♥ dalle Idee alle Sceneggiature
Una sceneggiatura cinematografica, anche di un corto, non è altro che raccontare una storia sotto forma di sequenze di inquadrature. Si deve partire da un’idea che può nascere da un'immagine visiva, da uno spunto di vita vissuta o letta oppure da un’idea nata all'improvviso. Come prima cosa bisogna saper sintetizzare la nostra idea in poche frasi, e questo non è facile. Il nostro corto deve poter essere raccontato in tre frasi. Mettete la vostra storia su carta al massimo in 4 o 5 righe, raccontando brevissimamente sia l’azione che il personaggio. Naturalmente bisogna sapere chi è il protagonista per poi definire lo svolgimento della storia. E' importante scrivere tutto in sintesi, ma devono essere 3 frasi che possano catturare immediatamente l'attenzione di un ipottico ascoltatore. E' un primo riassunto di ciò che è la nostra idea.
Vari sono i passi per arrivare a scrivere una sceneggiatura. La sceneggiatura va costruita seguendo i passi giusti: non posso costruire un palazzo partendo dal tetto. Dall'idea si passa al soggetto che è il film scritto sotto forma di racconto. Nel racconto dobbiamo focalizzare l’intreccio della storia con tutti gli elementi che la costituiscono. Come tutte le storie, a partire dalle fiabe fino alle commedie, ci devono essere tre parti essenziali: l’inizio, la parte centrale e la fine. Sono questi tre elementi che compongono la struttura narrativa di ciò che vogliamo raccontare. Il soggetto aiuta lo scrittore ad organizzare la storia nelle sue componenti fondamentali che in seguito si espanderanno prendendo la forma più complessa della sceneggiatura. La sinossi deve essere redatta in stile indiretto e privo di dialoghi. Anche se non esiste una lunghezza standard per il soggetto, normalmente si scrivono dalle tre alle cinque cartelle dattiloscritte.
La scaletta
Il secondo passo, prima di arrivare alla sceneggiatura, è rappresentato dalla scaletta ; che è l’ossatura della storia. In questa fase lo scrittore organizza uno schema che riassume i punti salienti della vicenda. Spesso la scaletta viene fatta coincidere con una successione numerata di tutte le scene, in ordine, con una frase che ne riassuma l’azione relativa.
Il trattamento
E’ qui che la storia riassunta nel soggetto, inizia ad espandersi come una macchia d’olio. Seguendo lo schema della scaletta, si descrive dettagliatamente l’azione del film, in continuità. Ogni situazione è descritta dettagliatamente e i personaggi incominciano a prendere forma, a caratterizzarsi. Anche gli ambienti sono definiti con precisione. Nel trattamento domina l’aspetto narrativo-letterario. Nella maggior parte dei casi, in questa fase vengono inseriti i dialoghi, e il trattamento viene denominato, per gli addetti ai lavori, "scalettone". La sua lunghezza può variare dalle trenta alle cento cartelle dattiloscritte.
La sceneggiatura
Questo è il paragrafo più delicato del nostro prontuario. Ora che la storia è ben strutturata, non ci resta che scriverla in termini cinematografica, cioè sotto forma di scene e sequenze. Una sceneggiatura, ovvero il copione, può essere scritta in due modi, comunemente chiamati : ‘all’italiana’ e ‘all’americana’. Nel primo caso avremo il foglio diviso in due colonne : a destra gli elementi sonori e i dialoghi; a sinistra gli elementi visivi e l’azione. La sceneggiatura all’americana invece viene redatta per scene principali, dove tutti gli elementi sopra indicati sono riuniti in una progressione uniforme. Ogni scena viene numerata e individuata in tre elementi base : luogo - interno/esterno - giorno/notte. Nel primo si indica l’ambiente(il set), nella seconda si specifica se si gira in interno o in esterno ed infine si indica se l’illuminazione della scena deve essere diurna o notturna. Segue la descrizione dell’azione con le indicazioni tecniche di ripresa, che vedremo più avanti. Una buona sceneggiatura deve essere scritta in una forma chiara, semplice, con uno stile elegante, con pochi termini tecnici o indicazioni di regia che la inceppino. Usare paragrafi brevi con i verbi in forma attiva, modo indicativo e tempo presente. Anche se si racconta un avvenimento avvenuto precedentemente, bisogna scriverlo sempre al presente, come se la cosa stesse accadendo proprio ora. Evitare i verbi composti. Usare verbi e sostantivi forti, e aggettivi solo se necessario dal punto di vista drammatico. Bisogna usare parole che esprimono immagini specifiche, semplici ; evitando l’introspezione o quel tipo di informazione che non si può mostrare sullo schermo. Alternato ai paragrafi, si possono inserire i dialoghi, fissando gli spazi come segue :
Descrizione del luogo, del personaggio, dell’azione...
PERSONA CHE PARLA (indicazione parentetica) Le parole che vengono dette. Descrizione...
I dialoghi devono differire leggermente dalla realtà. Nella scrittura cinematografica i dialoghi devono essere sintetici. Devono avere un valore scenico, cioè composto da battute che gli attori non facciano fatica a pronunciare. I dialoghi, messi insieme devono trasmettere una certa musicalità. Devono inoltre presentare una certa dinamicità : far scorrere la storia in avanti, senza intoppi. Il dialogo è anche un ottimo mezzo per far emergere la figura del personaggio, rivelando quelle informazioni che non sono state descritte nel discorso indiretto. Per consuetudine una pagina di sceneggiatura all’americana corrisponde a circa un minuto di film. Per cui un lungometraggio di centoventi minuti corrisponderà ad una sceneggiatura di centoventi cartelle dattiloscritte, con interlinea 1.
Il paradigma
Su come vada concepita una sceneggiatura ci sono molte
scuole e tendenze. Syd Field, uno tra i più noti sceneggiatori e insegnanti americani del settore, ha inventato un nuovo sistema per creare una sceneggiatura. E’ il sistema del paradigma, paragonabile ad una mappa, la struttura drammatica di una sceneggiatura. Il paradigma è un modello, un esempio, uno schema concettuale dell’aspetto che avrà la sceneggiatura. E’ suddiviso in tre parti: un inizio, una parte centrale e una fine. L’inizio corrisponde al primo atto, la parte centrale al secondoatto, e la fine al terzo atto. Alla fine del primo atto e alla fine del secondo, troviamo il cosiddetto colpo di scena. Esso è indispensabile per far procedere la struttura narrativa; per aumentare la curiosità dello spettatore. E’ l’ostacolo che il protagonista della storia deve superare per arrivare alla risoluzione. Una storia cosi concepita deve essere creare una atmosfera di attesa per catturare il pubblico. Poiché una pagina di sceneggiatura equivale ad un minuto sullo schermo, il paradigma è suddiviso in maniera tale da impostare un film di centoventi minuti, cioè centoventi pagine. Il primo atto è lungo trenta pagine. Incomincia a pagina uno e continua fino al primo colpo di scena. Il secondo atto va da pagina trenta a pagina novanta ; dal punto della vicenda che comincia alla fine del primo atto fino al secondo colpo di scena che arriva alla fine del secondo atto. Questo secondo blocco è lungo sessanta pagine ed è tenuto insieme dal contesto drammatico definito confronto nella cui metà, a pagina sessanta, troviamo la parte centrale. Infine il terzo atto, che va da pagina novanta a centoventi. Queste ultime trenta pagine sono tenute insieme dal contesto drammatico chiamato risoluzione.
Quanto detto può essere, a grandi linee, schematizzato in figura, dove è stato tracciato il paradigma di un film celebre : E.T. di Steven Spielberg. Ecco la trama ed il relativo paradigma :
La storia: E.T. giunto sul pianeta Terra con un’astronave si perde nel bosco. Rimane solo quando i suoi sono costretti a partire senza poterlo far rientrare nell’astronave. Braccato, vaga nella periferiadella città. Viene trovato e curato da un ragazzino : Elliot. E.T. edElliot diventano, inevitabilmente, amici. Il ragazzo presenta ilvisitatore, "lo Gnomo", a suo fratello e a sua sorella. In breve tempo Elliot ed E.T. sviluppano un sistema di comunicazione basato più sulle affinità di sentimenti che sul linguaggio : l’uno avverte le sensazioni dell’altro. Il piccolo visitatore, inoltre, possiede dei poteri extrasensoriali. E.T. ha nostalgia : vuole tornare a casa. Vuole telefonare a casa. Il ragazzo va in cantina e porta a E.T. tutto quello che trova : una sega, qualche giocattolo, un saldatore, una caffettiera. Il fratello maggiore di Elliot dice che E.T. potrebbe ammalarsi. E.T. prende vari pezzi e li assembla realizzando un primitivo impianto trasmittente. La notte di Ognissanti, travestito da gnomo, E.T. fugge nel bosco con i bambini. Regola il suo impianto di trasmissione e invia un segnale nello spazio. Elliot ed E.T. passano la notte nel bosco. E.T. non soffre solo per la lontananza da casa, ma anche sicamente. Peggiora. In un disperato tentativo di aiuto, Elliot lo fa vedere a sua madre. Ma è troppo tardi : E.T. sta morendo. Gli adulti prendono l’iniziativa. Cercheranno di salvarlo, ma tutto è ormai inutile : E.T. muore. Poi miracolosamente torna in vita.
Paradigma :
Come potete vedere, alla pagina ventitré della sceneggiatura troviamo il primo colpo di scena : quando Elliot è costretto a nascondere l’extraterresre nell’armadio, per paura di farlo vedere ai suoi familiari. A metà della storia, ovvero la parte centrale (pc) individuabile a pagina 61, E.T., in preda alla nostalgia, vuole tornare a casa. Questa situazione tiene collegata la prima e la seconda metà del secondo atto. A pagina ottantasei troviamo il secondo colpo di scena : E.T. è in fin di vita. La risoluzione si ha quando l’extraterreste, dopo essere morto, torna miracolosamente in vita.
La scrittura cinematografica
Scrivere per il cinema significa scrivere per immagini, e per fare ciò occorre che lo sceneggiatore abbia un suo punto di vista tecnico. In genere in ogni paragrafo di sceneggiatura va indicata l’inquadratura appropriata. L’inquadratura è quell’immagine colta dall’obiettivo della macchina da presa (m.d.p.). Il regista, a secondo delle diverse angolazioni dell’inquadratura, può esprimere il suo punto di vista rispetto alla realtà che vuole rappresentare. Per quanto concerne l’inquadratura bisogna subito distinguere il campo di ripresa dal piano di ripresa. Il primo corrisponde alla porzione di spazio inquadrato; il secondo invece riguarda la porzione della figura umana inquadrata. Questi due elementi della scrittura cinematografica possono essere frazionati in otto specifici punti di vista. :
- Campo lunghissimo o totale (C.L.L .):
quando la macchina da presa inquadra una spazio
vastissimo, che si perde praticamente all’infinito.
- Campo lungo (C.L.):
molto simile all’inquadratura precedente; solo che in questo caso la figura umana è più riconoscibile nell’ambiente.
- Campo medio (C.M.):
quando una o più persone sono riprese per intero. Nel caso in cui venga inquadrata una persona sola , allora si avrà la Figura intera (F.I.)
- Piano americano (P.A.):
la figura umana è ripresa dalle ginocchia in su.
- Primo piano (P.P.):
viene inquadrato il volto e parte del busto del personaggio.
- Primissimo piano (P.P.P.):
è inquadrato solo il volto.
- Controcampo (Cc.):
inquadratura diametralmente opposta a quella precedente.
- Dettaglio/particolare:
si usano per fare dei primi piani rispettivamente ad un
oggetto e ad una parte specifica del corpo umano.
Seguono ora i movimenti della macchina da presa.
- Panoramica:
movimento rotatorio della m.d.p., fissa su un sostegno. Può essere verticale o orizzontale e obliquo. Facendo un rapido movimento di macchina, da un’inquadratura a un’altra, si avrà la panoramica a schiaffo.
- Carrellata:
quando la m.d.p. compie un movimento in avanti, indietro,
obliquo, a destra e a sinistra. Può essere fatto sui binari
dove viene posto il carrello; con il pied de poule (un carrello mobile a tre ruote), e con la cameracar, quando la macchina da presa e fissa su un’auto o su una moto per la strada.
- Dolly:
quando la macchina da presa è montata su una gru con un braccio mobile che compie movimenti dal basso all’alto e viceversa con grande maneggevolezza, grazie ad una serie di meccanismi pneumatici.
- Steady-cam:
è una macchina da presa particolare, montata sul corpo
dell’operatore, grazie ad un sofisticato meccanismo.
Altri elementi usati dallo sceneggiatore sono :
- Stacco:
è un’interruzione netta tra un’inquadratura e quella
successiva.
- Dissolvenza:
che può essere in chiusura quando l’immagine lentamente scompare nel buio. Si dice in apertura quando l’immagine, dal buio, emerge a poco a poco. La dissolvenza è incrociata quando un’inquadratura si trasforma gradualmente in un’altra.
Per quanto riguarda i dialoghi, esiste un termine tecnico
molto comune nella nomenclatura cinematografica: F.C.
(fuori campo). La voce fuori campo si ha quando il
personaggio parla senza essere inquadrato. Possiamo
inoltre avere in campo una persona che pensa, e sentire la
voce interiore : in questo caso non avremo un F.C., ma
semplicemente scriveremo :
VOCE ‘PERSONAGGIO’ Le parole che vengono pensate.
I personaggi
I personaggi di un film sono coloro che animano la storia.
Lo spettatore si deve riconoscere in loro. Soprattutto il protagonista deve attirare l’interesse dello spettatore, suscitando delle reazioni forti. Deve avere una personalità tale da renderlo credibile nei conflitti che gli si presentano durante il cammino. Deve avere una certa coerenza. Tutti questi elementi fanno sì che il personaggio sia caratterizzato. Il linguaggio cinematografico non permette di far pensare un personaggio come in un romanzo letterario.
Quanto detto è solo possibile mostrarlo nell’atto di farlo, in modo tale che il suo agire riveli di fatto ciò che sta pensando. Per caratterizzare un personaggio in maniera così dettagliata, occorre che lo sceneggiatore lo conosca alla perfezione. E’ consigliabile, a tale proposito, costruire una biografia contenente gli elementi che stanno alla base della caratterizzazione del personaggio:
- l’età;
- la posizione sociale;
- i rapporti interpersonali;
- la psicologia, il carattere.
Ovviamente tutte le informazioni legate al personaggio nonvanno esaurite in un solo colpo, ma vanno rivelate poco allavolta, per mantenere desta l’attenzione del pubblico. Siincontra sempre in un racconto, un’altra figura :l’antagonista. Esso è colui che oppone al protagonista,ostacolandolo. Anche i personaggi minori devono esserecostruiti secondo le stesse regole dei protagonisti, anche se in tono minore.
L’adattamento
L’adattamento consiste nel trasportare un opera letteraria o teatrale in un racconto cinematografico.
Un copione cinematografico risulterà molto diverso dal romanzo o dal testo teatrale dal quale è stato tratto. Per procedere nell’adattamento occorre innanzitutto entrare in rapporto di familiarità con l’opera originaria, leggendola attentamente e cogliendone i dettagli, insomma analizzarla. Si dovrà poi schedare il racconto in base ai fatti, ai personaggi e alle azioni, cercando di ricostruire la storia ordinandola per scene, utilizzando le stesse tecniche descritte precedentemente.
Una delle operazioni più complicate e quella di tradurre un romanzo in film. Come si sa un'opera letteraria è ricca di tanti importanti valori che difficilmente possono essere tagliati per la versione cinematografica. l'iter più congeniale è quello di saper individuare le scene chiave del romanzo, per realizzarne una scaletta vera e propria. Ne consegue una progressiva struttura narrativa che piano piano ci porterà alla stesura della relativa sceneggiatura. Sicuramente questo è un lavoro delicato che comporta abilità, sensibilità e tanta pazienza.
Esempio di sceneggiatura
Giunti al temine di questo prontuario, eccovi un esempio di sceneggiatura redatta all’italiana e poi all’americana.
SCENA 10 Veronica e Beatrice si sporgono dalla ringhiera |
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BEATRICE |
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VERONICA |
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Una donna di una bellezza strepitosa passa in gondola sotto un ponte, e porge un grappolo d’uva al suo prescelto. |
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Le ragazze stanno a guardare. Sono sgomente e impaurite |
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BEATRICE Dio non dovrebbe permettere |
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VERONICA |
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VERONICA |
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VERONICA |
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Beatrice dà una botta a Veronica, come per rimproverarla. |
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Ora la stessa scena redatta all’americana.
SCENA 10
Terrazzo-Est. giorno.
Veronica e Beatrice si sporgono dalla ringhiera.
BEATRICE
Se qualcuno ci vede, siamo fritte.
VERONICA
Non stanno guardando noi, Bea.
Guardanoloro.
Una donna di una bellezza strepitosa passa in gondola sotto un ponte, e porge un grappolo d’uva al suo prescelto.
Le ragazze stanno a guardare. Sono sgomente e impaurite - una paura che a tratti si fa vero e proprio orrore.
BEATRICE
Dio non dovrebbe permettere che il
peccato sia così bello.
VERONICA
Come dee. Livia, Imperia, Marina...
BEATRICE
Quelli non sono i loro veri nomi. Li
inventano, lo sanno tutti.
VERONICA
Neanche "Pio" è il vero nome del
Papa.
Beatrice dà una botta a Veronica, come per rimproverarla.
(Tratto da : "The honest courtesan" - Sceneggiatura di Jeannine Dominy).
La fiction televisiva
L'iter per lo sceneggiatore intenzionato a realizzare un opera destinata al piccolo schermo differisce da quello tradizionale. Se si tratta di una serie televisiva, anziché scrivere le sceneggiature complete dei singoli episodi, è opportuno presentare al possibile committente, in genere RAI e MEDIASET, un progetto che normalmene gli addetti ai lavori usano chiamare "Bibbia", contenente i seguenti elementi:
- Titolo
- Nome dell'autore
- Formato (La durata in minuti dei singoli episodi).
- Descrizione della serie (Un paragrafo che spiega e approfondisce le tematice della storia proposta).
- Profilo dei personaggi (descrizione dettagliata di ciascun personaggio, delineandone le caratteristiche fisiche, psicologiche e sociali).
- Soggetti relativi ai singoli episodi (Se si tratta di una fiction a lunga serialità, è sufficiente presentare dei brevi paragrafi riassuntivi relativi alle prime puntate).
Il tutto deve essere contenuto in una decina di pagine.
Una fiction va concepita adeguando lo stile al mezzo televisivo; ad esempio i primi piani si preferiscono ai campi lunghi. Inoltre bisogna tener conto del grado di attenzione che presta un telespettatore da casa, che non è sicuramente lo stesso di uno spettatore seduto in una sala cinematografica.
In ultimo vanno preventivate le interruzione dovute agli stacchi pubblicitari.
Il copyright
Quando l'aspirante sceneggiatore scrive il suo film, pensa quasi ed esclusivamente a chi proporlo ed eventualmente venderlo. Una volta termina la fase di stesura della sceneggiatura, l'autore esordiente viene colto da un altro timore: come tutelare la propria opera?
In Italia il metodo più ufficiale ed anche il più diffuso consiste nel depositare in S.I.A.E. (Societa' Italiana degli Autori ed Editori) il soggetto o la sceneggiatura. In questo caso la data del deposito farà fede sulla proprietà della vostra opera.
L'altro metodo, il più semplice ed economico, consiste nel spedire a se stessi, una raccomandata con il proprio soggetto o sceneggiatura. In questo caso la data sul timbro della spedizione farà fede sulla proprietà della vostra opera.
Molti professionisti comunque usano affidare la propria sceneggiatura ad un avvocato o ad un'agenzia cinematografica.
BIBLIOGRAFIA
- Syd Field - LA SCENEGGIATURA - Lupetti e Co. Editore, 1991
- Lucio Battistrada, Massimo Felisatti - CORSO DI SCENEGGIATURA Gruppo Editoriale Fabbri, 1993
- Massimo Moscati - MANUALE DI SCENEGGIATURA - Arnoldo Mondadori Editore, 1989
- Terence St. John Marner - GRAMMATICA DELLA REGIA - Lupetti e Co. Editore, 1972
- Age - SCRIVIAMO UN FILM - Pratiche, 1988
- Vincenzo Cerami - CONSIGLI A UN GIOVANE SCRITTORE - Giulio Enaudi Editore, 1996
(fonte: www.mediatime.net\\prontuario)
SOGGETTO CINEMATOGRAFICO DI FRANCESCO SPAGNUOLO
Giuliano sta lacrimando di fronte una lapide.
Accarezza la scritta Tony e Rosa Matano 1945-1980. Una foto li raffigura. Poco distante in un’altra lapide, una foto ritrae un bambino di circa dieci anni: c’è inciso Giuliano Matano 1970-1980. Giuliano china il capo stringendo i pugni…
FLASHBACK: Giuliano ha solo dieci anni, ascolta e vede dalla porta della sua camera suo padre parlare, concitatamente, con altri DUE uomini; uno di spalle chiamato “ZIO BRANCO” e l’altro, che si distingue, si chiama “BRUNO AUTIERI”. Tony Matano è convinto che il giro d’affari di SALVATORE SALIERI sia troppo rischioso per cui è meglio uscirne e dichiararlo nel meeting, che è stato convocato dallo stesso Salieri.
L’indomani Giuliano gioca con la piccola ELENA CARDOSO, sotto il porticato. Elena è il primo amore di Giuliano e la bambina con cui passa molto del suo tempo. Giuliano regala ad Elena un piccolo ciondolo blu. I due bambini si baciano; quando l’attenzione di Giuliano è richiamata dal rombare di una macchina. Tony Matano è rientrato dal meeting.
Giuliano “vola” in direzione di Tony, quando le urla disperate della madre, affacciatasi al balcone di casa, lo raggiungono. Tony, preoccupato, corre verso di lui, pochi istanti dopo sbuca una moto con in sella due uomini armati: Giuliano resta paralizzato dalla paura.
Tony e Rosa, cadono sotto i colpi di una raffica di mitra, Giuliano viene ferito ad una spalla. I due criminali fuggono subito dopo il massacro. Elena è nascosta dietro un muro. Giuliano ha la forza di rialzarsi e arrancare vicino al padre, che respira a fatica. Il suo sguardo innocente e incredulo non riesce a spiegarsi cosa sia accaduto. Tony stringe la mano al figlio, poi gli sussurra qualcosa nelle orecchie, prima di perdere la vita.
Giuliano si guarda intorno, grida con quanta forza ha in corpo ma nessuno accorre in suo aiuto. Sta per svenire sul marciapiede quando un uomo, si affretta ad uscire da un vicolo. Giuliano viene sollevato da terra, l’uomo si guarda intorno, dice qualcosa ma
Giuliano sta perdendo i sensi e non riesce a sentirlo.
Quando riapre gli occhi è su una barca; la sua isola, la Sicilia, è sempre più lontana. Una donna lo sta medicando e con un sorriso cerca di tranquillizzarlo.
Ora Giuliano ha trentacinque anni, è nella sua vecchia casa dove un tempo avvenne il crimine.
I fori dei proiettili sono ancora li nelle mura dell’abitazione, dove tutto in pochi attimi cambiò per sempre la sua vita. Lo sguardo si fa accecato dall’ira.
Giuliano toglie alcuni teloni dai mobili, apre la borsa ed estrae una pistola con una impugnatura pregiata…che infila in un cassetto della scrivania, insieme ad alcuni particolari congegni.
FLASHBACK: Giuliano è poco più di un adolescente. E’in una casa situata tra le montagne, poco distante dal centro urbano ubicato al di sotto del suo casolare. Il suo padre adottivo, LUIGI SARTORI, colui che lo ha salvato, gli insegna a sparare contro i barattoli, e la difesa personale: insegnandogli a tirare calci, pugni e delle tecniche contro aggressori armati, con tutti i rischi che questo comporta. Lo sguardo di Giuliano è deciso e perentorio, non sbaglia un colpo.
E’ il 18° anno di età di Giuliano e Luigi regala al figlio adottivo una pistola con un impugnatura pregiata. La stessa pistola viene regalata da molte generazioni come simbolo di appartenenza a particolari valori familiari. Per Luigi, Giuliano è pronto per sapere alcune verità sul padre. Luigi Sartori dice di essere stato un grande amico di Tony da piccolo e anche se crescendo le loro vite proseguirono su binari paralleli, niente poteva rompere l’amicizia che un tempo li legava. Giuliano viene a sapere che il probabile mandante dell’omicidio del padre è Salvatore Salieri, una leggenda della mafia siciliana, nonché “obbiettivo” numero uno da colpire.
Una cosa è fondamentale: Se “cade” qualcuno prima di lui, sarà impossibile rintracciarlo e la sua vendetta sarà atroce. Salieri, e’ latitante da anni e si muove come un fantasma, ma se ci si arriva, il suo imperò cadrà e il debito d’onore verrà risanato.
Giuliano esce di casa, trova un locale “LA BAIA” dove chiede al gestore di poter lavorare come “Addetto alla sicurezza”. Il locale è gestito da un uomo che lavora e segue le direttive del suo capo VITO SALIERI; un tipo arrogante e poco ragionevole, tutto il contrario di suo padre Salvatore. Giuliano e Vito fanno conoscenza, nonostante Vito non sembri ammirare troppo Giuliano lo prende in prova per qualche serata.
Intanto si presenta come “Giuliano Sartori”.
La sera successiva, c’è un diverbio all’interno del locale. Un ragazzo, MICHELE, invaghitosi di una ragazza, che sta lavorando,cerca di attirare la sua attenzione con apprezzamenti pesanti. Vito estrae subito un coltello, ma Giuliano se ne accorge, si intromette tra Vito e Michele colpendo duramente quest’ultimo per poi trascinarlo fuori dal locale, Salieri resta impressionato dalla scena per la forza di Giuliano che poco prima sembrava un ragazzo molto riservato. Vito rinfodera il coltello.
Fuori dal locale, Giuliano e Michele si parlano. Giuliano si scusa per averlo colpito allo stomaco, ma stava rischiando più di un pugno, l’altro si alza dolorante e se ne va, non prima di aver ricevuto i complimenti per la messa in scena. Poco dopo Vito conferma il posto a Giuliano:Salieri è caduto nella trappola.
Giuliano rientra, Vito Salieri, sferra un ceffone alla ragazza del locale facendola barcollare a terra. Giuliano si avvicina alla ragazza per sincerarsi delle sue condizioni, quando sussulta: la ragazza ha un ciondolo blu al collo. Quella ragazza è Elena, il suo primo amore.
Gli sguardi dei due ragazzi s’incrociano. Giuliano si allontana velocemente, la ragazza lo chiama per nome, il cuore di Giuliano aumenta il battito cardiaco dall’emozione...Vito poco distante osserva la scena.
FLASHBACK: Giuliano è casa del padre adottivo, è ormai più che trentenne. Luigi lo guarda negli occhi dicendogli di “non far sapere a nessuno chi è lui veramente, altrimenti il debito non verrà mai risanato e quella tomba con il suo nome verrebbe riempita.
Qualche istante più tardi, Vito si congratula con Giuliano, ma allo stesso tempo lo ammonisce di non impicciarsi degli affari di famiglia. Ed Elena, fa parte della famiglia.
Giuliano va a casa…Elena gli sbuca alle spalle. Quella è la conferma che è Giuliano Matano, Elena racconta di aver visto l’uomo che anni prima lo portò via.
I due parlano di Vito Salieri. Elena lo mette in guardia su ciò che potrebbe accadergli. Tra l’altro il padre corre sempre in aiuto del figlio.
Elena vorrebbe fuggire insieme a Giuliano e lasciar perdere la vendetta. Elena sfiora le mani di Giuliano, fa per baciarlo, ma Giuliano ritrae il volto.
Elena, sconfortata, se ne va.
Giuliano si presenta da Vito che lo ha convocato: ha un nuovo compito per lui, fare la guardia del corpo alla sua famiglia, insieme ad un altro che si presenta come BRUNO AUTIERI che Giuliano riconosce: Lo stesso uomo che vide da piccolo a casa sua.
FLASHBACK: Giuliano parla con il padre adottivo. Molto probabilmente un uomo di nome Bruno Autieri si è venduto a Salvatore Salieri, tradendo il clan del padre.
Vito impone delle nuove regole. Giuliano deve restare fuori dagli affari personali della famiglia Salieri e quindi lasciar perdere anche Elena. Dovrà preoccuparsi soltanto di badare alla sicurezza di Vito.
Andando via Giuliano nota Bruno Autieri, parlare con alcuni uomini dagli abiti pieni di fango.
Giuliano torna a casa e trova Elena in condizioni disperate. Sulla scrivania c’è un giornale. Sulla prima pagina c’è la foto di un ragazzo “trovato con il corpo carbonizzato in un lago, la carta d’identità lo indica come Michele Sartori” lo stesso che fece baldoria nel locale di Salieri e lo stesso cognome dato da Giuliano a Vito.
Giuliano per il dolore si inginocchia a terra…
FLASHBACK: Giuliano è con il padre adottivo che gli presenta il suo fratellastro più grande: E’ Michele. I due si allenano nelle arti marziali alternando litigate a lunghe passeggiate tra le montagne.
Elena lo prega di andarsene via. Giuliano si convince. Andrà con Elena in un luogo segreto finché le acque non si saranno calmate: ma qualcuno li precede, Bruno Autieri entra nella casa di Giuliano, getta ai suoi piedi una targa con il suo nome, presa al cimitero.
C’è anche Vito Salieri, che lo aveva avvertito. Ma suo padre li vuole vivi.
La ragazza viene presa in consegna da alcuni uomini e portata via insieme a Giuliano.
Giuliano, minacciato dalla pistola di Bruno Autieri, è accompagnato dentro un casolare. Salvatore Salieri ordina ai suoi picciotti di controllare la situazione e di uccidere Elena nel caso accadesse qualcosa di anomalo.
Salieri parla di Tony Matano come un traditore vendutosi ad un altro Clan di cui non ha mai fatto il nome. Nel clan della famiglia Salieri chi tradisce muore.
La sua morte, sancirà la fine della famiglia Matano: Entra “Zio Branco”. Giuliano dà un volto a quella persona che da piccolo riuscì a vedere solo di spalle:Zio Branco è in realtà Luigi Sartori, il suo padre adottivo.
Salieri, ordina a suo figlio Vito di uccidere Giuliano quando è improvvisamente interrotto da un suono proveniente dalla giacca di Luigi Sartori, che grida nella ricetrasmittente di “intervenire”. Con estrema prontezza, Luigi e Giuliano disarmano gli aggressori(i Salieri) immobilizzandoli a terra. Raffiche di spari mandano in frantumi la finestra: Bruno Autieri non ha scampo.
L’echeggiare di un elicottero in lontananza mette fine alle resistenze. Qualche istante dopo l’irruzione della polizia, gli agenti informano Giuliano che la ragazza è stata ritrovata e i malviventi arrestati: “l’operazione debito d’onore è conclusa”, ciò nonostante le mani di Giuliano premono la pistola(tolta al suo aggressore) contro le tempie di Salvatore Salieri che lo istiga ad ucciderlo.
FLASHBACK: Giuliano ha dieci anni, suo padre morente, si avvicina alle sue orecchie, gli sussurra solo alcune parole: “Non cedere all’odio”.
Giuliano, con qualche remora, rinfodera la pistola.
Luigi Sartori, consegna ai suoi colleghi Vito Salieri. Giuliano alza di peso Salvatore Salieri, ammanettandolo.
All’epoca dell’omicidio, Tony Matano aveva chiesto l’aiuto di Luigi per avere protezione da parte di un amico e qualora gli fosse accaduto qualcosa fece promettere a Luigi di prendersi cura della sua famiglia, in nome della vecchia amicizia. E così è stato.
Giuliano ed Elena si tengono per mano vicino la lapide del padre e della madre. Insieme a Luigi Sartori, sistemano un mazzo di fiori vicino la pietra sepolcrale di Michele. Arriva una macchina scende la donna che curò Giuliano da piccolo, è la sua mamma adottiva. Tutti insieme se ne vanno, Giuliano si volta prima di entrare in macchina e quasi per un istante gli sembra di vedere i suoi genitori sorridergli.
L’odio è un sentimento molto forte, ma c’è qualcosa che va oltre la vendetta: e questa cosa, è la giustizia.
COMMENTO DI G.M.
Questa è una buona traccia di soggetto, che però non ci dice ancora nulla sul film. Un soggetto del genere potrebbe venire trattato in modi molto diversi. Si potrebbe approfondirne per esempio gli aspetti di azione (in sequenze più animate e violente) oppure quelli psicologici (il conflitto interiore del protagonista tra desiderio di giustizia e impulso alla vendetta). Potrebbe insomma essere tanto per chiarire, un action-movie alla Fernando Di Leo, oppure un ritratto psicologico del tipo “Le conseguenze dell’amore”, o qualcosa di assolutamente diverso da entrambi. Dal tuo soggetto risulta la storia, ma trapela poco del modo in cui intendi raccontarla. In un action-movie la dinamica psicologica serve da premessa/giustificazione all’azione che occupa il vero centro narrativo/espressivo. Da questo punto di vista il tuo film manca di scene veramente forti. In un film psicologico il conflitto interiore del protagonista dovrebbe venire esplorato più a fondo. Non basta il flash back iniziale ( che illumina un evento traumatico)bisognerebbe capire meglio chi è il protagonista, perché la voglia di vendetta è scattata in lui molti anni dopo, quali esitazioni si porta dietro il nostro. Questo conflitto dovrebbe venire espresso anche in scene d’azione nelle quali lo scopo del protagonista (entrare in confidenza con il cattivo per potersi vendicare più facilmente) entri in contrasto con i suoi scrupoli morali. C’è una situazione classica nei film che trattano il personaggio dell’infiltrato. Gli viene affidato un compito ripugnante e lui non sa se eseguirlo, fingere di eseguirlo, o rinunciarvi. In situazioni del genere mettiamo in scena concretamente il dilemma:il fine giustifica i mezzi? Per uccidere il cattivo devo imparare ad essere altrettanto spietato? Devo pagare lo scotto di diventare come lui? Fino a che punto posso trattare gli altri come strumenti? Tutte queste domande devono trovare delle situazioni precise che mettano in concreto il protagonista di fronte a delle scelte dalle quali non si può tornare indietro. Tieni anche presente che la violenza della situazione iniziale (il primo Flash Back) in un film del genere comporta necessariamente che le vicende che vivrà successivamente il protagonista siano anche più violente. Ci deve essere un crescendo nella narrazione, non possiamo seminare un’attesa nel pubblico e poi mandarla delusa. In sostanza io credo che la tua traccia iniziale vada bene come scaletta, ma che tu debba adesso pensare a singole scene forti che esprimano e potenzino come dire… la dinamica emotiva del film. Non è abbastanza forte che il protagonista apprenda dai giornali del “corpo carbonizzato”, sarebbe molto più forte che egli si trovasse ad assistere fisicamente all’esecuzione. Che tu voglia scrivere un noir psicologico o un action-movie oppure un telefilm dove ci sia un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, in ogni caso le scansioni narrative devono accompagnare il pubblico attraverso una serie di eventi esemplari.
La sceneggiatura
La sceneggiatura è l'ultima fase di sviluppo dell'idea originale e vi vengono descritti tutti i luoghi e le azioni che comporranno il film. In genere la sceneggiatura, o copione, è redatta su due colonne (all'italiana, ora non più utilizzata, qui trascritta in versione americana). A sinistra della pagina, in una colonna più larga, sono riportate le caratteristiche del luogo e dell'azione; a destra sono riportati i dialoghi. La sceneggiatura, sorta di minuzioso promemoria per la realizzazione, consente di determinare l'organizzazione definitiva e, in una certa misura, anche le qualità narrative del film. Sceglieremo ora la prima parte del nostro trattamento e ne ricaveremo un esempio di sceneggiatura, sulla quale ci baseremo in seguito per descrivere la realizzazione del film.
SCENA I - CASETTA DI SANTINA INTERNO GIORNO
Santina, una contadina quarantenne, è intenta a cardare la lana di un materasso. E' visibilmente incinta. L'angolo della cucina nel quale lavora, è semibuio. Alla finestra appare un giovane in divisa militare, ma con la giacca slacciata. E' a bordo di un ciclomotore verde. Senza spegnere il motore, il giovane si ferma, guardando in direzione di Santina.
GIOVANE MILITARE
Ehi, Santina. Ha detto mamma che quelle ricette non le servono più.
Santina, senza alzarsi, interrompe il lavoro e guarda verso la finestra.
Mauro spegne il motorino.
SANTINA
Ciao Mauro, sono contenta che sei tornato. Adesso mica te ne andrai di nuovo...
GIOVANE MILITARE
No, proprio no. Ma il bambino tuo, arriva?
SANTINA
Dice che deve nascere a giorni.
Il giovane militare avvia il motorino e si allontana nella campagna.
SCENA II - SPACCIO DEL PAESE INTERNO GIORNO
Santina, intenta a parlare con due amiche, vicino all'ingresso del negozio.
SANTINA
Luisa mia, io non mi preoccupo. Aspetto...
NINUZZA
Dammi retta, fatti vedere dal dottore. Domani è giorno di visita.
Il negoziante finisce di impacchettare del salame.
NEGOZIANTE
Santa, vuoi altro?
SANTINA
Basta così, sor Gabriele. Ringrazio.
SCENA III - AMBULATORIO MEDICO INTERNO CANONICA GIORNO
In una squallida stanzetta della canonica è stato sistemato un lettino, separato dal resto della stanza soltanto da una tenda ingiallita. Vicino ai muri ci sono due panche sulle quali siedono alcuni contadini mutuati. Il medico, un ometto sui cinquant'anni, visita annoiato e scrive ricette generiche. Entra Santina il ventre gonfio, e siede faticosamente sulla panca.
MEDICO
Ne prendi due la sera e due la mattina, poi ci rivediamo. Un altro.
Gli altri cinque malati si guardano interrogativamente. Un vecchio sta per alzarsi, poi si volta verso Santina.
Santina si avvicina al medico.
VECCHIO
Vai tu, Santina, vai vai.
MEDICO
Cosa ti senti?
SANTINA
Io, niente.
MEDICO
E allora perché sei venuta?
SANTINA
Devo sgravarmi.
MEDICO
Hai dei disturbi?
SANTINA
No.
MEDICO
E allora, figlia mia, che c'entro io?
Vattene a casa e appena arrivano le doglie, chiama la Diotaiuti,
lei ne ha messi al mon-do a non finire e ne sa più del diavolo e di me.
SANTINA
Signor dottore, scusi l'ignoranza, ma son diciotto mesi che mi trovo in questo stato.
MEDICO
Ma cosa dici? Avrai sbagliato il calcolo.
Il ritardo può essere tuttalpiù di qualche giorno...
Altri due o tre pazienti, rinfrancati dalla incredulità del medico, si mettono a ridacchiare. Il dottore scosta la tenda.
MEDICO
Zitti voi.
Santina scoppia a piangere.
MEDICO
Figliola mia, quello che dici è molto strano.
Ma se non hai nessun disturbo, tornatene a casa, aspetta e fammi sapere.
Lascerò il mio recapito al parroco e gli dirò di chiamarmi in caso di necessità.
Non ti preoccupare, vedrai che tutto si aggiusta. Abbi pazienza.
Se ti vengono i dolori, ti faccio trasportare in ospedale.
Sei contenta? Addio, cara addio.
SCENA IV - INTERNO CAMERA DA LETTO SANTINA NOTTE
Dalla finestra socchiusa entra un debole chiarore lunare. Santina si sveglia di soprassalto, afflitta da forti dolori. Anche il marito Abramo, che dorme accanto a lei, si sveglia, esce dal letto e si veste in fretta.
ABRAMO
Stai tranquilla Santa, vado a chiamare la Diotaiuti.
SCENA V - ESTERNO CASA DI SANTINA NOTTE
Un via vai di donne. Le luci sono accese nelle stanze della casetta, è quasi l'alba. Abramo è intento a caricare un sacco di semenza sul furgoncino. Si affaccia alla finestra la Diotaiuti.
DIOTAIUTI
Niente ancora, Abramo. Vai pure che in caso ti faccio avvisare da Tonino.
Abramo avvia il furgone e sparisce nel viottolo di campagna. Improvvisamente dalla camera di Santina si sente uno strano grido, si direbbe un barrito.
SCENA VI - INTERNO CAMERA DI SANTINA ALBA
La Diotaiuti chiude precipitosamente la finestra. Santina singhiozza disperata.
SANTINA
Che disgrazia, Dio mio, che disgrazia.
La Diotaiuti le si avvicina e le fa bere un bicchiere di vino bianco.
DIOTAIUTI
Bevi, fatti animo Santuzza, non è poi la fine del mondo.
In un angolo della camera, appena illuminata dalla luce dell'alba che filtra dalla finestra, ritto in piedi, muove dolcemente a pendolo la sua proboscide, un grazioso, piccolo elefante.
La sceneggiatura tecnica
Nella sceneggiatura tecnica, oltre a una dettagliata descrizione dei luoghi, delle azioni, dei personaggi e dei dialoghi, vengono specificate le caratteristiche tecniche della ripresa, il numero e il tipo delle inquadrature, i movimenti della macchina da presa, gli effetti sonori, le annotazioni per il commento musicale. Proseguiamo dunque con la nostra esemplificazione. Scegliamo la scena V e VI della nostra sceneggiatura e ricaviamone uno stralcio di sceneggiatura tecnica.
SCENA V - ESTERNO CASA SANTINA NOTTE E INIZIO ALBA
1. Piano totale della casa di Santina, vista da un angolo del cortile. Sul fondo si scorge un via vai di donne, le cui sagome scure interrompono il debole chiarore che esce dalle finestre illuminate. Una delle donne viene in primo piano verso la macchina da presa e attinge da una fontanella un secchio d'acqua. Poi si dirige verso la casa. Seguendo il movimento della donna, la macchina da presa "scopre" Abramo che sta caricando un sacco di semenza sul suo furgoncino a motore.
(Abbiamo messo a destra le voci, suoni ed effetti)
RISVEGLIO ANIMALI DELL'AIA VOCIO INDISTINTO DELLE DONNE
CAMPANA IN LONTANANZA
VOCE DIOTAIUTI Abramo!
2. Piano ravvicinato della finestra del-la camera da letto di Santina. La Diotaiuti è affacciata, e guarda in direzione di Abramo.
DIOTAIUTI Niente ancora, Abramo. Vai pure, che in caso ti faccio avvisare da Tonino.
3. Figura intera di Abramo che è già salito sul furgoncino. Abramo fa un cenno di assenso. La macchina da presa segue in panoramica il furgoncino che sparisce nelle stradette di campagna, mentre all'orizzonte la luce dell'alba fa dileguare il buio della notte.
EFFETTO ACCENSIONE MOTORE FURGONE
EFFETTO MOTORE FURGONE CHE SI PERDE IN LONTANANZA E CINGUETTII DI UCCELLI.
SCENA VI - INTERNO CAMERA DI SANTINA ALBA
4. Lento movimento in carrello della macchina da presa ad avvicinare Santina che singhiozza nel suo letto. Entra in campo la Diotaiuti che rimane per un attimo immobile accanto al letto.
SANTINA Che disgrazia, Dio mio, che disgrazia!
5. Mezzo primo piano della Diotaiuti dal basso, come visto da Santina. La Diotaiuti ha in mano un bicchiere di vino caldo.
DIOTAIUTI Bevi, fatti animo, Santuzza, non è poi la fine...
La Diotaiuti gira il capo verso la sua destra come per fissare un'immagine che le faccia animo.
DIOTAIUTI ... del mondo.
6. Figura intera di un piccolo elefan-te in piedi nell'angolo semibuio del-la camera da letto. Lentissimo mo-vimento della macchina da presa in avanti sino ad isolare, riempiendo l'immagine, gli occhi mansueti e ignari dell'elefantino
.
Preparazione e organizzazione
Sulla base delle informazioni fornite dalla sceneggiatura e dalla sceneggiatura tecnica, l'organizzazione, insieme con il regista e i rispettivi assistenti, stabilisce la durata della lavorazione, il cast (la distribuzione delle parti), la formazione della troupe, il calendario dei sopralluoghi e in-fine il preventivo dei costi. Vediamo di chiarire il significato di queste varie fasi dell'organizzazione.
TEMPI DI LAVORAZIONE. I tempi di lavorazione comprendono il periodo riservato alla preparazione, alle riprese e al completamento del film. Il tempo necessario per le riprese viene stabilito in settimane, per agevolare l'assetto amministrativo del film, dato che le paghe sono in genere corrisposte settimanalmente. In media per un film si dedicano alle riprese dalle sette alle nove settimane.
SOPRALLUOGHI. Il regista e il direttore di produzione, sulla base degli ambienti descritti nella sceneggiatura, compiono sopralluoghi per verificarne l'idoneità alla ripresa. Può trattarsi di ambienti ricostruiti in teatro di posa, oppure di luoghi preesistenti, interni od esterni. Se si tratta di ambienti reali, lo scenografo apporterà quelle modifiche che li rendano il più possibile funzionali alle necessità espressive del film.
(Link alla parte 1 - Segue parte 3)
Dal libro: IL CINEMA ALLA PORTATA DI TUTTI
COME "SI GIRA" UN FILM di Silvano Agosti
Stampato dall'Associazione Culturale L'Immagine
Seconda edizione Agosto 1986
Gli elementi indispensabili per fare del cinema sono le idee, la macchina da presa, la pellicola e un qualsiasi registratore del suono. L'immenso apparato tecnico e "artistico" di cui si serve l'industria cinematografica non ha lo scopo di fare del cinema ma di garantire la salvaguardia dei capitali investiti e dei connessi interessi economici. Non corrisponde ad alcuna necessità strutturale del film. Esiste una lotta vitale fra una soffocante concezione commerciale del cinema e le testimonianze sempre più numerose di film che possono e debbono essere indipendenti dall'apparato economico. Il cinema è uno strumento alla portata di tutti, affinché ognuno possa comunicare agli altri la propria interpretazione della vita. Il cinema può, con maggiore ampiezza dei linguaggi che lo hanno preceduto, rappresentare e divulgare una visione della realtà che aiuti l'uomo a liberarsi dalle infinite schiavitù morali e politiche dalle quali è ancora oppresso. Quando i bambini impareranno a scrivere oltre che graficamente anche per immagini, allora l'ottuso pachiderma del cinema mitico-industriale lascerà il posto a un cinema quotidiano e immediato, strumento fra i più efficaci di dialogo e di conoscenza fra gli uomini.
L'IDEA CINEMATOGRAFICA
L'idea cinematografica è il seme dal quale nasce la necessità di realizzare un film. Può sorgere l'idea di documentare una data situazione che esiste nella realtà e allora nascerà un film documentario. Può manifestarsi l'idea di tradurre in termini cinematografici un racconto, una commedia o un romanzo e allora avremo un film che si ispira alla concezione del mondo di questo o di quell'autore letterario. Oppure l'idea può essere più estesamente creatrice ed esprimere situazioni e personaggi immaginati. L'idea cinematografica, comunque, scaturisce dalla conoscenza che abbiamo della realtà che ci circonda. A livelli più o meno profondi e con ampiezze più o meno estese l'idea cinematografica, così come il film al termine del processo creativo, finirà per esprimere il rapporto di maturità che uno o più autori hanno con la realtà della vita.
IPOTESI DI IDEA CINEMATOGRAFICA. Per meglio esemplificare il processo creativo, dall'idea iniziale al film compiuto, sceglieremo un'idea cinematografica e la svilupperemo attraverso le varie fasi organizzative ed espressive che sono alla base della realizzazione. Faremo un film a colori, e non tanto perché ci sembri indispensabile usare il colore in questo caso (anzi, forse il bianco e nero sarebbe più adatto) ma perché ormai la maggioranza dei film è a colori e il pubblico vi si è assuefatto: l'industria ha operato in modo che vi si assuefacesse. In un villaggio dell'Italia meridionale una povera donna analfabeta partorisce, dopo una lunga gestazione, un elefante. Fra l'interesse e lo stupore di tutti, l'elefante cresce e, poiché riesce a comunicare soltanto con la madre, frequenta le scuole insieme a lei, Alla fine l'elefante viene eletto capo del governo e accetta di parlare per la prima volta in pubblico.
Tutto il mondo è in ascolto. L'elefante, in un discorso breve e sensato, descrive il suo programma di riorganizzazione della società.
IL SOGGETTO
Il soggetto è una descrizione più ampia e dettagliata dell'idea originale, che consente di avere una prima indicazione precisa dell'arco narrativo del film, Nel soggetto si raccontano i fatti principali della vicenda e si precisano le caratteristiche dei personaggi principali. Se dall'idea poteva trasparire la struttura tematica, dal soggetto risulterà già l'impostazione narrativa del film, Cerchiamo quindi di proseguire nella nostra esemplificazione sviluppando l'idea proposta in un soggetto cinematografico.
SOGGETTO DEL FILM. In un villaggio della Calabria, una povera donna analfabeta, sposata con un bracciante, deve dare alla luce un bimbo. Trascorsi nove mesi di gestazione, tuttavia, il bimbo non accenna a nascere. Passa altro tempo. Le poche amiche della donna le consigliano di cercare rimedio presso il medico condotto. Il medico scuote il capo e afferma che effettivamente il caso è inconsueto. Passano altre settimane, poi altri mesi. La donna non sembra accusare alcun particolare disturbo. Ma nel paese l'attesa e la curiosità aumentano. Allo scadere del terzo anno, tuttavia, in una notte di luna, le luci si accendono nel casolare della povera donna e il via vai delle vicine si fa fitto e misterioso, Qualche giorno più tardi si saprà che la donna ha partorito un elefante, e che il marito prima si è infuriato ma alla fine ha accettato il fatto compiuto. Le autorità imbarazzate cercano di mettere a tacere il fatto, ma la notizia si diffonde rapidamente. Reazioni anche in Vaticano, che ritiene l'evento poco chiaro e invia sul posto una commissione per raccogliere notizie più precise. Anche i poteri politici reagiscono con una interrogazione in parlamento e decidono di mandare al villaggio il ministro degli interni. L'elefante gode ottima salute. Mangia e gioca, ma non parla con nessuno, tranne che con la madre. La televisione segue in diretta gli avvenimenti del piccolo paese. L'elefante muove i primi passi, è precoce e grazioso. Tutti i bambini vogliono possedere un elefantino. I grandi magazzini sono invasi da infiniti elefantini di stoffa. Gente arriva da ogni parte del mondo: studiosi giornalisti corrispondenti televisivi e uomini politici. Naturalmente negli uffici, nelle scuole, sui posti di lavoro non si parla d'altro. Si decide che la donna deve mandare l'elefante all'università. Così, la vecchia donna analfabeta è costretta a sedere con lui sui banchi della scuola. Nel frattempo, i grandi gruppi industriali pensano che l'elefante, così intelligente e taciturno, possa essere il personaggio più adatto per rappresentarli al governo e lo avviano alla carriera politica. In ogni strada d'Italia appare così l'immagine dell'elefante. Seduto, in piedi, disteso, intento a leggere, mentre entra in un cinema, mentre distribuisce pacchi dono agli orfani dei ferrovieri etc. La sua candidatura al senato riporta una schiacciante vittoria. Senza neppure fare un comizio, l'elefante ottiene alcuni milioni di voti. Tutti gli elettori, infatti, hanno votato all'unanimità per l'elefante. Il mondo politico piomba nel più profondo imbarazzo. Si decide allora di lasciare al parlamento i deputati della precedente legislatura e di proporre l'elefante come capo del governo. I capi dell'esercito e la madre dell'elefante, tuttavia, si oppongono avanzando delle riserve. La madre si sente incapace, data l'età, di seguire il figlio elefante nelle vicissitudini di governo. I capi di stato maggiore, d'altra parte, rifiutano di essere costretti a conferire con il capo del governo passando attraverso una donna, sia pure la madre fedele. A togliere tutti dall'imbarazzo interviene l'elefante, il quale, la sera stessa dell'elezione a capo del governo, accetta di parlare per la prima volta in pubblico. I televisori del mondo intero saranno accesi e via satellite ogni paese potrà assistere simultaneamente, mediante traduzioni elettroniche, al discorso di insediamento dell'elefante.
IL TRATTAMENTO
Il trattamento è una descrizione ancora più dettagliata del soggetto e contiene, oltre una più evidente chiarificazione delle varie sequenze narrative che comporranno il film, anche alcuni esempi di dialoghi fra i personaggi. Anche i luoghi nei quali si svolgono i fatti sono descritti più ampiamente e precisati nelle loro caratteristiche funzionali alla narrazione cinematografica. Proseguendo con il nostro esempio, sceglieremo, per brevità, la parte iniziale e la parte finale del soggetto, ricavandone una parte di trattamento.
TRATTAMENTO DI UN FILM. In una casetta rustica ai margini del paese, abita Santina Buonasorte. E' sposata da alcuni anni con un bracciante, Abramo Buonasorte. Santina è incinta e dovrebbe partorire fra pochi giorni. L'avvenimento non ha mutato in nulla la vita povera e faticosa che la donna conduce nel piccolo paese. Passano alcune settimane ma il bambino non nasce. Santina non si preoccupa granché. Passano alcuni mesi e le poche amiche le fanno visita sempre più spesso convincendola a cercare rimedio presso il medico condotto che, una volta alla settimana, visita i malati del paese in una stanzetta della canonica. Santina decide di malavoglia di recarsi dal medico. In una stanzetta nuda della canonica, una decina di persone aspettano di essere visitate. Il medico fa qualche domanda stracca all'uno e all'altro paziente e prescrive ricette evidentemente generiche. Sembra oscillare fra un atteggiamento di annoiata stanchezza e una frettolosità professionale da medico della mutua. Finalmente è il turno di Santina.
— Cosa ti senti? — chiede il medico.
— Io, niente.
— E allora perché sei venuta?
— Devo sgravarmi — dice Santina guardando in basso verso il ventre enorme.
— Hai dei disturbi?
— No.
— E allora, figlia mia, che c'entro io? Vattene a casa e appena arrivano le doglie, chiama la Diotaiuti, lei ne ha messi al mondo a non finire e ne sa più del diavolo e di me.
— Signor dottore, scusi l'ignoranza, ma io son diciotto mesi che mi trovo in questo stato.
— Ma cosa dici, avrai sbagliato il calcolo. Il ritardo può essere tuttalpiù di qualche giorno...
— Signor dottore, giuro su Dio che è così. Può testimoniare il marito mio. Son diciotto mesi, analfabeta sono, ma i giorni li so contare.
Altri due o tre pazienti, rinfrancati dall'incredulità del medico, si mettono a ridacchiare. Il dottore scosta la tenda che separa il lettino su cui è sdraiata Santina. — Zitti voi. Figliola mia, quello che dici è molto strano. Ma se non hai nessun disturbo, tornatene a casa, aspetta e fammi sapere. Lascerò il mio recapito al parroco e gli dirò di chiamarmi in caso di necessità.
Santina scoppia a piangere.
— Non ti preoccupare, vedrai che tutto si aggiusta. Abbi pazienza. Se ti vengono i dolori ti faccio trasportare in ospedale. Sei contenta? Addio, cara, addio.
Passano altre settimane, poi altri mesi. La donna non accusa particolari disturbi. La curiosità e l'attesa aumentano nel paese. Allo scadere del terzo anno, in una notte di luna, Santina si sveglia. Fitte di dolore le attraversano il ventre. Il marito Abramo Buonasorte corre a chiamare la Diotaiuti, l'ostetrica del paese. Il via vai delle vicine diviene nel corso della notte sempre più fitto e misterioso. Abramo, all'alba, scambia qualche parola con gli altri braccianti che si avviano al lavoro dei campi, quindi, caricata la semente su un furgoncino a motore, va al lavoro. La Diotaiuti si affaccia a una finestra e gli grida:
— Ancora niente, Abramo, vai pure, che in caso tí faccio avvisare da Tonino. Improvvisamente, proprio mentre Abramo sta per sparire nella stradetta di campagna, dalla camera di Santina si sente uno strano grido, si direbbe un barrito. La Diotaiuti chiude precipitosamente la finestra. Nella camera da letto di Santina, la povera donna singhiozza disperata e mormora:
— Che disgrazia, dio mio, che disgrazia.
La Diotaiuti le si avvicina.
— Fatti animo Santuzza, non è poi la fine del mondo. In un angolo della camera, appena illuminata dalla luce dell'alba che filtra dalla finestra, ritto in piedi, muove dolcemente a pendolo la sua proboscide, un piccolo, grazioso elefante.
ULTIMA SEQUENZA. Il capo di stato maggiore dell'esercito, generale Bucatempo, telefona al ministro dell'interno.
— Inconciliabile, impossibile, comunque inimmaginabile che lo stato maggiore conferisca con il capo del governo avendo come intermediaria una donna, sia pure la madre, caro ministro.
— Generale Bucatempo, io mi rendo perfettamente conto delle sue perplessità, ma consideri che il Paese ha espresso una precisa volontà politica.
— Politica, politica, quello che conta è il rispetto della tradizione e soprattutto della dignità dell'apparato difensivo. Io aspetto una risposta, caro Ministro, altrimenti sarò costretto ad assumermi responsabilità ben più gravi. A presto.
Il generale depone il ricevitore. Il ministro perplesso guarda il segretario che, con il capo fra le mani, sembra immerso in profondi pensieri. Improvvisamente la porta dell'ufficio del ministro si spalanca e entra come un forsennato il capo gabinetto.
— Eccellenza, eccellenza, ha deciso di parlare, parlerà a tutti, questa sera in televisione.
Il ministro si accascia sulla poltrona.
— Chi l'ha detto?
— Lui stesso, l'ho sentito io, con le mie orecchie.
— E' la salvezza — mormora il ministro e sorride.
I televisori di tutto il mondo sono in funzione. Via satellite, ogni Paese assisterà fra poco, mediante traduzioni elettroniche, al discorso di insediamento a capo del governo dell'elefante. Tutte le telecamere sono puntate sul palco d'onore allestito nei giardini della presidenza. L'elefante entra, seguito dai diciotto ministri e dai settantotto sottosegretari. Si avvicina ai microfoni, e aspetta che gli uomini politici abbiano preso posto, sedendosi a semicerchio intorno a lui. Poi comincia a parlare. — Vi debbo dire che è per la prima ed ultima volta che accetto di parlare nella vostra scomodissima lingua. Voi mi avete eletto per una sola ragione, perché sono diverso da voi. Quindi, non perché riteniate che sia uno di voi che vi deve rappresentare, ma perché siete abituati a cercare la verità fuori di voi stessi. Questo fatto io lo ritengo sbagliato, ma siccome è il solo modo che vi è concesso per esprimere la vostra volontà, io, da buon democratico, accetto come buone le vostre cattive intenzioni. Accetto la candidatura a Capo del governo. Noi elefanti abbiamo superato le vostre feroci inclinazioni alla lotta. Basti dire che, al contrario di voi, noi non siamo carnivori. Non forziamo il corso della natura, non lavoriamo per un profitto, ma per le nostre reali esigenze e quindi non abbiamo alcun bisogno di denaro. Sesso e possesso, dunque, non ci turbano. E la distinzione, che fra noi non esiste, fra elefanti indiani ed elefanti africani, sia chiaro, è vostra. Da oggi io dunque decreto che la società degli uomini dovrà sforzarsi di somigliare almeno a quella degli elefanti. Per cominciare, noi non abbiamo distinzioni di lingua e ci esprimiamo in modo assai più conciso. Tutto il mio discorso, ad esempio, noi lo avremmo espresso con un solo suono. Questo: uhuuuuuaaaahhaaarggghhhuuuu iffillcccrrrsccch.
Dopo aver lanciato un lungo barrito, l'elefante continua con voce calma e dolce:
— E ora, tutti i presenti e tutti quelli che nel mondo mi stanno ascoltando in questo momento, ripetano con me: uuhhhuuaarggghuuuuulmonscccrrrschhh.
E tutta l'umanità lanciò così per la prima volta all'unisono uno stupendo urlo di saggezza: uuuuuuhhhuuuuaaarggghaarccccccrrrsccchhh
FINE.
Dal libro: IL CINEMA ALLA PORTATA DI TUTTI
COME "SI GIRA" UN FILM di Silvano Agosti
Stampato dall'Associazione Culturale L'Immagine
Seconda edizione Agosto 1986
Quando c'è la sceneggiatura, e prima ancora la voglia di raccontare una storia, la differenza salta subito agli occhi, non c'è niente da fare. Ci riesce benissimo Gianni Di Gregorio, erede di Monicelli e Scola. Ci sono migliaia di film che avrei potuto scegliere per questo focus: grandi classici, immortali capolavori. Devo dire che mi sarebbe convenuto: salire sulle spalle dei giganti, anche se sei un hobbit, ti rende comunque imponente.
Tuttavia, siccome sempre di scrittura filmica parliamo, devo confessarvi che l’autore che mi ha colpito di più in questi anni, proprio per la sua scrittura, è un italiano, alla faccia di chi dice che non sopporto gli autori italiani. E’ vero, li sopporto poco, in generale.
Non mi piace l’uso della citazione così vicina al plagio, la mancanza di idee e il conseguente, regolare ricorso ai luoghi comuni, sociali, culturali e televisivi. E soprattutto detesto la scrittura raffazzonata.
Il cinema è narrazione, anche più rigorosa della scrittura in senso stretto. A meno che tu non sia un visionario del cinema, un talento naturale, la sceneggiatura scritta bene si vede eccome. E quando c’è la sceneggiatura, e prima ancora la voglia di raccontare una storia, la differenza col cialtroncello salta subito agli occhi, non c’è niente da fare.
Tra le cose più difficili da fare, secondo me, è raccontare una intera città, cosa che è riuscita, almeno in Italia, a pochissimi grandi maestri. E poi, a Gianni Di Gregorio. Confesso che quando ho visto per la prima volta il suo "Pranzo di ferragosto" ero parecchio scettico: ma parecchio assai. Io ho una regola precisa, che mi ha sempre dato gradi soddisfazioni: se una cosa piace a un cretino, sarà di certo una cretinata. Credetemi, funziona sempre. O meglio, quasi sempre, perché il primo film di Di Gregorio, pur consigliatomi da parecchi cretini, mi ha letteralmente fulminato. Ho anche capito perché era piaciuto tanto ai fessacchiotti: la storia delle vecchiette è accattivante, simpatica, divertente. Le attrici sono brave, fresche spontanee, e poi, si sa, le vecchiearelle sono come i bambini, fanno sempre tanta tenerezza. La storia sembra così lieve, così impalpabile, che quasi non c’è. Gianni vive con la madre; i soldi sono pochi, i debiti tanti. Accetta, per Ferragosto, di prendersi in casa un po’ di vecchie per saldare alcuni di questi debiti e tirar su due euro. Fine della storia. Ora, perché parliamo di scrittura? Perché, e qui viene il bello, come la rendi, una storia così, se non la sai scrivere? Qui, signori miei, interviene la scrittura, per l’orrore dei malati di sinossi, di quelli che vogliono leggere tutto in un massimo di sei righe.
Scrivere non vuol dire saper riassumere: scrivere significa scrivere, e Di Gregorio ci fornisce una prova magistrale di scrittura.
Prendete la scena in cui lui va, in una caldissima mattina d’Agosto, dal vinaio di via della Scala (sì, è proprio quella).
Gianni: Ciao. Allora damme..un bel bianchetto.
Vinaio: Un bianchetto.
Gianni: Sì. Un bel bianchetto…
Il vinaio gli versa un calice, Gianni guarda il bicchiere e fa:
– Che m’hai dato?
– Una Ribolla Gialla.
– Ammazza, bravo.
Gianni beve.
Ora, scritta così non rende (ed è scritta benissimo, sia chiaro), ma se la guardate nel film è di una semplicità totale, assoluta, come soltanto le cose che vediamo e facciamo tutti i giorni sanno essere.
E’ il contrario delle tarantinate di cui abbiamo parlato spesso, pur ammirando Tarantino, per carità.
Ma una cosa è stupire con continui colpi di scena e un’altra è lasciarti a bocca aperta con un una scena come quella del vinaio. Questo era il mestiere dei nostri grandi: degli Zampa, gli Scola, dei Monicelli, per intenderci, ed è un mestiere in cui non puoi barare, un mestiere che se non lo sai fare la gente se ne accorge.
O ancora, pensate alla scena in cui, dovendo trovare del pesce fresco per preparare il famoso pranzo di ferragosto, Gianni si fa accompagnare dal suo amico Vichingo in motorino al vicino Lungotevere de’ Cenci, di fronte all’Isola Tiberina, dove comprano dei cefaletti appena pescati nele Tevere (nel Tevere, che è più o meno come dire nel Mekong) dagli extracomunitari incuranti di sorci e malattie. Per chi frequenta, almeno un po’, Roma, sa che questa città, vista da chi viaggia in tram, è così, è esattamente così, e che le passeggiate notturne per le vie del centro (insolitamente pulito) sono per chi la mattina ncià ‘ncazzo da fà, come dicono prosaicamente gli indigeni.
Roma è un’altra cosa, e Gianni Di Gregorio la conosce e la racconta da vero maestro, con intelligenza, amore e soprattutto umiltà. Come nel suo secondo film, Gianni e le donne, nel quale intrepreta un sessantenne messo forzatamente in pensione che prova, nonostante moglie e figlia, a riaffacciarsi sul mercato sentimentale.
Anche qui, delle chicche a dir poco spettacolari nella loro secchezza e brevità e che, però descrivono un mondo intero.
Gianni è in auto col suo amico Alfonso, che non si rassegna all’età che avanza e insiste nel fare il gagà con le ragazze. Dopo una lunga discussione sull’atteggiamento troppo casa e famiglia di Gianni, Alfonso gli passa il suo cellulare e gli intima:
-Leggi.
Passano cinque secondi che Gianni impiega per trovare gli occhiali da vicino (senectus ipsa morbus, diceva sempre mio nonno quando lo faceva), inforcarli, e leggere ad alta voce l’sms sul cellulare dell’amico:
– Ti penso.
Pausa.
– Chi te pensa, Alfo’?
Ora, chi ha appena il minimo sindacale di dimestichezza con il romanesco (e intendo tutta l’Italia, se ci arrivo io che sono nato a Napoli e cresciuto a Salerno) si accorge subito di quanto infinito scetticismo ci sia in questa frase, anche pronunciata così. Di sfuggita, in macchina. Ma Alfonso niente, continua a comportarsi da perfetto pappagallo, continua a istigare Gianni: la vita sentimentale non è ancora finita, siamo ancora giovani, possiamo ancora essere felici, provare le emozioni dei vent’anni. Una mattina lo attira a tradimento nel suo studio di avvocato e gli presenta due ragazze, due clienti. Preso dal vortice del pappagallismo italico comincia a sparare palle su palle.
Prima le invita a pranzo fuori, poi, mentre le signore sono a rinfrescarsi alla toilette, Gianni e Alfonso si esibiscono nell’ardua impresa della lettura del conto: inutile dire che nessuno dei due ha gli occhiali da vicino, e dovranno sforzarsi un bel po’ per capire che il pranzetto gli è appena costato 280 euro.
Gianni: 280! Ammazza…
Alfonso: Si vive una volta sola!
Gianni: Eh.
Alfonso: Senti, ti lascio scegliere. Chi scegli tra le due, tu?
Gianni: Ma so’ uguali!
Alfonso: Eh.
Gianni: Eh.
E secondo me in quel secco ma so’ uguali! c’è la bravura dell’autore e del regista: la distanza, appunto, tra Gianni e le donne non è in termini di anni, ma in termini di mondi. Gianni appartiene per sempre a un mondo in cui le donne non sono uguali: in questo mondo, invece, succede spesso. Gianni non è vecchio, è altro, è alieno.
Questo mischiare le carte, questo saltare a pie’ pari il luogo comune dell’uomo che non si rassegna alla mezza età, è proprio della grande scrittura e del grande cinema. Che, per nostra fortuna, può contare su un fuoriclasse come Gianni Di Gregorio.
di Amleto de Silva da ilmiolibro.kataweb.it
1. I verbi avrebbero da essere corretti.
2. Le preposizioni non sono parole da concludere una frase con.
3. E non iniziate mai una frase con una congiunzione.
4. Evitate le metafore, sono come i cavoli a merenda.
5. Inoltre, troppe precisazioni, a volte, possono, eventualmente, appesantire il discorso. Siate press’a poco precisi.
6. Le indicazioni fra parentesi (per quanto rilevanti) sono (quasi sempre) inutili.
7. Attenti alle ripetizioni, le ripetizioni vanno sempre evitate.
8. Non lasciate mai le frasi in sospeso perché non.
9. Evitate sempre l’uso di termini stranieri, soprattutto nell’email, ma anche nella chat, potreste prendervi un flame nel network.
10. Cercate di essere sintetici, non usate mai più frasi del necessario, con inutili giri di parole che non aiutano la sintesi. In genere e’ di solito quasi sempre superfluo, inutile.
11. Evitate le abbreviaz. incomprens.
12. Mai frasi senza verbi, o di una sola parola. Eliminatele.
13. I confronti vanno evitati come i cliché.
14. In generale, non bisogna mai generalizzare.
15. Evitate le virgole, che non, sono necessarie,
16. Usare paroloni a sproposito e’ come commettere un genocidio.
17. Imparate qual’e’ il posto giusto in cui mettere l’apostrofo.
18. Non usate troppi punti esclamativi!!!!!!
19. “Non usate le citazioni”, come diceva sempre il mio professore.
20. Evitate il turpiloquio, soprattutto se gratuito, porca puttana!
21. C’e’ veramente bisogno delle domande retoriche?
22. Vi avranno gia’ detto centinaia di milioni di miliardi di volte di non esagerare.
23. Trattate sempre i vostri interlocutori come amici, brutti idioti.
(Testo, con esempi incorporati, attribuito ad Umberto Eco)
Una sceneggiatura è semplicemente un documento scritto che descrive il testo di un cortometraggio, di un film, di una serie televisiva, come di qualsiasi altro tipo di produzione audiovisiva. Di seguito abbiamo una Sceneggiatura scritta. Prima di pensare alla storia raccontata, notiamo le sue caratteristiche di presentazione, dal titolo ed autore a come vengono descritte le immagini che vedremo al testo che viene recitato.
La storia di un film, lungo o corto che sia, è costituita da personaggi: sono loro, le loro singole storie ed il loro intreccio che animano, che rendono vivo e vero il film, sono le storie che fanno il film. Lo spettatore si deve riconoscere in loro. A partire dal protagonista che deve attirare l’interesse dello spettatore, suscitando delle reazioni forti. Che non debbono essere sempre e solo positive, ma essere vere. Il protagonista deve avere una personalità credibile, il suo modo di comportarsi essere coerente con se stesso, in una parola il personaggio principale deve avere un carattere distintivo. Per caratterizzare un personaggio in maniera così dettagliata, occorre che lo sceneggiatore lo conosca alla perfezione, che viva assieme al personaggio che sta disegnando. E’ consigliabile perciò costruire una biografia contenente gli elementi di base del personaggio (ovvero la Bibbia, come viene chiamata dagli sceneggiatori): dall'età al suo carattere, dalla sua posizione sociale alla sua psicologia, dalla sua mentalità alla sua vita passata.', '
La storia di un film, lungo o corto che sia, è costituita da personaggi: sono loro, le loro singole storie ed il loro intreccio che animano, che rendono vivo e vero il film, sono le storie che fanno il film. Lo spettatore si deve riconoscere in loro. A partire dal protagonista che deve attirare l’interesse dello spettatore, suscitando delle reazioni forti. Che non debbono essere sempre e solo positive, ma essere vere. Il protagonista deve avere una personalità credibile, il suo modo di comportarsi essere coerente con se stesso, in una parola il personaggio principale deve avere un carattere distintivo. Per caratterizzare un personaggio in maniera così dettagliata, occorre che lo sceneggiatore lo conosca alla perfezione, che viva assieme al personaggio che sta disegnando. E’ consigliabile perciò costruire una biografia contenente gli elementi di base del personaggio (ovvero la Bibbia, come viene chiamata dagli sceneggiatori): dall'età al suo carattere, dalla sua posizione sociale alla sua psicologia, dalla sua mentalità alla sua vita passata.
E nel film lo sceneggiatore deve presentare tali informazioni man mano che siano necessarie per lo svolgimento della storia. In un film si incontra quasi sempre anche un’altra figura importante: l’antagonista, ovvero chi si "oppone" al protagonista, ed anche la sua personalità deve essere costruita con le stesse regole del protagonista.
L'immagine da cinescuola.it
Spesso riceviamo sinossi e sceneggiature che sono scritte male e non hanno una struttura adeguata. Scrivere una sceneggiatura non è facile, come non è facile pensare ad una storia che si vuole trasporre in film o cortometraggio.
Spesso riceviamo sinossi e sceneggiature che sono scritte male e non hanno una struttura adeguata. Scrivere una sceneggiatura non è facile, come non è facile pensare ad una storia che si vuole trasporre in film o cortometraggio.
Qui riportiamo integralmente, senza nessuna variazione, quanto ci è stato inviato da una persona che vuole provare a scrivere una breve sceneggiatura.
Lucia-mille articoli.
Sinossi
Festa di San Leo,patrono della città.E’ sera .Le luci dei lampioni illuminano il lungomare
Affollato.Le insegne dei negozi si riflettono nelle calme acque del mare.Un boato.la macchina della polizia
Salta in aria.L’enorme palla di fuoco trascina altre macchine in un vortice di fuoco e fumo.
Buio.Una sola insegna si salva:Lucia –mille articoli.Urla di passanti intrappolati nell’oscurità.
Lontano dalla città,nella villa del”boss”immersa nel silenzio degli ulivi, una voce al telefono
Lo rassicura che tutto è andato bene.
“Capo, quelli ora capiranno”. il “boss” ascolta in silenzio. Riattacca.
Scena 1) Interno notte-ufficio della polizia
Il sergente Biagio Contrera guarda il monitor per controllare il traffico sul lungomare
Della città.
Una mano sulla spalla distoglie il suo sguardo E’ il capitano Roberto Millo,un uomo sulla quarantina
,rossiccio,robusto.Si china sulla spalla di Biagio Contrera e,con aria rilassata dice:
“Tutto a posto, vedo.Ora prendo Brenda e andiamo a festeggiare in quella pizzeria qui
Dietro, alla parallela.Era da tempo che speravamo”.
Biagio si volta con sguardo interrogativo.Il capitano risponde felice.:
“Ora posso dirlo.Brenda aspetta un bimbo. Si, una procreazione assistita.
Questa volta ha funzionato.”
Biagio sorridendo:Ora capisco quei permessi ogni mese.Erano per accompagnare Brenda
Dal dottore.lo dica a tutti.Un segreto felice rende felici tutti. Ce ne sono altri che
Producono sofferenze,inquinano la vita familiare. Quelli devono rimanere segreti.”
Roberto lo interrompe divertito:” che c’è Biagio,hai qualche scheletro nell’armadio
Che ti ossessiona”
Biagio Contrera non risponde.Silenzioso continua a guardare il monitor.
Roberto si avvia all’uscita. Si volta lentamente:” più che segreti , direi situazioni che producono
Sofferenze. Non drammatizzare più di tanto”
Biagio continua a controllare il traffico sul monitor.
“io vado”conclude Roberto.
Si volta:”Abbiamo qualcuno sul lungomare a controllare la zona?”
Chiede con tono professionale sulla soglia dell’ufficio
“quella è una zona molto trafficata”conclude.
Biagio Contrera senza staccare gli occhi dal monitor:
“Si. Marco e Carlo mio fratello:Sono parcheggiati proprio al centro del
Lungomare”.
“Carlo! Allora siamo a posto” conclude Roberto.
“Già, quella testa calda. Quello si che è un segreto.Meglio non svelarlo”
Ribatte Biagio.
Roberto chiude la porta sorridendo
Scena 2)Sera-ufficio della polizia.
L’ufficio è vuoto. Biagio Contrera osserva la città in festa.le luci dei negozi e i lampioni
Del lungomare la illuminano a giorno. Le strade gremite di gente. E’ il giorno di San Leo, il
Patrono della città.
Squilla il telefono.”Si mamma,okay, finisco il mio turno e passo a prendere Carlo.Lo so
È il miglior dolce della città” le risponde sorridendo .
Si stropiccia gli occhi.un caffè, si un caffè. Si alza. Un lampo sul monitor.
Sgrana gli occhi: un’esplosione. Due macchine saltate in aria.Una palla di fuoco
ricade sulle macchine vicine coinvolgendole nell’esplosione.
I lampioni ai lati del lungomare scoppiano per l’intenso calore.Le insegne luminose
Dei negozi si accartocciano cadendo a pezzi incandescenti sulla strada.
Buio. Un fumo intenso avvolge i passanti che scappano da tutte le parti
Senza potersi orientare al buio.Lentamente Biagio poggia il caffè sul tavolo.
Gli occhi stravolti.Cerca di riconoscere la macchina,la macchina della polizia.
“Dov’è “ si chiede.
Scena3) Notte .villa del”boss”.
Dall’altra parte della città le luci illuminano il porto.
Primo piano su una villa immersa negli ulivi.
Squilla il telefono sulla scrivania dello studio arredato con pochi mobili.
Primo piano sulla mano sinistra, robusta con un vistoso anello al mignolo.
Lentamente alza la cornetta.
Voce fuori campo al telefono:
“Tutto okay capo,l’agnello è cotto. I piedi piatti che gli stava accanto,l’andriese, ha
Tentato di uscire dalla macchina ma le gambe gli fumavano come sigari. E’ crollato
A terra.Per lui la cottura è stata più lenta.Che spettacolo.(una risata di soddisfazione)
La macchina era incastrata tra le auto. Nessuno poteva avvicinarsi. I lampioni
Esplodevano a batteria.Che spettacolo capo!Più forte di quello in Calabria lo scorso anno
.Un puzzo di asfalto bruciato.
La voce fuori campo si ferma.
La mano sinistra non dà segni di emozione .
La voce riprende:”E’ rimasta intatta solo l’insegna-Lucia mille articoli- Sempre fortunata
Quella lì”(una risatina compiacente) E’ la lezione che quei due piedi piatti meritavano.
La polizia capirà.Lo ricorderanno il giorno di san Leo, capo”
Scena4) Notte –villa del capo
Primo piano sulla mano sinistra che rimette a posto il telefono.
La macchina da presa inquadra il porto della città..
Siete riusciti a leggerla tutta? Perchè vi consigliamo sempre di leggere alcuni dei numerosi articoli che trovate sul nostro sito? Perchè una sceneggiatura, a parte il contenuto della storia, che ha una grandissima importanza, va scritta con le dovute regole. Proviamo a scrivere velocemente quello che abbiamo ricevuto, senza cambiare nulla, in una forma che possa apparire, almeno formalmente, una sceneggiatura.
LUCIA-MILLE ARTICOLI
Sinossi:
Festa di San Leo, patrono della città. E’ sera. Le luci dei lampioni illuminano il lungomare affollato. Le insegne dei negozi si riflettono nelle calme acque del mare. Un boato. La macchina della polizia salta in aria. L’enorme palla di fuoco trascina altre macchine in un vortice di fuoco e fumo.
Buio. Una sola insegna si salva:Lucia –mille articoli. Urla di passanti intrappolati nell’oscurità. Lontano dalla città, nella villa del”boss” immersa nel silenzio degli ulivi, una voce al telefono lo rassicura che tutto è andato bene.
“Capo, quelli ora capiranno”. il “boss” ascolta in silenzio. Riattacca.
Sceneggiatura:
Scena 1) Interno notte, Ufficio della polizia
Il sergente Biagio Contrera guarda il monitor per controllare il traffico sul lungomare della città.
Una mano sulla spalla distoglie il suo sguardo. E’ il capitano Roberto Millo, un uomo sulla quarantina, rossiccio, robusto. Si china sulla spalla di Biagio Contrera e, con aria rilassata dice:
“Tutto a posto, vedo. Ora prendo Brenda e andiamo a festeggiare in quella pizzeria qui dietro, alla parallela. Era da tempo che speravamo”.
Biagio si volta con sguardo interrogativo. Il capitano risponde felice:
“Ora posso dirlo. Brenda aspetta un bimbo. Si, una procreazione assistita. Questa volta ha funzionato.”
Biagio sorridendo.
“Ora capisco quei permessi ogni mese. Erano per accompagnare Brenda dal dottore. lo dica a tutti. Un segreto felice rende felici tutti. Ce ne sono altri che producono sofferenze, inquinano la vita familiare. Quelli devono rimanere segreti.”
Roberto lo interrompe divertito: ”Che c’è Biagio, hai qualche scheletro nell’armadio che ti ossessiona?”
Biagio Contrera non risponde. Silenzioso continua a guardare il monitor.
Roberto si avvia all’uscita.
Si volta lentamente:
”Più che segreti, direi situazioni che producono sofferenze. Non drammatizzare più di tanto”
Biagio continua a controllare il traffico sul monitor
“io vado”
conclude Roberto.
Si volta:
”Abbiamo qualcuno sul lungomare a controllare la zona?”
Chiede con tono professionale sulla soglia dell’ufficio
“Quella è una zona molto trafficata”
conclude.
Biagio Contrera senza staccare gli occhi dal monitor:
“Si. Marco e Carlo mio fratello. Sono parcheggiati proprio al centro del Lungomare”.
“Carlo! Allora siamo a posto”
conclude Roberto.
“Già, quella testa calda. Quello si che è un segreto. Meglio non svelarlo”
Ribatte Biagio.
Roberto chiude la porta sorridendo.
Scena 2) Sera. Ufficio della polizia.
L’ufficio è vuoto.
Biagio Contrera osserva la città in festa. Le luci dei negozi e i lampioni del lungomare la illuminano a giorno.
Le strade gremite di gente. E’ il giorno di San Leo, il patrono della città.
Squilla il telefono.
”Si mamma, okay, finisco il mio turno e passo a prendere Carlo. Lo so. È il miglior dolce della città”
le risponde sorridendo .
Si stropiccia gli occhi. Un caffè, si un caffè. Si alza. Un lampo sul monitor.
Sgrana gli occhi: un’esplosione.
Due macchine saltate in aria. Una palla di fuoco ricade sulle macchine vicine coinvolgendole nell’esplosione.
I lampioni ai lati del lungomare scoppiano per l’intenso calore.
Le insegne luminose dei negozi si accartocciano cadendo a pezzi incandescenti sulla strada.
Buio.
Un fumo intenso avvolge i passanti che scappano da tutte le parti senza potersi orientare al buio.
Lentamente Biagio poggia il caffè sul tavolo.
Gli occhi stravolti. Cerca di riconoscere la macchina,la macchina della polizia.
“Dov’è “
si chiede.
Scena 3) Notte. Villa del ”boss”.
Dall’altra parte della città le luci illuminano il porto.
Primo piano su una villa immersa negli ulivi.
Squilla il telefono sulla scrivania dello studio arredato con pochi mobili.
Primo piano sulla mano sinistra, robusta con un vistoso anello al mignolo.
Lentamente alza la cornetta.
Voce fuori campo al telefono:
“Tutto okay capo, l’agnello è cotto. I piedi piatti che gli stava accanto, l’andriese, ha tentato di uscire dalla macchina ma le gambe gli fumavano come sigari. E’ crollato a terra. Per lui la cottura è stata più lenta. Che spettacolo.”
(una risata di soddisfazione)
“La macchina era incastrata tra le auto. Nessuno poteva avvicinarsi. I lampioni esplodevano a batteria. Che spettacolo capo! Più forte di quello in Calabria lo scorso anno. Un puzzo di asfalto bruciato.”
La voce fuori campo si ferma.
La mano sinistra non dà segni di emozione .
La voce riprende:
”E’ rimasta intatta solo l’insegna Lucia mille articoli. Sempre fortunata quella lì”
(una risatina compiacente)
“E’ la lezione che quei due piedi piatti meritavano. La polizia capirà. Lo ricorderanno il giorno di San Leo, capo”
Scena 4) Notte. Villa del capo
Primo piano sulla mano sinistra che rimette a posto il telefono.
La macchina da presa inquadra il porto della città.
Compitino: fatele vostre considerazioni su quanto è stato scritto. Quanto è importante scrivere la storia in un buon italiano, fluido, senza errori formali o di ortografia? Quanto è importante pensare, creare una storia bella che sia anche nuova? Far saltare una macchina od andare sulla luna è la cosa migliore a cui sappiamo pensare? E che andamento devo dare alla storia per convincere un produttore a spendere qualche soldino e un regista a girarlo? Siamo sicuri di conoscere la tecnica dei tre tempi? E del break point ne sappiamo qualcosa? lo abbiamo utilizzato?
Quando vediamo un film cerchiamo di analizzarlo? ci chiediamo perchè la storia ci è piaciuta? ripercorriamola nella nostra mente e cerchiamo di scoprire i suoi punti forti. E quanti cortometraggi guardiamo? Da loro possiamo imparare tanto, sia se sono belli che brutti. Solo in questo sito ci sono decine di articoli che ci possono aiutare.... Andate a leggerli....
Ve ne suggeriamo intanto due:
Gli errori più comuni che commettono gli aspiranti sceneggiatori
Ci hanno inviato una sceneggiatura da leggere. Scrivere una sceneggiatura non è facile e semplice. Non ci si può improvvisare sceneggiatori: bisogna aver prima studiato le basi e poi aver letto ed analizzato molte sceneggiature e provato anche a scriverne altre partendo dalle nostre idee o da spunti che ci troviamo intorno ogni giorno.
Leggi tutto: Cosa scrivere e cosa non scrivere in una sceneggiatura
IL PARRUCCHIERE
SOGGETTO DI LORENZO POMPEO
SCENEGGIATURA DI LORENZO POMPEO E MARCO BELOCCHI
SCENA 1
SALONE PARRUCCHIERE
INTERNO GIORNO
Mentre la musica dei titoli di testa si spegne lentamente, si vede l’interno di un salone di parrucchiere, è mattina c’è movimento, alcune signore stanno aspettando il loro turno leggendo una rivista, altre sono sotto il casco, qualcuna è al lavaggio o al taglio.
Jean Philippe, il parrucchiere si aggira per il salone controllando l’operato delle sue lavoranti, dando ora un consiglio, ora rivolgendo qualche parola alle clienti abituali.
Entra Simona, una signora di un’età tra i 45 e i 50, una buona cliente. Jean Philippe l’accoglie con molto calore e la fa accomodare.
JEAN
Ah signora Paola, che piacere rivederla. Come va, tutto bene?
SIMONA
Si, bene grazie.
JEAN
Si accomodi pure, cinque minuti e cominciamo.
Squilla il telefono. Un assistente risponde e passa il cordless a Jean, il quale chiede con la mimica chi è. L’assistente risponde, sempre a gesti, che non lo sa. Per un attimo Jean scompare nel retrobottega per rispondere al telefono.
JEAN (al telefono)
Buongiorno signora, ha detto per giovedì? Attenda un attimo… Mi scusi, ho un attimo da fare, se mi lascia il suo numero la richiamo tra qualche minuto. Sì… sì… (mentre trascrive il numero su un’agenda) Perfetto, allora tra cinque minuti la richiamo, va bene?… Tra un paio d’ore? Non c’è problema.… Non c’è di che, a dopo.
Jean va da una signora seduta, Francesca, pronta per il taglio.
JEAN
Allora, signora, come li facciamo oggi questi capelli? Facciamo le solite meche? O facciamo uno schiaffo che ringiovanisce un pochino?
FRANCESCA (mesta)
No, rimaniamo sul classico.
JEAN
Qualcosa che non va, signora?
FRANCESCA
Sa, Jean Philippe, domani devo andare a un funerale.
JEAN
Oh, mi dispiace…
FRANCESCA
Il fratello di mio marito, era da tanto che era malato…
JEAN
Forse ha smesso di soffrire.
FRANCESCA
Chissà…
JEAN
Eh, tanto prima o poi tocca a tutti, belli e brutti.
FRANCESCA
Quando succedono queste cose, ci si fa tante domande… si fa finta di non pensarci, ma poi…
JEAN
Bisogna farsi forza, signora, a queste cose non c’è rimedio e colpiscono quando meno te l’aspetti.
FRANCESCA
Parole sante. Sembra sempre che debbano capitare agli altri… E poi succedono tutte insieme. L’anno scorso se n’è andata mia suocera… sembra quasi che una disgrazia ne chiami un’altra.
JEAN
Signora, sono cose che succedono e basta, non ci possiamo fare nulla.
Intanto ha finito il taglio, prende uno specchietto e le mostra il risultato anche sulla nuca.
JEAN
Allora signora può andare?
FRANCESCA
Sì, mi sembra molto buono, sobrio ed elegante.
Francesca si alza e si reca alla cassa per pagare, un ragazzo di bottega le porge il cappotto. Jean Philippe, la saluta con i soliti salamelecchi.
Appena Francesca è uscita, Jean si reca nel retrobottega con un atteggiamento totalmente diverso da quello che gli abbiamo visto finora. Compone un numero.
JEAN (al telefono)
Il dottor Finocchi, per favore… Aldo caro, da quanto tempo che non ci sentiamo? A quando una partita a tennis?… Lunedì della prossima settimana? Benissimo!… Senti, ti chiamavo per un affaruccio. Una cliente qui, gli è morto ora il cognato e poco tempo fa la suocera… con quella si va sul sicuro… Francesca Tomassucci, il marito è architetto, stanno bene. Tu chiamala la mattina,
domani no che c’ha il funerale… sì, dopodomani va benissimo… Ma ti dico che è una cosa sicura! Ti pago la pizza lunedì se non ci riesci!… Perfetto, fammi sapere poi, eh?… Come? Ah sta per scadere la polizza? Di già! E vabbè, la settimana prossima regoliamo tutto, sconto per gli amici, però!… Ora ti saluto che ci sono un po’ di clienti di là. A presto, ciao, ciao.
Jean Philippe riattacca e mormora tra sé.
JEAN
Sto pezzente morto de fame!
Torna nel salone e si avvicina alla signora Paola cui una sciampista sta raccogliendo i capelli in un asciugamano.
JEAN
Allora signora, siamo pronti?
PAOLA
Stavolta facciamo due meche bionde, proprio qua sulla fronte.
JEAN
Benissimo, allora facciamo anche un taglio sbarazzino! Suo marito che ne dirà?
PAOLA
Mio marito non se ne accorgerà nemmeno, figuriamoci se ci fa caso!
JEAN
Eh, questi mariti, non sanno cosa si perdono.
PAOLA
Ma quello che si perde da un parte si trova da un’altra.
JEAN
Questi uomini, che mascalzoni!
PAOLA
Ma prima o poi anch’io la trovo un distrazione, da qualche altra parte…
JEAN
Fa bene, signora, un po’ di distrazione ci vuole ogni tanto.
Stacco musicale.
Jean mostra il taglio allo specchio, Paola, fa qualche smorfia, Jean le aggiusta un ciuffo, la signora sorride, si alza va alla cassa, paga, il ragazzo la aiuta a infilarsi una pelliccia, Jean la saluta calorosamente.
SCENA 2
SALONE PARRUCCHIERE RETROBOTTEGA
INTERNO GIORNO
Jean Philippe al telefono attende di parlare con qualcuno.
JEAN (al telefono)
Giovanni, sei tu? Per quelle forniture è pronto il preventivo?… Ti volevo dire un’altra cosa, c’è una cliente, una certa Paola, che è proprio il tipo tuo, trentacinque anni, piccolina, una miniatura cinese, sposata, annoiata, insomma facile facile.… Aspetta, fammi finire: la trovi al bar del circolo la domenica mattina… Si capisce che ci va da sola.… Poi mi fai sapere, eh? Allora per il preventivo magari ci vediamo lunedì, così mi racconti tutto. Ciao.
Jean riattacca e bofonchia.
JEAN
Mah, che ci troveranno le donne in questo carciofo!
Si avvia nel salone.
SCENA 3
SALONE PARRUCCHIERE
INTERNO GIORNO
Jean si avvicina alla signora Simona che sta seduta sfogliando delle riviste femminili.
JEAN
Signora, prego…
Simona si alza e si accomoda su una delle poltrone.
JEAN
Mi dispiace se l’ho fatta aspettare, ma oggi è una di quelle giornate…
SIMONA
Non fa niente, oggi non ho fretta.
JEAN
Allora, signora, come li facciamo questi capelli?
SIMONA
Vorrei una tintura un po’ più ramata e un taglio leggero e un po’ serioso, che domani devo far colpo sul direttore della banca.
JEAN
Lasci fare a me e vedrà che il direttore apprezzerà.
SIMONA
Eh… Speriamo! Ho un affaruccio in sospeso e tutto dipende se lui mi fa avere un prestito.
JEAN
Anch’io qui per aprire, mi ricordo, quanto ho penato…
SIMONA
Perché sarebbe veramente un peccato… ho adocchiato un negozio che tra l’altro è proprio qua dietro l’angolo, un affarone! Il portiere mi ha detto che il proprietario del negozio accanto se lo
vuole comprare a tutti i costi per allargarsi, ma che in questo momento non ha i soldi. Quindi se lo compro adesso, tra un po’ glielo rivendo al doppio.
JEAN
Certo sarebbe un bell’affare. Ma se poi quello non se lo compra?
SIMONA
Comunque rimane un buon affare, e poi il portiere mi ha garantito che quello è veramente interessato.
JEAN
Bè, allora buona fortuna col direttore della banca!
Squilla il telefono. L’assistente porge il cordless a Jean con una strizzando l’occhio per far capire che si tratta di una persona ben nota e di un affare un po’ losco. Jean fa un cenno a un suo assistente di finire il taglio e va nel retrobottega a rispondere.
SCENA 4
SALONE PARRUCCHIERE RETROBOTTEGA
INTERNO GIORNO
Jean Philippe risponde al telefono.
JEAN (al telefono)
Pronto… Ah, signora Moscato, come sta? Quando passa a trovarmi?… Sì, sì, non c’è problema… Mi lasci il numero…
Scrive il numero su un taccuino.
JEAN
Il signor? (scrivendo) Paolo. Benissimo. Provvedo subito… Non c’è di che, signora, se posso aiutare le mie clienti sono qui sempre a sua disposizione, signora… Arrivederla.
Riaggancia.
JEAN (tra sé)
Che schifo, ‘sta zoccolona!
Compone il numero che aveva appuntato sul taccuino.
JEAN (al telefono)
Buongiorno, potrei parlare col signor Moscato?… Buongiorno qui è il parrucchiere Jean Philippe, la chiamo da parte di sua moglie. La signora mi ha detto di avvertirla che tarderà una mezz’oretta, è qui che sta terminando la messa in piega sotto il casco… sì, sì riferirò… di nulla, arrivederci.
Riaggancia.
JEAN (tra sé)
E anche il cornuto è sistemato.
SCENA 5
SALONE PARRUCCHIERE
INTERNO GIORNO
Musica.
Jean ha terminato il taglio e la tintura a Simona e con uno specchio le mostra il lavoro. Lei fa una smorfia di soddisfazione. Si alza, va alla cassa, paga ed esce.
La musica sfuma.
Jean si rivolge al suo assistente.
JEAN
Esco un attimo. Pensaci un po’ tu qui, eh?
SCENA 6
STRADA. NEGOZIO IN VENDITA
ESTERNO GIORNO
Jean si avvicina con curiosità davanti ad un negozio con la serranda abbassata. Si annota sul taccuino il numero di telefono che compare sul cartello dell’immobiliare.
SCENA 7
UFFICIO AGENZIA IMMOBILIARE
INTERNO GIORNO
Jean è seduto davanti ad una scrivania di un agente immobiliare e sta firmando delle carte.
AGENTE IMMOBILIARE
Bene, signor Esposito, non rimane che firmare un assegno per la caparra e siamo a posto. Poi le presento subito il proprietario, così per i dettagli potete accordarvi tra di voi.
JEAN
A chi lo intesto l’assegno?
L’agente gli porge il suo biglietto da visita.
AGENTE
Può copiare l’intestazione.
JEAN
Grazie.
Jean firma l’assegno, lo stacca dal libretto e glielo porge.
AGENTE
Allora, tanti auguri. Adesso le chiamo il proprietario, anzi la proprietaria.
L’agente si alza e va ad aprire la porta di una stanza contigua.
AGENTE
Prego, si accomodi.
Dalla stanza contigua appare Simona, entra nell’ufficio con un gran sorriso.
SIMONA
Ma noi ci conosciamo, non è vero?
Jean stupito per l’improvvisa e inaspettata apparizione, balbetta in evidente imbarazzo.
JEAN
Credo… credo di sì.
Musica
Titoli di coda.
FINE
recapiti dell’autore: Lorenzo Pompeo, Via della Farnesina 150 (00194 Roma), cell.: 3289060811, casa: 0664590259, e-mail:
LA PISCINA
SOGGETTO DI LORENZO POMPEO
SCENEGGIATURA DI LORENZO POMPEO E MARCO BELOCCHI
SCENA 1
INT./EST GIORNO NEGOZIO
Claudia, cassiera di un negozio, si accorge che è tardi, prega una collega di sostituirla alla cassa. Prende le sue cose ed esce trafelata.
SCENA 2
EST GIORNO CANTIERE
Luigi, operaio elettricista, si toglie la maschera da saldatore, guarda l’orologio, si accorge che è tardi e dice al capomastro che deve correre via. Posa la maschera e il casco da operaio, s’infila il casco da motociclista e sia avvia.
SCENA 3
EST GIORNO SCUOLA
Claudia è ferma con l’auto davanti alla scuola che sta aspettando l’uscita della figlia, Serena, la quale subito dopo esce festosa da scuola e s’infila nell’auto.
CLAUDIA:
Ciao, monta… Ti sei ricordata di mettere tutto nella borsa? (Serena annuisce) Bene, sbrighiamoci, che senno facciamo tardi come al solito…
Claudia mette in moto la macchina e riparte.
SCENA 4
EST GIORNO PARCHEGGIO PISCINA
Luigi arriva con il motorino, dietro di lui siede la figlia Manuela, e si parcheggia casualmente accanto all’auto di Claudia. È già tardi e Luigi sollecita la figlia di fare in fretta.
SCENA 5
INT GIORNO PISCINA SPOGLIATOIO
Ma manca poco tempo all’inizio della lezione di nuoto. Diversi genitori stanno aiutando i figli (di età fra i 7 e gli 8 anni) a spogliarsi e a mettersi il costumino. D’un tratto arriva la maestra di nuoto che battendo le mani raduna i bambini e li porta verso il piano vasca. I genitori rimangono con gli abitini in mano e li sistemano nei rispettivi attaccapanni.
SCENA 6
INT GIORNO PISCINA ZONA PUBBLICO
I genitori sono seduti nell’area a loro riservata di dove osservano i bambini che nuotano.
Luigi si siede nell’unico posto libero, ovvero accanto a Claudia. I due si scambiano un’occhiata.
Nel frattempo seguono i loro figli nuotare.
La maestra sgrida la piccola Serena, Claudia alzandosi in piedi quasi di scatto fa come per gridarle qualcosa ma emette solo un grido soffocato.
CLAUDIA
Dai, che ce la fai!
Si risiede e continua a seguire con apprensione. Luigi, che le sta seduto accanto, la approccia.
LUIGI
Non si preoccupi, è severa, ma è brava… Il mio è quello laggiù in ultima corsia, non sa quante ne ha prese…
CLAUDIA
Sì, ma non vorrei che se la prende…
LUIGI
È il primo anno che viene qui?
CLAUDIA
Sì, il primo. Ma è già il secondo anno di nuoto, prima andavamo in un’altra piscina.
LUIGI
Perché ha cambiato?
CLAUDIA
È stata la maestra che ce l’ha consigliato.
LUIGI
Ah, allora è brava!
CLAUDIA
Viene volentieri, poi si vedrà se continuerà a piacerle…
LUIGI
Il mio è già il terzo anno che viene qui, ma non importa se diventerà un campione, l’importante è che se la cava bene in acqua. Così quando si troverà a uscire in barca non avrà paura.
CLAUDIA
La barca? Uh, che bello! Quanto mi piacerebbe averne una!
Claudia si perde un attimo nei suoi sogni.
CLAUDIA
Chissà quanto costa e poi la manutenzione, il rimessaggio…
LUIGI
Il costo è un problema relativo. E poi tutto nella vita costa, no? Una macchina, il nuoto, le vacanze… E poi può essere anche una fonte di guadagno, non solo una spesa.
CLAUDIA
Cosa?
LUIGI
La barca. Io ci guadagno mica male.
CLAUDIA
Veramente?!
LUIGI
Io faccio lo skipper.
CLAUDIA
Che bel lavoro, ti pagano per fare le vacanze!
LUIGI
Sì, ha i suoi pro e i suoi contro: non è mica un lavoro fisso, e poi sempre in giro per il mondo…
E lei che fa?
CLAUDIA (titubante)
Io? Bè io… l’attrice, sì, faccio l’attrice! Teatro, sa, un po’ di cinema e qualche piccola parte in televisione.
LUIGI
Infatti, mi sembrava una faccia nota!
CLAUDIA
Ma è difficile che mi abbia notato, ho fatto solo piccole parti in un paio di puntate.
LUIGI
Ma è un lavoro bellissimo!
CLAUDIA
Non creda, sa, è una vita difficile, sempre in giro, non hai mai la certezza di un futuro…
LUIGI
Di questi tempi chi ha la certezza del futuro?
In quel momento l’insegnante di nuoto urla che la lezione è finita e ordina ai bambini di uscire dalla vasca. Contemporaneamente anche i genitori si alzano dai loro posti e si avviano verso gli spogliatoi. Anche Luigi e Claudia si alzano e si presentano.
LUIGI
A proposito, io mi chiamo Luigi.
CLAUDIA
Piacere, Claudia.
SCENA 7
INT GIORNO CANTIERE
Pausa pasto. Luigi sta scartando una bella pagnotta, poi estrae il telefonino e digita un numero.
LUIGI (al telefonino)
Ciao amò… no, niente, tutto a posto, te volevo di’ che siccome oggi stacco un po’ prima, ci posso sempre anda’ io a porta’ Manuela in piscina. No, no, tutto bene, è che ho già finito quello che dovevo fa’ qui e allora… Vabbè, allora ci vado io. A dopo. Un bacetto, amò. Ciao.
SCENA 8
INT GIORNO PISCINA SPOGLIATOIO
Luigi entra con la figlia, al solito in ritardo, immediatamente cerca con lo sguardo Claudia e la vede indaffarata ad aiutare la figlia Serena. Si vedono, si fanno un cenno di saluto. Lui sollecita Manuela a fare presto. Irrompe la solita maestra che strilla esortando i bambini a andare in acqua. Rimasti nello spogliatoio, Luigi invita Claudia a prendere qualcosa al bar prima di prendere posto al bordo vasca.
Lei accetta volentieri.
LUIGI
Che facciamo, ci prendiamo un caffè?
CLAUDIA
Perché no?
SCENA 9
INT GIORNO PISCINA. BAR
Davanti a un caffè Luigi e Claudia si raccontano i rispettivi mestieri, essendone rimasti affascinati, lui dal mondo dello spettacolo e lei dalla vita libera e avventurosa del mare.
LUIGI
Ma com’è ‘sto mondo del teatro?
CLAUDIA
Bello… bello… ma fino a un certo punto. Sai è pieno di raccomandate, oggi basta andare a letto col produttore ed è fatta!
LUIGI
Tutto il mondo è paese…
CLAUDIA
Poi però quando sei sul palcoscenico, d’improvviso il mondo cambia…
SCENA 11
FLASH
INT NOTTE TEATRO
Mentre sul palcoscenico illuminato Claudia, in abito d’epoca (700/800), s’inchina per ricevere gli applausi di un pubblico entusiasta, Luigi in prima fila si alza in piedi e batte le mani rapito.
SCENA 9 bis
INT GIORNO PISCINA. BAR
LUIGI
Certo dev’essere molto bello.
CLAUDIA
Beh, non è come il tuo lavoro, la solitudine, il mare…
LUIGI
Ah sì, la solitudine, a volte stanca anche quella, quando ti trovi per giorni in mezzo al mare e non hai nessuno con cui parlare…
SCENA 10
FLASH
EST GIORNO PORTICCIOLO
Luigi vestito di bianco, col berretto da marinaio, che invita Claudia a salire sulla sua barca a vela, mentre FC sentiamo il loro dialogo.
LUIGI (FC)
…Viene voglia di stare in mezzo alla gente. E poi il mare non è sempre così tranquillo, qualche volta quando si arrabbia…
SCENA 12
INT GIORNO PISCINA BAR
Luigi fa una pausa ‘artistica’ sorseggiando il caffè. Poi continua il racconto.
LUIGI
Una volta al largo della Sardegna ero uscito con un gruppo di tedeschi, c’era un gran sole e poi d’improvviso, sai come succede, nel giro di pochi secondi il vento è girato, il mare è cominciato ad alzarsi e…
La musica si alza e non sentiamo più il racconto di Luigi, ma vediamo la sua mimica che sembra narrare di una terribile tempesta e quanto lui fosse bravo.
Claudia lo guarda incantata, assolutamente presa dal racconto.
La mdp passa da uno all’altro come fossero presi da un unico vortice.
I due persi nelle loro fantasticherie, si accorgono che l’ora di lezione è terminata, Claudia guarda l’orologio.
CLAUDIA
Ma è tardissimo! La lezione è finita da un pezzo. Le nostre ragazze ci staranno aspettando…
Claudia si alza di scatto e fugge verso gli spogliatoi, Luigi vorrebbe dirle ancora qualcosa, ma rimane con la parola a metà. Poi con disappunto si alza anche lui e svogliatamente si avvia.
SCENA 13
EST GIORNO NEGOZIO
Luigi si trova davanti al negozio dove lavora Claudia. Guarda l’orologio con insistenza: è chiaro che ha un appuntamento.
SCENA 14
INT GIORNO NEGOZIO
Claudia alla cassa sta battendo il conto a un cliente.
SCENA 15
EST GIORNO NEGOZIO
Dopo un’ultima scorsa all’orologio, si accorge di essere davanti ad un supermercato e decide di entrare.
SCENA 16
INT GIORNO NEGOZIO
Luigi gira per il piccolo supermercato, non sa bene cosa comprare, poi si mette in fila al bancone del pane e del formaggio per farsi preparare un panino.
COMMESSO DEL BANCONE:
Lei?
LUIGI:
Mi può fare un panino con prosciutto e mozzarella?
Il commesso del bancone taglia il prosciutto, la mozzarella, li pesa, confeziona il panino e lo mette in un sacchetto di carta. Luigi consegna il sacchetto alla cassiera, ma la cassiera non è più Claudia, è un altra che prende il sacchetto e batte il prezzo.
SCENA 17
INT GIORNO NEGOZIO SPOGLIATOIO
Claudia si sta finendo di cambiare, si ravvia i capelli e si guarda allo specchio. Entra una sua collega e in quel momento intravede nello specchio Luigi che sta pagando alla cassa. Non è sicura che sia lui, si gira per vedere meglio, l’uomo di spalle sta già uscendo dal negozio.
SCENA 18
EST GIORNO NEGOZIO
Claudia esce circospetta da una porta di servizio. In quel momento Luigi, che sta addentando il panino appena comprato, le passa davanti e la riconosce. Si riconoscono. Momento di imbarazzo. Ma non sembrano contenti di vedersi in quella situazione. Balbettano qualche battuta d’obbligo come costretti dalla situazione.
LUIGI
Claudia, che ci fai qui?
CLAUDIA (imbarazzata)
No è che… Passavo da queste parti…
LUIGI
Abiti qui?
CLAUDIA
Non proprio, ci vivono i miei genitori.
LUIGI
Vai di fretta? Ci prendiamo un caffè?
CLAUDIA
No, devo andare, sai le prove…
LUIGI
Che peccato, chissà quando ricapiterà l’occasione. Stai preparando uno spettacolo?
CLAUDIA
No, forse, non so, è che sto andando a un provino.
LUIGI
Allora, in bocca al lupo, si dice così?
CLAUDIA
E tu la regata, quando vai?
LUIGI
La regata? Ah sì, la settimana prossima.
CLAUDIA
Allora in bocca al lupo anche a te.
LUIGI
Allora quando m’inviti ad uno tuo spettacolo?
CLAUDIA
Presto, vedrai, appena so qualcosa di sicuro ti faccio sapere… Allora ci vediamo in piscina la settimana prossima, regata permettendo.
LUIGI
Sì, certo, la regata è di sabato. Allora al prossimo mercoledì.
CLAUDIA
Ciao.
SCENA 19
INT GIORNO PISCINA BAR
Mentre scorrono i TITOLI DI CODA sullo stesso tema musicale del racconto del mare, si vedono loro due di nuovo seduti al bar della piscina, mentre lui sembra raccontare a gesti un’altra mirabolante avventura marittima.
FINE
Chiara è a scuola con i suoi compagni di liceo e sta assistendo ad una lezione di pronto intervento. La ragazza non presta però la minima attenzione a quello che accade intorno a sé: sembra sconvolta e trattiene a stento le lacrime mentre la lezione va avanti. Anche nello spogliatoio rimane assorta nei suoi pensieri senza neppure ascoltare la conversazione delle sue amiche e senza rispondere alle domande che le rivolgono.
Dopo la scuola Chiara prende la metropolitana e si ferma da sola su una panchina nel parco. A casa sua intanto ci si sta preparando per la cena: Maria sta cucinando mentre Antonio cerca di tenere tranquillo il fratellino di Chiara, Chicco, che comincia ad avere fame. Ma Chiara non è ancora rientrata e non risponde alle telefonate.
Quando la cena è pronta e già servita in tavola, arriva finalmente anche la ragazza. Chiara risponde a monosillabi alle insistenti domande del padre, e alla fine, sfinita, confessa a tutti di essere incinta.
La discussione subito si infiamma: Antonio reagisce in maniera nervosa e si infuria ancora di più di fronte alla decisione di Chiara di voler tenere il bambino.
Nel tentativo di ribadire la sua autorità sulla famiglia, Antonio finisce per perdere il controllo.
Dichiarazione di Nicola Martini
L’imprevisto racconta un frammento orizzontale della vita di persone borghesi di questi anni. Racconta una giornata un po’ particolare di una giovane liceale di 17 anni e, di conseguenza, dei suoi genitori e del suo piccolo fratellino. Ma il vero protagonista è il destino beffardo e l’istinto puro e fuori dagli schemi che a volte può cambiare le cose. O almeno dà l’idea di poterlo fare.
Quasi tutto è girato camera a spalla (escluso una scena in cui non è presente la protagonista) per esigenze di realismo duro e contemporaneo, infatti oggi chiunque con un cellulare o con una fotocamera può registrare frammenti puri di vita reale spesso già carichi di tensione e di significato (il fratellino stesso usa la videocamera del cellulare del padre). Centrale e a volte predominante l’uso del suono (moltissime sono le battute fuori campo con i relativi piani d’ascolto), soprattutto nella scena finale (televisione come sfondo sonoro emozionale sempre fuori campo). Inizia come finisce: con la visione sottratta e con la sola parte sonora che ha il compito di configurare e di vettorializzare l’emozionalità.
Dalla scrittura alla messa in scena l’obiettivo comune era di raggiungere, attraverso un linguaggio contemporaneo e non pulito, un realismo totale e un’emotività che sembra parta in ogni momento ma che alla fine non parte mai. Ma viene strozzata.
Sera del 31 dicembre. Dopo aver litigato con la sua ragazza, Franco decide di andare da solo al cenone dei suoi amici. In strada accidentalmente urta un vu’ cumpra’ e Franco lo invita ad andare con lui. Alla festa tutti fanno buona accoglienza al marocchino, finché non sparisce un prezioso bracciale d’oro. Dopo aver ipotizzato uno scherzo di dubbio gusto, i sospetti dei padroni di casa cadono subito su Driss. Sale la tensione e le reciproche accuse di ipocrisia, razzismo e classismo. Le posizioni di Franco e dei padroni di casa, sostenuti dagli altri invitati, si irrigidiscono e la situazione sta per degenerare in una rissa, quando il bracciale viene ritrovato sotto il cassettone. Le scuse di Sandro non bastano a Franco, che decide di andarsene insieme a Driss, riprendendosi la bottiglia di champagne che aveva portato. Appena usciti (manca soltanto mezz’ora alla mezzanotte) squilla il cellulare di Franco: è Manuela che ha voglia di far pace. Franco coglie la palla al balzo e propone di andarla a prendere a casa sua, per poi andare, tutti e tre, a salutare l’anno nuovo al piazzale Michelangelo. Una volta arrivati, Franco accende la radio, un animatore scandisce il conto alla rovescia. Franco e Manuela si guardano negli occhi, promettono di non litigare più e si baciano. Sul sedile posteriore Driss è imbarazzato, non sa più dove guardare, apre la portiera posteriore e scende dall’auto. Franco e Manuela non si accorgono di niente e continuano a baciarsi. Driss si allontana a piedi, sullo sfondo del panorama di Firenze illuminata dai fuochi artificiali. Si guarda intorno, poi s’infila la mano dentro i pantaloni e tira fuori il dopobarba Ghibli, che ha preso dal bagno della casa. Ne svita il tappo e se la porta al naso. Chiude gli occhi ed aspira profondamente: le risate delle persone vicine, i rumori dei fuochi e dei botti si abbassano progressivamente fino a sparire, mentre sale il soffiare del vento. E dal primo piano di Driss, che guarda, senza ormai più vederlo, il panorama di Firenze sotto i fuochi d’artificio, passiamo in lenta dissolvenza ad una immensa distesa desertica, dune illuminate dal sole radente, mentre soffia forte il Ghibli, il vento del deserto. In sovrimpressione appare, con l’aggiunta di una musica arabeggiante, il volto di una giovane ragazza col velo mosso dal vento che si volta e gli sorride.
Quando creiamo un personaggio e lo facciamo agire in una storia, dobbiamo tener conto che nessuno esiste da solo. Che siano presenze fisiche oppure semplici richiami esterni previsti dalla trama, queste figure "secondarie" intrecciano sempre e comunque relazioni umane che, necessariamente, influenzano il protagonista della storia. Affinché un personaggio risulti credibile, deve apparire vero e rispecchiare quanto accade nella vita reale, nella nostra vita. Ecco perché, come già si diceva, è importantissimo guardarsi bene attorno, analizzare la propria realtà, comprenderla e utilizzarla per intarsiare una buona storia. Ogni azione prevede, in maniera più o meno diretta, una interazione. Ogni personaggio interagisce con qualcun altro. Questo “altro” ha un compito importantissimo: deve dare senso al dolore o alla rabbia o all’amore che affligge il protagonista.
PERSONE E SCATOLE
Ci sono persone e ci sono scatole.
Dentro le scatole ci sono città, parchi, montagne, laghi, distese immense di deserto.
Le costruzioni possono avere varie forme e misure: può trattarsi di palazzi, capanne, castelli, negozi, fabbriche, hotel o alveari popolari, nei quali vivono delle persone. Persone vere, in carne e ossa con proprie idee e gusti specifici.
Un insieme più o meno grande di edifici e di persone, forma una comunità.
Non si tratta di un concetto astratto e impalpabile: ogni centro abitato ha un odore e un suono ben precisi. Ha sue tradizioni, un dialetto, un piatto regionale, feste popolari, giorni di chiusura e orari di apertura dei negozi. Ha poliziotti e regole e leggi più o meno giuste. Ha disparità sociali più o meno pronunciate e possiede un tipo di clima atmosferico che determina tutta una serie di altre abitudini.
Soprattutto, dentro ogni comunità esiste una fitta rete di relazioni umane, tessuta con un filo sottilissimo eppure più resistente dell’acciaio.
Le abitudini di uno, influenzano il pensiero di un altro
Che siano presenze fisiche oppure semplici richiami esterni previsti dalla trama, queste figure "secondarie" intrecciano sempre e comunque relazioni umane che, necessariamente, influenzano il protagonista della storia.
Affinché un personaggio risulti credibile, deve apparire vero e rispecchiare quanto accade nella vita reale, nella nostra vita. Ecco perché, come già si diceva, è importantissimo guardarsi bene attorno, analizzare la propria realtà, comprenderla e utilizzarla per intarsiare una buona storia.
Ogni azione prevede, in maniera più o meno diretta, una interazione. Ogni personaggio interagisce con qualcun altro. Questo “altro” ha un compito importantissimo: deve dare senso al dolore o alla rabbia o all’amore che affligge il protagonista.
Non esistono personaggi secondari
Jenny muore. Michael impazzisce e parte alla caccia dei suoi assassini.
Chi è Jenny? Che legame aveva con Michael? Chi sono i suoi assassini? Perché Michael farà fatica a trovarli? Dove si nascondono e perché si nascondono così bene? A loro volta, che tipo di aiuti/relazioni hanno gli assassini con altri che ne facilitano la fuga?
Se gli assassini che Michael insegue fossero semplici macchiette, senza una storia personale, messi lì solo per dire “eccoli”, con atteggiamenti stereotipati e sbrigativi, allora Michael suonerebbe fasullo e scontato e la sua azione nel film non sarebbe credibile.
Ma, se quegli assassini fossero a loro volta personaggi forti, con una loro coscienza e una storia e paure e spinte specifiche, allora Michael avrebbe un compito difficile e noi (pubblico) soffriremmo con lui nel dare la caccia a persone "vere": delinquenti sì, ma dotati di movimento interiore, di un passato, di un vissuto pesante e doloroso; delinquenti, la cui morte provocherebbe altra sofferenza ad altre persone (una madre, una sorella, un amico, un figlio) . In questo modo, la piccola storia da cui eravamo partiti, si espanderebbe a dismisura.
Ogni personaggio è un numero uno, ha una sua vita, della quale è protagonista, e ha una sua profondità e merita la stessa attenzione che viene posta al personaggio principale. Anche se abbiamo a che fare semplicemente con l’usciere di un hotel o con il parroco del paese che vedremo forse in una sola scena, dobbiamo conferire a ciascuno il giusto spessore.
Dentro la scatola
Nessuno sa di trovarsi dentro una scatola, semplicemente perché non ha mai avuto (e forse mai avrà) la possibilità di osservarsi dal di fuori.
Tutto ciò che succede dentro la scatola è vero.
E’ l’universo, è il mondo; la scatola è l’infinito. E’ un mondo così vero da provocare vero dolore, vera morte, vera disperazione oppure gioia, esaltazione, amore e passione.
La ricetta per la buona riuscita di una storia è miscelare nel modo giusto gli ingredienti e inserire dentro quella scatola case, scuole, leggi e istituzioni, e personaggi completi e credibili, forti e sensibili, che siano in grado di influenzare, come succede nella vita reale, le azioni del protagonista.
di Sabrina Gioda
Sceneggiatrice cinematografica e televisiva, autrice di romanzi e insegnante di sceneggiatura e scrittura creativa
Dal suo blog http://scriverecinema.weebly.com
Chi sono?
E c'è gente che cammina, gente che corre. Ci sono passanti, negozianti, taxisti e automobilisti.
E in mezzo a tutto questo c'è lui. E' lì perché abbiamo deciso che dovrà fare qualcosa.
In funzione di un'azione futura, lui si trova fermo, da solo, in una via, tra sconosciuti e facce ostili.
Respira un'aria che ancora non conosce.
Indossa abiti che gli abbiamo cucito addosso ma che forse, lui trova scomodi.
Ha un corpo, ha un peso, ha persino una faccia. Ed è pronto all'azione.
Potrebbe essere un genio della finanza, una donna incinta, un artista disoccupato, un campione olimpico. Sfiga (per lui) vuole si tratti di un barbone. Magari uno di quelli che non si muovono senza una bottiglia nella tasca del giaccone.
Abbiamo deciso che dovrà essere solo.
Poniamo che la sua famiglia sia stata uccisa da un tir impazzito alla cui guida stava un altro ubriaco.
Visto che abbiamo fatto i compiti per bene, conosciamo il suo passato come le nostre tasche.
Sappiamo quando è nato, dove è cresciuto, che scuole ha fatto.
Siamo stati davvero bravi: non abbiamo tralasciato nulla. Abbiamo agito da manuale!
Sappiamo persino come si muoverà, quanto, come e se gli tremeranno le mani, conosciamo perfettamente che tipo di accento avrà e che linguaggio userà e sappiamo anche di quale tipo di malattia è affetto.
Sappiamo tutto, perché siamo autori scrupolosi e abbiamo compreso l'importanza di scavare a fondo nei trascorsi del nostro personaggio.
Così, il nostro barbone se ne sta buono buono su una qualsiasi strada di New York a lanciare pezzi di pane a piccioni spelacchiati e sfigati quanto lui.
Ci sono tutti i presupposti per un bel conflitto corposo e credibile. Uno di quei conflitti interiori che affondano gli artigli nel passato e che tanto appassionano il cinema contemporaneo. C'è spazio anche per nuovi conflitti futuri che daranno il via a una storia di cambiamento e forse di redenzione o magari di totale perdizione.
Il fatto è, però, che il nostro barbone, a un tratto solleva la testa e ci guarda.
Ci fissa con quelle pupille dilatate e spaventate e con quella sclera arrossata e umidiccia.
Sì, guarda proprio noi, non è incredibile?
In verità non guarda noi, ma guarda te, che lo hai creato.
I suoi occhi parlano e chiedono una cosa precisa: chi sono io?
Lui sa quello che deve fare.
Lo sa perché glielo abbiamo imposto noi.
Sa esattamente dove dovrà andare, cosa dovrà fare e chi dovrà incontrare.
E lo farà: su questo non discute. Non tralascerà niente perché è venuto al mondo per quello.
Lui lo sa.
Ma il punto è un altro.
Noi sappiamo se lui è d'accordo?
Amo il mare
Potrebbe averci trascorso l'infanzia oppure averlo incontrato solo attraverso il finestrino di un treno in corsa ed essersene innamorato perdutamente. Perché il mare ha una sua musica speciale. Una musica che ogni individuo accoglie in modo diverso. E' una musica che provoca un movimento dell'anima. \r\n
Visto che siamo stati tanto abili da mettere al mondo un personaggio bello e rotondo, pieno di storia, colmo di passato, traboccante di aneddoti, con una cultura di strada o universitaria, possiamo sicuramente star certi che quel personaggio è riuscito bene.
Così bene da avere sviluppato un'anima.
Lui ci sta.
Sa di essere nato per portare avanti la nostra storia e per assecondare i nostri capricci.
Ma vorrebbe fare le cose senza forzatura, proprio per amore della nostra storia.
Il nostro personaggio ha sulle proprie spalle la responsabilità del successo della nostra storia. Se ne sente parte, sa che quello è il suo mondo.
E' dotato di consapevolezza e, soprattutto, è dotato di una coscienza.
Si tratta di una parte di lui che esiste nonostante noi: la sua coscienza.
Si è formata mentre noi, puntigliosamente, piazzavamo nello schema il colpo di scena alla fine del primo atto e chiudevamo il suo arco di trasformazione. E' cresciuta mentre noi ritagliavamo scrupolosamente una storia credibile per lui e per il film.
Durante quelle pause, nelle lunghe attese mentre formulavamo un buon intreccio, dopo la sua nascita,
quando abbiamo iniziato a imporgli delle mosse, delle azioni e delle scelte precise ecco che, silenziosamente, qualcosa ha iniziato a prendere corpo e a rigirarsi dentro di lui.
Quando il personaggio sviluppa una coscienza, si crea un patto di non belligeranza tra lui e il suo autore.
Occorre una tregua, è necessario prendere fiato e farci bene i conti.
Quanto inciderà il suo amore per il mare con la carneficina che di lì a poco dovrà compiere? Oppure con la periferia degradata in cui dovrà vivere? O con i campi da arare che saranno il suo unico sostentamento?
E' dovere di ogni autore trovare la risposta a domande simili, qualsiasi sia il genere di storia che verrà presentata.
Storie che passano e capolavori che restano
La cosa più bella per un autore è lasciarsi sorprendere dal proprio personaggio.
I personaggi con una coscienza rendono i film indimenticabili.
Non di sola azione vive una storia.
Per far nascere un rapporto d'amore o di odio tanto forte e credibile da provocare nel pubblico un moto dell'anima, occorre verità.
L'uomo che cade preferisce buttarsi nel vuoto da un grattacielo in fiamme piuttosto che essere dilaniato dal fuoco.
E' un'immagine terribile, certo, ma è solo azione.
Quello che fa star male è il silenzio con cui cade quell'uomo.
Un silenzio dentro il quale è racchiuso il suo dolore per la vita che sta abbandonando.
Un silenzio dettato dalla sua coscienza. Cosa altro potrebbe fare un bravo e attento autore se non raccogliere quel silenzio, accettarlo, e inserirlo nella storia?
Provate a immaginare se, al contrario, un ostinato scrittore imponesse al suo personaggio in caduta libera di mettersi a urlare. Si tratterebbe di una semplice forzatura che, a dirla tutta, non provocherebbe proprio nessuna emozione duratura.
La coscienza di un personaggio di fantasia, non è un'aberrazione: è vita resa su un altro piano di lettura.
E' quell'elemento in più che fa salire di un gradino il vostro film.
Non impedirà alle azioni di compiersi. Semplicemente le renderà uniche.
di Sabrina Gioda
Sceneggiatrice cinematografica e televisiva, autrice di romanzi e insegnante di sceneggiatura e scrittura creativa
Dal suo blog http://scriverecinema.weebly.com
La forma
Poniamo trattarsi di un uomo anziano. E’ vestito di grigio. Ha un completo elegante ma consunto: una cravatta vivace, una camicia chiara e una giacca un po’ stretta.
Quest'uomo si trova in un aeroporto.
E’ all’ingresso, dove ci sono i bar e i negozi.
I banchi dei chek in sono lontani.
Se ne sta lì, fermo, davanti a una grande vetrata che dà sulla pista e osserva gli aerei pronti al decollo o appena atterrati. Non ha bagaglio. E’ solo, ed è lì che osserva. Osserva e basta. Appare incredibilmente piccolo in quello spazio. Sembra, dopotutto, un uomo tranquillo.\r\n
L’uomo ha qualcosa in mano.
Potrebbe essere una lettera, un fazzoletto, il portafogli. No, meglio una pistola. Una di quelle piccole pistole che facilmente si possono tenere in tasca. Trovandosi all’ingresso ed essendo anziano ed elegante, nessuno ha pensato di fermarlo né di controllarlo.
Attorno a lui non c’è molta gente. Un paio di ragazzini seduti a terra, una donna, alcuni uomini, qualche hostess.
L'uomo anziano fa un passo indietro, si volta verso destra e spara.
Non gli serve prendere la mira perché è un tiratore scelto.
Spara diverse volte prima che qualcuno lo fermi e manda a segno tutti i colpi.
Uccide due persone e ne ferisce quattro.
Ecco, questa è un’immagine. Una forma. Un contenitore. Niente altro.
Non è ancora un’idea. E non la si può definire scena.
Per definirla scena, ovvero parte di un film, parte di un racconto, serve molto di più. Non bastano azioni, non bastano spostamenti esteriori di braccia, gambe, mani, occhi. Occorre un movimento interiore. E’ necessario un senso.
Il senso
La risposta a questa domande non sarà necessariamente sempre narrata, ma sicuramente sarà sempre visibile al pubblico.
Cosa intendo?
Non serve raccontare tutto, lo spettatore non ha bisogno di sapere dov’è nato l’uomo, come ha trascorso la sua infanzia, quando si è innamorato per la prima volta. Ma l’autore sì, lui deve sapere tutto.\r\n
Il movimento interiore che genera la sparatoria, determina il modo in cui l’uomo stringe la pistola, il modo in cui osserva la gente, determina la sua scelta circa chi colpire. Il senso che dà vita all’uomo, genera anche le sue azioni successive: si arrenderà o continuerà fino alla morte? Piangerà, racconterà di sé oppure si chiuderà in un silenzio ostile?
Per sapere esattamente come si muoverà l’uomo armato, dobbiamo conoscere il suo passato, il suo presente e il suo futuro. Dobbiamo sapere tutto di lui.
Costruire “forme” sembra un gioco da ragazzi: in fondo, che ci vuole a mettere qualcuno in una piazza e dargli in mano una pistola? Oppure, perché non prendere una bella ragazza e farla cantare a squarciagola in giro per le strade? O scegliere un padre violento che prende a schiaffi un figlio adolescente, o perché non ripiegare invece su un adolescente che schiaffeggia un padre?
Esistono infinite varietà di forme. Ma quello non è cinema.
E’ solo concatenazione di gesti: ginnastica visiva.
Il personaggio
E’ il personaggio l’epicentro di ogni scossa emotiva.
Senza emozione non c’è coinvolgimento, non c’è rapimento, non c’è attenzione da parte del pubblico.
Chi è, dunque, l’uomo vecchio dell’aeroporto? Cosa sappiamo di lui? Come osserva? Cosa pensa? Cosa leggono i suoi occhi?
Seguiamolo, ispezioniamo la sua vita, scaviamo nel suo passato finché non ci avrà detto tutto di sé. Decideremo poi cosa usare di quanto scopriremo. In ogni caso, tutto di lui servirà a noi. Ci permetterà di capire come parla, cosa dice, quando lo dice e perché lo dice.
Questo è il senso. Senza di esso ogni forma è vuota.
Entrambi gli elementi, senso e forma, sono indispensabili per scrivere una buona storia. Devono combaciare, consumarsi a vicenda, fino a diventare una cosa sola.
Quindi il senso è il movimento interiore che anima i personaggi nella storia. La forma è il modo in cui quella storia viene raccontata.
Forma, ad esempio, è l’attenta selezione dei fatti da esporre, è la difficile scelta dei fatti da scartare.
Della forma fanno parte il montaggio, la tecnica, lo stile narrativo, la struttura restaurativa o meno che sia, l’intreccio, il tempo, ecc.
Del senso fanno parte i personaggi.
di Sabrina Gioda
Sceneggiatrice cinematografica e televisiva, autrice di romanzi e insegnante di sceneggiatura e scrittura creativa
Dal suo blog http://scriverecinema.weebly.com
Cosa vedi? Imparare a osservare è la prima arte alla quale un bravo sceneggiatore dovrebbe dedicarsi. Affinare lo sguardo, enfatizzare la naturale curiosità, continuare a cercare voci, facce, luoghi e porsi sempre nuove domande sono passi essenziali per diventare seri professionisti. Qualunque sia la natura del progetto a cui ci si vuole dedicare, che si tratti di fantasy, drama, fantascienza, thriller o docuficion, occorre ricordare che la realtà ha bisogno di scavare il proprio spazio nello schema generale. E dunque, che colore ha questa realtà? Quali sono le sue ombre, le luci, gli odori e i dolori nascosti in essa?
Primo passo
Il primo passo che un aspirante sceneggiatore dovrebbe compiere è l'esplorazione della sua piccola e stretta sfera personale. Distinguere chiaramente il mondo che ci circonda, comprendere quali siano i legami che ci coinvolgono, quali i desideri irrealizzati, riconoscere il margine di ricchezza o povertà che ci rappresenta, ammettere quante e di che natura siano le nostre ambizioni, capire a chi rivolgiamo il nostro odio e dove convogliamo le nostre passioni, confessare le nostre intolleranze, sono aperture obbligate per giungere a comprendere cosa davvero determina le nostre scelte. La profonda conoscenza della vita che ruota a stretto contatto con noi, ci permette di sciogliere pericolosi vincoli che potrebbero influenzare negativamente il nostro lavoro. Se non conosci te stesso, come puoi comprendere gli altri?
Quello che chiediamo al nostro pubblico, ogni volta che scriviamo una storia, è di credere in noi. Implicitamente chiediamo a chi ci legge, di accogliere i personaggi che agiscono nella finzione come fossero loro intimi parenti. Affinché il film di cui scriviamo le basi possa uscire vincente, lo spettatore si deve commuovere, deve temere per la vita del protagonista, deve innamorarsi con lui e di lui, deve tifare per la sua vittoria e piangere per la sua sconfitta. Senza questa empatia, il gioco non regge. Una finzione priva di empatia è una scatola vuota, destinata a scomparire. L'empatia è la chiave di una buona storia. Come può, allora, il nostro spettatore, affezionarsi ai nostri personaggi? Credendo in loro.
Lo spettatore non deve sollevare alcun dubbio circa la loro effettiva esistenza. E questo vale per ogni genere narrativo.
Il bianconiglio corre, parla, fugge, ha un panciotto e un orologio eppure noi gli crediamo. Lo inseguiamo, curiosi insieme ad Alice, fin oltre il mondo conosciuto perché crediamo in lui. Come è possibile? Semplicemente perché l'autore lo ha tratteggiato con estrema sicurezza, inserendolo in un contesto reale e affidandogli un comportamento quanto possibile coerente con quel senso di realtà a cui siamo abituati. E' un bianconiglio, certo, ma parla, ha idee precise, ha uno scopo, quindi esiste. E' irrazionale in un contesto razionale.
Come si arriva a tracciare un personaggio del genere senza temere di essere derisi dal pubblico?
Con la profonda comprensione degli altri. E' questa definitiva comprensione dell'altro a fornire le chiavi ad ogni autore per presentare una finzione in maniera solida e strutturata tale quale è la realtà che ci circonda. Il ritardo da cui è afflitto il bianconiglio è quello che prima o poi ha attanagliato ciascuno di noi nella vita reale. Il suo movimento è credibile. E, soprattutto, le basi del suo movimento affondano in un mondo reale: Alice esiste, ha una casa, un prato, un albero, dei sogni. Alice è vera.
Secondo passo: gli schemi del mondo
Per creare un contesto narrativo, una scenografia, occorre inventare nuovi mondi, pianeti, città, paesi.
Per creare una storia, occorre costruire un conflitto.
Ogni schema conflittuale narrativo rimasto nella storia è la fotocopia di un evento reale, di una reale battaglia, di un reale gioco di interessi.
Per questo è fondamentale ritrarre e denunciare a se stessa la società in cui viviamo, costringendola a rimirare le proprie finzioni nello specchio della realtà...narrativa.
In pratica
E' importante diffidare di se stessi. Ogni idea deve essere messa in discussione più e più volte. Perché racconti questo? Perché parli di questa cosa? Perché hai deciso di raccontare questa storia? E soprattutto, sei sicuro che le cose stiano davvero così?
Osservando il reale nelle piccole cose si può giungere a comprendere uno schema più generale. I nostri personaggi, per essere creduti, devono apparire veri. Quindi, non stanchiamoci mai di spiare le persone che ci circondano. Nostra madre, nostro padre, i nostri amici, fratelli, compagni, amanti, mariti e mogli, i nostri stessi figli. Cosa fanno? Come parlano, cosa dicono, in cosa credono? Un bravo sceneggiatore dovrebbe attraversare la propria vita quotidiana come se stesse costantemente girando un film, forte di un incessante interesse analitico verso le persone .
di Sabrina Gioda
Sceneggiatrice cinematografica e televisiva, autrice di romanzi e insegnante di sceneggiatura e scrittura creativa
Dal suo blog http://scriverecinema.weebly.com
CAP.1 |
IL PERCORSO DELL’ANALISI |
Possiamo definire l’analisi come un insieme di operazioni compiute su un oggetto, attraverso una scomposizione ed una successiva ricomposizione; lo scopo è quello di individuarne meglio le componenti, l’architettura, i principi di funzionamento. Così considerata, l’analisi si configura come un vero e proprio percorso verso una maggiore conoscenza dell’oggetto analizzato; scopo di questo percorso è la migliore intelligibilità dell’oggetto investigato. Ma cosa succede quando l’analisi investe dei testi e, nella fattispecie, il testo filmico? Vediamo allora quali problemi suscita un’analisi testuale dei film.
- La buona distanza: l’analisi testuale del film comporta, innanzitutto, un necessario distacco dalla normale situazione in cui il film viene percepito. Infatti la caratteristica di ogni film è quella di non avere una realtà materiale che l’analista può afferrare, poiché passa sullo schermo senza possibilità di controllo. Certo, è possibile vedere e rivedere un film al cinema: ma ciò che manca è la possibilità – evidente, ad esempio, nel caso di un libro – di potersi muovere liberamente al suo interno, fermarsi, tornare indietro, confrontare alcune parti e via dicendo. Al cinema, invece, siamo sottomessi alla continuità ritmica, visiva e sonora delle immagini. Per evitare questi inconvenienti – alcuni anni fa – era necessario chiudersi in uno studio dotato di moviola; in questo modo era possibile visionare, scomporre e ricomporre il film a piacimento. Oggi l’esistenza di alcune apparecchiature rende il tutto notevolmente più semplice: pensiamo ai videoregistratori, ai lettori DVD, alla multimedialità di certi computers; le numerose funzioni di slow motion, pause, rewind ecc. consentono di interrompere il flusso continuo delle immagini.
Se da un alto questo “distacco” rende più facile le operazioni di analisi, è anche vero però che rischia di ridurre la fascinazione che le immagini ed i suoni esercitano sullo spettatore quando si trova nella sala cinematografica. Nella sala, infatti, il film non viene solo visto, viene anche vissuto. Del resto la fascinazione nasce anche dal fatto che le immagini e i suoni si succedono rapidamente ed in continuità. Allora sorge spontanea una considerazione: l’analisi richiede che il film sia a portata di mano, ma allo stesso tempo cerca di allontanarlo dal vissuto. In questo senso, il “distacco” di cui parliamo si traduce in una distanza dall’oggetto d’analisi. Ma si tratta di quella che Casetti definisce una “distanza amorosa”: lo studioso deve stare abbastanza vicino all’oggetto analizzato per coglierne le caratteristiche più intime, ma al contempo deve evitare di restarne invischiato e troppo coinvolto.
- Riconoscere e comprendere: l’analisi mira a riconoscere e comprendere ciò che ha di fronte; tuttavia, riconoscere e comprendere non sono la stessa cosa: il riconoscimento ci permette di individuare quanto appare sullo schermo (cos’è una determinata figura, un rumore, una luce); la comprensione è invece la capacità di riportare quanto appare sullo schermo ad un insieme più vasto: si tratta di collegare più elementi fra loro (anziché isolarli per identificarli). Appare ovvio che tra il riconoscere ed il comprendere esista un legame profondo: davanti ad un film si è costantemente impegnati ad individuare singoli elementi e a costruire un tutto. L’analisi attiva proprio questo procedimento, con lo scopo di conseguire due risultati
a) riconoscere meglio e di più; l’analisi porta a fare un inventario di tutte le caratteristiche dell’oggetto;
b) oltre a capire il testo, si cerca di capire come si arriva a comprenderlo: l’analisi mette in luce il cosa, il come ed il perché abbiamo capito. - Descrivere ed interpretare: l’analisi prevede il mescolarsi di altre due attività: la descrizione e l’interpretazione. Descrivere significa ripercorrere una serie di elementi, uno per uno, con estrema accuratezza; si tratta di un lavoro minuzioso ed “oggettivo”, in quanto la descrizione è guidata da quanto viene osservato piuttosto che da chi osserva. Interpretare invece significa cogliere il senso del testo, andando al di là delle sue apparenze, impegnandosi in una ricostruzione personale ma fedele. Il lavoro è allora “soggettivo”, e l’autore dell’analisi si mette in primo piano. Quindi la descrizione riguarda la scomposizione del testo, mentre l’interpretazione caratterizza la sua fase di ricomposizione.
- Precomprensione del testo ed ipotesi esplorativa. La prima riguarda una comprensione preliminare che si ha del testo, il grado ed il tipo di conoscenza che si ha di esso prima ancora di iniziare l’analisi; la seconda riguarda una sorta di scopo che l’analisi si prefigge, cioè un punto dove vuole arrivare. Le due caratteristiche non devono in nessun caso vincolare l’analisi: ogni possibile correzione di questi due aspetti è sempre possibile, poiché servono solo ad orientare l’analisi, a darle una meta.
Così descritta, l’analisi è un continuo “compromesso” fra due esigenze: restare fedeli al testo e cogliere un principio di spiegazione. Questa ricerca di equilibrio condiziona anche altri 3 passaggi:
a) delimitazione del campo: risponde alla domanda “cosa indagare?” Qui si tratta di indagare un gruppo di film, un solo film, una sequenza, un’immagine. Per esempio, se vogliamo capire come funziona il cinema di Sergio Leone possiamo scegliere Per un pugno di dollari; ma se vogliamo capire , più in generale, come funziona il cinema western, probabilmente dovrò affiancare a quel film altri titoli.
b) scelta del metodo: ci si può avvalere, nell’analisi, degli strumenti della semiotica (se consideriamo il film come testo); della sociologia; della psicoanalisi; della storia. I metodi praticabili sono moltissimi e dipende dal tipo di risultato che si vuole ottenere.
c) definizione degli aspetti da privilegiare: l’analisi potrà privilegiare alcuni aspetti del film, come lo stile registico, le componenti linguistiche, i modi della rappresentazione (quindi come vengono mostrati, narrati o rappresentati determinati eventi).
Quindi sono 5 i momenti che caratterizzano il lavoro dell’analista. Il rispetto di questi momenti costitutivi rendono l’analisi pertinente, cioè fanno in modo che essa non sia caotica, casuale ed improvvisata. Tale percorso, come abbiamo visto, si pone a metà fra l’analisi “oggettiva” e quella “soggettiva”: quindi possiamo dire il percorso è regolato da alcune condizioni ma allo stesso tempo lascia spazio alla creatività dell’analista. Questo è il nocciolo della questione: l’analisi del film è, da un alto, una disciplina (cioè un’impresa scientifica); dall’altro lato, una creatività (che la rende un po’ un’arte). Il legame intimo fra le due condizioni garantisce la fondatezza e l’utilità dei risultati raggiunti.
CAP.2 |
I PROCEDIMENTI DELL’ANALISI |
- Segmentare: si tratta della suddivisione dell’oggetto nelle sue diverse parti, con lo scopo di riconoscere qualcosa nella sua natura più intima. Facciamo un esempio: un botanico, dinanzi ad una pianta, distingue via via le varie parti: radici, fusto, rami, foglie, frutti.
- Stratificare: si tratta dell’indagine “trasversale” delle parti individuate, cioè l’analisi delle parti interne. Si procede per sezioni, al fine di cogliere i diversi elementi in gioco, sia singolarmente che nel loro insieme. E’ come se si tagliasse a metà il fusto dell’albero per studiarne la composizione interna.
- Enumerare e ordinare: si redige una prima mappa dell’oggetto analizzato tenendo presente delle differenze e delle somiglianze sia di struttura che di funzione. E’ una mappa puramente descrittiva; ma senza di essa non si può andare avanti. Infatti qualsiasi testo non si dà allo studioso in tutta la sua evidenza: se ne può cogliere la superficie, le parti principale, le tendenze ricorrenti; tuttavia è l’insieme delle sue caratteristiche che tende a sfuggire (a maggior ragione nei film).
- Ricompattare e modellizzare: si tratta di operare il processo di ricomposizione dell’oggetto, con lo scopo di ottenere un quadro globale. Infatti precedentemente si cercano di stabilire rapporti, nessi e connessioni; ma a nulla serve se non li riconduciamo ad una visione unitaria dell’oggetto, ai suoi principi di funzionamento e di costruzione. Dobbiamo fornire, insomma, una chiave di lettura.
L’oggetto della nostra analisi sarà il testo filmico. Per operare i processi sopra descritti esistono sicuramente della valide norme, o meglio “regole”, alle quali attenersi; tali regole, però, non sono vincolanti ed automatiche: si opera con esse e all’interno di esse, ma ciò non esclude una loro applicazione soggettiva e creativa. E’ come quando si parla una lingua: lessico e sintassi sono sempre le stesse, ma ognuno li utilizza a modo suo. Ora addentriamoci nella pratica dell’analisi del film, aiutati dal 4° episodio di Paisà (Rossellini, 1946), quello ambientato a Firenze.
LA SCOMPOSIZIONE
Dianzi ad un testo filmico da analizzare gli analisti chiamano in causa la segmentazione (quella del botanico che suddivide le varie parti della pianta); si tratta della stessa operazione che il lettore fa su un romanzo, riconoscendo i capitoli, i paragrafi ed i capoversi. La seconda serie – “su cosa mi devo concentrare?”, “cosa è importante?”, “perché è importante?” – chiamano in causa la stratificazione (quando il botanico taglia il fusto per studiarne l’interno). E’ ancora come per il lettore di un romanzo: mentre legge un capitolo, egli sta attento a quel personaggio, alla descrizione di quell’ambiente, allo stile; mette cioè a nudo i vari elementi del capitolo ed insieme affronta il suo insieme che gli servirà per comprendere il continuo della lettura.
Segmentazione: il modo più semplice per iniziare è quello di suddividere il film in grandi unità di contenuto, in blocchi conclusi, per poi frazionarli in unità più piccole. Si ottengono così dei segmenti di varia grandezza e complessità: episodi, sequenze, inquadrature, immagini.
- Gli episodi costituiscono il segmento più grande, equivalente – in un libro – alle diverse novelle di una stessa raccolta; ora, sempre nei libri, il passaggio da una sequenza all’altra è dato da appositi artifici grafici (segni di spaziatura, punteggiatura, numeri di capitolo ecc.). Allo stesso modo, nel film abbiamo i titoli, la voce fuori campo o altri artifici. In Paisà la suddivisione in episodi è data da una premessa iniziale, ma anche dagli stacchi da un primo piano ad un campo lungo; da un’immagine di fiction ad una documentaria; dal passaggio da un luogo geografico ad un altro; dalla voce fuori campo.
- Tuttavia sono pochi i film ad episodi. Più tipiche dei film sono le sequenze: esse sono più brevi e meno complesse degli episodi, ma mantengono quelle caratteristiche tipiche degli episodi, cioè il loro carattere autonomo e distintivo. Anche le sequenze ricorrono a segni di punteggiatura che ne delimitano i confini (iris, tendina, dissolvenza incrociata, dissolvenza al nero, stacco netto ecc.). All’interno di una sequenza è possibile individuare delle sottosequenze, cioè delle unità di contenuto più piccole che vanno però rapportate ad unità semantiche superiori. L’esempio è sempre quello di Paisà: il 4° episodio è suddivisibile in 6 sequenze (quella dell’ospedale; quella della Firenze liberata; quella degli Uffizi; quella della Firenze in attesa di liberazione; quella del tragitto verso la “terra di nessuno”; ed infine quella della battaglia) più alcune sottosequenze fatte di incontri, momenti di approfondimento, elementi aggiuntivi.
- Le inquadrature corrispondono ai “capoversi” di un libro: tecnicamente parlando, l’inquadratura è un’unità tecnica, cioè un segmento di pellicola che inizia con l’avvio della cinepresa e termina con l’arresto della stessa; ma l’inquadratura è anche un’entità ambigua: infatti, se prendiamo l’esempio del campo/controcampo, ci rendiamo conto che due distinte inquadrature unite vengono percepite come un blocco unico (luogo, tempo e azione).
- Le immagini sono come i singoli enunciati in un libro. Anch’esse possono essere più o meno complesse: infatti, un’inquadratura completamente statica è come un quadro: mette in mostra elementi e significanti che si espongono alla visione dello spettatore (seppur per un tempo limitato); la maggior parte delle inquadrature, contenendo elementi i movimento, cambi di spazio e movimenti di macchina, mostrano un’insieme complesso di movimenti ed azioni. Ogni volta che l’inquadratura si modifica, anche di pochissimo, ci troviamo di fronte ad una nuova immagine. Quindi le immagini non sono come le inquadrature, cioè singoli spezzoni delimitati da un inizio ed una fine: l’immagine è una porzione di ripresa.
Questo tipo di analisi dà vita a quella che noi chiamiamo sceneggiatura a posteriori. E’ una forma di traduzione del film sulla carta, che consiste in una descrizione della sua parte visiva ed in una trascrizione della parte sonora. In questo modo, si fissa il film sulla carta evitando che possa sfuggirci durante l’analisi (proprio come se fosse un libro). Oggi come oggi, l’avvento delle moderne tecnologie rende questo passaggio meno necessario o forse più agevole; ma in passato era la pratica più largamente diffusa.
Stratificazione: essa consiste nello spezzare la compattezza del film per coglierne i diversi strati che lo compongono. Una volta segmentato il film in episodi, sequenze, inquadrature ed immagini, si passa ad analizzare i singoli segmenti individuandone le componenti interne (spazio, tempo, azione, elementi figurativi e sonori); essi verranno a loro volta analizzati sia nella funzione che hanno all’interno del segmento sia rapportandoli a tutto il film. Tale procedura è più complessa della “segmentazione”, e si articola in 2 momenti:
- Identificazione di una serie di elementi omogenei: si individuano alcuni fattori che ritornano nel corso del film e che si segnalano per il loro appartenere ad una stessa area o famiglia.
- Articolazione della serie: si osservano gli elementi di una stessa area per operare una distinzione fra essi (dissolvenza contro stacco netto; snodi narrativi, contrasti stilistici.
LA RICOMPOSIZIONE
Questa fase comporta una nuova riaggregazione di tutti gli elementi individuati nella “scomposizione”. Le fasi della ricomposizione sono 4: enumerazione, ordinamento, ricompattamento, modellizzazione.
- Enumerazione: si tratta di una fase molto semplice, che consiste nel fare un elenco di tutti gli elementi identificati nella scomposizione (quindi di tutti gli elementi del film).
- Ordinamento: si mette in evidenza il posto che ciascun elemento occupa nel film. Ogni elemento non è più separato dal contesto – cosa che invece avveniva nella scomposizione – ma viene considerato come membro di un insieme.
- Ricompattamento: in questa fase si comincia ad individuare il nucleo centrale del film. Per arrivarci bisogna attuare una “sintesi”, e questa fase prende appunto il nome di ricompattamento. Si cerca di raggiungere un’immagine ristretta del testo: da due elementi sovrapponibili se ne fa uno; da due elementi simili se ne trae uno che li ingloba; la gerarchizzazione finale degli elementi.
- Modellizzazione: il passo conclusivo consiste nel raggiungere una rappresentazione sintetica capace di spiegare l’oggetto investigato. Questa rappresentazione prende il nome di modello. Esso è uno schema che ci dà una visione dell’oggetto, con i suoi principi di costruzione e di funzionamento. E’ un qualcosa che fornisce una chiave di lettura, un dispositivo che rende l’oggetto più intelligibile.
CRITERI DI VALIDITA’
Per essere ritenuta valida, un’analisi deve possedere almeno tre caratteristiche: deve avere una coerenza interna (cioè non contraddirsi in alcun modo); una fedeltà empirica (essere pertinente all’oggetto indagato); rilevanza conoscitiva (dire qualcosa di nuovo e non ovvio). Esistono però anche altri criteri più particolari che giustificano le strade che si vogliono imboccare e quindi i modelli a cui si intende arrivare:
- La profondità: un’analisi per essere valida deve essere anche profonda. Deve cioè cogliere il lato nascosto del testo, il suo senso latente. L’unico pericolo è quello di cercare qualcosa di nascosto che invece non c’è.
- L’estensione: un’analisi è valida se tiene conto del maggior numero di elementi possibili. L’idea è che l’analisi non deve estendersi in profondità bensì in una visione a largo orizzonte. Il pericolo è quello di smarrirsi alla ricerca di elementi inutili o improduttivi.
- L’economicità: un’analisi, per essere valida, deve mirare all’estrema sintesi. Anzi, tanto più è efficace quanto più è sintetica. Ciò che si ottiene non è il senso profondo del testo, bensì un “colpo d’occhio” che abbraccia l’intero testo filmico. Il rischio è quello di ridurre il testo a considerazioni ovvie o banali.
- L’eleganza: l’analisi è considerata come un impegno personale, all’atto interpretativo e creativo dello studioso. Ciò che si vuole è la sua interpretazione, non un’interpretazione oggettiva.
CAP.3 |
L’ANALISI DELLE COMPONENTI CINEMATOGRAFICHE |
Se per linguaggio si intende un dispositivo che consente di dare un significato ad oggetti e gesti, di esprimere sentimenti ed emozioni, il cinema è allora appare pienamente come un linguaggio. Il problema nasce, semmai, dal fatto che il cinema adotta numerose soluzioni possibili senza riuscire – come invece fanno altri linguaggi – a fornire un insieme di regole ricorrenti. Il linguaggio cinematografico è composto da significanti, segni e codici perfettamente rintracciabili (il testo filmico di riferimento è Il Conformista di Bertolucci).
SIGNIFICANTI
Per quanto riguarda il film, occorre distinguere due tipologie di significanti: i significanti visivi ed i significanti sonori. I primi riguardano tutto ciò che rimanda alla vista e, a loro volta, sono distinguibili in immagini in movimento e tracce scritte; i secondi riguardano tutto ciò che rimanda all’udito, suddivisibili anche loro in tre categorie: voci, rumori, musica. Abbiamo quindi 5 ordini di significanti: immagini, tracce scritte, voci, rumori, musica.
SEGNI
Ciò che qui si mette in evidenza non sono i supporti fisici di significazione, bensì i modi in cui essa si organizza. Vediamo dunque i tipi di segni che il film utilizza: seguendo le indicazioni di C.S.Peirce, abbiamo tre tipi fondamentali di segni, che sono gli indici, le icone ed i simboli.
- L’indice è un segno che testimonia l’esistenza di un oggetto, con il quale ha un profondo legame, senza tuttavia descriverlo; un indizio può essere il classico mozzicone di sigaretta, testimone della presenza di un individuo senza dirci nulla su di esso.
- L’icona è un segno che riproduce i “contorni” di un oggetto. Non ci dice nulla dell’esistenza dell’oggetto in questione, ma ci informa sulle sue qualità; per esempio, una fotografia ci mostra fattezze esteriori molto particolareggiate, ma che non implicano la reale esistenza dell’oggetto.
- Il simbolo è un segno convenzionale, che sta per qualcos’altro in base ad una corrispondenza codificata; non ci dice nulla né sull’esistenza né sulla qualità dell’oggetto, lo indica e basta. La parola stessa, insegna Saussure, è un segno arbitrario: dicendo “albero” non predico nulla dell’esistenza effettiva di un dato albero, né richiamo alcune qualità di questa o quella pianta. Al tempo stesso, però, in base ad una convenzione della lingua italiana, trasmetto un significato ben preciso che altre lingue trasmettono con parole differenti.
Il cinema, a ben vedere, possiede tutti e tre i tipi di segni. Le immagini sono icone; la musica e le parole sono simboli, mentre i rumori sono indici. Il secondo approccio analitico consiste quindi nell’individuare queste 3 forme di segni all’interno del film.
CODICI
Del termine “codice” esistono molte definizioni possibili. Ciò che possiamo affermare con certezza è che un codice è sempre comunque:
- un sistema di equivalenze, grazie a cui ogni elemento del messaggio ha un dato corrispettivo (ogni segnale ha un significato ecc.).
- uno stock di possibilità, grazie a cui le singole scelte attivate arrivano a far riferimento a un canone (le parole pronunciate rinviano ad un vocabolario ecc.).
- un insieme di comportamenti grazie a cui un emittente ed un destinatario hanno la sicurezza di operare su un terreno comune (la stessa lingua ecc.).
E’ solo per la presenza di questi tre aspetti che un codice può funzionare. Ora però dobbiamo dare uno sguardo a ciò che ci interessa maggiormente: i codici cinematografici e i codici filmici.
CODICI CINEMATOGRAFICI E CODICI FILMICI
Il cinema è un linguaggio complesso che combina più tipologie di significanti (immagini, scritte, voci, rumori, musica) e più tipi di segni (indici, icone e simboli); detto questo, sembrerebbe che tutti i codici rintracciabili siano, effettivamente, anche cinematografici e che, quindi, il cinema non abbia dei codici suoi specifici. In realtà, esiste una grande distinzione fra codici cinematografici e codici filmici: i primi appartengono al cinema e sono specifici del mezzo; i secondi, invece, vengono presi – per così dire – in prestito dall’esterno. Ogni film nasce dall’intreccio di queste due tipologie di codici.
1) codici tecnologici di base (o del mezzo in quanto tale): si tratta di una serie di elementi specifici che possono essere individuati in:
- il supporto: una volta scelto il mezzo, cioè il film, ci troviamo contemporaneamente dinanzi ad altre scelte. Esse riguardano la sensibilità della pellicola ed il formato della pellicola;
- lo scorrimento: si tratta dei tipi di scorrimento del supporto nella cinepresa e nel proiettore. Abbiamo a che fare, quindi, con quei codici che regolano la registrazione e la restituzione del movimento: la cadenza, nei primi anni del cinema, era di 18 fot./sec.; si risparmiava sulla pellicola ma si otteneva un movimento innaturale che poi è stato ripristinato dagli odierni 24 fot./sec. Poi la direzione di marcia della pellicola, con possibilità di inversione del movimento;
- lo schermo: si tratta di utilizzare lo schermo come superficie riflettente o come superficie trasparente (agli inizi del cinema, anche la seconda ipotesi era stata esplorata con la retroproiezione); poi abbiamo la maggiore o minore luminosità dello schermo ed infine la sua ampiezza (dal formato ridotto delle sale d’essai a quello panoramico largo).
2) codici della serie visiva, l’iconicità (I° gruppo): tali codici caratterizzano tutti i film, ma non solo il cinema; sono cioè codici generali, non specifici e condivisi da altri linguaggi (come la fotografia e la pittura). Vediamoli:
- codici del riconoscimento iconico: sono quei codici che consentono, dinanzi ad una entità, di identificarne le varie parti o componenti. Si tratta quindi di fare appello all’esperienza diretta che abbiamo del mondo per identificare con esso la realtà che osserviamo (appunto un’immagine).
- codici della trascrizione iconica: sono quei codici che assicurano una corrispondenza fra i tratti semantici (per esempio l’idea di una mano rugosa) e gli artifici grafici per ottenere questa idea (ad esempio un’immagine B/N, con un contorno che mi restituisce le fattezze di una mano ed il chiaro/scuro per simulare la rugosità).
- codici della composizione iconica: regolano la costruzione dello spazio visivo; possono essere distinti in codici della figurazione (lavorano sulla disposizione degli elementi sull’immagine) ed in codici della plasticità dell’immagine (riguardanti la capacità di certi elementi di distaccarsi dagli altri e di imporsi sull’immagine, determinando la messa in gioco dei rapporti tra “figura” e “sfondo”. Esistono vari modi per attirare l’attenzione su un elemento dell’immagine – messa in p.p., permanenza, iris ecc.).
- codici iconografici: regolano la costruzione di figure complesse ma che sono fortemente convenzionalizzate e dal significato fisso. Ad esempio un personaggio con certe caratteristiche sarà il “poliziotto”, un altro “l’eroe buono” ecc.
- codici stilistici: sono quei codici che incontriamo in tutti i film d’autore e che sono la testimonianza della “mano” dell’autore, del suo stile; essi costituiscono la “firma” di quel regista e non di un altro (uso della M.d.P., dell’illuminazione ecc.).
3) codici della serie visiva, la composizione fotografica (II° gruppo): il cinema non solo copia la realtà, ma la riproduce fotograficamente. I codici di cui parleremo adesso regolano l’immagine in quanto frutto di una duplicazione meccanica. Anche questi codici sono generali, comuni a tutti i film con una sola eccezione: i cartoni animati. Vediamoli:
- la prospettiva: la cinepresa eredita i codici della prospettiva quattrocentesca, organizzata attorno ad un punto fisso centrale. Le conseguenze sono molte, per esempio gli oggetti riprodotti in un film si presentano nel campo visivo in modo “naturale” nonostante la bidimensionalità dell’immagine cinematografica; inoltre la linea di fuga offre una profondità di campo che, nel caso di movimento della M.d.P., conservano la loro credibilità senza deformazioni.
- l’inquadratura, i margini del quadro: riprendere un oggetto significa innanzitutto delimitarlo all’interno dei bordi. Ne deriva il problema del “formato” dell’immagine cinematografica: essa è generalmente rettangolare, con rapporti standard fra altezza e larghezza (1: 1,33 è il formato classico; 1: 1,66 è quello panoramico; 1: 1, 85 il vistavision; 1: 2,55 il cinemascope; 1: 4 il cinerama). Ma riprendere un oggetto significa anche staccarlo dal contesto: nascono una serie di problemi nei rapporti fra spazio “in” e spazio “off ”, rispettivamente quello all’interno del quadro e quello oltre i bordi. E per capire quanto questi rapporti siano regolati, basti pensare alle entrate e alle uscite dei personaggi che non sono mai casuali.
- l’inquadratura, i modi della ripresa: filmare un oggetto significa anche decidere da quale punto osservarlo e per quanto tempo. Tra questi codici troviamo la scala dei campi e dei piani, i gradi di angolazione e quelli di inclinazione.
A) scala dei campi e dei piani: Campo Lunghissimo (C.L.L.) = una visione che abbraccia un intero ambiente in cui personaggi ed azioni si perdono; Campo Lungo (C.L.) = una visione abbastanza ampia in cui personaggi ed azioni sono ben visibili; Campo Medio (C.M.) = l’ambiente è relegato sullo sfondo, mentre l’azione è messa in evidenza; Totale = viene inquadrato tutto lo spazio inquadrabile di un ambiente ricostruito in un teatro di posa; Figura Intera (F.I.) = inquadratura del personaggio dai piedi alla testa; Piano Americano (P.M.) = inquadratura del personaggio dalle ginocchia in su; Mezza Figura (M.F.) = inquadratura del personaggio dalla cintola in su; Primo Piano (P.P.) = inquadratura ravvicinata del personaggio concentrata sul volto con contorno di collo e spalle; Primissimo Piano (P.P.P.) = inquadratura ravvicinata concentrata sugli occhi e sulla bocca; Dettaglio o Particolare = inquadratura ravvicinata di un oggetto (dett.) o di una parte del corpo (part.).
B) I gradi di angolazione: inquadratura frontale, inquadratura dall’alto ed inquadratura dal basso.
C) I gradi di inclinazione: inclinazione normale = inquadratura parallela all’orizzonte; inclinazione obliqua = l’orizzonte pende verso destra o verso sinistra; inclinazione verticale = il piano dell’immagine e l’orizzonte inquadrato sono perpendicolari, formando un angolo a 90°. - l’illuminazione: esistono due possibilità, cioè la luce che fa vedere senza farsi vedere e la luce che non si limita ad illuminare le cose e che si mostra in quanto luce. Il primo caso è quello dell’illuminazione “neutra”, che serve ad illuminare ciò che viene inquadrato; il secondo caso è quello dell’illuminazione che mira a risultati fortemente antinaturalistici.
- bianco/nero e colore: ultima serie di codici. La scelta fra le due soluzioni non è automatica (prima dell’avvento del colore solo film in B/N e dopo solo film a colori); la scelta può essere di stile, di mezzi, retrò, espressiva. Inoltre le due componenti possono essere miscelate (Assassini Nati di Oliver Stone). L’utilizzo del colore può avere funzioni espressive (rosso = caldo, blu = freddo ecc.), ideologiche, narrative.
4) codici della serie visiva, la mobilità (III gruppo): la caratteristiche peculiare del linguaggio cinematografico è quella di avere a che fare con immagini in movimento; la mobilità – che è presente anche quando nulla si muove sullo schermo – distingue il cinema da tutti i mezzi basati su immagini fisse (fotografia, pittura). In questo caso abbiamo due ordini di codici: quelli messi in moto dal muoversi nell’immagine e quelli attivati dal muoversi dell’immagine. In altre parole, il cinema riproduce il movimento sia registrando ciò che si muove dentro il quadro sia movendo la M.d.P. Si utilizzano due termini per definire questi movimenti: movimenti del profilmico e movimenti di macchina. La grammatica cinematografica tradizionale ha elaborato una serie di movimenti di macchina:
- panoramica: la M.d.P. si muove sul proprio asse, ruotando in orizzontale o in verticale o in obliquo;
- carrellata: la M.d.P. è montata su carrello dotato di binari per movimenti fluidi in verticale o in orizzontale. Movimenti più complessi si ottengono con la cosiddetta Gru o il dolly (si ottengono dei Traveling);
- altri movimenti: macchina a mano, camera-car, steadycam.
- Movimenti apparenti: per esempio la carrellata ottica, cioè lo “zoom”. Sono le lenti a muoversi e non la macchina da presa.
5) le tracce grafiche e i loro codici: parliamo di tutti quei tipi di scritte presenti nei film, cioè didascalie, sottotitoli, titoli, scritte.
- didascalie: sono le tracce grafiche che servono ad integrare quanto le immagini presentano (nel cinema muto sostituivano i dialoghi), per spiegare il contenuto dell’immagine stessa (una fanciulla dolce ed ingenua) o per passare da un’immagine ad un’altra (un anno dopo);
- sottotitoli: sovraimpressi alle immagini, servono a tradurre pellicole in lingua originale;
- titoli: presenti in testa ed in coda ai film, contengono informazioni sul cast e sulla produzione;
- scritte: tracce grafiche diegetiche che troviamo nella realtà del film sotto forma di scritte sui giornali, sulle insegne, nelle riviste (ma anche scritte non diegetiche, come i ciak lasciati da Godard in alcuni film).
6) codici sonori: passiamo dalla componente visiva a quella sonora. Il suono cinematografico può essere diegetico se la fonte è presente nello spazio della vicenda rappresentata; oppure non diegetico se la sorgente non ha nulla a che vedere con la vicenda rappresentata. Se diegetico, può essere onscreen (presente nell’inquadratura) oppure offscreen (fuori dall’inquadratura); e può essere interiore (la sorgente è nell’animo del personaggio) oppure esteriore (se ha una realtà fisica oggettiva). Tutti i suoni appartenenti alla categoria “non diegetico” ed il suono interiore sono anche detti over.
Riassumendo, distinguiamo tre categorie di suoni: suono in (diegetico esteriore la cui fonte è inquadrata); suono off (diegetico esteriore la cui fonte non è inquadrata) ed il suono over (suono diegetico interiore in ed off, ed il suono non diegetico). Analizziamo ora le tre categorie voci, rumori e suoni musicali:
- la voce: è innanzitutto retta dai codici della lingua utilizzata. Applicata al cinema, essa può essere distinta in “voce in” (cioè proveniente da un parlante inquadrato); “voce off” (proveniente da una fonte sonora esclusa momentaneamente dall’immagine); “voce over” (proveniente da una fonte esclusa in modo radicale).
- il rumore: anche in questo caso vale la tripartizione suddetta, solo che nel caso dei rumori la situazione è meno complessa per via del fatto che i rumori non sono retti da codici specifici come capita per la lingua parlata;
- la musica: il suo intervento in campo o off è assai più raro di quello della voce e dei rumori (è comunque il caso di musicisti in scena, oppure di fonti quali grammofoni, giradischi ecc.). E’ molto frequente, invece, il suo utilizzo “over”: accompagnamento delle scene e via dicendo.
7) codici sintattici: nel cinema, le immagini si sviluppano lungo una continuità, attraverso una durata; i codici sintattici regolano l’associazione di segni e la loro organizzazione in unità sempre più complesse. Essi costruiscono legami, ma anche vuoti ed interruzioni. I codici sintattici operano su due piani: “dentro” le immagini e “fra” le immagini: nel primo caso, aggregano e dispongono gli elementi visivi e sonori all’interno di una stessa immagine; nel secondo caso, agiscono invece per progressione, associando elementi facenti parte di immagini diverse. Se la prima forma rimanda alle regole di “composizione” già osservate, la seconda è invece più interessante perché rimanda alla pratica del montaggio.
- Associazione per identità: è un legame che si verifica ogni volta che uno stesso elemento ritorna da immagine ad immagine (fra due immagini che si riferiscono ad uno stesso oggetto);
- Associazione per analogia e per contrasto: il legame si verifica fra due immagini che hanno elementi simili ma non identici, oppure elementi contrastanti la cui differenza diviene fonte di correlazione (nel primo caso, per es., due personaggi donna o due personaggi uomo; nel secondo caso, due personaggi donne, una bionda ed una bruna, una buona e l’altra malvagia ecc.);
- Associazione per prossimità: il legame si ha quando due immagini presentano elementi contigui (campo/controcampo, montaggio alternato ecc.);
- Associazione per transitività: quando una situazione presentata nell’inquadratura A trova il suo prolungamento nell’inquadratura B (A estrarre la pistola, B sparare).
Vi è poi un’altra forma di legame, il semplice accostamento: si tratta della mera giustapposizione di due immagini senza alcun rapporto. Proseguendo il discorso, ci spostiamo su altre modalità di “costruzione del discorso”:
- piano-sequenza: ripresa in continuità dove prendono posto tutti i momenti che compongono una sequenza, inclusi in una sola inquadratura (senza stacchi, tagli, manipolazioni). Il ruolo della M.d.P. è proprio quello di tenere insieme tutti questi elementi, col suo movimento o col suo sguardo in profondità.
- découpage: consiste nell’associazione di una serie di immagini che si riferiscono tutte ad una stessa situazione; in ogni immagine viene sottolineato un aspetto particolare della situazione. Qui la M.d.P. opera attraverso la segmentazione della situazione in varie unità ed una ricomposizione precisa che ne favorisca la comprensione.
- il montage o montaggio-re: lavora sull’associazione di immagini che non hanno un legame diretto fra loro e che lo acquistano per il fatto di essere messe vicine. Sono le tipiche soluzioni dei formalisti russi (buoi al macello accostati agli operai in fabbrica; il generale Karenskij accostato al pavone meccanico). L’enfasi non è posta sulle immagini prese di per sé ma sul significato che esse assumono una volta giustapposte.
I REGIMI DI SCRITTURA
Ogni film è caratterizzato dall’utilizzo congiunto di tutte o molte delle situazioni che abbiamo visto. Molted elle scelte sui mezzi da utilizzare, e sul come utilizzarli, dipendono dalle tre forme principali di scrittura: “classica” (scelte linguistiche perlopiù neutre ed omogenee), “barocca” (scelte omogenee ma decisamente marcate) e “moderna” (un ibrido fra le due precedenti forme).
- scrittura classica: tipica del cinema americano di genere degli anni ’30 e ’40 e che, oggi, ritroviamo in molti film-TV. E’ caratterizzata dal grande equilibrio espressivo, dalla funzionalità comunicativa e dalla impercettibilità degli artifici tecnici. Per quanto concerne la scala dei campi e dei piani, abbiamo una prevalenza di Totali e Figure intere; il montaggio si basa sul mostrare prima un totale dell’intero ambiente, poi la frammentazione della situazione in inquadrature e poi di nuovo l’insieme dell’ambiente e dell’azione. In tutte le inquadrature prevalgono immagini centrate, bilanciate, omogeneamente illuminate. Viene attivato lo “sistema dei 180°”: le riprese vengono effettuate sempre dalla stessa parte di un immaginario asse posto fra la M.d.P. ed il set. Si evita così lo scavalcamento di campo (fondamentale nel “découpage classico”).
- scrittura barocca: si operano scelte radicali, estreme e soprattutto esclusive. Ne deriva una scrittura basata sull’esplorazione di nuove possibilità estreme, dove tuttavia la diversità delle scelte è tenuta insieme da transizioni e ponti. L’omogeneità è garantita dallo stile e dalla mancanza di salti da una soluzione estrema all’altra. Orson Welles è uno dei maestri dello stile barocco: pensiamo all’accostamento fra la scena fortemente onirica della morte di Kane a quella quasi documentaristica del cinegiornale. La soluzione barocca mette sempre in scena l’estrema marcatura delle soluzioni adottate.
- Scrittura moderna: è caratterizzata dalla disomogeneità e dall’eterogeneità delle scelte e dello stile. Qui troviamo soluzioni neutre e soluzioni marcate, omogenee o estreme; ogni elemento viene mescolato senza alcuna prevedibilità. Allora avremo salti bruschi che evidenzieranno la volontà di rendere esplicita la mediazione linguistica (cioè gli artifici del cinema).
E’ bene precisare che questa breve analisi dei regimi di scrittura va presa per quella che è; soprattutto, essa non indica uno sviluppo cronologico, in quanto il cinema non è stato prima classico, poi barocco ed infine moderno.
CAP.4 |
L’ANALISI DELLA RAPPRESENTAZIONE |
Dinanzi ad un’immagine filmica abbiamo la sensazione che entrino in gioco tre piani di funzionamento:
- La messa in scena: si tratta del momento in cui si allestisce l’universo raffigurato nel film. L’analisi riguarda allora il contenuto dell’immagine, cioè oggetti, persone, paesaggi, gesti, parole ecc. In ogni film, si trovano contemporaneamente presenti una gran quantità di dati; cerchiamo di definirli:
- informanti: elementi che identificano quanto viene messo in scena. Ad esempio l’età, la costituzione fisica e la psicologia d’un personaggio; la qualità, il genere e la forma dell’azione ecc.
- indizi: rimandano a qualcosa che rimane in parte implicito. Il lato nascosto di un carattere, il senso di un’atmosfera, il presupposto di un’azione. Si tratta di dati, rispetto agli “informanti”, meno facili da identificare ma allo stesso tempo importantissimi per la comprensione globale del testo filmico.
- temi: servono a definire il nucleo principale della vicenda. Indicano il contenuto attorno al quale il testo si organizza.
- motivi: sono le unità di contenuto che ritornano durante il testo, quindi situazioni emblematiche ripetute, sottolineature, leit-motiv ecc.
- La messa in quadro: Esiste una stretta interazione fra quanto dà corpo all’universo rappresentato nel film ed il modo in cui esso viene presentato sullo schermo. Certo è che, alcuni elementi, possono condurre a certe modalità di ripresa: di solito, ad esempio, i personaggi principali godono di un maggior numero di inquadrature ravvicinate; gli oggetti chiave sono posti al centro dell’immagine e così via. Ma scegliere un Campo Lungo o un primo piano, un’inquadratura frontale o dall’alto, un tele obiettivo o un grandangolo significa innanzitutto fare una scelta espressiva piuttosto che un’altra. Facciamo un esempio: se inquadro un personaggio in P.P. con una focale lunga (tele obiettivo), ottengo un viso ben a fuoco staccato dal contesto circostante; se inquadro con una focale corta, ottengo tutto lo spazio a fuoco. Nel primo caso, ho una faccia isolata dal contesto; nel secondo caso ho la stessa faccia calata nel contesto.
Insomma, la messa in quadro definisce il tipo di sguardo che viene gettato sull’universo rappresentato. Dunque l’analisi sarà rivolta alle modalità di messa in quadro e alle scelte espressive (perché questo P.P. invece di un Campo Medio). - La messa in serie: Se a livello della messa in scena e della messa in quadro si lavora essenzialmente sulla singola immagine, a livello di “messa in serie” si devono considerare più immagini messe insieme. Mettere in serie significa sostanzialmente unire due pezzi di pellicola, quindi “montare”: tuttavia, dobbiamo ricordarci che, nel momento stesso in cui due inquadrature vengono giustapposte, il loro significato cambia. Abbiamo diversi tipi di associazione:
- associazione per identità: un’immagine è legata ad un’altra perché è la stessa immagine che ritorna o perché presenta uno stesso elemento che viene ripetuto;
- associazione per prossimità: due immagini sono associate presentando diversi elementi di un\'unica situazione;
- associazione per transitività: due immagini sono legate perché la seconda è la continuazione della prima.
Queste possibilità sono tipiche del cinema classico hollywoodiano: ogni frammento del mondo rappresentato si integra con quello successivo.
- associazione per analogia o contrasto: immagini associate perché simili ma non identiche oppure opposte. Il film procede in modo movimentato, descrivendo un universo eterogeneo, articolato.
- associazione neutralizzata: le immagini sono legate dal solo fatto di essere messe in serie. Quindi l’universo rappresentato è estremamente frammentato, disconnesso, caotico.
Queste due ultime soluzioni si incontrano nel cinema moderno.
LO SPAZIO-TEMPO
Come tutti i mondi, anche quello sullo schermo è dominato da uno spazio e da un tempo. Vediamo allora di analizzare lo spazio cinematografico ed il tempo cinematografico.
1) spazio cinematografico: abbiamo innanzitutto tre assi dello spazio, attorno ai quali organizzare lo spazio filmico:
- il primo asse riguarda l’essere presente all’interno dei bordi dell’inquadratura o esserne tagliato fuori (opposizione in/off);
- il secondo mette in gioco l’essere immobile o in movimento (opposizione statico/dinamico);
- il terzo mette in gioco l’essere connesso o disconnesso (opposizione organico/disorganico).
OPPOSIZIONE IN/OFF: CAMPO E FUORI CAMPO
E’ ovvio che inquadrare significhi “selezionare” una porzione di spazio che include alcuni elementi a discapito di altri. Ma ciò che resta fuori dall’inquadratura, a seconda dei casi, può avere diversi ruoli. In pratica, la dimensione “off ” deve tenere presente la sua collocazione e la sua determinabilità.
- Collocazione: la M.d.P., inquadrando una porzione di spazio, ne nasconde allo stesso tempo altre 6 (4 corrispondenti ai lati e 2 riguardanti ciò che si trova dietro gli elementi inquadrati e dietro la macchina da presa stessa). Quindi, ad un “campo (in)” sono legati “6 fuori campo (off)”.
- Determinabilità: dobbiamo distinguere 3 condizioni tipiche dello spazio off.
- spazio non percepito: cioè lo spazio fuori dai bordi del quadro che non viene mai evocato;
- spazio immaginabile: lo spazio che, pur stando al di là del quadro, ha una relazione con ciò che è inquadrato e quindi viene chiamato in causa (per es. le gambe di un personaggio inquadrato in Mezza Figura o in P.P.);
- spazio definito: quello spazio che, invisibile in un dato momento, il film mi ha già mostrato in precedenza o me lo mostrerà in seguito.
Il Fuori Campo riguarda anche il mondo del suono. Nel suono “off “ ed “over”, noi non è che non sentiamo nulla, semplicemente non vediamo la fonte sonora. L’occhio, quindi, non arriva laddove invece l’orecchio giunge. Di fatto, l’inquadratura seleziona solamente gli elementi da mostrare, senza riuscire a circoscrivere quelli sonori.
OPPOSIZIONE STATICO/DINAMICO: LO SPAZIO E IL MOVIMENTO
Quando qualcosa all’interno dell’inquadratura smette di essere statica ed inizia a muoversi, lo spazio cessa di essere immobile e diviene “plastico”. Sullo schermo abbiamo un universo in continuo movimento, e sono 4 le situazioni possibili:
- Lo spazio statico fisso: soluzione estrema data dal fermo-fotogramma; l’immagine è come un quadro o una fotografia;
- Lo spazio statico mobile: la M.d.P. è statica e fissa, mentre vi è movimento del profilmico (un personaggio che entra ed esce); si tratta dello spazio del cinema delle origini.
- Lo spazio dinamico descrittivo: è dato dal movimento della M.d.P. in relazione ai movimenti del profilmico;
- Lo spazio dinamico espressivo: non si limita a descrivere. La M.d.P. si muove in funzione espressiva in relazione al movimento del profilmico (in altre parole è la M.d.P. a decidere cosa si deve vedere e come lo si deve vedere).
2) tempo cinematografico: in un racconto noi possiamo distinguere due diversi tempi, quello della storia (tempo diegetico) e quello del racconto (tempo filmico). Ci sono 3 tipi di rapporti fra il tempo della storia ed il tempo del discorso: l’ordine, la durata e la frequenza.
L’ORDINE
Non è certo un’esperienza anomala assistere ad un film in cui l’ordine degli eventi è diverso da quello della storia. Ciò può essere determinato dal montaggio (come in Rapina a mano armata) e grazie ai cosiddetti flashback (salto indietro negli eventi) e flashforward (salto in avanti). Tuttavia il racconto cinematografico non è fatto di sole immagini, ma anche di suoni e voci; con i termini “flashback e flashforward” noi ci riferiamo alla rappresentazione audiovisiva di un evento futuro o passato, ma è una terminologia imprecisa. Infatti gli eventi passati o futuri, in un film, possono essere narrati anche dalla sola voce fuori o da un narratore diegetico. Quindi, se flashback e flashforward sono legati alla presenza delle immagini, è bene utilizzare i termini più ampi e letterari di analessi (evocazione a posteriori di un evento) e prolessi (evocazione in anticipo di un evento futuro). Ne deriva che flashback e flashforward sono particolari tipi di analessi e prolessi (che a loro volta si dividono in interne al racconto, esterne al racconto oppure miste, cioè che abbracciano solo una parte del racconto).
Già i formalisti russi avevano distinto il tempo della storia dal tempo del racconto, proponendo l’utilizzo di due termini ancora oggi molto diffusi: fabula (ordine cronologico degli eventi) ed intreccio (ordine degli eventi secondo il racconto). Così le possibilità offerte dall’intreccio permettono di trovare numerose soluzioni diverse alla semplice narrazione in ordine cronologico di una storia (I film di Quentin Tarantino).
LA DURATA
La durata di un film, a differenza di un romanzo, non dipende dalla soggettività del lettore. Un film che dura 2 ore, dura 2 ore per tutti, Così come esiste un ordine della storia ed un ordine del racconto, esiste anche una durata della storia ed una del racconto. Per ogni film, la durata del racconto è uguale alla durata del film stesso; la durata della storia, invece, può abbracciare tempi molto vasti (si pensi a 2001 Odissea nello spazio). Esistono 5 tipi di rapporti fra la durata del racconto e la durata della storia:
- pausa: non succede niente, avviene una pausa negli avvenimenti. Questa pausa può essere data dal campo vuoto (privo di elementi diegetici significativi) o dal fermo fotogramma.
- estensione: il tempo del racconto è superiore al tempo della storia. Un esempio può essere dato dal rallenty, che dilata i tempi di un’azione o di un evento mostrandoci particolari altrimenti impercettibili. Oppure l’introduzione di immagini simboliche, che non appartengono alla dieresi del film (per esempio Ottobre di Ejzenstejn). Oppure la ripetizione di un evento che, nella storia, accade una sola volta (come in Jackie Brown).
- scena: il tempo del racconto è uguale a quello della storia. Nel cinema è molto comune, per esempio a livello di ogni inquadratura (come nei film di Lumière). Ma anche giustapponendo più inquadrature di una stessa scena, senza salti temporali.
- sommario: il tempo del racconto è minore del tempo della storia. Viene utilizzato nel cinema per eliminare tempi morti o per velocizzare la narrazione: Ad esempio, un pasto può essere mostrato nella sua integrità oppure nei suoi momenti salienti; le lancette di un orologio possono essere fatte scorrere velocemente ecc.
- ellissi: ad una determinata durata del tempo della storia non corrisponde nessuna durata del tempo del racconto. Le ellissi operano una vera e propria soppressione temporale tra due azioni, due eventi, due scene o due sequenze. L’ellissi elimina i tempi morti, accentua i ritmi della narrazione, favorisce gli eventi importanti a discapito di quelli inutili (Quarto Potere utilizza grossi salti temporali).
LA FREQUENZA
La frequenza riguarda il rapporto che si stabilisce fra il numero di volte che un evento viene mostrato dal racconto ed il numero di volte che si presume esso sia accaduto nella storia. Un film, per esempio, può mostrare:
- una sola volta ciò che è avvenuto una sola volta (racconto singolativo)
- tot volte ciò che è avvenuto tot volte (variante plurale del precedente);
- tot volte ciò che è avvenuto una volta (racconto ripetitivo);
- una volta ciò che è avvenuto tot volte (racconto iterativo).
Il racconto singolativo è quello più ricorrente nel cinema; più raro è il caso del racconto ripetitivo, che spesso si riferisce ad un solo gesto o ad un solo evento; decisamente più complesso è il racconto iterativo: è facile dire a parole “tutti i giorni mi alzo alle 7”, molto più difficile è mostralo con le immagini.
REGIMI E PRATICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
Il cinema può scegliere se mostrare un “mondo possibile” analogo a quello reale, oppure negare ogni tipo di analogia (con relative posizioni intermedie). A ben vedere, le possibili soluzioni di questo rapporto sono 3:
- analogia assoluta: si opera a ridosso della realtà, limitando al massimo le manipolazioni e gli artifici tecnici;
- analogia negata: si opera in distanza rispetto alla realtà, evitando legami con essa;
- analogia costruita: si situa a metà fra i due poli precedenti. Infatti, se agisce a distanza dalla realtà lo fa solo per ritornarvi nuovamente. La manipolazione degli elementi mira comunque alla ricostruzione del “senso di realtà”, dando luogo ad una realtà nuova e meno prolissa.
I regimi visti attraversano tutti i livelli della rappresentazione (messa in scena, messa in quadro e messa in serie). A questi regimi della rappresentazione sono connessi tre tipi di “montaggio”:
- all’analogia assoluta è connesso il piano-sequenza: il piano sequenza teorizzato da Bazin si distingue in masse in scena in profondità ed in piano sequenza mobile. Nel primo caso, la M.d.P. è ferma ma la focale corta le permette di tenere a fuoco una vasta porzione di campo (alterando le proporzioni); così gli attori possono agire in continuità senza bisogno di frammentare la scena in diverse inquadrature. Nel secondo caso, invece, avremo una ripresa in continuità che coniuga i movimenti di macchina alla profondità di campo. In questo caso, la M.d.P. partecipa alla selezione di ciò che viene mostrato.
- all’analogia negata è connesso il montaggio-re: vi è un rifiuto a priori del legame con la realtà. Il montaggio-re è alla base dell’estetica cinematografica, e vuole rompere la cosiddetta “trasparenza” del montaggio cinematografico (quello che Bazin chiamava “montaggio nascosto” o “decoupage classico”). Il montaggio-re è amato dalle avanguardie, dai sovietici degli anni ’20 alla Nouvelle Vague, perché rende opaca la scrittura, evidenzia gli artifici, la libertà del linguaggio, la rottura degli schemi. In Fino all’ultimo respiro, Godard utilizza l’estremo “jump cut”, cioè un falso raccordo: la porzione di spazio inquadrato cambia troppo poco per essere percepito come cambio di inquadratura, ma interviene abbastanza esplicitamente ad infastidire o a scuotere la percezione.
- All’analogia costruita è connesso il decoupage: pur selezionando la realtà ed organizzandola in successione, il decoupage mira a ricostruirla in modo nuovo per ottenere comunque il senso di realtà. E’ la tecnica di base del montaggio cinematografico in voga ad Hollywood dagli anni ’25 agli anni ’55.
CAP.5 |
L’ANALISI DELLA NARRAZIONE |
Abbiamo detto che la storia riguarda “che cosa viene narrato” mentre il racconto costituisce il “come viene narrato”. A monte della nozione dir acconto vi è quella di narratività, che è l’insieme di norme ed elementi la cui presenza in un testo - al di là del mezzo espressivo - ci permettono di riconoscerlo come racconto. Lo schema più semplice per riconoscere un testo come racconto è il seguente:
Equilibrio – Squilibrio – Riequilibrio
Inizialmente, in una storia, si ha una situazione di equilibrio; a seguito di una serie di eventi, questo equilibrio viene sconvolto e si ha una nuova situazione. Alla fine della storia, sempre a seguito di nuovi eventi, si ritorna ad un nuovo equilibrio. Inoltre, nascosta in ogni racconto, vi è una struttura che rimane sempre la stessa per ogni storia; ed ogni storia riutilizza questa struttura di base cambiando azioni, luoghi, personaggi ecc.
Destinatore Destinatario
oggetto Eroe --- oggetto Valore
Adiuvante Opponente
Un “destinatore” assegnerà il compito ad un “soggetto eroe”di recuperare un “oggetto valore” di cui un “destinatario” dovrà beneficiare. Sulla propria strada l’eroe troverà sia un “adiuvante” che un “opponente”.
Quindi: una donna (Destinatore/Destinatario) incarica un detective (soggetto Eroe) di liberare il marito preso in ostaggio (oggetto Valore), Il detective sarà aiutato dalla polizia (Adiuvante) ma dovrà vedersela con i malavitosi (Opponente).
IL RACCONTO CINEMATOGRAFICO
In un racconto letterario qualsiasi vi è un Narratore (Istanza astratta) che ci dà delle informazioni sulla vicenda, sui personaggi, sulle azioni; allo stesso modo, una rappresentazione teatrale fa rivivere in diretta, qui ed ora, delle vicende che si presuppone siano avvenute, prima e altrove, ai personaggi interpretati dagli attori. Talie sempi sono di “narrazione” e “mostrazione”: il cinema, invece, si avvale di un elemento che lo pone a metà fra i due poli narrare e mostrare. Infatti, la presenza della M.d.P. genera di volta in volta tutta una serie di “mediazioni”. Infatti essa influenza ed interviene sulla percezione dello spettatore (cambi di inquadratura, tipo di messa in quadro, riprese da diverse angolazioni ecc.). Attraverso la M.d.P. è al lavoro un’altra Istanza oltre gli attori; un’istanza invisibile ma altrettanto importante.
Tale istanza ci mostra le cose e ce le mostra in un certo modo; in più ci fa anche sentire: musiche, suoni, rumori:
Istanza Narrante
(o Enunciatore)
|
Narrare
|
mostrare --------- far sentire
Visto che l’Istanza Narrante è ciò che organizza tutto, vediamo come essa organizza la focalizzazione. Per focalizzazione si intende il modo in cui vengono organizzati i rapporti di sapere fra Istanza Narrante, Spettatore e Personaggio. Avremo così alcune possibilità:
- racconto non focalizzato (focalizzazione zero): il narratore dice di più di quanto sanno i personaggi;
- racconto a focalizzazione interna: il narratore assume il punto di vista di un personaggio, dicendo solamente quello che egli sa;
- racconto a focalizzazione esterna: il narratore non fa conoscere il pensiero del personaggio, ne dice meno di quanto questi sappia.
- Focalizzazione spettatoriale: è il regime della suspense hitchcockiana. Dare allo spettatore un sapere maggiore del personaggio ed annullare l’istanza narrante. Si può avere questa focalizzazione spettatoriale sia sul piano di una sola inquadratura, sia attraverso il montaggio (per esempio la differenza fra suspense e sorpresa proposta da Alfred Hitchcock).
Un tempo, più di cinquant'anni fa, Billy Wilder poteva legittimamente far dire allo sceneggiatore protagonista di Viale del tramonto un'amara battuta: "Che ne sa il pubblico degli scrittori di cinema? Pensa che sia tutto merito degli attori e dei registi...".
SE COSI’ NON FOSSE
Come nasce l’idea e come viene trasformata in cortometraggio e relativo
Backstage
Iniziò tutto un febbraio, si andava a vedere la Baistrocchi, nella prima serata al
teatro Cantero di Chiavari (Ge) .
Mentre per le precedenti edizioni non arrivavo a 30 minuti di spettacolo prima di
abbandonarmi al sonno più profondo e sano, quell’anno mi divertii ad osservare
tutto; le “facce” della prima fila della platea, la gestualità che avevano nel
comunicare tra loro, i vestiti ed il modo di indossarli, ecc.
Rimasi colpito da diversi “personaggi”, la sensazione che mi giunse era quella
del “non importa cosa vengo a vedere o sentire, importante è che sia presente e
che i presenti vedano chi sono”
Il trucco delle signore era forte, spesso senza capacità di truccatrici queste
andavano ad evidenziare i loro difetti invece di nasconderli e creando quindi ad i
miei occhi, e non solo ad i miei, delle vere maschere, spesso ridicole, spesso
orribili.
I suoni che giungevano era solo il confuso brusio di tutto il teatro, all’improvviso
le luci calano ed il brusio si blocca improvviso. Pure io, che con il mento
appoggiato al velluto del palchetto mi gustavo queste genti, dovetti voltarmi
verso il palco.
Per un errore degli addetti alle luci, venne illuminata proprio una maschera,
sopra le quinte del palco, quella della tragedia, certo una frazione di secondo,
ma quanto basta a volte per rincoglionire un essere umano, ossia una frazione
di secondo, nel buio una luce.
Ed ecco sul palco il cicerone che presenta quello che sarebbe stata la serata, il
vestito era un Frack con tanto di tuba. Il volto era pronto, era truccato, ma con
un trucco adatto al costume che avrebbe indossato nella scena dello spettacolo
vero e proprio sul frack stonava, o meglio nella mia mente era in dissonanza
che non è proprio una stonatura.
Ritornarono le immagini sovrapposte di tutto ciò che i miei occhi avevano visto a
stile déjà vu.
Questo “viaggio” al naturale di sensazioni ed immagini mi lasciò una porta
aperta ed una voglia di comunicare ciò che avevo visto. Ma come? Come ?
Non ho il dono della scrittura e ciò si può evincere, dalle righe soprariportate.
Non ho una dialettica tale da raccontalo.
Ed allora?
Ed allora come dice Baricco “succedono cose che sono come domande,
passano mesi oppure anni, poi la vita risponde”
E così fu nel mio caso, furono anni, anni di esperienze di vita, anni di film, fino
ad arrivare a “c’era una volta in america”. E’ in quel film che comprendo quanto
una comunicazione visiva vada oltre dal testo che viene recitato, quanto i colori,
le atmosfere, possono rendere sensazioni a prescindere.
Forse comune a molti film ma fu proprio quello nel mio caso a suggerire,
PROVA CON LE IMMAGINI
Il soggetto è riassumibile in quanto segue:
Paralizzati e snaturati dalle nostre stesse menzogne.
Il terrore del proprio cadavere interiore.
Vivendo un’ intima vita immaginaria, ma emotivamente assenti nella
quotidianità.
Vivendo una segreta complicità nell'ammissione di un suicidio di massa,
dannandoci nella vana ricerca del fantasma della nostra realtà.
Distruggendo l'Io individuale, nell'arduo tentativo di cedere all'irruzione
immediata del piacere.
I primi passi
Il bisogno di realizzare ciò che era sogno, fece si che tramite conoscenze
contattassi un giovane regista (Lorenzo Vignolo) che mi spiegò quali erano i
passi necessari per la realizzazione di un corto indirizzandomi a sua volta ad un
produttore (Matteo Zingirian).
Grazie alla sua collaborazione riusci a reperire i tecnici, il materiale e parte degli
attori.
Mi occupai direttamente per accordarmi con la proprietà del teatro sulla fattibilità
d’avere il luogo in cui girare.
La disponibilità fu totale e iniziai a eseguire sopralluoghi per definire nel
dettaglio le inquadrature e comprendere dove poter girare le varie scene e quali
le inquadrature.
Una volta definiti tutti gli ambienti dove girare, come step successivo fu il
contatto con una persona (Tiziana Manfredi) che si sarebbe occupata della
scenografia a cui spiegai nel dettaglio quello che era l’idea e che atmosfera
volevo si ricreasse dando spazio alla sua creatività. Da qui si crearono bozze di
riferimento per la scenografia e costumi
Partenza inquadratura corto
Partenza prima scena
Mentre si gira il primo piano sequenza
Nel mentre si gira la prima scena le comparse sono al trucco nei due
camerini
Laura Ogliastro (truccatrice) all’opera
Il risultato del trucco ossia la “maschera” su un figurante
Cinzia (aiuto truccatrice) all’opera
Preparazione scena palco a sinistra Tiziana Manfredi (scenografa)
Disposizione dei figuranti per scena pubblico
Ultimi accordi prima del primo dei 6 ciak di questo piano sequenza
Marco De Iturbe e Simonetta Casali
che interpretano il ruolo della coppia in teatro
Controllo luce prima di girare
Ciak
Il movimento di camera 2° piano sequenza
La fine del piano sequenza della scena del pubblico
Spiegazione del movimento di camera sull’uscita dal viso dell’attore
Mentre si gira il secondo piano sequenza si sta terminando la
preparazione della scena del palco
Alcuni particolari della scenografia del palco
Spiegazione inquadrature obitorio all’attore
Pochi istanti prima di girare il piano sequenza dell’obitorio.
Paolo Bellan (direttore alla fotografia) al controllo luce obitorio
Mentre si gira l’obitorio Paolo Bellan da istruzioni su che tipo di luci
desidera per la scena del palco
Palco pronto per girare
Prima del trucco Gianni Bergamo (in costume), attore nel ruolo del Don
Giovanni scalda la voce in compagnia di Franco Leo
Dettagli sul camerino
Fusi l’uomo macchina
Matteo Zingirian produttore esecutivo
Tiziana Manfredi (a sinistra) scenografa
Valentina Rioda aiuto scenografa e realizzatrice storyboard
A sinistra Massimiliano Carretta attore nel ruolo di Leporello
A destra Alberto Napolitano cantante, la sigla finale è un suo brano
Enrico Guidoni regia, sceneggiatura, montaggio
Il vero produttore mio padre Guidoni Eugenio
Titoli di testa
Se così non fosse
Con
Franco Leo
Gianni Bergamo
Scenografia
Tiziana Manfredi
Musiche
Wolfgang Amadeus Mozart
Paolo Conte
Fotografia
Paolo Bellan
Produttore esecutivo
Matteo Zingirian
Regia e Montaggio
Enrico Guidoni
Titoli di coda
Se così non fosse
di Enrico Guidoni
Con
Franco Leo Spettatore anziano
Gianni Bergamo Don Giovanni
Massimiliano Caretta Leporello
Jacopo Chioatto Il Commendatore
Marco De Iturbe Spettatore irriverente
Simonetta Casale Spettatrice sorridente
Produzione esecutiva
Matteo Zingirian
Fotografia
Paolo Bellan
Scenografia
Tiziana Manfredi
Aiuto scenografa & Storyboard
Valentina Rioda
Assistente Operatore
Stefano Fusi
Steadycam & Real Crane
Luca Dell’Oro
Macchinisti
Alessandro Meroni
Giacomo Berichilli
Scheda Tecnica
Macchina da presa ARRI SRII 16mm con ottiche Zeiss dal 5,9mm al 50mm
Pellicola 16mm Kodak 7218 (500 ASA – Tungsteno)
Luci
- Proiettori ad incandescenza 1000/2000/5000W
- Lampade cinesi binche per luce diffusa
Attrezzatura
Steadycam – Real Crane (simile Jimmy Jib)
Telecinima su Spirit con consolle Da Vinci 8:8:8
Montaggio su AVID Xpress
Diritti discografici/edizione
Per i seguenti brani contenuti nel cortometraggio sono stati richiesti ed assolti i
diritti di edizione e discografici ad uso esclusivo per CONCORSI, FESTIVAL
E RASSEGNE
• “Fritz” (Paolo Conte) – Album “Una faccia in prestito”
Diritti edizione: Sugarmusic S.p.A. – L’alternativa Edizioni Musicali s.r.l
Diritti discografici: Platinum S.r.l. per gentile concessione di Warner
Music Italia srl
• “Cos’è” (Alberto Napolitano)
Non sono stati riechiesti i diritti per il brano di W.A. Mozart in quanto il
brano è “melodja edizioni” registrazione russa, registazione del 1983.
“L’ALTRA ME“ di MARIO PRATESI
Scena 1
Giorno , interni redazione di un giornale
Particolari del movimento spedito di una donna per i corridoi della redazione
Inquadrature sporche ,mosse di questa progressione .
Piano piano vengono svelati particolari dell’espressione della donna , e’ tesa ma decisa , ha l’aria di
chi sa dove andare e perche’ .
durante il tragitto saluta un paio di persone e ne urta una inavvertitamente .
Arriva ad un piano con l’ascensore e lungo il percorso gli si fa incontro un fotografo che ha l’aria di
essere un collaboratore .
“aspetta Tony , poi ti spiego ....”
“ ok Anna come vuoi ...”
Lui si rimette quieto a sedere come se conoscesse i risvolti della personalita’ di lei .
Inquadratura su il fotografo che scuote la testa rimettendosi a sedere .
Interno stanza .
La donna sta fissando intensamente un uomo che ha l’aria di essere stressato .
Lei e’ una giornalista , lui il caporedattore
“ che ti salta in mente ...cosi’ di punto in bianco ...non che sia contrario ..anzi ti capisco...pausa(la
fissa ) ...sei sicura ?
“ l’unica cosa di cui sono veramente sicura e’ che dopo 5 anni di nera mi si ripropone ancora di
aspettare ....ma lo sai quante notti all’obitorio .....?”
“lo so ....e allora ? ...pensi che qui sia facile ? ...mi stanno facendo a pezzi e lo sai ...ho provato a
parlarne con Ravelli ma niente ...zero assoluto ...mi spiace ...”
“ be sai che ti dico ...per un po’ esco dal giro ....mi ritiro a scrivere ...seguo il vecchio sogno ...
di storie ne ho viste e sentite da riempire un’enciclopedia ...”
“ fa come vuoi ...” ( un po stizzito e in’apparenza disinteressato il caporedattore si rimette al
computer )
Esterno della stanza , lei sta uscendo , si avvia , gli si rifa’ incontro il fotografo , lei lo stoppa
con un gesto e lo oltrepassa .
Inquadratura dell’espressione attonita del fotoreporter .
Scena 2
Giorno , stanza di una casa ,un bell’appartamento.
In controluce si staglia la figura della donna che si sta stirando , come se stesse assaporando la
liberta’ riconquistata .
Sempre nel silenzio , alle sue spalle appare un’uomo che mentre lei sta guardando serena davanti la
abbraccia, lei si gira e gli sorride . intuiamo che i due vanno a letto ( ? ) .
Scena 3
Esterno cittadino , giorno .
Anna sta girovagando per vetrine , con l’espressione serena della scena precedente , evidentemente
non passa piu’ le notti all’obitorio !
Ad un tratto la sua espressione si fa stravolta , gli occhi sono sbarrati , nella sua testa si fa strada un
incubo.
Il montaggio intervalla inquadrature della donna che sbarella appoggiandosi ai muri , con immagini
di quello che ha in testa .
INCUBO : ....vediamo dall’alto un uomo , in un ambiente fatiscente-degradato , e’ sera , l’uomo e
piegato sulle ginocchia ma ha le braccia appoggiate ad un muro davanti a lui . Le braccia sono tutte
tatuate sullo stile yakuza .L’immagine si muove carrellando ...sino a svelarci il volto dell’uomo
...assolutamente normale ,con gli occhiali.( e’ evidente che l’incubo si compone in un prima e in un
dopo).
Alcune persone la soccorrono mentre lei e’ a terra in lacrime ....
Scena 4
Immagini di interni di una casa , voce fuori campo , i vari punti macchina trasporteranno lentamente
lo sguardo dello spettatore , sino allo schermo di un portatile , dove a quel punto combacera’ il
parlato con lo scritto ( intuiremo che e’ la donna a scrivere ) e poi l’immagine si spostera’ sul pp di
lei che ha il volto solcato da una lacrima .
Vfc : “ Lei era sola ,percepiva la propria solitudine , a volte se ne beava , altre volte si rivolgeva a
Dio perche’ facesse smettere questa tortura .Il sentore primigenio della propria solitudine permeava
dai pori della pelle sino alla spina dorsale , allo stomaco , alle viscere.
Sapeva di non averlo voluto , ma di averlo inconsciamente desiderato , era il modo aspro , frontale ,
in cui si presentava che non le piaceva ; in realta’ le sarebbe piaciuto scivolare nel nulla lentamente
, senza accorgersene....
Scena 5
Esterni giorno , una moto corre per strade di campagna ( soggettive e punti macchina fissi di questo
viaggio ) .A bordo ci sono Anna e il compagno , che alla fine arrivano ad un’abbazia
( Vallombrosa).
Come una coppia felice s’incamminano per visitarla, poi il ritroviamo in un prato a prendere il sole.
Lui :” ho parlato con Ravelli .... Anche lui pensa che sarebbe meglio per te tornare al giornale , non
so, ti ho trovata cambiata , poco serena ....”
Anna :” be in effetti sento la mancanza dei morti e degli assassini ....”(palesemente ironica )
Lui : “ dai non scherzare ...dico sul serio ...sei diversa ... cos’hai ? “
Anna : “ non lo so , non riesco a capirlo , l’altro giorno e’ riapparso il solito incubo ricorrente ,
ormai sono anni che mi perseguita ...ma stavolta era diverso , non s’era mai fatto vivo di giorno , e’
stato terribile ....”
Lui : “ ma dai che se torni al lavoro non ci pensi piu’ ....( fa per baciarla )
A questo punto Anna vede fare capolino da dietro un albero l’uomo dell’incubo , caccia un urlo ed
allontana il compagno , il quale cerca di rassicurarla perche’ di fatto l’uomo non c’e’.
Scena 6
Interni , sera , sempre la stanza in cui Anna scrive.
“ chi sei ? .....te lo richiedo a volte non avessi sentito .... Chi sei ? riesco a percorrere solo la strada
della scrittura per scordarmi di te ..e come vedi ..non ci riesco .Magari faro’ successo grazie a te :
mi aiuterai a realizzare il sogno di diventare una scrittrice .Ma non mi lascerai mai ( immagini
dell’uomo dell’incubo che va in giro per la citta’ vestito in maniera borghese ) manco fossimo
sposati . Forse ho avuto un trauma, da bambina , avro’ picchiato la testa , non riesco a ricordare
...forse non voglio ......
Scena 7
Notte , atmosfera inquietante , ululati , musica da brividi , slow motion di una carrellata dentro una
cantina che sembrera’ un antro , sino a trovare l’uomo accovacciato nella posizione all’inizio che si
gira di scatto , con il sangue che gli esce dalla bocca , come un mannaro.
Scena 8
Squilla un telefono , Anna viene svegliata , capiamo che la visione demoniaca era un suo sogno .
Evidentemente sconvolta , aspetta un po’ a rispondere.
“Pronto ?.... ( pausa , ascolta ) te l’ho gia’ detto Ravelli trovati un’altra schiava ...” (attacca)
“ e che cazz....”
Si alza , si stira .La vediamo che si fa un caffe’ ; e’ mattina e cerca di rilassarsi.
Inizia a scrivere , non ce la fa ,si mette quasi a piangere .
“ Non riesco ad essere indifferente ...mi sento svuotata ...mi hai svuotata .Ti detesto talmente da
non poter fare a meno di te ,(pausa) mi hai intossicata , e penso proprio che non esistano cliniche
per questo.A volte mi chiedo se sono davvero pazza , se mi hai fatto impazzire con la tua sola
presenza , ma la risposta e’ no ...drammaticamente no , tu esisti , non solo nella mia mente , hai
anche dei polmoni da cui esali dei fetidi respiri.L’aria attorno a te e’ densa , pesante come
l’atmosfera di Giove .( sente una porta chiudersi , l’espressione di Anna si fa atterrita ,ma non ha il
coraggio di voltarsi . Infatti sullo sfondo c’e’ l’uomo .
Nero e improvvisamente
0- Anna è seduta sulla panchina da sola.
p.p. del viso di Anna visibilmente commossa
VOCE DI ANNA fuoricampo- e pens are che un tempo potevamo stare IN
SILENZIO, per ore, solo guardandoci negli occhi!
Zoomata su occhi e fronte. L’immagine si sfoca e tutto la storia si
riavvolge all’indietro fino a nero e a titolo.
1-da titolo assolvenza sulla bocca di Roberto
ROBERTO - non mi sembra nulla di trascendentale.
2-p.p. della bocca di Anna
ANNA - lo dici tu! A me fa schifo
3-p.p. del viso di Roberto
ROBERTO - qualunque donna lo farebbe per il proprio uomo. Tu no!!! E solo
per farmi rabbia, lo so!! Manco t’avessi chiesto la luna!
4-p.p. del viso di Anna
ANNA - non vedo perché dovrei fare una cosa che mi ripugna solo per farti
piacere.
5-inquadratura della panchina con Roberto e A nna che continuano a
discutere
ROBERTO - hai detto bene PER FARM I PIACERE! Questo è il problema.
Esiste anche l’altruismo, Cristo..e l’amore E’ altruismo! O no !?
ANNA – ahh, senti chi parla. Te la sei dimenticata la discussione sulla
cravatta gialla e blu? E’ durata mesi.... E lì, invece, chi era l’egoista?! E meno
male che intervenuta tua sorella a farti ragionare....altrimenti....
ROBERTO – see cambia discorso! La vuoi sapere una cosa? Anche Gianni è
d’accordo con me... poi non parliamo di Pino e Chiara che ti ridono alle spalle
e credono che...
ANNA – ahh Gianni...buono quello!! Ma hai visto quella poveraccia della
fidanzata che sembra un fenomeno da baraccone con quelle..
ROBERTO – sii, ma almeno è se stessa; non ha paura dei commenti...non è
una “provinciale”
ANNA – provinciale!?! Lo stai dicendo a me, lo so. La verità è che non mi
accetti per quello che sono....sempre il t uo giudizio su di me, sempre critico,
mai soddisfatto e pure cafone e offensivo e incivile.
6-inquadratura del retro della panchina, si vedono le nuche di R. e A., si vede
l’altra panchina.Verso la fine del discorso di A., Graziano entra
nell’inquadratura e guarda verso la coppia.
ROBERTO – senti Anna ma tu lo capisci quello che dico? ti sto chiedendo
una cortesia, una piccola cortesia...e tu perché non mi accontenti? Lo so io
perché.....perché sei lo spirito della contraddizione...non ti costerebbe
nulla...
ANNA – malato... sei malato per chiedermi una cosa del genere. Ma va dallo
psichiatra invece di farti consigliare dai tuoi amici del cazzo che, ovvio, ti
danno sempre ragione...perché gli conviene . Del resto nessuno ti ha mai
insegnato a riconoscere la vera amicizia..Chiunque mi darebbe ragione!
7-p.p. di Roberto che si accorge di Graziano
ROBERTO – chiunque? Vediamo !
8-p.p. di G., per un attimo, con espressione interdetta.
9-p.p di Anna che sbuffa di disapprovazione
10- soggettiva di G
ROBERTO – (si alza, va incontro a G )
11-come la 6.
ROBERTO- (lo prende a braccetto e lo accompagna sulla panchina libera) la
prego mi farebbe una cortesia...potrebbe sedersi un attimo.
(poi tornando a sedersi ) S apesse quanto ho bisogno del giudizio di u n
estraneo!
12-le due panchine con i tre personaggi.
ROBERTO – ma, secondo lei, non ho ragione quando dico che
13-soggettiva di G. sul viso di R. Non c’è audio
ROBERTO – una donna, ogni tanto, ha il dovere di compiacere il proprio
uomo che le chiede, in occasione di una festa tra amici, di mettersi un paio di
scarpe con il tacco?
14-come la 12.
ROBERTO – è chiedere troppo? Noo, mi dica?
ANNA – e l’ho fatto, decine di volte, l’ho fatto...mi creda!
ROBERTO – see,decine! In tre anni sarà successo due volte...al matrimonio
della sorella e al capodanno del 2000!
ANNA – non è vero, sei un bugiardo, ti ricordi solo quello che ti pare, ma a
parte questo
15-soggettiva di G. sul viso di A. Non c’è audio.
ANNA – quello che mi fa più rabbia è c he lo debba decidere lui, come se io
mancassi totalmente di gusto e personalità. Mia madre me lo diceva:
16-inquadratura dalle spalle di G.
ANNA – stai attenta, è solo un despota irresponsabile
ROBERTO – sei una stronza egoista
ANNA – e tu un superficiale..
ROBERTO – femminista del cazzo
ANNA - ...che guarda solo l’apparenza
Piccola pausa.
ROBERTO – si rende conto?..che squallore....discutere così da giorni...e
solo per un paio di scarpe col tacco...e adesso mi dica che non ho ragione!!!
Piccola pausa.
17- p.p. del viso di Anna visibilmente commossa
VOCE DI ANNA fuoricampo- e pens are che un tempo potevamo stare IN
SILENZIO, per ore, solo guardandoci negli occhi!
18-come la 16. In lontananza si scorge una figura che si avvicina.
19-p.p. di G. che guarda verso R. Alza lo sguardo. (parte la musica)
20-come la 12. G. si alza e va incontro a Rosa.
20bis- soggettiva di G che si alza e va incontro a Rosa rivolgendo uno
sguardo ai due al passaggio.
21-come la 16. Si vedono R. e A. che seguono con lo sguardo G. che
incontra Rosa. La camera zoomma sull’incontro a mezzo busto.
22-G e R mezzo busto di profilo. Si abbracciano, baciandosi. G. con l’alfabeto
dei sordomuti si rivolge a Rosa.
GRAZIANO- amore finalmente sei arrivata
Rosa sempre con i gesti risponde
ROSA – che bello rivederti...
23-controcampo di R. e A. attraverso i corpi sfuocati di G. e R.
ROSA- ...oggi sei più bello del solito...dai andiamo
Escono dall’immagine G. e R. e rim angono in campo R.e A. che seguono
con lo sguardo i due che si allontanano.
24-controcampo da dietro le nuche di R. e A. Graziano e Rosa si allontanano,
tenendosi per mano. Per un attimo G. si gira, come per chiedere scusa.
GRAZIANO – sono sordo...devo andare!
Poi si allontanano definitivamente.
25- inquadratura della panchina con R. e A.
Anna si gira verso Roberto e lo fissa. G. e R. si allontanano e stanno per
uscire dall’inquadratura
NERO- la musica si interrompe brusca mente. Due secondi di pausa poi
sempre sul nero la voce di Anna che dice:
-e pensare che un tempo potevamo stare in silenzio per ore solo guardandoci
negli occhi.
Dopo titolo “in silenzio” la musica riprende con i titoli successivi fino a
sfumare lentamente.
“FUGGITIVA” di MARIO PRATESI
Scena 1
Esterno , giorno ,un’ ambulanza viaggia a sirene spiegate.
Particolare della mano insanguinata di una donna; seguiamo con l’occhio della videocamera
Il braccio sempre malridotto , sino al viso : e’ Anna !
Ha avuto un incidente, e’ ridotta male;intuiamo che viene caricata sull’ambulanza e portata via.
Scena 2
Interno ambulatorio , giorno.
Una donna aspetta preoccupata ed impaziente , entra un medico , lei gli rivolge uno sguardo
implorante .
Medico : buongiorno , lei e’ la sorella vero ? ....
Donna : si , buongiorno sono la sorella di Anna ,come sta ? ( ansiosa )
M: Ahem ( si mette seduto ) , si segga , si segga , vede ...voglio essere franco con lei ...sua sorella
se la cavera’ ...non ha traumi rilevanti ...ne emoraggie ... insomma poco o niente ....ma....
D: cos’ha ? me lo dica ...
M: le ripeto ...fisicamente e’ a posto ... ecco semmai il problema e’ di altra natura ...
D: cioè ? ...mi permetta ma se parla chiaro mi fa un gran favore ....
M: ecco non per usare termini inappropriati dato che sono radiologo ...direi che e’ un po’ fuori di
se... lei ultimamente non ha notato comportamenti strani in sua sorella ...?
D: mah...( con l’aria di ripercorrere a ritroso un bel tratto di tempo) ..io e mia sorella abbiamo delle
vite piuttosto distanti ..sia per motivi geografici che caratteriali... non siamo mai state molto
attaccate .
M: comunque mi deve credere ..adesso sua sorella non puo’ piu’ stare da sola ... l’incidente di oggi
, ad esempio , poteva avere conseguenze molto piu’ gravi.Avete qualcuno che possa badare a lei ?
D: no dottore ci sono soltanto io .
Scena 3
( SCRITTA IN SOVRIMPRESSIONE : UN MESE DOPO)
Lago (Donnini) , vediamo Anna seduta da sola sulla riva ... con sullo sfondo la sorella e un’altra
donna .
La scena si volge tutta nel dialogo tra le donne e Anna che e’ presente ma lontana e silenziosa.
Sorella : meno male Desy che sei venuta ... non e’ problema ..anzi poveraccia sta anche troppo
calma ...ma da sola mi angoscia ...non parla mai ..
Desy: Be ti credo ...se dice di aver visto il diavolo o roba del genere ...ma non e’ che faceva uso di
qualche droga ? o farmaco forte ? ...
S: chi Anna ? ( si mette quasi a ridere ) ...la salutista Anna ....l’omeopatica Anna ...senti non credo
proprio ...è piu’ facile che abbia visto il diavolo che si sia fatta una canna ...
Siamo su Anna ..in primo piano ... ha l’espressione assorta ..trasognata ...guarda l’acqua
Scena 4
Notte , stanza da letto di Anna .
Lentamente la macchina si sposta sulle anatomie di Anna e della sorella profondamente
addormentate , quando viene inquadrato il viso di Anna , di scatto lei caccia un urlo e si erge verso
L’obbiettivo , capiamo , memori , che lei ha avuto un incubo .
S: calmati ..calmati ...e’ tutto finito ( Anna sta piangendo) ...(l’accarezza per rassicurarla ) ...vado
a prendere delle cose ...torno subito .
La sorella torna con delle pastiglie e dell’acqua .
S: ecco prendi ...(obbediente lei esegue )
Dissolvenza a nero
Scena 5
Schermo nero . Tutta la scena si svolgera’ con lo schermo nero , al telefono .
Desy : pronto ..
S: ciao sono io ... non ti disturbo vero ?
D: ma cosa dici ...( pausa ) che ha combinato stavolta ?
S: non ce la faccio piu’ ... l’altra sera eravamo andate a fare la spesa ...o meglio ce l’avevo portata
.. tutto bene ... quando arriviamo alla cassa , non si mette a urlare : “ lo vedo ...lo vedo “ ...non ce
la faccio piu’ ...fra un po’ mi sa che mi rivolgero’ ad una clinica ...
D: bé se lo facessi ti capiremmo tutti ..stai tranquilla ..
S:ma non e’ quello ...figurati ...e’ che mi dispiacerebbe ...Anna me la ricordo quando era in se ...
Era splendida ...mi sentiro’ sempre in colpa per non averla aiutata abbastanza ...
D: e cosa conti di fare allora ?
S: non lo so ...fidati ...non lo so .
Scena 6
Giorno interno macchina , La sorella di Anna sta tornando a casa , e’ stata a fare la spesa .
Una goccia rossastra cade ...non sappiamo la provenienza .
Parcheggia , scende e scarica la spesa , la goccia continua insistentemente a cadere .
Entra in casa e chiama ..Anna ...Anna ...
La macchina va dalla sorella sull’ingresso al braccio di Anna che penzola sanguinante dalla vasca .
Caccia un urlo e entra in bagno abbracciando ,piangente , la sorella .
Spesso quando scriviamo una sceneggiatura, non pensiamo troppo ai personaggi... nel senso che ci pensiamo, ma non abbastanza. Diamo maggiore importanza alla storia nel suo globale. Cosa bisogna fare per delineare bene un personaggio? La risposta è semplice: ci dobbiamo IMMEDESIMARE nel personaggio di cui vogliamo scrivere. Completamente. Anche con cose che potrebbero sembrare superflue. Ad incominciare dal nome, il nome è parte integrante del personaggio.
Capire cosa è un plot è fondamentale per generarne uno. E’ il processo di generazione di domande (e risposte) che si sviluppano intorno alla storia.
INDICE:
DIMENSIONE NARRATIVA
LA NARRAZIONE
GLI ESISTENTI
L'AMBIENTE
IL PERSONAGGIO COME PERSONA
IL PERSONAGGIO COME RUOLO
IL PERSONAGGIO COME ATTANTE
GLI EVENTI
L'AZIONE COME COMPORTAMENTO
L'AZIONE COME FUNZIONE
L'AZIONE COME ATTO
LE TRASFORMAZIONI
LE TRASFORMAZIONI COME CAMBIAMENTI
LE TRASFORMAZIONI COME PROCESSI
LE TRASFORMAZIONI COME VARIAZIONI STRUTTURALI
I REGIMI DEL NARRARE
GUARDARE E VEDERE
LE ANALISI DELLO STRUTTURALISMO
IL CINEMA TECNICA DELL'IMMAGINARIO
BIBLIOGRAFIA
DIMENSIONE NARRATIVA
In un testo verbale è facile mettere in evidenza la dimensione narrativa, poiché essa è determinata dalla sua stessa forma. In un film, invece, per la presenza di immagini e suoni, mettere in risalto la dimensione narrativa dell'opera è più complesso. Perché? Anzitutto nel film c'è una difficoltà nel discernere se la dimensione narrativa appartenga ai contenuti delle immagini o al modo in cui esse sono organizzate e proposte. La dimensione narrativa di un film riguarda la storia in sé o la forma di presentazione del racconto? E' quello che, in sintesi, cercheremo di mostrare in queste pagine.
Partiamo allora da cosa significa il termine: “narrazione”, così come ci è stato proposto da Aristotele ai giorni nostri.
LA NARRAZIONE
La narrazione è il concatenarsi di situazioni in cui si realizzano eventi e in cui operano personaggi che si muovono in ambienti ben precisi.
Questa definizione chiama in gioco tre grandi elementi:
• Succede qualcosa ovvero gli eventi accadono
• Qualcuno fa succedere qualcosa ovvero accadono eventi che coinvolgono e riguardano personaggi
• L'accadere di qualcosa determina una trasformazione ovvero il succedersi degli eventi implica una trasformazione di fatto rispetto alla situazione di partenza.
Questi tre elementi della narrazione identificano tre categorie di fondo:
• Gli esistenti
• Gli eventi
• Le trasformazioni
Con l'analisi delle tre categorie sopra elencate ha inizio la nostra riflessione sulla dimensione narrativa del film, sottolineando che il nostro punto di partenza è la definizione di narrazione come “Storia”, ovvero come Fabula . Ricordiamo che Aristotele in “ La Poetica ” distingue tra Fabula e Intreccio, intendendo con il primo termine il contenuto della storia, mentre con il termine Intreccio il modo in cui la storia viene raccontata.
GLI ESISTENTI
La categoria degli esistenti comprende tutto ciò che è dato e che è presente all'interno della storia: essere umani, paesaggi, oggetti di vario tipo. Questa categoria si articola in altre due categorie: “personaggi” e “ambienti”, che non sempre è facile distinguere in modo così netto. I criteri che consentono di porre gli esistenti nella categoria dei personaggi o degli ambienti sono i seguenti:
• il criterio anagrafico
• il criterio di rilevanza
• il criterio della focalizzazione
Il criterio anagrafico mette in gioco l'esistenza di un nome, quindi di una identità definita. E' ciò che a prima vista distingue il protagonista dall'ambiente che lo circonda.
Il criterio di rilevanza chiama in gioco il “peso” che ogni elemento assume nella narrazione. Tanto maggiore è il peso dell'esistente, tanto più fungerà da personaggio o da ambiente. La rilevanza può manifestarsi come incidenza e iniziativa nei confronti degli eventi o come passione e sottomissione. Nel primo caso si ha l'azione declinata nelle sue varie forme verbali: dire, guardare, ecc. E' il caso del personaggio come viene costruito nel cinema classico. Nel secondo caso invece si ha l'azione del “subire”, propria di coloro a cui “si fa fare”. In questa sfera rientrano quasi tutti i personaggi del cinema moderno.
Il criterio della focalizzazione chiama in gioco l' attenzione riservata ai vari elementi da parte del processo narrativo. In questo senso il personaggio è tale anche per lo spazio in primo piano che gli viene dedicato rispetto all'ambiente, di solito relegato sullo sfondo. Attorno al personaggio a volte si concentrano tutti gli elementi della storia, facendone un centro di equilibrio che richiama l'attenzione.
Tali criteri non solo distinguono i personaggi dagli ambienti ma creano differenza tra personaggi e personaggi o, ambienti e ambienti. Due personaggi si distinguono dal nome, dal peso o, in base all'attenzione di cui godono.
L'AMBIENTE
Per ambiente intendiamo tutti gli elementi che ospitano la vicenda e le fanno da sfondo. L'ambiente rinvia a due cose: “ all'intorno ” (il décor architettonico) ovvero lo spazio entro cui il personaggio agisce e, la “ situazione ” entro cui il personaggio opera, ovvero: le coordinate spazio-temporali. L'ambiente ha dunque due funzioni: arreda la scena e la situa. In analisi le due funzioni dell'ambiente danno vita a due serie di categorie diverse.
Nel primo caso l'ambiente è ricco e dettagliato, a volte ingombrante, o povero cioè spoglio e discreto. Ma esiste anche un ambiente armonico che fonde gli elementi diversi e opposti o un ambiente disarmonico giocato sul disequilibrio e il contrasto.
Nel secondo caso c'è un ambiente storico costruito su riferimenti precisi, opposto a una ambiente metastorico in cui i riferimenti si stemperano sulla generalità o addirittura nell'astrazione. Esiste anche un ambiente caratterizzato dotato di proprietà specifiche, opposto a un ambiente tipico in cui prevale il riferimento a una situazione canonica.
IL PERSONAGGIO COME PERSONA
Le vicende narrate accadono sempre a qualcuno, ovvero al personaggio.
Definire cosa sia un personaggio è un'operazione non sempre lineare. Esso può essere considerato come:
• persona
• ruolo
• attante
Il personaggio come persona implica l'esistenza di un individuo dotato di un proprio profilo reale, sia che si consideri come “unità psicologica” o come “unità d'azione”.
I personaggi possono essere distinti in base al loro carattere, cioè al loro modo di essere (unità psicologica) o al loro atteggiamento (unità d'azione). Senza dimenticare la determinazione fisica del personaggio: uomo, donna, ecc.
IL PERSONAGGIO COME RUOLO
In questo caso mettiamo l'accento sul “tipo” che il personaggio incarna e le “classi di azioni” che compie. Non ci troviamo più di fronte ad un individuo unico ma il personaggio diviene una “parte” o meglio assume un “ruolo” nel corso della narrazione. Alcuni tratti che determinano un ruolo sono i seguenti: attivo o passivo . Attivo è fonte diretta dell'azione, egli opera in prima persona. Passivo è un personaggio che subisce l'iniziativa altrui. Personaggio influenzatore e autonomo . All'interno dei personaggi attivi c'è il personaggio influenzatore che fa fare agli altri o che fa direttamente, ponendosi come causa e ragione del suo agire.
Personaggio modificatore o personaggio conservatore è colui che opera attivamente nella narrazione e può fungere da volano o da punto di resistenza . Il volano è un personaggio che lavora per mutare le situazioni, in positivo o in negativo. Se è un conservatore si avrà un personaggio la cui funzione è la conservazione dell'equilibrio delle situazioni o la restaurazione dell'ordine minacciato.
Personaggio protagonista e antagonista, entrambi fonti sia di “far fare” sia di “fare”, ma secondo logiche contrapposte. Il protagonista sostiene l'orientamento del racconto, mentre l'antagonista manifesta la possibilità di un orientamento inverso.
Dobbiamo sempre tenere a mente che un personaggio nel corso della narrazione può assumere più determinazioni. Ogni ruolo nasce infatti da un sovrapporsi dei tratti. Se prendiamo in esame alcuni dei grandi ruoli codificati del cinema classico americano degli Anni Trenta e Quaranta, quasi tutte le dinamiche narrative che si sviluppano attorno ai personaggi sono riconducibili alla dialettica tra due poli: l' official hero e l' outlaw hero .
L'official hero esprime i valori riconosciuti dalla collettività e gli ideali delle vecchie generazioni. Si incarna in figura come: l'avvocato, l'insegnante, ecc. L'outlaw invece esprime le aspirazioni dell'individuo e le esigenze della gioventù. Si incarna nell'avventuriero, nell'esploratore, ecc. Esso sta per quella parte dell'immaginazione americana che dà valore alla volontà di realizzarsi. Nel cinema americano classico queste figure creano un contrasto netto e riconoscibile, anche se talvolta c'è un tentativo di avvicinare i due opposti. A nessuno dei due eroi spetta un primato definitivo, si punta sempre al raggiungimento dell'equilibrio. Nel corso della storia i due ruoli diventano più “malleabili”, meno rigidi, ciascuno fa all'altro delle concessioni. Il rifiuto da parte dell'immaginario americano di scegliere uno dei due eroi a scapito dell'altro si inscrive nella funzione riconciliatrice di ogni mito.
I “tipi” classici sono riportati a polarità ideali: bene e male. Ma queste figure non sono mai veramente al centro della narrazione. Di solito chi si muove di fatto è colui che combina diversi atteggiamenti, al punto di mostrarsi capace di passare da un fronte all'altro. Ecco allora le figure di detectives che agiscono al limite della legge o, i sacerdoti sul filo dell'ortodossia, per fare degli esempi.
IL PERSONAGGIO COME ATTANTE
Un modo di analizzare il personaggio è quello di leggerne l'essere o l'agire a partire da un punto di vista astratto. Qui si mettono in luce i nessi strutturali e logici che legano il personaggio ad altre unità. Il personaggio non è più considerato come una persona reale né un ruolo tipico ma un attante, ovvero un elemento che occupa un posto preciso nella narrazione e vale proprio per questo.
Il Soggetto è colui che muove verso l'Oggetto per conquistarlo (siamo nella dimensione del desiderio). Muovendo verso l'oggetto il soggetto agisce sul mondo che lo circonda e attua una performance, in quanto mette in atto una azione che lo avvicina all'oggetto del desiderio, facendo un percorso. Il soggetto è dotato di una competenza: egli tende verso l'oggetto e interviene. Prima ancora di fare il soggetto egli sa, può e vuole fare. Il soggetto agisce in base a un mandato, nel senso che qualcuno lo ha inviato a muoversi e, a seguito del suo agire, ottiene una sanzione, intesa come retribuzione o ricompensa, ma può ottenere anche una punizione.
L' Oggetto è il punto di confluenza dell'azione del Soggetto. E' una meta. Esso può assumere diverse qualifiche: oggetto strumentale o finale, a seconda che il soggetto tenda ad esso e operi su di esso in vista di qualche cosa d'altro o, come meta ultima del suo viaggio. Oggetto neutro o di valore a seconda che sia suscettibile di investimenti qualunque, o esprima un valore preciso.
In Ombre rosse di Jhon Ford, nella scena finale del duello, Ringo è il Soggetto, l'Oggetto è la vendetta che egli insegue nei confronti di Luke. La competenza del soggetto nel raggiungimento dell'oggetto è incompleta. Ringo sa fare, può fare e vuole fare, ma è impossibilitato ad agire dallo stato di arresto in cui si trova (quindi non può fare). La performance è in questo caso sospesa. Sarà la buona prova: la difesa della diligenza che consentirà a Ringo di potere fare e affrontare Luke. La sanzione finale si manifesta al termine come ricompensa: libertà di amare.
Attorno all'asse Soggetto-Oggetto se ne costruiscono altri, anzitutto:
Destinatore e Destinatario : il primo è punto d'origine dell'oggetto e rappresenta il suo punto di partenza.
Il Destinatario invece si identifica in chi riceve l'Oggetto e ne trae beneficio. Lo stesso Soggetto può essere il Destinatario. L'asse Destinatore/Destinatario si collega all'asse portante Soggetto/Oggetto ponendosi come il canale di comunicazione lungo cui l'oggetto scorre. In questo senso esso inquadra i movimenti dei due primi attanti fornendo le piste dei loro movimenti.
In Ombre rosse il Destinatore è in parte la Legge dell'onore, in quanto da essa deriva l'obbligo della vendetta e in parte dalla Legge dello stato, incarnata nello sceriffo. Il Destinatario in quanto beneficiario dell'atto è Ringo e anche la collettività che si vede liberata dal fuorilegge Luke.
L' Aiutante di contro all' Oppositore (spesso Antisoggetto). L'aiutante soccorre il soggetto nelle prove che deve superare per conseguire l'oggetto desiderato. Il secondo invece ostacola il soggetto.
Questo schema astratto d'analisi spiega bene l'organizzazione delle più tipiche strutture narrative. Basti pensare alla Fiaba. In essa da un lato c'è l'eroe (soggetto) che viene incaricato dal re o da qualche altra figura (destinatore) di superare determinate prove per sposare la principessa e conquistare il regno (oggetto). Dall'altro lato abbiamo l'antieroe (oppositore o antisoggetto) che ostacola il felice compimento delle azioni e che viene vinto grazie all'intervento di un protettore del soggetto o di un elemento magico di cui si può servire. Del successo del soggetto e della conquista dell'oggetto ne beneficerà l'intera comunità (Destinatario).
La struttura di un racconto si suddivide in due percorsi distinti: il percorso dell'Eroe e quello dell'Antieroe. Di qui la possibilità di raddoppiare come un'immagine speculare la disposizione degli elementi: eroe e aiutante, antieroe e oppositore. L'oggetto resta invece sempre la meta sia dell'eroe che dell'antieroe. Basandosi sugli attanti si può sviluppare uno schema elementare fondato sulla struttura polemica (la lotta) e nelle sue parti periferiche sulla struttura contrattuale (il patto, l'alleanza, la promessa). Secondo alcuni, questo schema evidenzia come le manifestazioni narrative sono rappresentazioni figurate delle diverse forme della comunicazione umana: teatro di scambi, contrasti, accordi e confronti.
All'interno dello schema narrativo ciascun attante, indipendentemente dalla sua caratterizzazione di base, può essere:
• di stato a seconda che il suo legame con gli altri attanti sia di “giunzione” (possesso, dominio, amore, ecc.) o di trasformazione (contrasto, manipolazione, ecc.)
• pragmatico o cognitivo a seconda che la sua azione si manifesti come un agire diretto e concreto sulle cose o, come un agire mentale.
• Orientante o non orientante a seconda che la prospettiva in cui si colloca il suo agire sia quella privilegiata dal discorso narrativo, dalla modalità di articolazione ed esposizione, oppure sia quella opposta.
GLI EVENTI
Nella narrazione qualcosa succede a qualcuno. Questi sono gli accadimenti o eventi che scandiscono il ritmo della vicenda marcandone l'evoluzione. Gli eventi si possono dividere in due grandi categorie, sulla base dell'agente che li provoca. Se questi è un agente animato si parla di azioni se invece l'agente è un fattore ambientale o è una collettività anonima si parla di avvenimenti .
Gli avvenimenti esplicitano l'intervento della natura e della società. Di fronte a essi il singolo personaggio è iscritto in un sistema di accadimenti che lo sovrasta. Quando ci sono gli accadimenti le mosse del personaggio spesso non sono totalmente nelle sue mani.
L'azione si incrocia con l'avvenimento nel più ampio disegno degli eventi e si caratterizza per la presenza di un agente animato. Ci sono tre prospettive di analisi che possiamo prendere in considerazione per l'analisi sul personaggio: il livello fenomenologico, il livello formale, il livello astratto. L'azione va dunque analizzata come: comportamento, funzione e atto.
L'AZIONE COME COMPORTAMENTO
Il comportamento è la manifestazione dell'attività di qualcuno, la sua risposta ad una situazione o ad uno stimolo. Si può avere un comportamento volontario o involontario a seconda che l'azione esprima una chiara intenzionalità o si manifesti come un gesto automatico; cosciente o incosciente a seconda che l'azione abbia un ritorno sulla mente del protagonista o meno; individuale o collettivo e ancora singolo o plurimo se l'azione è isolata o parte da un comportamento generalizzato. Ma ci sono anche molte altre categorie che si potrebbe chiamare in gioco, soprattutto l'osservazione dell'azione: le sue forme e le sue manifestazioni concrete.
L'AZIONE COME FUNZIONE
Le funzioni sono delle azioni di tipo standard che, pur nelle sue varianti, i personaggi compiono e continuano a compiere di racconto in racconto. Poiché è impossibile dare una lista completa di tutte le funzioni partiamo da quella data a partire dalle fiabe popolari russe, ricordando comunque di prenderle con “prudenza”. Le grandi classi di azioni possono essere così sintetizzate:
• la privazione interviene all'inizio della storia e vede qualcuno o qualcosa sottrarre ad un personaggio ciò a cui ha diritto, per esempio la libertà, il lavoro, ecc. Questa azione dà luogo ad una mancanza iniziale il cui rimedio costituirà il motivo attorno a cui ruota tutta la vicenda.
• L' allontanamento si tratta di una funzione duplice: da un lato conferma una perdita (il personaggio è separato dal suo luogo d'origine) mentre dall'altro dà avvio alla ricerca di una soluzione (il personaggio è messo sulla strada di un possibile rimedio).
• Il viaggio può concretizzarsi in uno spostamento fisico, in un trasferimento ma anche in uno spostamento mentale , in un tragitto psicologico . Il personaggio si comincia a muovere lungo un itinerario punteggiato da una serie di tappe decisive.
• Il divieto può essere un rafforzativo della privazione iniziale ma anche una delle tappe che il personaggio incontra durante il suo viaggio. Si manifesta come affermazione di precisi limiti che non si possono varcare. Di fronte a questa funzione si ha una doppia possibilità di risposta: il rispetto al divieto o al contrario l'infrazione .
• L' obbligo è inverso alla funzione precedente. Il personaggio può essere messo di fronte a un dovere che può assumere le vesti di un compito da svolgere o di una missione da portare a termine. Anche qui abbiamo due possibili risposte: l'adempimento di quanto prescritto o al contrario l'evasione dai doveri.
• L' inganno si può manifestare come tranello come travestimento , ecc. Anche in questo caso la risposta è duplice: connivenza o smascheramento .
• La prova accorpa almeno due tipi di azione. Le prove preliminari volte all'ottenimento di un qualche mezzo che permetta al personaggio di rafforzarsi e di prepararsi alla sua battaglia finale (nelle fiabe è la conquista dell'anello magico). Il secondo tipo di azione è quello delle prove definitive che portano il personaggio ad affrontare di petto la causa della mancanza iniziale.
• La rimozione della mancanza il successo che il personaggio ottiene nella prova definitiva libera lui o chi aveva subito il torto dalla privazione sofferta. Si ha un momento di restaurazione della situazione iniziale o di reintegrazione degli oggetti perduti.
• Il ritorno del personaggio al luogo che ha lasciato. Una variazione è l'installazione anche in un altro luogo che ormai viene sentito come proprio.
• La celebrazione il personaggio viene riconosciuto come vittorioso.
L'AZIONE COME ATTO
Ora passiamo ad analizzare l'azione da un punto di vista astratto, come già abbiamo fatto per il personaggio in quanto attante. Le relazioni tra attanti, in particolare tra soggetto e oggetto, possono essere di due tipi a seconda che mettano in gioco un semplice contatto o una qualche mutazione che da questo contatto deriva. Da qui derivano le enunciazioni di due tipi di situazioni di base diverse:
• gli enunciati di stato indicano una interazione tra Soggetto e Oggetto. L'interazione è duplice perché prevede la congiunzione o la disgiunzione. Il Soggetto può conquistare l'oggetto oppure perderlo.
• Gli enunciati da fare rendono conto del passaggio da uno all'altro attraverso una serie di operazioni compiute dal soggetto.
Queste forme elementari di azione definiscono le relazioni tra gli attanti. All'interno della prospettiva astratta è possibile definire l'atto non solo in base alla sua struttura logica ma anche in base al suo ambito di estrinsecazione duplice. L'atto possiede due dimensioni: la pragmatica e la cognitiva . Nel primo caso si esplica attraverso operazioni effettive sugli esistenti (si opera), nel secondo caso si esplica attraverso mobilitazioni interiori di sentimenti, volizioni e impulsi (si elabora).
Nella prospettiva astratta è possibile cogliere l'atto in relazione agli altri atti. Ogni fase dell'agire presuppone una serie di momenti che lo precedono e implica una serie di momenti che ne conseguono: ogni performance dipende da certe conseguenze e ne crea altre. La performance deriva dall'acquisizione di competenze: non si può fare se non si sa fare. L'azione ha a suo fondamento l'instaurazione di una capacità, di una volontà, di un obbligo e di una possibilità d'agire. In secondo luogo la performance è in relazione con il conferimento di un mandato , un far fare che assume le forme dell'incarico, dell'ordine. Questo mandato può procedere dallo stesso Soggetto agente che si auto investe di un dato dovere ma può anche venire da un secondo Soggetto un vero e proprio mandante la cui azione innesca le successive. La performance trova conferma o condanna nella sanzione che ad essa segue in modo inevitabile.
Le quattro tappe dell'atto sono dunque:
• la performance: comprende tutte quelle classi di azioni che vedono il Soggetto agire
• la competenza
• il mandato
• la sanzione
LE TRASFORMAZIONI
Quello che gli eventi manifestano è che qualcosa succede e ciò va preso nella sua doppia accezione, cioè qualcosa accade: prende corpo, si realizza, sia nel senso che qualcosa consegue a qualcos'altro. L'evento è ciò che muove il racconto. Questa connessione produce un cambiamento di scenario, una modifica della situazione di fondo: da una situazione si passa ad un'altra situazione. Prendiamo ora in considerazione tre grandi prospettive che ci consentono di vedere le trasformazioni come: cambiamenti , processi , variazioni strutturali .
LE TRASFORMAZIONI COME CAMBIAMENTI
Partiamo anche stavolta analizzando la forma esteriore, cominciando dalle trasformazioni come cambiamenti . In quest'ambito la trasformazione può essere analizzata da due punti di vista: o indagata a partire dal personaggio, che del cambiamento è l'attore fondamentale o, esaminata a partire dall'azione stessa, che del cambiamento è il motore.
Nel primo caso sono cambiamenti di carattere relativi al modo di essere dei personaggi e cambiamenti di atteggiamento relativi al modo di fare. Anche in questo caso i cambiamenti si possono dividere in individuali e collettivi a seconda che coinvolgano un singolo personaggio o un sistema di personaggi; in espliciti e impliciti a seconda che abbiano luogo alla luce del sole oppure “sottopelle”; in uniformi e complessi a seconda che riguardino un singolo tratto della persona o uno scenario più complesso.
Per quanto riguarda i cambiamenti dal punto di vista delle azioni ci sono una varietà di possibilità. Si possono avere i cambiamenti lineari o spezzati, i primi uniformi e continui, i secondi contrastati e interrotti. I cambiamenti effettivi o apparenti a seconda che incidano realmente sulla situazione o che risultino inconcludenti. Poi si possono registrare trasformazioni di necessità e di successione . Le prime procedono da un ordine di concatenazione causale, le seconde procedono da un ordine di concatenazione temporale e si definiscono come processi evolutivi che trovano nel fluire del tempo la loro unica origine. In una parola: trasformazioni logiche di contro a trasformazioni cronologiche . Ci sono dunque racconti legati più ad una forma di racconto che all'altra. Da un lato c'è il racconto del pensiero concatenato per logica e necessità; dall'altro il racconto dello sguardo organizzato per successione e accumulo. L'opposizione dei due tipi di trasformazione risiede spesso più nei modelli interpretativi che nei testi esaminati. La prevalenza del cronologico ha alla base un'idea di narrazione come “arte del tempo”, gestione dei ritmi e dei flussi. Mentre la prevalenza del logico ha a fondamento un'idea di narrazione come “schema di esplicazione del mondo”, indagine e svelamento delle apparenze, rivela una concezione di narratore come filosofo o scienziato.
LE TRASFORMAZIONI COME PROCESSI
Da un punto di vista più formale le trasformazioni diventano processi , ovvero forme canoniche di mutamenti, percorsi evolutivi ricorrenti. Quello che è in gioco non è la singola occorrenza ma la dimensione tipica che essa assume. In questo senso le trasformazioni sono processi di miglioramento o viceversa di peggioramento . Questa definizione dipende ovviamente dalla presenza di un personaggio orientante dal cui punto di vista si osserva tutta la vicenda.
Se osserviamo il racconto con attenzione ci accorgiamo che esso chiama in causa interessi umani, progetti ora migliorativi ora peggiorativi. Il progetto poi può tendere verso un miglioramento da ottenere o verso un peggioramento prevedibile.
LE TRASFORMAZIONI COME VARIAZIONI STRUTTURALI
Riprendiamo ora in esame il livello astratto. A questo livello le trasformazioni sono variazioni strutturali della narrazione ovvero operazioni logiche che sono a fondamento delle modifiche del racconto. In questo senso sono cinque le operazioni attivate: la saturazione, l'inversione, la sostituzione, la sospensione e la stasi.
La saturazione è quel tipo di variazione strutturale in cui la situazione di arrivo rappresenta la conclusione logica delle premesse. Si arriva ad una conclusione perché era già insita nelle premesse. E' quanto avviene nella commedia sofisticata americana in cui l'avvio del racconto già presuppone la fine.
L' inversione la situazione iniziale si rovescia all'arrivo nel suo opposto. E' il caso delle narrazioni con finale a sorpresa.
La sostituzione in cui lo stato d'arrivo sembra non avere legami con quello di partenza. C'è una totale variazione della situazione in gioco.
La sospensione la situazione di avvio non trova risoluzione in uno stato d'arrivo compiuto ma resta tronca.
La stasi è una non variazione ed è caratterizzata dalla permanenza insistente dei dati iniziali seppure con alcune variazioni.
Consideriamo l'inizio e la fine che sono le porte d'ingresso del film e del testo e, come tali conducono elementi importanti per l'analisi. Possiamo considerare l'inizio come disequilibrio o come equilibrio minacciato e la fine come la reintroduzione o la restaurazione di questo equilibrio. In questo senso la narrazione è vista come il luogo di un ordine. Si può vedere l'inizio come l'apertura di una matrice di elementi, come una messa in gioco di numerose variabili le cui relazioni sono tutte da intrecciarsi. La fine come conclusione delle combinazioni possibili.
I REGIMI DEL NARRARE
E' possibile delineare delle coordinate di fondo del narrare senza creare per questo schemi troppo rigidi. Da un lato la narrazione forte, la narrazione debole e l'anti narrazione.
Nel regime della narrazione forte l'enfasi è posta su un insieme di situazioni ben disegnate e concatenate tra loro. In ogni fase del racconto tutti gli elementi narrativi sono in gioco. Tra essi ha un ruolo fondamentale l'azione: sia come forma di risposta di un personaggio all'ambiente sia come tentativo di modificare le cose. L'azione serve da collante tra gli elementi della situazione e da mezzo di transizione tra le diverse situazioni. Da ciò deriva:
• l'ambiente (fisico o sociale) in cui agisce il soggetto;
• la presenza di fronti precisi. I valori espressi da ciascun personaggio sono iscritti in uno schema assiologico duale che si organizza per opposti. La struttura duale è ricorrente: tutto si organizza per contrapposizioni e confronti. I due estremi duali giungono sempre a un momento risolutore in cui l'incontro/scontro è inevitabile.
• Tra la situazione di avvio e quella a cui si vuole arrivare c'è uno scarto. L'eroe diventa poco per volta capace di agire e il percorso del film segue questa trasformazione.
• L'annullamento di questo scarto mette in luce una situazione di arrivo che funge o da completamento prevedibile o da ribaltamento speculare della situazione di partenza. Dominano la saturazione e l'inversione a volte si alternano a volte si sovrappongono.
La narrazione debole vede un leggero ma significativo spostarsi degli equilibri precedenti. Le situazioni narrative sembrano sbilanciate. In esse non c'è equilibrio tra gli elementi. I personaggi senza un'azione che ne esprima le reazioni e gli ambienti senza un'azione che reagisce ad essi, diventano enigmatici e perdono di consistenza. Ciò porta le situazioni a concatenarsi in modo provvisorio e incompleto: senza azioni le trasformazioni non si esplicano del tutto. Siamo nel territorio del dramma psicologico. In primo piano vengono i personaggi e gli ambienti. Soffermiamoci su alcuni tratti.
• l'ambiente naturale e sociale non appare più come inglobante ma persuasivo. L'ambiente non circoscrive né stimola delle azioni;
• i valori fanno riferimento ad assiologie pronte, è tipico il coesistere di punti di vista, in vai e vieni che dissolve il senso di un fronte netto.
• Tendono a scomparire gli scarti radicali tra situazioni diverse. In questo clima la grande azione dell'eroe perde di senso.
Il regime dell' antinarrazione porta alle estreme conseguenze la crisi del modello forte radicalizzando alcune tendenze. Il nesso ambiente personaggio perde ogni tipo di equilibrio e l'azione perde ogni ruolo rilevante: il disegno perde ogni sua valenza dinamica.
La situazione narrativa appare frammentaria e dispersa. I personaggi calati sono molteplici. I valori si eclissano e il mondo diventa neutro. Entra in crisi il filo che lega gli avvenimenti.
I tre regimi sono tipi ideali e servono a individuare altrettanti modelli generali verso cui ciascun film può tendere. Nel corso della storia del cinema questi tre regimi hanno marcato tre epoche diverse. Il cinema hollywoodiano ha conosciuto una narrazione forte: i personaggi erano ciò che facevano più che il contrario e, ciò che facevano portava avanti la storia. La trasformazione aveva un ruolo essenziale. La sovrapposizione portava all'idea che bisognava andare avanti se si voleva tornare laddove si era partiti, secondo l'insegnamento biblico per cui bisogna affrontare l'esodo se si vuole riconquistare l'Eden. Il cinema della nouvelle vague conosce invece una narrazione debole. Il privilegio passa al personaggio. La loro azione si fa più incerta. Il cinema contemporaneo è pervaso dall'antinarrazione. Assistiamo a uno svuotamento progressivo delle categorie. Le trasformazioni non trasformano. Si perde il discrimine tra il personaggio e l'ambiente. Si perde il senso della loro interazione. Si accumulano tappe su tappe che non portano da nessuna parte, semmai serve solo a una cosa: riassorbire l'individuo nell'ambiente. L'inutilità dei movimenti è in primo piano. Ciò che è in gioco è il raccontare il proprio raccontare, ovvero esibire la propria azione di narratore, manifestare il testo in quanto tale. Ci sono film che raccontano il proprio raccontare a volte tra le righe a volte in modo esplicito. Questa modalità è il metaracconto che ci porta verso il testo come oggetto e soprattutto come terreno di comunicazione.
Guardare un film e analizzarlo dal punto di vista della narrazione è un'operazione non sempre facile e lineare. L'analisi presuppone il “vedere” e quest'atto non vuol dire capire. Esso implica un'infinità di processi più o meno consapevoli che lo spettatore mette in atto.
GUARDARE E VEDERE
Cariddi : Tu guardi e non vedi.
Ulisse : Tra guardare e vedere quale differenza c'è?
Cariddi : Che guardare la beltà è guardare. E vedere il pericolo è vedere.
Scrive Sandro Bernardi in Introduzione alla retorica del cinema che Guardare e Vedere sono due modi di rapportarsi all'oggetto. Il primo non implica finalità pratiche ma non esclude che possano essere scoperti aspetti inconsueti; il secondo implica l'utilità. Sono due atteggiamenti complementari poiché guardare non basta ma vedere non soddisfa e come aggiunge Ulisse: “oltre a vedere bisogna anche sapere guardare”.
Christian Metz autore del testo: “Cinema e psicanalisi” sostiene che l'atto di vedere un film mostra un complicato gioco di incastri, a volte difficili da districare, tra il reale e il simbolico. L'autore fa riferimento a Freud quando paragona il vedere un film all'atto sessuale. Entrambi infatti mettono in gioco un gran numero di funzioni psichiche, distinte, ma che lavorano assieme e che devono essere tutte intatte perché sia possibile un'esecuzione considerata normale.
Secondo Metz per capire un film di finzione lo spettatore deve scambiarsi per il personaggio (è questo possibile tramite un procedimento immaginario) ma allo stesso tempo non deve confondersi con il personaggio (quindi deve ritornare al reale). E' questo il procedimento del “sembra-reale”. Affinché lo spettatore comprenda un film è necessario che percepisca l'oggetto fotografato come assente, la sua fotografia come presente e la presenza di quell'assenza come significante. “L'immaginario del cinema presuppone il simbolico” in quanto lo spettatore deve avere conosciuto lo specchio primordiale. Lo specchio dello schermo si basa sul riflesso dell'oggetto reale e sulla sua mancanza, ma esso non è un fantasma, ovvero un luogo puramente simbolico e immaginario. Sullo schermo i codici di questa assenza sono prodotti realmente grazie al proiettore e all'apparecchiatura.
Il cinema non è un fantasma ma un corpo, come lo definiscono i semiologi: “un feticcio che si può amare”.
LE ANALISI DELLO STRUTTURALISMO
Se è possibile analizzare un film come fosse un testo ciò è anche grazie al fondamentale contributo dello Strutturalismo.
Claude Lévi Strauss studiò vasti insiemi di racconti mitici allo scopo di esporre la teoria secondo la quale sotto la diversità del significante si cela una stessa struttura (le strutture profonde dei miti). L'analisi strutturale si applica a tutte le produzioni di significanti importanti: dal mito all'inconscio. Lévi Strauss scrive nel suo libro: “Il pensiero selvaggio”, che esiste un cifrario da utilizzare per la comprensione di un testo. Questo cifrario è la struttura del testo. Nel flusso si devono cogliere le differenze. Il cifrario è il sistema di scarti, le differenze. E' un'operazione molto simile alla linguistica: nel flusso verbale vengono ritagliate le parole. E' la differenza che Ferdinand de Saussurre fa tra langue e parole. Cosi anche Jacques Lacan afferma che l'inconscio è strutturato come un linguaggio. Per questo ripetiamo che l'analisi strutturale si applica a tutte le produzioni significanti importanti: dal mito all'inconscio.
L'analisi testuale del film deriva dall'analisi strutturale in generale.
L'analisi di film più apertamente “lévi-straussiana” è l'opera di Jean Paul Dumont e Jean Monod dedicata a 2001: odissea nello spazio di Stanley Kubrick. L'analisi di questo film è stata realizzata a partire da una trascrizione su tre colonne di: suono, immagine, parola. Ciò che conta al termine di questa analisi è “la negazione di un senso ultimo”.
Contributi fondamentali all'analisi testuale sono stati quelli di Umberto Eco, Roland Barthes e Christian Metz. Metz in Linguaggio e cinema insiste sulla nozione di codice, che permette di descrivere la molteplicità dei livelli di significazione nel linguaggio cinematografico.
Analisi dei film attinge dalla semiologia e dallo strutturalismo tre concetti:
• il testo filmico è il film come unità di discorso come messa in opera di una combinazione di codici del linguaggio cinematografico.
• Il sistema testuale filmico proprio di ogni testo designa un modello. Il sistema corrispondente a un testo è un oggetto ideale costruito dall'analista.
• Il codice è un sistema generale che può funzionare in diversi testi.
Verso la fine degli Anni Sessanta Julia Kristeva sulla rivista “Tel Quel” scrive che il testo non è un'opera ma uno spazio: quello della scrittura stessa. Il testo così diventa qualcosa che produce senso e in potenza spazio di lettura infinita. Roland Barthes analizza una novella di Balzac: “Sarrasine” con questo metodo. Egli evita di chiudere il testo in un'interpretazione ultima e lo analizza passo passo in effetto ralenti. La seduzione dell'analisi di Barthes sta nel fatto che egli non costruisce un sistema fisso ma “aperto”, che rinuncia a bloccare l'analisi su un significato finale. Su questo tipo di analisi si pone anche Thierry Kuntzel quando analizza M, il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang. Egli scompone il testo in lessie (lessia è la nozione di Barthes che indica un frammento di testo di lunghezza variabile). Il film viene scomposto in: titoli di testa, la prima inquadratura diegetica del film (i bambini che cantano la filastrocca dell'uomo nero e la donna con la cesta di biancheria), tutto il resto della sequenza. Ogni lessia è definita da un certo funzionamento. Ciò che colpisce è la grande libertà che l'analista rivendica nella definizione di codici. Ci sono senza dubbio ancora i codici che Barthes aveva usato in Sarrasine, ma anche categorie diverse. Se ne conclude che non esiste una lista di codici già pronta ma il modello spinge l'analista a innestare su ciascuno degli elementi che egli rivela come significanti il “possibile punto di partenza di un codice”.
Per analizzare un film si usava anche dividerlo per segmenti. E' la applicazione della grande sintagmatica, che si deve a Christian Metz nell'analisi del film Desideri nel sole di Jacques Rozier. Metz rivela delle difficoltà, la prima è quella di distinguere tra scena e sequenza. A parte le conclusioni a cui giunge Metz si può affermare che la sintagmatica appartiene a uno stato storico del linguaggio.
L'analisi esaustiva di un testo è sempre stata considerata come un'utopia, qualcosa che si può immaginare ma difficile da raggiungere nella realtà. Il desiderio di analizzare un film in modo esaustivo ha portato all'analisi di frammenti di film. La decisione di analizzare un singolo frammento è legata anche alla precisione per il dettaglio. Il frammento diventava l'oggetto ideale agevole da controllare. Molti critici considerarono il frammento come una sorta di campione, un po' come in chimica, a partire dal quale è possibile analizzare le caratteristiche della totalità da cui esso è prelevato. Ma quale frammenti scegliere di un film? Spesso si scelse l'inizio del film come se esso fosse matrice del film intero. Uno degli esempi più illuminanti è l'analisi di Roger Odin dell'entrata dello spettatore nella finzione per il film La scampagnata di Jean Renoir. Odin mostra e analizza non tanto il film in particolare quanto la trasformazione “dello spettatore di cinema in spettatore di film di finzione”.
In fondo il modello testuale non è mai stato applicato alla lettera. Tutte le analisi testuali di un certo valore hanno lasciato un effetto di “apertura”, in quanto ogni analisi presuppone anche un simbolico da dieci anni a questa parte si sono aperte anche altri tipi di analisi, come la psicoanalitica.
IL CINEMA TECNICA DELL'IMMAGINARIO
Per concludere il nostro discorso sull'analisi della narrazione dobbiamo per lo meno fare un piccolo accenno a Christian Metz, il quale, in “Cinema e psicanalisi” afferma: “il cinema è tecnica dell'immaginario” e in due sensi. In un significato letterale come afferma tutta una critica che raggiunge il suo apice con Edgar Morin, in quanto la maggior parte dei film è costituita da racconti di finzione e, in senso lacaniano per cui l'immaginario opposto al simbolico, ma in continuo rapporto e incastro con esso, indica l'illusione fondamentale dell'Io, “il marchio duraturo dello specchio che aliena l'uomo al riflesso di se stesso e ne fa il doppio del suo doppio”. In senso psicoanalitico la persistenza sotterranea del rapporto esclusivo con la madre, mancanza e inseguimento senza fine. Ciò è riattivato con lo specchio del cinema: protesi delle nostre membra disgiunte. Quindi per analizzare un film da un punto di vista narrativo non possiamo dimenticare l'immaginario, anzi esso è imprescindibile da ogni tipo di analisi sul film.
BIBLIOGRAFIA
“Il viaggio dell'eroe” Chris Vogler
“L'analisi dei film” Jacques Aumont e Michel Marie
“Analisi del film” Francesco Casetti e Federico di Chio
“Semiologia del cinem” Christian Metz
“Cinema e psicanalisi” Christian Metz
“Story” Robert McKee
Testo di Elisabetta Manfucci
corso in “Cine Formatore Tv 2”
Sviluppare e strutturare bene le prime 8/10 pagine di un racconto è fondamentale per catturare l’attenzione del lettore. In modo particolare se devono essere lette da un produttore cinematografico. Bisogna stabilire il genere, introdurre i personaggi principali, presentare una storia e la sua evoluzione. Il produttore ha poco tempo per leggere una storia lunga e completa e quindi se le prime dieci pagine lo seducono, avete vinto!
Avete lavorato duramente ad una idea - sia essa per il cinema o per la Tv - ed ora volete proporla in giro per le varie case di produzione. A questo punto vi sorge un dubbio: come presentarla? Quale sarà la forma migliore per fare colpo? Andando a spasso per le case di produzione italiane e straniere, mi sono resa conto che esistono dei criteri ben precisi per presentare il proprio materiale. A volte capita che ogni casa di produzione chieda che l'idea venga esposta in un dato modo, per questo motivo il consiglio che vi do è: domandare sempre, non fate mai di testa vostra se non volete incappare nel famigerato cestinamento! Posso aiutarvi fornendovi delle "dritte" (come diciamo a Roma), qui di seguito in modo schematico. A seconda della natura de l vostro prodotto: sia per la Tv o per il Cinema, potete seguir e le seguenti modalità, riconosciute dalla maggior parte delle case di produzione.
SERIE
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Una proposta per una serie-Tv dovrebbe includere la sceneggiatura completa di un episodio, accompagnata da:
- Descrizione dettagliata dei personaggi (il loro passato, come si comportano e reagiscono di fronte ai vari imprevisti della vita, le mo tivazioni che fanno da tirante nel corso della serie, il loro sviluppo nel contesto famigliare e professionale)
- Soggetto degli episodi
- Una lettera di presentazione con la descrizione dell'idea della serie in pochi paragrafi
- Il curriculum vitae dell'autore con il consenso al trattamento dei dati personali (Legge 675/96)
MINI-SERIE
(Tagli suggeriti da 2 a 6X100')
Una proposta per una mini-serie dovre bbe includere il soggetto completo de lla mini-serie e la sceneggiatura della prima puntata accompagnati dal seguente materiale:
- Schema delle story-lines delle puntate successive
- Lettera di presentazione con la descrizione dell'idea della mini-serie in pochi paragrafi
- Curriculum dell'autore con il consenso al trattamento dei dati personali (Legge 675/96)
SERIAL
(Tagli suggeriti: 13X100')
Una proposta per un serial dovrebbe in cludere il soggetto completo del seri al e la sceneggiatura della prima puntata accompagnati dal seguente materiale:
- Descrizione dettagliata dei personaggi
- Schema delle story-lines delle puntate successive
- Sinossi di una pagina di almeno sei puntate
- Lettera di presentazione con descrizione dell'idea del serial in pochi paragrafi
- Curriculum dell'autore con consenso al trattamento dei dati personali (Legge 675/96)
Note: Per Serial si intendono anche le So ap-opera e le Super-soap, tenendo pres ente la differenza del taglio e della collocazione nel palinsesto. Per questa tipologia di progetto si rende necessaria la stesura di una vera e propria Bibbia (come si chiama in gergo la descrizione completa dei personaggi e dell'ambiente, nonché lo sviluppo delle linee narrative del serial per la prima stagione e uno statement che indichi i temi fondamentali di conflitto).
TV-MOVIE
Una proposta per un Tv-movie dovrebbe includere la sceneggiatura accompagnata dal seguente materiale:
- Lettera di presentazione con la descrizione dell'idea in un paio di frasi
- Sinossi di una pagina
- Curriculum dell'autore con consenso al trattamento dei dati personali (Legge 675/96)
SIT-COM
Una proposta per una Sit-com dovrebbe includere la sc eneggiatura di un episodio accompagnata dal seguente materiale:
- Bibbia della Sit-com con descrizione dettagliata dei personaggi, dell 'ambiente in cui hanno luogo le vicende, story-lines degli episodi
- Lettera di presentazione con la descrizione dell'idea in un paio di frasi
- Curriculum dell'autore con consenso del trattamento dei dati personali (Legge 675/96)
CINEMA
Se volete presentare un'idea in campo cinematografico, dovete consegnare:
- Sinossi dell'opera in una pagina
- La sceneggiatura completa del film
- Lettera di presentazione con descrizione del film in un paio di frasi
- Curriculum dell'autore con consenso al trattamento dei dati personali. (Legge 675/96)
A cura di Elisabetta Manfucci
C'era una volta in America simbolo dell'avventura leoniana, epilogo del West: c'è chi ha visto la versione mutilata di due ore e trenta, chi quella ufficiale di tre ore e quaranta. Ma si è parlato poco di quei quaranta-cinquanta minuti mai apparsi in pubblico. Sono «Scene madri» omesse, tagliate dal montaggio definitivo, non senza dolore e recriminazione. Qui, Sergio Leone spiega per la prima volta che cosa rappresentano, perché non sono compresi nella versione cinematografica e quanto gli è costato dover eliminare, dopo averli girati, quel metri "in più" di pellicola.
TITOLO: Karma
DURATA: 50/55 minuti a puntata
GENERE: Telefilm
AUTORE: Elisabetta Manfucci
Seconda metà del XIII secolo, Roma. Una popolana di nome: Cristina Vanvitelli viene arsa sul rogo come strega. Il suo amante: Michele Rienna, un veneziano alla corte di papa Clemente IV come scultore, non riesce ad intercedere per lei. Si conclude così tragicamente il loro amore. Gli spiriti degli amanti si incarneranno di nuovo nel corso del tempo. Nel XVIII secolo, per esempio, Cristina è una giovane donna d'avanguardia. Scrive sul giornale lombardo: "Il Caffè" ed è molto apprezzata dai suoi giovani amici. A questi una sera si aggiunge: Demetrio, figlio del proprietario della caffetteria greca dove il giornale viene scritto. Scocca la passione. Un articolo di Cristina contro il malgoverno austriaco ne determina l'incarcerazione. Demetrio, grazie all'aiuto di alcuni amici, la trae in salvo, conducendola nel cuore della notte verso Parigi. Durante la fuga la carrozza viene assalita da un gruppo di briganti. Cristina muore. Gli spiriti degli amanti si incarneranno ancora, fino a giungere nel nostro tempo: 2003. Michele lavora come grafico presso il Gazzettino di Venezia. Durante una mostra fotografica conosce Cristina, giovane e promettente pilota d'aviazione. Michele e Cristina decidono di trascorrere una notte in un agriturismo toscano. Al termine del week-end tornano ognuno alle proprie attività. Riuscirà questa volta il loro amore a trovare un lieto fine?
Qui di seguito alcuni suggerimenti, tecnici e pratici, su come si scrive un soggetto per il cinema o la televisione. So, infatti, che non è facile trovare
questo tipo di suggerimenti. In Internet praticamente niente. In libreria: tomi, specie in inglese, di non agevole consultazione. Sperando di essere esauriente, vi auguro buona lettura.
Quali ingredienti servono per fare un soggetto?
1- Una scrittura accattivante e curata, tale da tenere inchiodato al tavolino anche il più "becero" dei produttori
2- Semplicità e chiarezza di esposizione
3- Il tempo presente indicativo, coniugato sempre alla terza persona
4- Il mostrare più che il chiacchierare
La formattazione
Se qualcuno di voi si sta chiedendo: ancora troppo teoria, io non so nemmeno come si imposta in Word un soggetto, eccolo accontentato. Impostare correttamente un soggetto, formattarlo con i suoi crismi, è doveroso. Il rischio è di venire cestinati in produzione. Ogni pagina deve essere composta da: trenta righe per sessanta battute. Cliccate quindi su: "File" (nella barra in alto del menù) e, scegliete la voce: "Imposta pagina". Scrivete i seguenti valori. Margine superiore e margine inferiore: 7 centimetri. Margine destro e margine sinistro: 4,5 cm. Ho provato talmente tante volte, che ora questi numeri li so a memoria! Vi do una piccola dritta per non perdere tempo. Inserite anche i numeri di pagina. Scegliete il tipo di Font, ovvero il carattere. Consiglio: "Courier New", 9 punti. Ecco pronto il vostro foglio di lavoro.
Lunghezza
Ma quanto deve essere lungo un soggetto? Per regola non deve superare le dieci cartelle, a meno che qualcuno non vi dia diverse disposizioni. Per esempio, il concorso “Premio Solinas - scrivere per il cinema” richiede ogni anno ai suoi partecipanti un soggetto di venti cartelle. All'opposto esistono dei concorsi per cortometraggi il cui soggetto deve essere racchiuso in una cartella. Ma la regola, di norma, esige che un soggetto cinematografico o televisivo non superi le dieci cartelle.
Tempo Presente
In quale tempo verbale scrivere un soggetto? Rigorosamente al Presente indicativo, in terza persona singolare. E' questo infatti il tempo dell'accadimento. Tutto ha luogo nel momento stesso in cui si racconta. E' il tempo della forza e vivezza d'immagine. Provare per credere. La terza persona, invece, offre distacco tra chi scrive e le vicende esposte. Il tutto deve essere piuttosto sobrio. Immaginate di essere un chirurgo in sala operatoria.
Posso metterci del mio?
Se qualcuno ancora crede che un soggetto sia lo spazio dove inserire commenti personali, come per esempio commenti sui personaggi, ironia di qualunque tipo o fazione, chiacchiere di vario tipo, si sbaglia di grosso. Si scrive solo la nuda e cruda storia. Attenzione però a come la scrivete. Niente di roman zato. Solo immagini. Non si scrive mai: Mario Rossi, impiegato al Comune, quarantacinque anni ben portati. Si scrive piuttosto: Mario Rossi, stringendo la sua logora valigetta di cuoio, impacciato nel suo cappotto grigio, varca la soglia del Comune. Si deve mostrare, non raccontare. Chi scrive per il cinema deve pensare per immagini. Non si fa narrativa. Quindi, per fare un altro esempio, mai scrivere: Mario pensa a sua moglie. Il pensiero non si vede. Scrivere piuttosto: Maria cava dalla tasca dei jeans sdruciti una foto. E' una donna giovane, pallida e bionda. Attenzione poi agli aggettivi. Che siano pochi ed essenziali. Un soggetto è poesia senza svelarsi.
Utilizzate poi sempre frasi secche e coincise. Molto brevi, quasi lapidarie.
Ma ancora non ho capito...
Ancora non avete capito cosa inserire in un soggetto? Anzitutto: dove si svolge la storia? Il luogo, qualunque esso sia. L'epoca, ovvero una data. Iniziate poi a mostrare la prima immagine, quindi la seconda, in modo che si amalgamino fino a formare una storia. Quindi i personaggi. Fateli entrare in scena come quando sbucciate i lupini. Desiderosi di farli mangiare. Fate capire le motivazioni dei personaggi, senza spiegazioni. Ricorrete sempre alle immagini.
Secchi e lapidari
Anche nell'intestazione. Dovete telegrafare il vostro soggetto. Pertanto, prima di iniziare a scrivere, ponete le seguenti diciture (riportate nell'esempio
successivo). Che siano poste: in alto, a sinistra, all'inizio del foglio. In grassetto, naturalmente.
Ed ora mi sembra opportuno mostrarvi un esempio di soggetto a questo link: KARMA.
Come si scrive un soggetto per il cinema? A cura di Elisabetta Manfucci
Se vogliamo imparare a scrivere una sceneggiatura, dobbiamo prima abituarci a guardare un film, un corto, uno spot, ... a guardare, a capire, ad immedesimarsi in quello che vediamo sul piccolo o grande schermo. Dobbiamo studiare, vedere e rivedere più volte il filmato, spezzettarlo nelle sue varie scene, per capirle, penetrarle, analizzarle...
Non soffermarmiamoci troppo sui movimenti di macchina, ma cerchiamo di capire la storia, la sua evoluzione, come viene presentata.. la narrazione, l'atmosfera creata, il tema prioritario, quello eventualmente nascosto o secondario, le parole dette, il rapporto che le lega ai personaggi, alle azioni, all'evoluzione della trama....
Cerchiamo di fare una critica, c'è qualcosa che non va? noi come l'avremmo scritta? avremmo usato altre parole? avremmo tolto delle parti? la parte iniziale, quella centrale e quella finale sono ben poste, il finale è giusto? o noi ne avremo scelto un'altro?
Come esercizio, potremmo provare ad immaginare un'altro inizio... od un finale diverso. Ma è altrettanto valido?
Come si scrive formalmente una scena di una sceneggiatura cinematografica (come di un corto). La formattazione di una sceneggiatura è fondamentale per una corretta lettura e interpretazione da parte dei professionisti del settore. Ecco una guida dettagliata su come scrivere formalmente una scena:
Che cos’è la sceneggiatura? E’ la storia, la narrazione del film tutta messa su carta. Già, ma come si fa? Iniziamo col chiederci chi è lo sceneggiatore? Posso io essere uno sceneggiatore?
Se sai raccontare una storia, direi di si. Se sai raccontare bene una storia, mettendoci qualcosa di tuo, certamente si. Il massimo è se sai anche inventare una storia, se la sai raccontare, se la completi con tanti particolari, e se sai scrivere in italiano senza errori. Che ci vuole, direte voi?
Provateci, vi rispondo…… e dopo un po’ vi ritrovo con una penna in mano davanti a dei fogli di carta bianchi od appena scarabocchiati. Io non sono uno sceneggiatore, ma forse vi posso dare alcuni suggerimenti.
Bisogna partire da un’idea. Già. Quante volte guardando la televisione, ascoltando un brano musicale, camminando per la strada qualcosa vi colpisce? In un modo particolare, ce l’avete lì, l'idea è vostra, ma poi il tempo passa e vi sfugge di mente…. A me un paio di mesi addietro è capitato di ascoltare un vecchio brano musicale (però non mi chiedete quale) … e l’immagine di un aquilone mi ha colpito. Un aquilone che vola nel vento, in alto, sempre più in alto, lontano, sempre più lontano con i suoi colori che svaniscono nel blu… lo vedi svolazzare e poi più nulla…. Chissà dove sarà ora…
Tutto in un attimo. Poi ho pensato ad altro. Più tardi, dopo un paio di giorni, mi è tornata in mente l’immagine dell’aquilone… L’immagine io la vedevo vera, davanti a me… e mi piaceva. Allora ho deciso di concretizzare quell’immagine. Naturalmente con una storia… che non avevo e dovevo costruirla attorno all’aquilone.
Non è semplice ricordare tutti gli abbinamenti e collegamenti che ho fatto (ho poca memoria…), non ho seguito un ragionamento logico, le associazioni mi sono venute così, naturalmente … aquilone, bambino, mani che stringono il filo, ampio spazio, cielo, tramonto, spiaggia, spiaggia quasi deserta, dune, il bambino che corre, io che corro da bambino, ricordo, ricordi lontani … uno che ricorda se stesso bambino, un adulto quindi che vede il bambino giocare con l’aquilone, la voglia di giocare anch’io, anch’io voglio giocare, come un bambino, mi sento rinascere bambino, prendo il filo dell’aquilone dalle mani del bambino, e corro, sulla spiaggia, felice come non mai… corro guardando l’aquilone che vola in alto, lontano, verso il sole che tramonta…. e sono sempre più felice…
Immedesimazione, ecco la cosa più importante che, secondo me, deve avere chi scrive. Vivere le immagini che si creano, viverle perché solo vivendole sono vere, reali, quindi trasportabili su carta… e poi su un filmato. Io sto pensando a questa mia storia... un giorno o l'altro la realizzo.... naturalmente con un corto.
Sottocategorie
Idee dalla realtà
Bisogna leggere per conoscere tutte le realtà che ci circondano ma che non ci toccano direttamente o di cui abbiamo solo una vaga idea.
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