato un colpo di scena, il movimento della trama deve sorprendere, ovviamente. Deve anche essere perfettamente coerente con ciò che è successo prima. Potrebbe esserci stata qualche prefigurazione piuttosto sottile che per il lettore ha senso solo in retrospettiva.
In aggiunta – ed è questo l’elemento nuovo – lo sviluppo della trama deve ribaltare, e ribaltare violentemente, un presupposto che il lettore aveva precedentemente sostenuto con totale fiducia. In Psyco di Hitchcock si suppone che Janet Leigh, la star al centro del film – sopravviva almeno fino agli ultimi dieci minuti del film, visto che la prima parte è incentrata quasi completamente su di lei, d’altronde valeva oro al botteghino.
Non è che lo spettatore si chieda consapevolmente se la Leigh sopravvivrà o meno. Presume semplicemente di sapere come funzionano i film e quindi sa che il regista non ucciderà il personaggio principale a metà film. Ma Hitchcock ha fatto esattamente questo e il film ha deviato in una direzione assolutamente imprevedibile.
Perché i lettori amano i colpi di scena
Una scena che ha la forza di confondere il lettore sembra sia più sorprendente e coinvolgente. C’è qualcosa in essa, come un trucco da circo, una manovra tecnica difficile da eseguire che abbaglia il lettore. Questa qualità narrativa è il motivo per cui i lettori amano i colpi di scena e tendono a commentarli.
Se pensi di inserire un colpo di scena nel tuo libro, il punto di partenza è l’aspettativa del lettore che devi provare a ribaltare:
1. Crea un’aspettativa
2. Rafforza la convinzione creata
3. Prefigura e suggerisci una possibile verità
4. Ribalta l’aspettativa
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