♥ Cortometraggi
Lo so che non ci credete, ma alle volte è meglio avere poche idee ma buone: anzi è meglio se riduciamo al minimo i nostri obiettivi. Ma è davvero possibile? Innanzi tutto dobbiamo amare questo mestiere, pensare che fare film è la cosa più eccitante e divertente ed al contempo è sempre una grande sfida. Specialmente ora, quando la produzione e distribuzione dei film è diventata poco costosa. Quando riuscite a fare un film, la cosa più bella è anche vedere nei titoli di testa il vostro nome. Ma, di sicuro, non c'è solo questo. E soprattutto è indispensabile che abbiate le idee chiare sul vostro futuro. Quali obiettivi raggiungere?
Ma non dimenticate che per raggiungerli occorrerà pazienza, più tenacia quando le cose si mettono male, nelle avversità che sono sempre in agguato, e che non riguardano solo le difficoltà durante le riprese di un film...
Ma stringendo il discorso, ammesso che abbiate anche le idee chiare sui vostri obiettivi, ecco 5 suggerimenti che vi aiuteranno a gestire le idee per un film, ma anche le risorse economiche, per avere un quadro del vostro ideale futuro.
1. Prendete appunti, scrivete tre idee per un film che vorreste realizzare
2. Quanto denaro vi piacerebbe guadagnare?
3. Quanto denaro avete adesso?
4. Come pensate di procurarvi il denaro necessario?
5. Condividete il progetto con persone che possono contribuire al successo e condividono la vostra visione oppure vi circondate di persone che sono sempre negative?
Naturalmente queste potrebbero sembrare banalità. Però noi pensiamo che è sempre bene in qualsiasi attività porsi degli obiettivi e avere le idee più chiare prima di cimentarsi in una attività, difficile come quella di regista, di sicuro non guasta. Buona fortuna!
da farefilm.it
Se vogliamo affrontare il mondo del cinema, sia esso lungo che breve, dobbiamo inizialmente porci una semplice domanda. Cos'è il Cinema? Semplice domanda ma con una risposta variamente articolata, che comprende anche i Cortometraggi, naturalmente.
Stabilire quale sia la natura specifica del cinema è stato un problema affrontato pressochè da tutti, prima o poi. Ed ogni volta si sono avute risposte diverse che spesso non ci hanno dato in forma univoca la natura specifica di questa arte.
Noi cerchiamo oggi di dare un risposta, invece, affrontando la domanda in senso contrario: Cosa non è il cinema?
Quali sono i prodotti artistici che si pongono in relazione al cinema? Poesia, racconto, romanzo, quadro, fotografia, scultura, musica, teatro. Analizziamoli.
Il cinema non è la letteratura? non è romanzo? non è racconto? non è poesia? Hanno una cosa in comune: le parole. Anche se il cinema delle origini è nato senza parole, oggi, nella stragrande maggioranza dei casi usa le parole. Anche se in modo diverso. Dalle parole di un romanzo, di un racconto o di una poesia ciascuno di noi trae ispirazioni diverse, trae immagini diverse. Il cinema invece fa vedere tutto per immagini. Se in letteratura non viene descritta minuziosamente l'immagine, ciascuno può immaginare ciò che gli è più consono: una donna, un ambiente, un paesaggio, .... Se nel cinema viene fatta vedere una donna, con tutte le sue caratteristiche fisiche noi non possiamo cambiarle di testa nostra.... Nel cinema l'immagine è unica, universale, non modificabile a piacimento.
Il cinema non è pittura, scultura o fotografia. Queste sono sì immagini, ma solo fisse, statiche; la scultura è tridimensionale mentre pittura e fotografia sono bidimensionali. Il cinema ci offre il movimento in uno spazio: lo spazio potrebbe essere fisso, ma con la successione delle immagini il cinema crea movimento. Pensiamo per esempio ai cartoni animati. Sono disegni o fotografie fisse che, però, con la successione del cinema di offrono il loro movimento.
Il cinema non è musica. E' anche musica, musica sono le parole pronunciate, musica sono l'output degli strumenti musicali e non. Il cinema è anche rumore. Il cinema non è solo musica d'accompagno o di sostegno a ciò che viene pronunciato o visto o immaginato.
Il cinema non è teatro. Il cinema è uno schermo bidimensionale, anche se tecnicamente abbiamo il 3D, il teatro è veramente tridimensionale col suo palcoscenico. Hanno entrambi un testo di base od una sceneggiatura; hanno attori che recitano, hanno una regia, tecnici che preparano e seguono l'andamento dell'opera. Ma il teatro è ogni sera diverso, ogni sera non è mai identica alla serata precedente, non può esserlo: possono cambiare alcune parole, i movimenti, le sensazioni provate. Simili sì, ma mai perfettamente uguali alla serata precedente come è invece per il cinema.
Mentre a teatro per cambiare visuale devi cambiare posto, ma più di tanto non cambia, e per vedere dei particolari puoi usare solo un binocolo, nel cinema ricevi solo quella che è la visuale e la realtà del regista: inquadrature, particolari, movimenti, recitazione.
A cosa miriamo con tutto questo discorso? ad uno spunto di riflessione di tipo generale, a risposte complessive che devono racchiudere parole, stati d'animo, idee, azioni, ritmi... cioè la valorizzazione di ogni componente del film o del cortometraggio che andiamo a vedere o che ci accingiamo a realizzare. Dobbiamo sapere che il cinema è collegato alle altre arti, dobbiamo conoscerne le differenze, in modo da poter trarre da tutte spunti utili per la nostra crescita culturale in generale e cinematografica in particolare.
I primi cortometraggi realizzati non dovrebbero avere una durata superiore ai 10/20 minuti. Girare un film è estremamente difficile, di qualunque lunghezza sia. Fai in modo che il corto sia il più breve possibile, soprattutto se sei agli inizi. Girare un cortometraggio di alta qualità, carico di tensione, drammatico e avvincente dalla durata di 3 minuti è una vera e propria impresa. Prima di poter produrre un capolavoro di genere gangster dalla durata di 45 minuti con una sparatoria al rallentatore, impara a girare buoni cortometraggi. Guarda dei cortometraggi. Prima di entrare nel mondo del cinema, devi vedere numerosi film e corti.
Proprio come non dovresti provare a scrivere un romanzo senza sapere da dove iniziare, prima di metterti all'opera è importante capire i meccanismi dei cortometraggi e di quello che ti serve per creare un buon lavoro. Un corto non è solo una versione più breve di un film tradizionale: è un mezzo unico e a se stante, con diversi trucchi e tecniche. Guardane alcuni, anzi molti prima di realizzarne uno tutto tuo.
YouTube e Vimeo sono ottime fonti per trovare cortometraggi, sia buoni che cattivi. Informati per sapere se nella tua zona vengono organizzati festival (è più comune nelle città più grandi) per guardare dei corti recenti.
Anche i video musicali rappresentano una tipologia interessante di cortometraggi con cui probabilmente hai già familiarità. Guarda attentamente i tuoi videoclip preferiti per capirne la composizione e studiarli da vicino. Dai un'occhiata a quelli di Spike Jonze, Hype Williams e Michel Gondry, veri maestri contemporanei di questa arte.
Disegna dei bozzetti per rappresentare graficamente la storia. Lo schema visivo del cortometraggio non deve essere formale o suddiviso in vignette numerate (anche se puoi farlo in questo modo, se lo preferisci). Le storyboard solitamente ti aiutano a farti un'idea delle riprese che dovrai realizzare successivamente, e ti offrono una rappresentazione visiva in stile fumetto mentre scrivi il cortometraggio. Fai un bozzetto veloce di quello che succederà concretamente nella storia e dei dialoghi basilari.
Il cinema è un mezzo visivo che permette di raccontare storie, quindi non basarti unicamente sui dialoghi, per farlo. Nei racconti di qualità, la storyboard deve indicare esplicitamente la storia esterna, mentre quella interna dovrebbe essere implicita.
Scrivi una sceneggiatura. Quando avrai definito gli elementi di base della storia e ne sarai soddisfatto, puoi occuparti di tutto il resto realizzando una sceneggiatura precisa, con tutti i dialoghi e le indicazioni di scena che vuoi includere nel cortometraggio. Cerca di renderla il più specifica possibile, in modo che anche una persona esterna sia in grado di girare il corto e vedere quello che vedi tu.
Lasciati sorprendere. Probabilmente ti sei fatto un'idea della direzione che vuoi dare alla storia, ma, mentre la scrivi, cerca di lasciare spazio alle sorprese. Se ti fissi su un percorso specifico per il cortometraggio, potrebbe risultare poco sorprendente e piuttosto banale anche per il pubblico. Durante la fase di scrittura, cerca di percorrere nuovi cammini, anche se non ne sei sicuro. Lascia che succedano degli incidenti felici e seguili per arrivare ad altre conclusioni, più interessanti. È così che vengono scritte le storie più belle.
Francis Ford Coppola ha girato il sequel de I ragazzi della 56ª strada, intitolato Rusty il selvaggio, scrivendo gradualmente la sceneggiatura. Infatti, scriveva le scene poco prima che venissero girate. Nessun attore aveva la più pallida idea di che cosa sarebbe successo, e questo dava un tocco spontaneo e sperimentale al film.
Richiedi critiche costruttive. Una volta che avrai scritto la sceneggiatura, mostrala ad amici o a persone che condividono il tuo amore per il cinema e che siano in grado di muoverti delle critiche costruttive. Ascoltale e cerca di correggere il più possibile la sceneggiatura. Alcuni cineasti ci lavorano per anni, e poi la produzione stessa dura diversi altri anni. Non a caso fare un film è un processo lungo.
Cerca di mostrare la sceneggiatura anche a potenziali collaboratori, ovvero attori, produttori e possibili registi. Proponila a persone in grado di aiutarti.
Conserva le idee in una cartella. Non tutte le idee funzioneranno per un certo cortometraggio. Crea una cartella in cui riporre quelle che non usi e lasciare che si trasformino in sceneggiature future. Alcuni cineasti hanno un'idea e non la convertono in un film per decenni. Si è discusso della possibilità di girare Gangs of New York di Scorsese per più di 30 anni. Metti da parte le idee per quei momenti in cui potrai lavorarci su. Organizza questi piccoli abbozzi in base ai seguenti criteri:
Personaggi.
Ambientazioni.
Trame.
Struttura.
Consigli:
Crea una cartella per conservare le idee per i film.
La storia dovrebbe essere semplice.
Sebbene il cortometraggio sia un mezzo visivo, dovresti pensare al suo collegamento con l'aspetto sonoro.
Sii paziente. Non è facile trovare buone idee. Prova e riprova.
I cortometraggi di animazione sono i film dal budget più basso che ci sia e sono facili da creare individualmente. Puoi usare Blender, un software per animazione completamente gratuito.
Se hai bisogno di attori, chiama i tuoi amici, affiggi dei volantini per le audizioni o cercali online.
Divertiti. Chiedi ai tuoi amici di recitare, usa una sedia da regista e parla con un megafono. Anche questo è parte del divertimento.
Definisci i ruoli dei personaggi e non cambiarli.
Da it.wikihow.com
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Avete realizzato un film e nessuno vi ha filati di striscio? Avete proiettato la vostra pellicola in qualche festival e tutto ciò che avete avuto è stato solo qualche sbadiglio? Ecco alcuni errori che potreste aver fatto secondo il grande produttore Dean Silvers: LA VOSTRA STORIA NON È INTERESSANTE! Ogni anno vediamo sempre le medesime storie: famiglie disfunzionali, difficoltà sentimentali, coming of age con tizio che lascia la piccola provincia per la grande città, etc etc. Non che siano necessariamente brutte idee, ma sono state già realizzate infinite volte. Questi film funzionano per via dei soldi delle major e la partecipazione di attori famosi, ma voi non avete né l'uno né l'altro. Quindi, impegnatevi tantissimo per escogitare una storia originale e intrigante!
IL VOSTRO CAST NON COMUNICA NULLA
Solitamente, il pubblico generalista capisce poco o nulla del reparto tecnico esibito in un film. Di certo, però, ha sempre qualcosa da dire sugli attori. Per questo motivo, il casting diventa di vitale importanza: non scegliete necessariamente l'attore più bello, bensì quello che potrebbe rimanere in testa allo spettatore per qualche sua particolarità: un carisma fuori dal comune, una bravura mostruosa, una presenza scenica invidiabile.
LA VOSTRA FOTOGRAFIA È NOIOSA
Ogni anno vediamo centinaia di film e cortometraggi il cui impatto visivo è pressoché il medesimo. Colpa di una fotografia assolutamente standard, scolastica, banale e stravista. Scovate molto attentamente il vostro direttore delle luci, cercate ovunque, anche su internet, e trovate una persona che sappia valorizzare al meglio le vostre idee.
SIETE ARROGANTI
Molti giovani registi di oggi partono dal presupposto di essere già i nuovi Scorsese o Spielberg. Film di cineasti sconosciuti che si definiscono super autori, mettendo il loro nome in bella vista durante i titoli di testa o il trailer. Nessuno vi conosce, perché alle persone dovrebbe importare che il vostro nome sia in primo piano? L'ego porterà sempre danni alla creatività, bisogna essere perennemente aperti alle critiche altrui. Questo non significa perdere confidenza nel proprio lavoro, ma semplicemente rimanere umili.
IL SONORO DEL VOSTRO FILM È SCARSO
Un problema gravissimo, reso ancora più stupido dal fatto che solitamente si tratta di problemi facilmente aggiustabili. Se il vostro film fa visivamente schifo ma ha un ottimo sonoro, le persone potrebbero semplicemente pensare di non concordare con la vostra scelta estetica, ma se il film è visivamente bellissimo ma ha un pessimo sonoro, le persone penseranno che non siete professionisti. Il sonoro è la prima prova da superare per dimostrare che sappiate veramente fare il vostro mestiere.
LA VOSTRA STORIA NON È INTERESSANTE
Ogni anno vediamo sempre le medesime storie: famiglie disfunzionali, difficoltà sentimentali, coming of age con tizio che lascia la piccola provincia per la grande città, etc etc. Non che siano necessariamente brutte idee, ma sono state già realizzate infinite volte. Questi film funzionano per via dei soldi delle major e la partecipazione di attori famosi, ma voi non avete né l'uno né l'altro. Quindi, impegnatevi tantissimo per escogitare una storia originale e intrigante!
di Pierre Hombrebueno per farefilm.it
Trova una buona ambientazione. In un cortometraggio, questo passaggio costituisce in parte una preoccupazione pratica e in parte una preoccupazione collegata alla trama. Le buone ambientazioni creano tensione e conflitto da sole, ma difficilmente avrai la possibilità di volare fino alle Bermuda per girare una scena in spiaggia. Trova un posto in cui ambientare la storia che si adatti bene a quello che vuoi raccontare, ma che sia anche disponibile.
- Cerca di trarre il massimo da quello che hai. Se sai che dovrai girare nella casa dei tuoi genitori, sarebbe difficile creare un film di fantascienza in giardino e in cantina. Invece, cerca di pensare a una storia che tu possa ambientare nella tua città e che avrebbe senso per il contesto. Pensa a cortometraggi che possano svilupparsi in una casa della cittadina in cui vivi. I racconti adatti alla propria ambientazione funzionano decisamente meglio.
Cerca un conflitto. Le storie ne hanno bisogno per appassionare il pubblico. Che cosa attirerà l'attenzione degli spettatori e li coinvolgerà affinché seguano con interesse il cortometraggio? Che cosa vuole il protagonista? Che cosa gli impedisce di ottenerlo? Le risposte a queste domande alimentano la fonte del conflitto. Una volta che avrai contestualizzato l'idea originale, inizia a concentrarti sugli aspetti che generano il conflitto nella storia e individua il modo di sbrogliarlo.
- Il conflitto non deve implicare una sparatoria o una lotta corpo a corpo. Non hai bisogno di elementi particolarmente drammatici per dare intensità a una storia. Essa deve infatti presentare un conflitto reale tra i personaggi e avere peso emotivo. Se un ragazzino porta a casa un alieno, in quali problemi pensi che si imbatterà? Quali rischi corre? Perché mai il pubblico si interesserebbe a un gruppo di bambini dell'asilo che dipingono?
- Individua la storia interna e quella esterna. Le azioni concrete rappresentano la storia esterna: un personaggio fa qualcosa e ciò ha delle conseguenze. Un cortometraggio diventa però avvincente grazie alla storia interna. Come cambia il personaggio in seguito alle sue azioni? Che cosa significano per lui? Un buon corto, o qualsiasi altro tipo di storia, deve avere entrambi questi elementi, che dovrebbero verificarsi simultaneamente.
Scrivi una storia semplice. Limita il più possibile il raggio della storia. Girare un cortometraggio significa raccontare una storia ridotta all'osso, un racconto, non un romanzo. Questo non vuol dire che il corto non possa essere ambizioso e poco convenzionale, ma bisogna lavorare con un numero limitato di elementi, personaggi e scene per ottenere un buon risultato.
- In alternativa, potrebbe essere divertente accogliere la sfida di girare una storia particolarmente lunga o complicata condensandola in un cortometraggio. Se Guerra e pace venisse trasformato in un corto di 10 minuti, come sarebbe il risultato finale? Con le attrezzature che hai a disposizione, come comprimeresti in 10 minuti tutti e 6 i film della saga di Guerre stellari? Come ci riusciresti?
Stai attento ai cliché più comuni collegati ai cortometraggi. Come succede con qualsiasi forma d'arte, il mondo dei cortometraggi non è esente di idee strausate e storie stereotipate. Se non ne hai mai girato uno prima d'ora, avrai un netto vantaggio competitivo evitando certi elementi [5]. Ecco i cliché da cui tenerti alla larga:
- Un personaggio è solo, si specchia, parla a sé stesso e si suicida.
- I generi inflazionati nei cortometraggi, come il noir e il genere gangster.
- Qualsiasi storia che implichi l'intervento di un sicario.
- Due personaggi che discutono di un argomento, per poi scoprire che in realtà si tratta di un unico personaggio, affetto dal disturbo di personalità multipla.
- Un cortometraggio che inizia con la telecamera puntata su una sveglia che suona e con il protagonista che si alza dal letto.
Da it.wikihow.com
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“Hanno detto che ‘La grande bellezza’ è un capolavoro, mentre io la definisco ‘La grande bruttezza’ “. E’ emblematica la presa di posizione di un noto regista parmigiano che in una frase, andando oltre la sua incisività, richiama una tematica sempre attuale nel mondo del cinema: il confronto tra il giudizio della critica e quello del pubblico, spesso opposti tra loro. Capita non di rado che grandi capolavori osannati dagli ‘addetti ai lavori’ non rispondano poi alle aspettative della platea delle sale cinematografiche e viceversa. Come orientarsi, dunque, in questo difficile testa a testa, con cui anche la figura del regista deve misurarsi, quando poi all’interno stesso di chi deve esprimere una valutazione vi sono differenti parametri per dare un parere su una pellicola? Si pone necessaria un’ulteriore domanda: i critici seguono criteri oggettivi per valutare un film oppure anche loro seguono il personale punto di vista?
PER UNA CRITICA OGGETTIVA - “Esistono dei criteri oggettivi perché l’estetica cinematografica ha delle regole, quindi sicuramente esiste un’oggettività. Poi il critico la reinterpreta anche attraverso la sua sensibilità, la sua cultura e le sue esperienze”. Risponde così Filiberto Molossi, critico cinematografico per la ‘Gazzetta di Parma’ che interpreta il suo lavoro come “una sorta di osmosi”.
Di simile avviso è anche Roberto Campari, professore di Storia e critica del cinema dell’Università di Parma: “Sebbene tutti si sentano in grado di giudicare un film, come una partita di calcio, esistono dei criteri oggettivi”. Il punto, secondo il docente, è cercare di superare le attinenze col proprio modo di pensare, la personale visione della pellicola, tentando di calarsi all’interno dell’opera. Per quanto concerne la scelta dei parametri “guardo soprattutto due cose: la coerenza e lo stile, cioè quanto l’autore è riuscito ad esprimere ciò che si proponeva e, soprattutto, quali mezzi ha usato per farlo“. In questo, conclude Campari, “diventa fondamentale la cultura, sia quella specificamente cinematografica sia quella generale”.
Normalmente i criteri da seguire per recensire un film sono prestare attenzione alla solidità della sceneggiatura, allo stile e alle capacità del regista, al montaggio delle riprese e come esse sono girate, senza tralasciare un’analisi del cast degli attori: tutti giudizi apparentemente oggettivi.
QUANDO L’IO DOMINA - Tuttavia, se si prova a guardare dall’altra parte della barricata, quella di chi crea il film, le cose cambiano. Secondo il regista parmigiano Francesco Barilli la presenza della soggettività è un elemento determinante e a predominare è il gusto personale del critico. Tale visione reca degli effetti pesanti, sia per la valutazione della pellicola ma sopratutto per l’impatto sul pubblico: “Ci sono dei film che sono stati distrutti dalla critica, mentre poi negli anni sono risultati essere dei capolavori. Inoltre la gente è ormai abituata a leggere le critiche negativamente a tal punto che se un soggetto recensisce un film in modo positivo la gente non lo va a vedere perché dice ‘è una cagata’”. Ma se “non c’è dubbio”, come ribadisce Barilli, che la soggettività regni sovrana, come ridurla quando si è chiamati a esprimere un’opinione a livello generale calandosi nei panni di giudici? “E’ una cosa molto personale – riprende il regista, il quale è stato anche presidente di un concorso cinematografico in Spagna -. I criteri che io adotto nel giudicare un film sono la fotografia, la regia, l’attore, la storia“.
CRITICO VS PUBBLICO – Il vero motivo della diversa visione di giudizi tra critici e pubblico, secondo Barilli, è semplice: “I critici sono persone che hanno studiato cinema, o comunque amanti del cinema. In sostanza, gente che sa di cinema“. Non è un commento denigratorio sul pubblico, ci mancherebbe, tuttavia è innegabile che, in mancanza di una conoscenza specifica, questo si basi moltissimo sulle emozioni, come confermano Rebecca e Serena, due ‘spettattrici tipo’ interpellate sul tema proprio all’ingresso di una sala cinematografica: “Guardo se l’attore mi trasmette qualcosa o se il genere mi piace”. Sentendo altri pareri del pubblico, tra la fine di una proiezione e l’inizio di un’altra, c’è poi chi si fa conquistare maggiormente dagli effetti speciali, dall’interpretazione del cast, dalla storia. Anche tra loro, tutti concordano però sul fatto che dei criteri oggettivi per valutare un film esistano. “Ci sono sicuramente dei parametri oggettivi, se un film è fatto male si vede”, afferma Manuele. “Dipende anche dalla persona che lo vede”, aggiunge però Carlotta, secondo la quale il giudizio è mediato tra criteri oggettivamente stabiliti e la personalità dello spettatore.
LA MEDIAZIONE DEL CRITICO E L’INFLUENZA DEL WEB - Al di là di un contrasto che forse è linfa stessa della cinematografia, la funzione del critico al giorno d’oggi rimane comunque importante, seppure l’arrivo della Rete abbia creato un grosso vuoto di conoscenze affidabili. “Internet è un grande bacino e spesso, se si vuole andare a vedere un film, non si vanno a leggere le rubriche dei grandi quotidiani quanto invece siti come ‘MyMovies’ – spiega il professor Michele Guerra, docente di Teoria del Cinema all’Università di Parma -. La rete ha creato una situazione in cui, senza aggiungere valore o aggiungendone relativamente poco alla crescita di un discorso critico, crea una forte incidenza sui comportamenti del consumatore. Il ruolo della critica oggi è ancora forte ma diventa difficile essere sicuri di quello che si legge. La rete è il luogo dell’incertezza perpetua”. Ecco che entra però in scena il valore testimoniale del critico che, equilibrando le sue conoscenze con i suoi gusti, riesce a creare una riflessione sulla pellicola. Secondo Guerra esiste un “perimetro di oggettività” che racchiude determinati aspetti condivisi, entro il quale ci si deve muovere per procedere alla critica. “Tuttavia - aggiunge il docente- spesso il colpo di genio del critico sta nella soggettività che riesce a dare quel qualcosa in più che permette di identificare il proprio gusto con quello del critico o incendia un dibattito su discorsi più ampi. Il critico è un mediatore tra il pubblico e l’opera. Più questa mediazione è ‘corta’ più il rapporto è diretto, più la mediazione è ‘lunga’, per cui si pone tra lo spettatore e l’opera una serie di filtri culturali che non tutti riescono a decodificare, allora lì le distanze si creano”.
LE GIURIE DEI GRANDI PREMI – Ma entrando nei meccanismi che sanciscono la gloria delle pellicole premiate dalla critica, come funzionano concorsi importanti come gli Oscar, i Golden Globes, o i David di Donatello? Spesso criticati nei loro giudizi, seguono comunque delle richieste molto precise.
Per la selezione dei film, gli Oscar sono divisi in 15 categorie ognuna delle quali rappresenta una diversa disciplina della produzione cinematografica. La ‘scrematura’ dei film è soggetta a critiche già a partire dal fatto che le nomination possono essere votate solo da coloro (registi, attori, montatori, sceneggiatori, e via dicendo) che sono iscritti all’Academy: questo potrebbe sfavorire molte pellicole interessanti, avvantaggiando i ‘soliti noti’. Vengono inoltre presi in considerazione solo i film proiettati per almeno una settimana in una o più sale cinematografiche della contea di Los Angeles.
Il Golden Globe, invece, è un riconoscimento annuale dedicato ai migliori film ed ai programmi televisivi della stagione. La consegna dei premi avviene solitamente con poco meno di due mesi di anticipo rispetto a quella degli Oscar dei quali ha, per così dire, una funzione orientativa. Ma come per gli Oscar, il punto critico è la ristretta giuria: i Golden sono assegnati da un’associazione di circa novanta giornalisti della stampa estera iscritti all’Hfpa (Hollywood Foreign Press Association) che ha come requisito la residenza degli stessi nella medesima città.
PRESSIONI E NON – Oltre all’individuazione dei criteri e all’ardua selezione che sta dietro ai più importanti riconoscimenti a livello mondiale, un’altra scottante questione legata al mondo della critica cinematografica è l’ingerenza economica, seppur indiretta. Ma fino a che punto può arrivare? Per fare una buona o cattiva pubblicità ad una pellicola un critico potrebbe essere pagato dalla casa cinematografica? “Spero proprio di no – risponde Molossi – anche se non si può escludere, tutto è possibile a questo mondo. Bisogna anche tenere presente che al giorno d’oggi il critico non ha il potere di muovere le masse come in precedenza”. Eppure una certa forma di pressione per spingere su determinati film a scapito di altri viene applicata settimanalmente dalle case di distribuzione sui direttori delle sale cinematografiche. “E’ frutto di accordi, sostanzialmente. Il cinema mono-schermo è sicuramente penalizzato perché il potere è nelle mani della casa di distribuzione che impone alla sala una pellicola e anche il periodo di tempo che deve restare in cartellone – spiega Molossi -. Il rapporto di forza invece si rovescia nel caso dei multisala che hanno un potere maggiore sulla scelta dei film da proiettare. E’ un gioco complesso”.
Alla fine dei giochi, i più penalizzati, in questo senso, sono i registi emergenti che non hanno alle spalle importanti case di distribuzione o che devono fare i conti con la precedenza dei grandi film, “senza contare che il mercato italiano è penalizzante per gli emergenti mentre negli altri Paesi c’è un po’ più di protezione”, conclude Molossi.
Di Silvia Moranduzzo e Jacopo Orlo da parmateneo.it
Prova a filmare la vita vera. Chi ha mai detto che un cortometraggio debba trattare solo di argomenti fittizi? Se vuoi girare un corto, potresti ispirarti al mondo che ti circonda e creare un documentario. Cerca un festival di musica in zona e chiedi al responsabile se puoi riprendere delle interviste con le band. In alternativa, prova a riprendere i tuoi amici sportivi mentre si allenano per una partita. Individua una storia interessante che si sta sviluppando proprio accanto a te e richiedi il permesso di imprimerla su pellicola.
Tieni un diario dedicato ai sogni. Le attività oniriche possono offrire una valida ispirazione per un corto, specialmente se hai un debole per le stranezze e l'inspiegabile. Se vuoi cercare delle idee nei sogni, lascia che la sveglia suoni nel cuore della notte, poi apri gli occhi e annota velocemente la trama. I sogni possono essere una ricca fonte di ispirazione da cui trarre immagini, avvenimenti bizzarri e dialoghi per cortometraggi.
- Di che cosa hai paura? Un bel sogno inquietante può essere una grande fonte di ispirazione per un corto horror. Quando scrivi la sceneggiatura e fai le riprese, prova a riprodurre le stesse sensazioni dei sogni più bizzarri. Per ispirarti, guarda la serie di cortometraggi intitolata Rabbits, di David Lynch.
Adatta un'idea che avevi concepito per un film dalla lunghezza classica. Non c'è motivo per cui tu non possa rielaborare dei concetti creati per un film tradizionale allo scopo di girare un cortometraggio. Potresti adeguarlo prendendo una scena, un tema o un personaggio.
- Ecco alcuni buoni esempi di sinossi:
- Un ragazzino trova un piccolo alieno in un campo e lo porta a casa.
- I bambini di un asilo iniziano a dipingere strane immagini all'uscita da scuola.
- Ecco dei cattivi esempi di sinossi:
- Un uomo lotta contro la depressione.
Gli abitanti di una cittadina si ritrovano ad affrontare una serie di eventi misteriosi.
- Un uomo lotta contro la depressione.
Pensa in maniera pratica. Considera quello che hai a disposizione e come potresti adoperarlo. Fai una lista di tutti gli accessori di scena, i posti e gli attori disponibili nella tua zona, e valuta come potrebbero aiutarti a creare una storia valida sin dall'inizio. Magari quel tuo amico che fa boxe tre volte alla settimana potrebbe ispirarti a realizzare una storia interessante su quel mondo [3].
- Assicurati di poter girare il corto. Quando realizzi un film indipendente e lavori senza l'appoggio di uno studio e grandi finanziamenti, le attrezzature e i set sono scarsi. Insomma, sarà difficile girare un'opera di fantascienza nella cantina di tua madre. Assicurati di poter filmare le scene necessarie per il cortometraggio che vuoi realizzare. Esempio: vuoi fare una ripresa con gru per mostrare i paesaggi di una metropoli, il problema è che vivi in una piccola città e non hai i soldi o gli equipaggiamenti necessari per riuscirci. In una situazione del genere, sii concreto. Non avere pretese irrealistiche: lavora con quello di cui disponi.
Cerca un protagonista e un antagonista. Ogni storia ha un personaggio principale e un nemico, il cui obiettivo è quello di dare luogo a un conflitto e provocare tensione. Se non sei sicuro del ruolo dei personaggi, è importante pensarci con cura per sviluppare la storia, in modo da permettere al pubblico di capire immediatamente in chi rispecchiarsi e perché [4].
- Un protagonista è il personaggio per cui il pubblico fa il tifo, quello con cui si creano una certa empatia e connessione emotiva.
- Un antagonista è il personaggio, la situazione o l'ambientazione che si pone in netto contrasto con il protagonista, creando tensione. Un antagonista non necessariamente deve essere un cattivo che si arriccia i baffi, può anche essere una situazione difficile o qualcosa di astratto.
Da it.wikihow.com
Vai a: Come Farsi Venire delle Buone Idee per un Corto (1) - Vai a: Come Farsi Venire delle Buone Idee per un Corto (3)
Forse il cinema è la tua più grande passione e sogni di stare un giorno dietro la cinepresa? Se vuoi prendere in mano una telecamera ed iniziare a girare un cortometraggio, prima ti serve trovare, immaginare e scrivere una storia fantastica da raccontare. Devi liberare il tuo lato creativo ed iniziare a scrivere a scrivere qualche appunto. Provando e riprovando, arrivi a scegliere una bella storia e poi a trasformarla in una sceneggiatura che ti permetterà di girare un bel corto.
Come fare? è molto difficile?
Devi partire da una frase, da un'immagine che ti ha colpito, un oggetto strano e forse inutile. Ogni storia ha bisogno di un inizio e di una crescita. All'inizio, tutto quello che devi fare è concentrarti sulla tua idea, studiarla, darle un significato e dove ti porta la tua immaginazione. Si trasformerà in un bel cortometraggio? Forse sì, forse no. Non lo possiamo dire subito. Devi solo iniziare a scriverla, non solo pensarla. Non preoccuparti della coerenza della storia, forse la sua incoerenza potrebbe darti la validità per realizzare un buon cortometraggio. Inizialmente sei solo in cerca di una idea. Ripetiamo, se non la scrivi non saprai se potrebbe essere valida, ma forse solo così individuerai se hai tra le mani un qualcosa di potenziale che potrebbe trasformarsi in una buona sceneggiatura.
Eccoci nuovamente coi nostri consueti consigli per aspiranti e giovani film-maker in erba (e con poco budget a disposizione), stavolta suggeriti dal sito Premium Beat, articolo di Pierre Hombrebueno.
NON GIUDICATE LE LOCATION DA SOLI
Alcuni luoghi potranno anche piacervi moltissimo, ma potreste non avere le competenze per capire fino in fondo quanto siano effettivamente utilizzabili, pratici o filmabili. Quindi, portatevi l'essenza della crew con voi, ovvero l'addetto al sonoro e il direttore della fotografia. Loro sono gli esperti di queste cose più pratiche, ascoltate cos'hanno da dire in proposito.
SAPPIATE USARE GLI OGGETTI PRATICI
Ok, sognate la gloria e tutte le strumentazioni possibili, come magari i binari per le carrellate o lo steadicam. Eppure, per adesso non avete un briciolo di soldi, e quindi dovete escogitare delle soluzioni decisamente più economiche. Mai sentito dei carrelli girati in skateboard o con carrelli della spesa?
CREATE MOVIMENTO SENZA MOVIMENTO
E qua, si va veramente alla vecchia scuola. Avete tipo bisogno di una scena ambientata in una macchina che si muove ma le strade non vi appartengono? Allora imparate a dare l'illusione del movimento tramite la cinepresa e gli effetti della fotografia. Non necessariamente in maniera così fake come nei film classici hollywoodiani: oggi, credeteci, creare il movimento fittizio è diventato molto più abbordabile!
SFRUTTATE LA LUCE NATURALE
Le luci artificiali costano, e voi potreste non avere il budget per permettervelo. Così, assieme al vostro direttore della fotografia, trovate le soluzioni più idonee per sfruttare la luce naturale. Non necessariamente quella degli esterni, ma anche la luce che trapela dalla finestra per gli interni. Con la giusta angolazione, potrebbero uscire fuori degli effetti niente affatto male.
TUTORIALIZZATEVI
Youtube ormai abbonda di tutorial per poter ricreare qualsiasi effetto a basso costo. Vi serve la pioggia ma non volete affidarvi al caso delle previsioni meteo? Oggi è possibile fare una finta precipitazione a soli 15 dollari. Insomma: chi cerca trova. E risparmia!
dal sito: farefilm.it/tecniche-e-tecnologie
E così, hai deciso di lasciare il tuo lavoro e avventurarti nell'eccitante mondo del lavoro indipendente, dove hai tutto il tempo libero che vuoi, puoi decidere il tuo orario di lavoro e la vita è sempre bella? O almeno così sembra mentre siedi alla tua scrivania finendo di scrivere la tua lettera di dimissioni. È vero, ci sono molti vantaggi nella vita del lavoro indipendente. Tuttavia, non è per i deboli di cuore, visto che porta con sé tutta una serie di nuove lotte. Ryan E. Walters ci offre qui di seguito ben 7 suggerimenti su come aver successo nel mondo del lavoro indipendente, in modo che queste difficoltà siano ridotte e più facili da affrontare.
1. Conosci il tuo budget e prepara dei risparmi
Calcolare sempre il costo giornaliero. Sapere al centesimo quanto devi guadagnare ti permetterà di ideare realisticamente un piano d'azione. Oltre a conoscere l'ammontare del tuo budget minimo, raccomando almeno 3-6 mesi di risparmi. Non solo questo ti aiuterà quando il lavoro scarseggia, ma ti darà la sicurezza necessaria a dire "no" a certi lavori. C'è una montagna di lavori pagati poco o niente in questo giro, e ci sono altrettanti tizi ansiosi di un'opportunità di entrare nel ruolo. Ma questo non significa che questi progetti siano buoni, o meritevoli del tuo tempo. Se hai dei risparmi da utilizzare, sai da dove arriverà il prossimo pasto, e potresti essere più selettivo nell'accettare i lavori. Se hai deciso che accettare lavori che pagano poco o niente, sarà meglio sviluppare un criterio che ti aiuti a decidere se un progetto offre buone possibilità. Periodicamente si prendono lavori che pagano poco o niente se rientrano nei criteri che vengono preventivamente decisi. Per esempio, alcune delle domande che bisogna porsi sono: lavorerò con gente che mi piace? Sono interessato al progetto? Mi entusiasma? Avrò la possibilità di imparare qualcosa di nuovo? Avrò la possibilità di essere creativo e superare i miei limiti? Il progetto sarà completato? Ho fiducia che la gente con cui lavoro andrà fino in fondo? Quanto inciderà sul mio attuale programma di lavoro? Ho a disposizione gli strumenti e il tempo per ottenere risultati soddisfacenti? La risposta a queste domande influenza direttamente la mia scelta di dire sì o no a qualunque progetto specialmente a quelli che pagano poco o niente. Conoscendo il tuo budget e avendo dei risparmi sarai libero di fare scelte di lavoro più sagge che faranno progredire la tua carriera e le tue capacità, piuttosto che accettare qualunque lavoro che ti capita giusto perché c'è l'affitto da pagare. (Nota: per quanto mi riguarda, avere dei risparmi mi ha anche permesso di rifiutare lavori ben pagati dove non mi fidavo della gente coinvolta nel progetto. Sarai più soddisfatto facendo scelte motivate non puramente dai soldi).
2. dai il 110%
Pensa a ogni nuovo progetto su cui lavori come a una carta d'identità per il successivo. Ecco perché se decidi di accettare un lavoro devi dare tutto, indipendentemente dalle circostanze. Non appena cominci a utilizzare scuse come la bassa remunerazione, l'orario di lavoro, e via dicendo, e lasci che questo influisca negativamente sul tuo lavoro, stai pur certo che i tuoi datori di lavoro se ne accorgeranno e saranno meno predisposti a lavorare con te in futuro. Quindi, sii professionale. Se invece, farai un buon lavoro, e darai tutto te stesso, allora verrai notato, e le persone con cui hai collaborato saranno più propense a lavorare nuovamente con te.
3. network, network, network
È tutta una questione di numeri. Più persone conosci, più sono le persone che ti conoscono e sanno cosa fai, più grande sarà il tuo flusso di riferimento, e più avrai possibilità di lavoro.
Perciò vai e sviluppa relazioni con persone dell'"universo cinema" (attori, editori, altri cineasti), perché non si sa mai da dove potrà saltar fuori il prossimo lavoro. Potrebbe non essere facile, potresti non esserci portato e avere l'inclinazione per farlo. Eppure, più lo fai, più a tuo agio ti senti, e più relazioni costruisci. Meno lo fai, più a lungo rimanderai la creazione di un'agenda. Perciò fallo, anche se ti mette a disagio.
4. sii adattabile
L'industria audio-visiva è piena di mutamenti: niente rimane sempre lo stesso. Se decidi di rimanere fermo, lottando per tenere le cose sempre uguali, alla fine sarai scavalcato da qualcun' altro che si è adattato e si è tenuto al passo con un mondo in continuo cambiamento. Sii aperto a fare cose differenti e in modo differente rispetto a quelle che sono state fatte fino a quel momento. Alvin Toffler nel suo libro Future Shock lo riassume perfettamente: "Il cambiamento non è solo necessario alla vita, è la vita. L'analfabeta del futuro non sarà la persona che non sa leggere e scrivere, ma quella che non saprà imparare, disimparare e imparare di nuovo"
5. non fare affidamento solo sui segreti del mestiere o sulla tecnologia
La tecnologia è un rasoio a due lame. Ti permette di fare il tuo lavoro, ma allo stesso tempo lo semplifica sempre più. Ci sono persone che si affidano completamente alla tecnologia che usano come unico carburante per far accelerare la propria arte, come se gli strumenti utilizzati definissero un artista o un professionista. Se ti aggrappi alla tecnologia, prima o poi sarà lei a rimpiazzarti e tu diventerai obsoleto. Credo che al giorno d’oggi la tecnologia è arrivata a un punto di raffinatezza tale che praticamente chiunque può sostituire chiunque, a patto di avere i mezzi tecnologici per farlo. I pochi ostacoli che ancora rimangono a livello sia di software che di hardware verranno presto superati.
Inoltre, se punti tutto su una formula magica da utilizzare durante il processo di produzione, o su un modo preciso di lavorare in post-produzione, tieni presente che è solo questione di tempo prima che qualcun altro scopra come hai fatto e posti i tuoi segreti su internet. I tuoi assi nella manica non possono essere i segreti del mestiere e l’alta tecnologia. Devi avere qualcosa d’altro.
Quello che sempre di più separerà i professionisti del settore sarà la loro visione, il loro talento, il loro stile. Gli attrezzi, invece, dovrebbero rimanere tali, attrezzi, appunto. Strumenti per creare la propria arte. Posso comprare pennello e pittura al primo negozio d’arte che trovo, ma questo non mi rende automaticamente capace di dipingere la Cappella Sistina. Quello che mi separa da Michelangelo è la sua visione, il suo talento, il suo stile. Usa gli strumenti per far crescere il tuo talento, non per schiacciarlo.
6. diversifica
Moltiplica il più possibile tanto le tue fonti quanto le tipologie di lavori, in questo modo potrai sopravvivere in maniera più efficace ai cambiamenti di mercato. Per esempio, una fonte di introiti può provenire dai filmati di repertorio, oppure dalla produzione e dalla vendita di video di training, dal noleggio dell’attrezzatura, da servizi aggiuntivi ecc.
7. produci e possiedi i tuoi contenuti
Nel mondo dei freelance è la norma perdere un lavoro e mettersi immediatamente alla ricerca di un nuovo posto. Nell’industria cinematografica, tutta la “manovalanza” è assunta alla bisogna. Vengono assunti, fanno il loro lavoro, incassano l’assegno e poi avanti, un nuovo lavoro e un nuovo assegno. Alcuni continuano a ricevere introiti per lavori che hanno già concluso. Questi ultimi non fanno parte della manovalanza, ma si situano, per così dire, sopra l’asticella. Stiamo parlando di produttori, registi, attori, gli studi stessi… Anche il freelance dovrebbe ragionare in maniera simile, così da avere un flusso continuo di introiti, sia che stia già lavorando su un altro progetto, sia che si trovi in una situazione di bonaccia (dal punto di vista lavorativo). Un modo per ottenere questo flusso continuo è, per esempio, quello di produrre contenuti e prodotti mediatici per poi rivenderli come filmati di repertorio (che si possono fare pagare a pacchetto oppure a singolo download).
Seguendo questi consigli, il freelance potrà essere in grado di navigare agevolmente attraverso le proprie personali tempeste finanziarie e, cosa di non poco conto, vivere una vita privata e lavorativa piena e fruttuosa.
Ryan E. Walters è un direttore della fotografia statunitense. Il suo lavoro gli ha dato la possibilità di viaggiare in tutto il mondo alla ricerca di storie cinematograficamente coinvolgenti.
Questo articolo è tratto dal suo blog ryanewalters.com - di Caterina Doni per FareFilm.it
“Il film è pronto. Ora non resta che promuoverlo”. Secondo Jason Brubaker non c’è niente di più sbagliato. Il Marketing del film, è pubblicizzare, promuovere, stabilire il valore del prodotto e individuare lo stato d’animo del nostro pubblico. In molti pensano che il marketing e la distribuzione siano passaggi da affrontare solamente a film ultimato, ma non è così. Per fare in modo che la gente sia curiosa e voglia vedere il nostro lavoro c’è bisogno di attivarsi molto prima, e di lavorare ad una strategia ben precisa.
A meno che non abbiate migliaia di euro da spendere in pubblicità è quindi bene prendere nota di qualche piccolo trucco per non rischiare di farsi trovare impreparati.
Prima di tutto è necessario capire che il marketing è fatto anche di conversazioni e di rapporti che si tessono con più o meno fatica nel tempo. Molto importante è capire qual è il punto di forza del nostro prodotto, questo aiuterà a convincere il pubblico circa il valore del film.
Analizzate il target di riferimento: cos’è importante per la vostra audience? Divertirsi? Informarsi? Commuoversi? Conoscere i destinatari della vostra campagna vi aiuterà ad essere diretti e a non perdere tempo prezioso, il quale – come da proverbio – è anche denaro.
Il marketing ha a che fare anche con le emozioni e le storie che ci ricordiamo sono quelle che ci colpiscono di più. Quando ci rivolgiamo ad un possibile acquirente o distributore quindi tentiamo di capire subito in che modo farlo sentire coinvolto nel nostro progetto. La pubblicità va direzionata e curata, altrimenti rischia di perdersi nel mare magnum del mercato cinematografico.
L'articolo completo di Erika Favaro su farefilm.it
Siete nel vostro locale preferito, Gabriele prepara dei cocktail da paura, avete solo voglia di godervi la serata. In quell’occasione però un gruppo di barbieri fa uno show proprio in quel locale e il vostro barman vi chiede di realizzare qualche scatto. Si, lo so, non c’è budget, ma voi siete degli artisti e amate la fotografia e poi non potete negare una cortesia a un poeta come Gabriele…
Avete con voi una Leica SL e il Vario-Elmarit-SL 24–90 mm f/2.8–4 ASPH, un obiettivo zoom stabilizzato e con una qualità incredibile. La SL ha un design minimale ed ergonomico, è robusta e ha un sensore CMOS di pieno formato da 24 megapixel, che garantisce un’ottima qualità d’immagine. Tra le altre caratteristiche la Leica SL regge benissimo agli alti ISO, quindi, date le condizioni di illuminazione, decidete di impostare la sensibilità a 6400 ISO.
Ok, forza, vi alzate a scattare per qualche minuto, poi gustate il vostro drink, poi di nuovo qualche scatto. In totale lavorate per meno dieci minuti ma riuscite comunque a realizzare una piccola documentazione dell’evento. Come?
Ecco qualche consiglio:
- cambiate spesso posizione, guardare la scena da diversi punti di vista è la prima tecnica per non ripetersi e trovare nuovi spunti;
- evitate di impallare i soggetti: ogni figura deve essere leggibile, prestate attenzione allo sfondo;
- scattate, scattate, scattate. Dovete essere degli instancabili ricercatori della foto “giusta” – o dell’istante decisivo se preferite – e, ve ne prego, non perdete tempo a cancellare le foto, dedicatevi interamente alla vostra ricerca, l’editing sarà una fase successiva del lavoro;
- cercate una buona inquadratura e dopo… attendete: aspettate che accada qualcosa di bello e non accontentatevi, se avete trovato uno spunto interessante, scattate almeno dieci foto, anche venti se serve, così potrete scegliere l’immagine migliore di tutta la serie;
- nei limiti del possibile cercate di avere coscienza di ognuno degli elementi inclusi nel campo, fate caso a tutto e guardate i quattro lati del vostro amato rettangolo prima di fare clic;
- cercate di giocare con la vostra cornice, evitando di mostrare sempre tutto ma lasciando più spazio all’evocazione, cercate sempre di evitare le fotografie banali e didascaliche, i cliché in una parola;
- fotografate paesaggi, interni, ritratti, still life, ciascuna immagine arricchirà il vostro racconto;
- decidete se scattare a colori o in bianco e nero. Non si tratta di post-produzione bensì di visione, che fotografi siete? Se miscelate il colore col bianco e nero dovete farlo perché è necessario, non per un gusto o un capriccio;
- e infine semplificate. Impostate una sensibilità ISO che vi soddisfi e comportatevi come se aveste una pellicola, quindi dimenticatevi di questo parametro. Allo stesso modo impostate il diaframma utile per la profondità di campo che avete in mente e di conseguenza regolate i tempi (oppure regolate i tempi e di conseguenza i diaframmi). Così facendo avrete molti meno aspetti a cui pensare e potrete concentrarvi sulla composizione e sul racconto.
I consigli potrebbero essere tanti altri, ma questa mi sembra una discreta base per iniziare a riflettere. Se non fossi stato pigro sarei uscito dal locale per cercare di inquadrare le stesse scene dall’esterno e magari avrei scattato anche una buona immagine del locale da lontano… però i drink di Gabriele erano davvero buoni :)
P.S. in condizioni normali in fase di post-produzione avrei eliminato qualche elemento fastidioso e raddrizzato qualche linea, ma in questo caso ho immediatamente inviato gli scatti dalla Leica SL al mio smartphone e da lì a Gabriele che le ha subito postate sui social network!
Alessandro Mallamaci
www.alessandromallamaci.it
blog.alessandromallamaci.it
Anche la barzelletta è arte: un saggio di Holt sulla storia del motto di spirito. Raccontare la storia delle barzellette e chiarire perché fanno ridere. Quando la rivista americana New Yorker gli commissionò un articolo su questo tema Jim Holt pensò che non avrebbe avuto problemi a scriverlo.
Una rapida ricerca sul web gli fu sufficiente a dimostrargli che si sbagliava: nessun giornalista o esponente della comunità accademica aveva mai affrontato in maniera esaustiva l’argomento. Per colmare la lacuna Holt si mise al lavoro e il risultato della sua indagine è ora in un volume tradotto in Italia da Isbn (Senti questa. Storia e filosofia della battuta di spirito, 93 pagine, 12 euro) in cui si risale sino alla Grecia del V secolo per definire che cosa nel corso dei secoli abbia significato lo humour e quali meccanismi di natura psicologica inneschino effetti comici.
Non ha avuto bisogno di molto tempo Holt per mettere a fuoco i motivi dell’assenza di una analisi complessiva e articolata della barzelletta. Perché si tratta, dice, di una forma di umorismo che va e viene con il nascere e il morire di una civiltà. Si tratta, dunque, di una sintetica esplosione verbale con radici in un momento storico con precise caratteristiche, un fuoco d’artificio linguistico debitore nei confronti situazioni contingenti. Ovvio che ci sia comunque dell’altro, visto che il meccanismo è sempre identico sul piano psicologico. E’, dunque, all’origine del riso che occorre indagare. E proprio su questo tema Jim Holt ha deciso di soffermarsi, oltre a proporre una efficace sintesi delle battute maggiormente significative per ogni epoca, illustrandone in dettaglio il senso.
Se le barzellette esistono e circolano da secoli incardinate soprattutto su due temi (sesso e potere), filosofi e psicoanalisti hanno cominciato a dibattere sui loro effetti in tempi molto più recenti, visto che il filosofo francese Henri Bergson decise di dedicare un trattato al significato del comico nel 1900, cinque anni prima che Sigmund Freud pubblicasse il suo saggio sul motto di spirito e la relazione che intratteneva con l’inconscio. In precedenza nel canone filosofico non si registrano indagini approfondite ma solo sguardi fugaci e di stampo negativo, visto che in molti (a cominciare da Platone e Aristotele) ritenevano il riso una conseguenza del vizio e della follia o una ricaduta della spontanea volgarità popolare.
Nel corso del Novecento, osserva Holt, un numero maggiore di studiosi ha affrontato l’argomento. Senza tuttavia raggiungere conclusioni univoche. E visto che sul tema non esistono certezze il giornalista americano offre il suo personale contributo al dibattito in corso, teorizzando che «le barzellette sono un prodotto dell’ingenuità umana che, nella loro forma più essenziale e raffinata rientrano nel dominio dell’arte, anche se purtroppo tutti noi siamo spesso torturati da comici professionisti non sempre intelligenti che non resistono all’impulso di regalarci le loro battute e le loro barzellette». Un modo elegante per concludere un libro serio che, per fortuna, induce anche al riso in un’epoca in cui le barzellette (e le vignette satiriche) sono diventate oggetto di violentissime controversie di natura politica o religiosa.
di Roberto Bertinetti da: http://www.ilmessaggero.it
Ha dai 15 ai 34 anni, è fornito di supporti tecnologici sempre più avanzati, trascorre gran parte del tempo libero davanti al Pc che considera la chiave di accesso al mondo esterno: è l'identikit del pirata, per il quale un film scaricato da Internet è un file come un altro, da consumare come svago o passatempo, senza valore specifico e spesso alcun senza rispetto per il racconto, è normale saltare intere sequenze per soffermarsi sulle preferite. La maggioranza sa di commettere un reato, ma l'atteggiamento è decisamente auto assolutorio.
È l'identikit - sommario - suggerito dalla prima ricerca sulla pirateria cinematografica in Italia, presentata ieri a Roma dalla Fapav, Federazione Antipirateria Audiovisiva in collaborazione con Ipsos. Le cifre che risultano dall'indagine - condotta su 2038 campioni, dai 15 anni in poi, contattate personalmente - sono allarmanti: il 32 per cento degli italiani, circa 16 milioni, ha fruito di copie illegali di film negli ultimi 12 mesi, ogni pirata ha avuto almeno 21 titoli, la perdita per l'industria del cinema è valutata intorno ai 537 milioni di euro, con il rischio di perdere il lavoro per 250 mila persone.
Cifre che inducono personaggi del cinema a lanciare un allarme. La pirateria è "uno sfruttamento illegale, criminoso e ingiusto", dice Giuseppe Tornatore, mentre Carlo Verdone si chiede "Quante altre sale vogliamo veder chiudere? Mi rendo conto di rischiare l'impopolarità presso il popolo dei giovani che "vivono la rete", ma stiamo realmente assistendo al lento sfascio di un'industria". E "se non porremo un argine all'illegalità le prossime generazioni non avranno che un vago ricordo di cosa sia stato il cinema italiano", dice Sergio Castellitto.
Nell'indagine la pirateria è stata divisa in tre forme: fisica (dvd illeciti acquistati), digitale (download, streaming, ecc.), indiretta (prestiti o regali di dvd illegali). Se la vendita di dvd piratati è in calo e sembra destinata a sparire, la pirateria digitale è in crescita ed è la più difficile da gestire. Anche perché i pirati sentono legittimata la pratica del download per varie ragioni: è un'opportunità offerta da siti e programmi noti a tutti, è una pratica a livello istituzionale - non si ha notizia di sanzioni - non ha scopo di lucro, non è vista come furto anche perché non implica la sottrazione di un bene materiale.
"Inutile l'atteggiamento difensivo, Internet è il mercato del terzo millennio", dice il produttore Riccardo Tozzi. "Dobbiamo individuare un prezzo per i film scaricati, anche molto basso. E non nell'educazione, bensì in un sistema di warning che non si limiti a ricordare che la pirateria è un reato, ma minacci la sconnessione da Internet. Penso che in quel caso il pirata sia disposto a pagare 50 centesimi".
Dall'indagine della Fipav emerge un altro dato significativo: sono stati intervistati bambini di famiglie in cui si vedono film "pirati" e bambini che vedono film in sala. Ad entrambe le categorie è stato chiesto di fare disegni sull'idea di cinema: i disegni dei bambini che vedono copie "false" sono squallidi e stinti, quelli di quanti vanno al cinema sono ricchi di colori e di fantasia.
Presentata la prima ricerca sulla pirateria cinematografica in Italia
La maggioranza sa di commettere un reato, ma l'atteggiamento è auto assolutorio
L'identikit del ladro di film: 15-34 anni, "mago" del web. La perdita per l'industria del cinema è valutata intorno ai 537 milioni di euro
di MARIA PIA FUSCO
(17 aprile 2009) da: http://www.repubblica.it/
Il regista in un ironico cortometraggio: La "Questione di gusti" di Corsicato
Disponibile online, sarà anche distribuito in sei sale e trasmesso in prima serata su Sky il 27 aprile.
Due parvenu napoletani, Gemma (Iaia Forte) e Tony (Ennio Fantastichini) organizzano un party in una villetta ostentatamente kitsch fra improbabili manichini femminili (con tanto di seni e vagine trasformati in cassettini) e cattivo gusto a go-go. Il tutto fino a una conclusione tragi-comica, con il tocco inconfondibile dello stile di Pappi Corsicato. Il regista torna con un cortometraggio , "Questioni di Gusti", presentato a Milano, virato su un registro "alternativi e dichiaratamente non naturalistico"». Il cortometraggio è frutto dell'investimento di produttori non convenzionali (il Pastificio Garofalo) ma ha poco o nulla di pubblicitario. Disponibile online, sarà anche distribuito in sei sale cinematografiche e trasmesso in prima serata su Sky CinemaMania il 27 aprile.
Con Ennio Fantastichini e Iaia Forte
Per vederlo cliccare sul link:
15 aprile 2009 - da: http://www.corriere.it/cinema
Leggiamo sulla homepage di http://www.repubblica.it/ la seguente notizia:
TROVACINEMA
Il primo cortometraggio con immagini da Street View
e nelle pagine interne leggiamo testualmente:
realizzare cortometraggi usando le immagini del servizio stradale di Google
GUARDA I CORTI:
- Golden Gate Bridge
- Mary montaña
Ci risiamo !!! ... ma sono dei semplici filmatini, riprese senza alcuna pretesa, senza storia!!! Filmatini spacciati per cortometraggi.
... sono solamente delle semplici curiosità, che certo non meritano di essere riportate sui quotidiani tipo Repubblica, che invece non reputa importante segnalare un concorso come il nostro, a cui partecipano migliaia di veri registi di cortometraggi !!
Fare un Cortometraggio è tutt'altra cosa che fare un filmatino del genere!! Noi lo andiamo dicendo da molti anni.
Se continuiamo a dare ai nostri giovani informazioni false, non facciamo certo buona cultura !!
Filmati come quelli li possono fare tutti, in 3 minuti. Non si diventa Registi facendo certe cose.....
Mi pare proprio che sia così. E allora un po’ di orgoglio! I registi partano da cose proprie, elaborino una propria storia da raccontare!
Per quali condizioni un regista può essere giustificato se porta sullo schermo una storia preesistente espressa con il linguaggio letterario? Come accadeva ai grandi pittori di un tempo, ai quali veniva affidato il compito di narrare con le immagini e i colori vicende raccontate da altri o eventi storici reali di forte rilievo, così accade che si affidi a un regista la versione filmica, per esempio di un’opera di Omero oppure di un dramma di Shakespeare, o di un romanzo di un autore contemporaneo di successo. In questi casi, al di là delle motivazioni, culturali oppure commerciali, è comprensibile che un regista sia stimolato quasi a competere con l’autore dell’opera originaria.
Non è un caso che specie quando si tratta di un romanzo ci siano commenti che pongono a confronto il film con il romanzo da parte di chi ha visto l’uno e letto l’altro. Ne scaturisce appunto una sorta di competizione. Una dimostrazione che sono entrambi, scrittore e regista, considerati dei narratori che utilizzano linguaggi differenti.
Perché accade questo? Il linguaggio delle immagini e il cinema e la televisione che lo veicolano sono alla portata di tutti sia per il costo, un film costa meno di un libro, sia per la comprensione, perché il linguaggio analogico è più facile da decodificare, sia - soprattutto - per l’abitudine a tale linguaggio e il rifiuto di accostarsi a quello letterario. Ecco allora che si spiegano queste operazioni commerciali di trasferimento da un linguaggio all’altro. Non accetto però quando tali operazioni vengono coperte da scopi culturali. Spesso si sente dire: è meritorio portare sullo schermo e far vedere l’Odissea a gente che altrimenti non la conoscerebbe mai. Anche per questo m’incazzo. Come se le vicende di Ulisse fossero l’Odissea ( al di là del nome Odisseo che vuol dire appunto Ulisse ). Le vicende di Ulisse sono la storia narrata nell’Odissea, ma non sono l’Odissea di Omero. Sullo schermo non è Omero che narra, ma il regista cui è stato dato il compito di raccontare le gesta dell’Ulisse di Omero.
Chi non legge – a rigore il greco – non conoscerà mai Omero. Allora dobbiamo avere coraggio, non si scappa da questa alternativa: o ce ne freghiamo di chi non legge, resti pure coi suoi limiti! o ce ne freghiamo di Omero, ha troppi anni!
A parte dunque queste condizioni bisognerebbe entrare nell’ottica che un regista è un autore… sarà perché ho alto il senso dell’arte cinematografica che non accetto la subalternità all’opera letteraria.
Ma il primo a convincersi di essere un autore deve essere il regista. Altrimenti farà sempre ricorso alle idee altrui.
E dunque la formazione del regista deve partire dallo stimolare e sviluppare la capacità di pensare e scrivere soggetti.
L’affermazione convinta ( e spero convincente ) espressa nelle righe in corsivo suggerisce che
gli aspiranti registi devono essere aiutati a soffermarsi su tutte quelle opere che raccontano qualcosa, qualunque sia il linguaggio utilizzato, quindi opere di scrittori, poeti, registi che hanno filmato storie loro, fotografi, pittori e scultori e architetti, tutti insomma quegli artisti che
“ hanno cose da dire “. Aiutare gli aspiranti registi a risalire dalle storie alle idee che ne sono alla base, discutere sulle idee, discutere sulle storie. Formare una cultura delle idee e delle storie che possono esprimerle. Se questa fase è carente, il rischio è grave. I registi continueranno ad andare alla ricerca di idee e di storie altrui. E c’è un rischio più grave. Un regista non abituato a risalire dalla storia all’idea, abituato invece a soffermarsi alle vicende, alla trama, può non comprendere e travisare per esempio un romanzo. Una cosa del genere è accaduta, ne sono stato osservatore impossibilitato a intervenire. E’ accaduto che non venisse colto il senso di un racconto proprio di un autore noto per essere un indagatore dell’animo umano. Una buona cultura di base avrebbe potuto mettere in guardia il regista che si apprestava a realizzare un film da quel racconto e gli avrebbe evitato di ridurre una storia di profonda introspezione psicologica a una vicenda senza spessore.
Se consideriamo da una parte i film delle grandi produzioni e dall’altra i film dei video maker, questi ultimi sicuramente battono i registi del cinema quanto a coraggio di mettersi in gioco come autori e quindi realizzare film con idee loro e soggetti originali.
Va di moda il look cinematografico... Tutti vogliono riprendere con il nastro MiniDV ed avere l'impressione di proiettare un film girato in pellicola. Spesso si legge che per averlo è sufficiente cambiare videocamera: ma basta comprare l'ultima uscita, per avere il look della pellicola? Proviamo a parlarne.
A livello di software, Adobe Premiere Pro 1.5 ritiene che con il software offerto gratuitamente a tutti quelli che si registrano sul suo sito, ciò sia possibile. (vedere il suo sito o le nostre pagine qui).
Una marca produttrice come la Canon, per la sua XL2, offre caratteristiche professionali, compresa la scelta di 60i, 24p o 30p, ripresa in 16:9 ad alta risoluzione o di 4:3, una nuova progressive scan CCDs da 680.000 pixel e una linea completa di comandi e personalizzaazioni per un look davvero cinematografico.
Con il relativo nuovo obiettivo intercambiabile 20x, questo nuova camera Mini-DV permette ai cineasti di ottenere un look cinematografico e un enorme controllo sull'immagine.
E, continuando a leggere i suoi comunicati, che mentre i "nomi famosi" e altri meno famosi si stanno orientando al digitale per le loro produzioni, i cineasti si preoccupano sempre piu' spesso di dare un look cinematografico al loro video. Per questo la Canon XL2 offre agli utenti la possibilita' di personalizzare la registrazione con un numero elevato di parametri: Gamma, Knee, Black, Color Matrix, Vertical Detail, Sharpness, Coring, Noise Reduction, Color Gain, Color Phase And Film Grain.
Ognuno di questi può essere aggiustato separatamente, lasciando all'operatore un controllo precisissimo sul "look filmico" del risultato.
Ed ancora: la XL2 mette a disposizione una vasta gamma di frame rate per ottenere look cinematografici dall'aspetto di "pellicola". Che si giri per la TV o per riversare su pellicola ad alta definizione, la XL2 offre frame rate da 60i, 30p, 24p (2:3 and 2:3:3:2), in modo da permettere ai cineasti o agli operatori televisivi di ottenere una flessibilita' per creare virtualmente qualsiasi "look and feel".
Riprendendo a 30p, l'operatore puo' catturare 30 fotogrammi interi al secondo. Riprendendo eventi sportivi, ad esempio, l'utente puo' fare fermi immagine o slow motion perfetti.
Il formato 24p (2:3:3:2) e' ormai largamente utilizzato da chi riversa in pellicola. Ma i cineasti possono usare il 24p anche se il loro lavoro non verra' riversato in pellicola e ottenere un look cinematografico.
Importante come il 24p e' la velocita' dell'otturatore: 1/48esimo di secondo, esattamente quella delle camere cinematografiche.
Il 24p e 1/48esimo sono esattamente i parametri adottati dalle telecamere cinematografiche.
Quando i tecnici usano il formato 24p ottengono esattamente un look cinematografico. Il frame rate a 24p utilizzato con il "cine gamma curve" della XL2, produce immagini che hanno una qualita' tonale identica a quelle della pellicola.
Un giovane regista dal nome John Carpenter che ama realizzare cortometraggi ed ha già realizzato "Terror from Space", nel 1969 ne realizza uno della durata di 8 minuti intitolandolo: "Captain Voyeur". Di questa opera se ne erano perse tutte le tracce, fino a che ora un archivista della University of Southern California l’ha ritrovato tra vecchie pellicole conservate dall’università.
Il cortometraggio, che è stato girato in bianco e nero, sarebbe la base del lungometraggio "Halloween - La notte delle streghe" di Carpenter che nel frattempo aveva girato altri 4 cortometraggi ed era approdato successivamente al cinema
Captain Voyeur è la storia di un uomo che, nauseato dal suo lavoro d’ufficio monotono e ripetitivo, si mette a seguire in modo morboso una sua collega nel tragitto dall’ufficio al suo appartamento, e per non farsi riconoscere indossa una maschera nera, ma quando cerca di ucciderla è fermato da un collega. Il corto è girato per la maggior parte del tempo con la soggettiva del maniaco, cosa che rifarà nel suo più conosciuto Halloween.
ALFRED HITCHCOCK appassionato di fotografia, da giovane fu assunto da una società di produzioni in cui, per ben 3 anni, lavorò nell'ombra per numerosi films ed i suoi compiti erano moltissimi: sceneggiatore, disegnatore di titoli e scenografie, scrittore, montatore ed aiuto regista. Iil suo primo filmato resta incompiuto. Prima dell'avvento del sonoro, girò nove corti muti, tra cui: Blackmail; The Farmer's Wife (del 1928); Downhill e The Manxman. Poi nel 1944 diresse il corto Bon voyage e nel 1949 Adventure malgaghe.
ALAIN RESNAIS iscritto alla scuola di cinematografia, tra il 1947 ed il 1958 diresse vari corti tra cui un documentario su Van Gogh e uno su Gauguin, tre documentari-inchieste su atroci episodi del passato(il massacro di Guernica, la distruzione delle tradizioni culturali delle colonie, i campi di sterminio nazisti).
BERNARDO BERTOLUCCI iniziò a 16 anni con una 16 mm regalatagli dallo zio, girando Morte di un maiale e La teleferica.
BRIAN DE PALMA autodidatta, realizzò molti film a costo zero con una Bolex 16mm di seconda mano. Ricordiamo: Icarus (1960), The story of an IBM card (1961), Wotan's Wake (1962) con cui vince tutti i maggior premi dell'anno, e Jennifer (1964). Dal 1964 gira quattro documentari: Mod, Bridge that gap(1965) e poi nel 1966 Show me a strong town and i'll show you a strong bank e The responsive eye.
CARLO VERDONE a 20 anni, comprò una super8 e realizzò "Allergia di primavera", "Elegia notturna" e "Poesia solare". I suoi tre corti furono persi da Rai3.
DAVID LYNCH girò inizialmente diversi cortometraggi, ricordiamo: Six Figures , The Alphabet (1968 di 4 min) e The Grandmother (1970, 30'). Sono del tutto particolari, perchè riprese ed unì varie tecniche stilistiche anche pittoriche come il collage, sperimentazioni che usò anche nei suoi film successivi. I suoi corti sono molto ben montati e curati nel complesso. Fino aa arrivare al medio lungo della maturità The cowboy and the frenchman (1988 di 26 min.).
DINO RISI dapprima fu assistente di Mario Soldati, poi girò diversi documentari, il più famoso fu "Buio in sala" del 1948.
DON SIEGEL durante la guerra diresse alcuni documentari.
ERMANNO OLMI iniziò girando una trentina di documentari industriali.Tra i suoi corti ricordiamo: Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggiere (1954, 10'); La diga del ghiacciaio (1954, 10'); La pattuglia del passo San Giacomo (1954, 11'); Buongiorno natura (1955, 10'); Cantiere d'inverno (1955, 10'); La mia valle (1955, 8'); Manon finestra 2 (1956, 13'); Grigio (1958, 10'), Il pensionato (1958, 10'), Regista in vacanza (1967, 8') e Ritorno al paese (1967, 10')
FRANCESCO MASELLI prima di iscriversi al Centro sperimentale di Cinematografia, realizza un paio di cortometraggi interpretati dalla sorella. Il primo "Sinfonia della città" è di gusto surrealista. Realizza anche una trentina di documentari col suo acuto spirito di osservazione della realtà ialiana. Il primo di questi "Bagnaia paese italiano" ('49) fu premiato alla Mostra di Venezia.
FRANCIS FORD COPPOLA nel 1961 ha girato “Questa notte di sicuro”, un cortometraggio pornografico; nel 1963 esordisce con “Terrore alla tredicesima ora”, gotico e inquietante scenario ambientato in un castello irlandese.
FRANCO GIRALDI nel 1960 ha girato 2 documentari: La trieste di Svevo e Il Carso.
FRANCOIS TRUFFAUT nel 1954 realizza “Une visite” il suo primo cortometraggio; nel 1957 gira altri due corti: Les mistons e Une historie d'eau.
FRANK CAPRA ha iniziato con il corto: Fultah Fisher's Boarding House del 1922 e nella sua vita ne ha diretti una quindicina, tra cui The strong man (1926) e Long pants (1927), e successivamente sia durante la 2° guerra mondiale, che dopo.
FRED ZINNEMANN ha iniziato con Redes (1936), sullo sciopero di pescatori messicani. Dopo altri cortometraggi minori, diresse in Svizzera The Search (1948), un documentario, ambientato fra le macerie della Germania che fu un successo.
GEORGE LUCAS nei primi anni sessanta, iniziò a girare vari corti, nel '67 vinse il primo premio ad un concorso universitario con "THX-1138:4eb" girato 16 mm, influenzato dalla body-art e che in seguito sarebbe diventato il suo primo lungometraggio.
GILLO PONTECORVO ha girato vari documentari, nel 1953 gira il primo Missione Timiriazev, poi nel 1954 Porta Portese (12 minuti) e Cani dietro le sbarre, nel '55 Festa a Castelluccio, nel '65 La magia, nel 1984 L'addio a Enrico Berlinguer e nel 1992 Ritorno ad Algeri. Nel 1997 gira Nostalgia di protezione di 8 minuti.
GIUSEPPE DE SANTIS nel 1942 gira il suo primo cortometraggio La gatta.
GIUSEPPE TORNATORE ha iniziato girando 8 cortometraggi emolti documentari, il principale è stato Il carretto. Con "Le minoranze etniche in Sicilia" ottiene il premio per il miglior documentario al Festival di Salerno (1982). Ha girato anche spot pubblicitari.
HENRI CARTIER-BRESSON (il grande fotografo) il suo primo filmato risale al 1937, anno in cui girò Return to Life, un documentario sulla guerra civile in Spagna; nel 1945 gira il documentario Le retour (il ritorno dei soldat americani) per conto del Ministero della guerra americano. (vedi anche qui).
JACQUES TATI girò il corto umoristico L'ecole des facteurs nel 1947.
JEAN-LUC GODARD iniziò con Opération béton (documentario sulla costuzione di una diga, del 1955), Une femme coquette (1955), Charlotte et Véronique, Charlotte et son Jules (1958, interprete un giovane Jean-Paul Belmondo), Une histoire d’eau (1958), e La paresse (1962). Continuò successivamente, nel 1967 con Anticipation ou l’amour en l’an 2000 e Camera oeil, nel1982 con Lettre à Freddy Buache, e Meeting Woody Allen dell' '86, L’enfance de l’art del '91, ed altri fino al Dans le noir du temps del 2002.
JOHN CARPENTER realizzò il suo primo cortometraggio (di circa 8 minuti) dal titolo Captain Voyeur (1969) film girato in bianco e nero, che sembrava del tutto perso.
LARS VON TRIER si iscrive alla scuola cinematografica Danese e realizza i primi cortometraggi: The orchids gardener nel 1976, Menthe la bienheureuse nel 1979, Nocturne nel 1980 (opera presentata alla biennale dei giovani cineasti a Parigi) e The last detail nel 1981.
LUIGI COMENCINI nel 1946 ebbe il premio Nastro d'Argento per il miglior cortometraggio del'anno: Bambini in città, e nel 1949 girò un documentario: Il museo dei sogni, sui maceri delle pellicole.
LUIS BUNUEL nel 1929, arrivato da poco a Parigi, dirige, insieme all'amico Salvator Dalì il cortometraggio "Un chien andalou". Ne girerà degli altri, come in Messico il cortometraggio "Intolleranza: Simon del Desierto" (1965).
LEONARDO PIERACCIONI iniziò a girare i suoi primi corti nel 1993. Con un suo amico scriveva e girava tre "films" a settimana (!).
MAN RAY il grande fotografo, fu anche regista. Iniziò nel 1923 con "Retourn a la raison" di tre minuti, nel 1926 girò Emak Bakia e nel 1929 L'etoile de mer un film poetico-surrealista. Con Le misteres du chateau du dè sempre del 1929 prosegue la sua sperimentazione cinematografica.
MARCO BELLOCCHIO nel 1962 girò 2 cortometraggi dopo aver frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
MARTIN SCORSESE nel 1967 girò un corto di 5 minuti The big shave.
MASSIMO TROISI ha girato almeno un paio di corti: il suo secondo corto è stato: "Scusate il ritardo"
MICHELANGELO ANTONIONI ha esordito nel 1943 con il documentario Gente del Po, poi nel '49 un cortometraggio dal titolo: L'amorosa menzogna che servì come soggetto per Lo sceicco bianco di Fellini. In totale ha realizzato ben 16 cortometraggi...
MARIO MONICELLI gira nel 1934, assieme ad Alberto Mondadori, il corto Cuore rivelatore.
MAURIZIO NICHETTI iniziò girando 2 corti comici: "Oppio per oppio" e "La cabina".
NANNI MORETTI studente del DAMS di Bologna, nel '73 si comprò una cinepresa super 8 e realizzò "La sconfitta" (a colori di 26') di un militante sessantottino vista in chiave comica e "Patè de Bourgeois" storia di una coppia in crisi ( colori di 26'). Anche successivamente girerà altri corti, come nel 2002 "The last customer" storia di una famiglia di New York
PAUL STRAND realizza il suo primo cortometraggio nel lontano 1921: Mannahatta o New York the magnificent. Nel 1934 realizza il documentario I ribelli diAlvorado (sullo scipero dei pescatori messicani) in collaborazione con Fred Zinneman. Native land invece è del 1941 sulla discriminazione razziale che gli procurò gravi problemi col maccartismo, dedicandosi poi solo alla fotografia.
PEDRO ALMODOVAR a 16 anni iniziò le sue prime riprese di corti con una Super 8, fondando anche una società con degli amici. Il suo primo filmato più professionale fu girato in 16mm (Pepi, Luci, Bom del 1979, e Other girls on the heap nel 1980). Nel 2023 ha girato Strange Way of Life della durata di 31 minuti dove racconta la relazione di due cowboy nell’America di inizio Novencento.
PETER WEIR (L'attimo fuggente -1989; The Truman Show - 1998) iniziò realizzando per la televisione vari documentari e cortometraggi.
PIERPAOLO PASOLINI Alcuni biografi autorevoli riportano la notizia che avrebbe girato un cortometraggio intitolato La forma di Orte, anche se non risulta inserito in nessuna filmografia. Altri pensano che sia il filmato prodotto dalla Rai nel 1974.
PIETRO FRANCISCI iniziò con i documentari Dissolvenze e L'orafo (del '31), con Rapsodie di Roma (del '34) ed ebbe grande notorietà con Montagna di fuoco in technicolor, del '38, girato in cima al Vesuvio. Girò altri documentari, tra cui Cinecittà del '39.
RENATO DE CARMINE Diplomatosi presso l'Accademia d'Arte Drammatica di Roma, ha iniziato girando 2 cortometraggi, il primo si intotolava Nero e Bianco.
RENE' CLAIR iniziò nel '24 con il cortometraggio Entr'acte e con il surrealista Le voyage immaginaire.
RIDLEY SCOTT iniziò come regista di spot televisivi e poi ha continuato anche quando era famoso. Boy on a Bicycle (di 25 minuti, del 1965) in bianconero fu il suo corto di diploma; Duellanti invece vide la luce dopo una decina d'anni. Ultimamente è stato il regista di uno dei sette corti che hanno composto Tutti i bambini invisibili che trattano delle gravi condizioni economiche dei bambini nel mondo.
ROBERT BRESSON appena laureato realizzò il cortometraggio Les affaires publiques (1934).
ROBERT ZEMECKIS (serie Ritorno al futuro-1985 e seg.; Forrest Gump oscar come miglio regia ) gira i suoi primi corti da studente e con "Field of honor" ottiene il premio Oscar come "miglior film studentesco".
ROBERTO ROSSELLINI si accosta al cinema, dapprima grazie ad alcuni amici, poi spinto dalla curiosità. Realizza una serie di cortometraggi sulla natura e l'ambiente. Ricordiamo: Daphne (1936), Prélude à l'aprés-midi d'un faune (1938), Fantasia sottomarina (1939), Il tacchino prepotente (1939), La vispa Teresa (1939), Il ruscello di ripasottile (1941). Successivamente “Storia del pesciolino coraggioso” (Fantasia Sottomarina, 1940 10’24”) “Storia degli insetti e della vispa Teresa” (La vispa Teresa, 1940 7’05”) “Storia del tacchino prepotente” (Il tacchino prepotente, 1940 6’ 01”).
ROMAN POLANSKI iniziò nel 1957 con Omicidio, con Rovineremo la festa e Sogghigno; nel '58 girò il corto: Due uomini ed un armadio (15'), mentre nel '59 La lampada e La caduta degli angeli mentre nel '62 girò I mammiferi. E' del 1967 The big shave di 6 min.
SPIKE LEE iniziò con una decina di corti e documentari sportivi; i primi furono in bianconero: ricordiamo: Iron Mike Tyson (1991, 8 minuti, bn), Lumiere et compagnie (1995, 1 min, b/n e colore) e John Thomson coach (1995, 10 min, colore).
STEVEN SPIELBERG realizzò i suoi primi corti in 8mm con alcuni amici. Fu molto lodato dopo aver vinto un concorso con il cortometraggio Escape to Nowhere, quando aveva solo 13 anni. Amblin fu il suo corto che uscì nelle sale nel 1968.
STANLEY KUBRICK grande fotografo, nel 1950 girò il suo primo cortometraggio autoprodotto di 16 minuti: Day of the fight. Seguirono poi altri 2 documentari: Flyng padre e The seafarers. I genitori investirono del denaro su di lui: fu forse il primo filmaker produttore indipendente.
TIM BURTON ha girato nel 1971 a soli 13 anni The Island of Doctor Agor un cartone animato, poi: Houdini: The Untold Story, Doctor of Doom sempre di animazione, Stalk of the Celery, Luau, e nel 1982 a 24 anni Vincent di 5 minuti con la tecnica dello stop motion, nel 1984 gira il corto Frankenweenie prodotto dalla Disney.
UGO PIRRO ha girato, assieme a Mario Monicelli, Luigi Magni, Cesare Zavattini e Tinto Brass, un documentario politico a più mani intitolato "12 dicembre".
VALERIO ZURLINI inizia a 24 anni con "Racconto del quartiere" 11 minuti del 1950 e poi: "Sorrida.. prego", "La favola del cappello" di 10 min, e "Miniature" di 10 min (tutti del '51); nel 1952: "Pugilatori" di 11 min che fu abbinato al film "Diario di un curato di campagna" di Robert Bresson, "I gioielli degli Estensi" di 13 min, "I blues della domenica" di 13 min, "Il mercato delle facce" di 15 minuti. Nel 1953: "Serenata da un soldo" di 13 min, "La stazione" di 11 min, "Soldati in città" di 10 min, "Ventotto tonnellate" di 14 min. Nel 1955 "Medioevo minore" di 10 minuti.
WILLIAM KLEIN grande fotografo, realizza anche dei cortometraggi, ricordiamo: Broadway by Light, del 1958, forse il primo film Pop. nel 1968 realizza un documentario sul festival panafricano. Il suo primo lavoro fu del 1967 quando gira uno degli undici episodi di Lontano dal Vietnam, insieme a Jean-Luc Godard e Alain Resnais, ed altri.
WONG KAR-WAI (presente alla 61° Mostra di Venezia con "Eros" realizzato con Michelangelo Antonioni e Steven Soderbergh) iniziò scrivendo sceneggiature di vario genere; nel 2001 ha girato il corto "The Hire" per la BMW.
Hanno diretto Spot pubblicitari quando erano già famosi, registi come:
FEDERICO FELLINI per la Pasta Barilla, il bitter Campari, la Banca di Roma
MARTIN SCORSESE per Armani
LUC BESSON per Internet Club
SPIKE LEE per Telecom Italia
FRANCIS FORD COPPOLA per Illy caffè
e poi DARIO ARGENTO, GIUSEPPE TORNATORE, GABRIELE SALVATORES, PAOLO e VITTORIO TAVIANI, e tanti altri.....
Vogliamo ricordare anche gli inizi dei nuovi, ultimi registi? ecco i loro Corti.
SOFIA COPPOLA Nata in una famiglia di registi ed attori, ha fatto la regia di due corti Bed, Bath and Beyond (1996) e Lick the Star (1998) anche dopo aver recitato in vari film importanti.
FRANCESCA ARCHIBUGI Ha fequentato il centro Sperimentale di Cinematografia, ricordiamo Riflesso condizionato dell'82, La guerra appena finita dell'83, Il Vestito più bello e La piccola avventura dell'85.
GIANNI AMELIO (Le chiavi di casa, 2004; Il ladro di bambini, 1992) scrive soggetti e sceneggiature anche sotto altro nome, ma gira vari corti, ricordiamo Non è finita la pace, cioè la guerra (Betacam, 31'), che raccoglie interviste fatte a bambini durante la guerra di Sarajevo.
MARCO TULLIO GIORDANA (I cento passi; La meglio gioventù) di lui ricordiamo: Scarpette bianche
ROBERTA TORRE Ha fequentato la Scuola di Cinema. il suo primo corto fu Tempo da buttare, girato in 16 mm. Ha continuato girando corti anche in Super8 e 35 mm.
MARIO MARTONE (Morte di un matematico napoletano, L'amore molesto e il recente Teatro di guerra) si confronta con realtà diversissime come quella del popolo africano Sahrawi su cui ha girato alcuni cortometraggi per sostenerne la lotta per l'indipendenza come I bambini di Saharawi; ed Un posto al mondo del 2000 girato in Betacam.
MARCO RISI (Soldati 365 all'alba, 1998; Muro di gomma, 991; Caro Vittorio, 2004) gira: Eyup, Eyup, il bambino dell'Anatolia.
ACHERO MANAS (El bola, 2000 - premiato anche a Pesaro) ha inizito con tre cortometraggi: Metro del '97, Cazadores, premiato con un Goya, e Paraìsos Artificiales del 1998.
LILIANA GINANNESCHI Ha fequentato il centro Sperimentale di Cinematografia, nel '78 gira in 16 mm il cortometraggio Sotto il muro, segnalato a Venezia.
GIUSEPPE GAGLIARDI Autore di numerosi cortometraggi e videoclp musicali, ricordiamo il suo Peperoni che ha vinto nel 2001 il Sacher d'Argento nel Festival di Nanni Moretti
AMOS GITAI Autore di numerosi cortometraggi e documentari. Tra i primi cortometraggi: (tutti del 1972) Souvenirs d'un camarade de seconde Aliya, Windows in David Pinsky no.5, Souk / Dialogues de femmes, Géographie selon l'homme moderne et le contrôle de l'environnement , Textures , Black Is White , Details of Architecture , Arts and Crafts and Technology. In totale ne ha girati 36 (fino al 2001), mentre di documentari (dal 1979 al 2005) ne ha girati 25.
I giovani che vogliono avvicinarsi al Cinema, nelle prospettive cinematografiche attuali, non hanno altra strada che scrivere una sceneggiatura e portarla al Ministero dello Spettacolo nella speranza di ottenere la sovvenzione prevista dall’Art. 8 per le opere Prime e Seconde. Delle centinaia di progetti di film presentati, la Commissione ne fa’ passare solo pochi, bocciandone moltissimi. Tra i film bocciati noi ne scegliamo i migliori e li pubblichiamo insieme alle motivazioni della bocciatura affinché piccoli capolavori non muoiano e non rimangano seppelliti nei cassetti per la cecità della burocrazia ministeriale.
Sono convinto che le idee non debbano mai essere seppellite.
Sono sicuro che se molti dei progetti di film di mio padre, Roberto Rossellini, che oggi fanno parte della Storia della Cinematografia Mondiale, fossero dovuti passare attraverso le maglie di una commissione Ministeriale burocratizzata ed ottusa, oggi non esisterebbero.
Perciò sono sicuro che pubblicare i progetti di Film bocciati all’Art. 8 sia un’azione utile e intelligente.
Nel resto del mondo succede lo stesso? No!
Dove le cinematografie sono piu’ vitali vige un sistema diverso che io chiamo “La catena di seduzione”.
Gli anelli di questa catena nell’ordine sono: un soggettista ha l’idea e cerca di convincere (sedurre) un regista, regista e soggettista cercano di convincere (sedurre) un produttore, Il produttore deve convincere (sedurre) un distributore ed un’Ente televisivo, Il distributore ed l’Ente televisivo devono, attraverso il marketing del film, convincere (sedurre ) il pubblico. Il pubblico sedotto dalla grande spinta deduttiva del film fruisce del film in massa.
Nel nostro sistema Ministeriale burocratico manca la spinta seduttiva ed anche se il film viene realizzato, arriva al pubblico con una spinta seduttiva fiacchissima.
Con questa iniziativa editoriale della Arduino Sacco Editore per la collana “Abbiamo deciso che… cinema” ripercorriamo la “catena di seduzione” all’inverso andiamo con l’idea direttamente al pubblico e da qui’ chissà forse sedurremo e convinceremo TV distributori e registi.
Renzo Rossellini
Al nostro cortometraggio, o filmato, dobbiamo dare un titolo. Deve essere possibilmente breve, conciso, idoneo al filmato stesso. E' semplice ma non facile. Oggi con poca fatica, davanti al nostro computer possiamo provare e riprovare fino ad avere un ottimo risultato.
I titoli di testa devono evidenziare l'argomento del filmato, scegliere il font adeguato e con dei caratteri grandi, ben leggibile, con una animazione sobria (esempio, con una zoomata da piccolo a grande), deve apparire il titolo, il nome degli attori principali (per un matrimonio i nomi dei 2 sposini) e del regista (cioè voi), ma con un carattere più piccolo.
I titoli di coda devono essere dello stesso stile di quelli di testa, ma con caratteri molto più piccoli, sempre leggibili. Normalmente scorrono dal basso verso l'alto. Devono esserci i nomi di tutti quelli che hannno partecipato in qualche modo alla realizzazione del filmato (meglio metterne di più che di meno!).
I sottotitoli sono invece le scritte che traducono i dialoghi che avvengono sullo schermo. Oppure delle note per la comprensione del film, ad esempio l'ora, la data ed il luogo dove avviene la vicenda (è molto usata in alcune serie televisive d'azione).
I titoli di testa, indicando così ciò che c'è oltre il titolo del film, fu adottato nel 1906 circa, ed erano le foto degli attori con nome e ruolo.
Quando finisce un film le luci si accendono, ci alziamo dalle poltrone e non leggiamo quasi mai i titoli di coda. Facciamo male perché in qualche caso il film non è davvero finito. Ci sono ancora immagini che ci attendono e che così perdiamo. Nel film “Cenerentola” di Kenneth Branagh, ad esempio, al termine dello scorrere dei titoli di coda è proprio la sua voce, quella di Cenerentola, che dice: “Ma dove sono andati tutti?” sottolineando così che la sala si è nel frattempo svuotata.
Perché invece bisognerebbe soffermarsi a guardarli (se non a leggerli)? Perché cosi ci si renderebbe conto direttamente che il cinema è composto da due termini che fanno rima: passione e professione.
L'assistere allo scorrere di, a volte apparentemente interminabili, liste di nomi può sembrare un’inutile perdita di tempo. Non è cosi.
L’attore Charlton Heston (protagonista del primo ”Ben Hur”) una volta ha detto: "Il problema del cinema come industria è che i film sono un'espressione d’arte e il problema dei film come espressione d'arte è che il cinema è un’industria".
Compito di chi fa cinema è il coniugare questi due elementi e non dimenticare mai né I'uno né l’altro. Gli autori dei corti che avete visto potrebbero già dirvi quanto lavoro stia dietro pochi minuti di proiezione, quante competenze, quanto tempo impiegato.
Tutto questo però richiede sempre e comunque (se si vuole toccare il cuore dello spettatore) il rispetto di un ammonimento che I'anziano Alfredo in “Nuovo Cinema Paradiso” dava al piccolo Salvatore: “Qualsiasi cosa farai amala, come amavi la cabina del Paradiso, picciriddu”.
Intervento di Francesca Garavante, giurata alla Rassegna "I corti del Gattopardo" a Sciacca (12-9-2017)
Molte le redazioni ed emittenti tv intervenute alla serata inaugurale della 17° settimana della lingua e della cultura italiana, che ha visto spettatori entusiasti dei 4 cortometraggi, scelti dal presidente Renato Francisci della nostra associazione culturale "ILCORTO.IT", anche personalità politiche come l'Ambasciatore d'Italia nel Principato di Monaco S.E. Cristiano Gallo, il Segretario di Stato, Jacques Boisson, l’Ambasciatore Henri Fissore, Chargé de Mission auprès du Ministre d’Etat, Andrea Stratta Amministratore delegato UCI Cinemas. “Abbiamo tenuto alto il ritmo, proiettando quattro cortometraggi molto apprezzati che danno il senso dell’italianità, - ha dichiarato l’Ambasciatore - il tutto alla presenza di straordinari artisti che siamo stati onorati di celebrare”.
La Settimana della Lingua e della Cultura Italiana a Monaco è stata presentata dall’Ambasciata d’Italia con l'alto patrocinio di S.A.S. Principe Alberto II e del Presidente della Repubblica Italiana. “La diffusione e l’insegnamento della lingua italiana nel mondo occupa un posto di rilievo nell’azione svolta quotidianamente dalla diplomazia culturale una cifra identitaria che costituisce uno strumento importante per la proiezione internazionale del nostro paese” ha ricordato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella nel messaggio inviato in occasione della presentazione della XVII Settimana della Lingua, sottolineando come “l’italiano è ed è percepito come lingua di cultura”.
La manifestazione si é svolta al centralissimo ed elegante Salon Bellevue al Café de Paris a Monte Carlo. Tra gli ospiti presenti alla serata Fabio Testi, Barbara Bouchet e Flavio Bucci che hanno ricevuto dall'Ambasciatore Gallo un riconoscimento per la loro lunga e professionale carriera cinematografica; mentre il giovane regista Francesco Felli ha ricevuto un riconoscimento per la sua opera ed in rappresentanza dei giovani registi speranza del nuovo cinema italiano
Il programma della serata, presentata in modo brillante dall'attore Vincenzo Bocciarelli, ha visto la proiezione dei cortometraggi: "Un filo intorno al mondo" di Sophie Chiarello con Aldo, Giovanni e Giacomo; "Ogni giorno" di Francesco Felli con Stefania Sandrelli e Carlo Delle Piane; "Neanche i cani" di Alfio D’Agata con Nino Frassica; "L'amore è un giogo" di Andrea Rovetta con Neri Marcoré. Tutti e quattro le opere dei giovani e promettenti autori sono state apprezzate sia per le loro caratteristiche costruttive e tecniche, sia per la pregevole recitazione degli attori, che per il messaggio che hanno trasmesso al pubblico.
“Un evento che non poteva iniziare sotto gli auspici migliori e che ha incontrato un grande favore del pubblico" ha dichiarato alla fine con grande soddisfazione l'Ambasciatore Gallo. La serata ideata dall'Ambasciatore d'Italia nel Principato di Monaco Cristiano Gallo, é stata organizzata dalla società inglese Movie On Pictures Ltd con la fattiva collaborazione dell'associazione romana "ILCORTO.IT" che ha scelto i cortometraggi proiettati.
'"Il cinema Altro: il cortometraggio"
XVIII Convegno Internazionale
di Studi sul Cinema
e gli Audiovisivi
PESARO 22-24 ottobre 1999
a cura di Luca Malavasi
Che cos’è corto, ciò che non è lungo? Detto così, sembrerebbe che l'esistenza del corto sia data soltanto in funzione (differenziale) del lungo o questa, almeno, a una prima occhiata, sembra essere la regola all'interno della produzione audiovisiva.
Ha tentato di fare il punto sulla situazione del cortometraggio in Italia la Fondazione Pesaro Nuovo Cinema all'interno della XVIII Rassegna Internazionale Retrospettiva tenutasi a Pesaro fra il 19 e 24 ottobre 1999 e dedicata, appunto, agli "Autori in breve. 10 anni di corti in Italia e in Inghilterra".
ESTETICA E TEORIA
Una tre giorni di studi, conclusasi con una tavola rotonda, presieduta da Bruno Torri e destinata a illuminare un po' tutte le zone d'ombra del corto (e sono molte) da punti di vista analitici via via diversi. E si è dunque cominciato (Torri) col caratterizzare il perimetro d'analisi: il corto è una MISURA e non un GENERE, vive una condizione di marginalità perché, soprattutto in Italia, è privo di mercato; tuttavia, ha svolto e svolge una funzione culturale fondamentale, spesso qualificandosi come luogo deputato di sperimentazione o, più banalmente, servendo da "palestra" per il lungo (e qui il corto sembrerebbe davvero perdere un po' della sua specificità per diventare non solo il non-lungo ma addirittura il pre-lungo). Proprio parlando di differenze, Torri ha sfiorato un tema poi non più ripreso nel corso del convegno (se non forse dagli autori chiamati a commentare i loro corti), e cioè quello dell'autonomia non solo "temporale" (corto-corto) del cortometraggio, ma anche, diciamo, narrativa e stilistica, determinata da specifici livelli di formalizzazione e da una diversa operatività nel montaggio e nello sviluppo dell'intreccio che deriva proprio dalla "compressione" dei tempi rispetto al lungo. Diamo subito un esempio: è una caratteristica piuttosto diffusa fra i corti il cosiddetto "stile francese" che consiste nel risolvere la trama con un colpo di scena finale dopo pochi minuti descrittivi. Il lungo, semmai, può presentare al suo interno singole sequenze con inizi pigri e finali scioccanti, ma è chiaro che la misura dei 120 minuti standard quasi mai consente una unità ininterrotta di tensione come si dà invece, e proprio per i tempi, al corto. Da questo punto di vista, la relazione spesso invocata fra novella (short story) e corto sembrerebbe funzionare. In verità, la distanza e differenza dei codici espressivi coinvolti mantiene la relazione a livelli superficiali.
Ciò detto, è proprio un approccio di tipo COMPARATISICO-LETTERARIO ad aver goduto di maggior successo all'interno delle teorie del cortometraggio. Se ne è occupato Gianni Volpi nel suo intervento, dedicato, appunto, alle tendenze analitiche nello studio del corto.
Un corpus di studi, quello dedicato alla "forma breve", nuovo e recente, e cioè, tutto sommato, povero di sistematizzazioni e ricco di energie e suggestioni. E lo stesso intervento di Volpi, in certi passaggi "impressionistici" e in certe rigidità normative, ha scontato tutta la difficoltà di tenere a freno una materia che ha da poco superato la maggiore età (di solito, almeno in Italia, la storia delle produzioni corte si fa risalire ai primi anni Ottanta).
Dice Volpi: poca teoria, poca coscienza di sé. In tutto questo, si possono forse individuare tre tendenze: quella, già citata, di tipo comparatistico-letterario, quella APOCALITTICA e quella UTILITARISTICA.
La prima categorizza e istituzionalizza in modo scarsamente problematico (e qui, dunque in partenza, sta forse l'errore) il doppio parallelo corto=racconto e lungo=romanzo, e cioè, a livello profondo, cinema=letteratura (magari, soltanto, la relazione tempo cinema=tempo letteratura o, meglio, spazio-tempo cinema=spazio-tempo letteratura). Le somiglianze, dice Volpi, sono estrinseche e vanno cercate nella esistenza delle FORME BREVI, già categoria d'interesse calviniano. Si può insomma tentare di vedere il corto come parte di un sistema narrativo che attraversa e supera tutte le singole forme e i codici specifici (cfr. Chatman). Questa posizione sembra assecondare tanto l'estrema, costituzionale "libertà" del corto che pare addirittura fondato sul nulla, quanto l'ipotesi relativistica di una fuga dalla teoria verso l'accettazione della continua metamorfosi di questa non-forma o forma-riformante se stessa a ogni nuovo uso. E qui siamo già scivolati nella tendenza Apocalittica, per cui Volpi chiama in causa le posizioni di Alberto Abruzzese e Gianni Canova.
Il primo rappresenterebbe il "punto estremo", là dove si brucia non solo il già pallido residuo aurorale dell'arte novecentesca per eccellenza, ma la stessa definizione d'arte, persa e degradata nella struttura spiraliforme e triturante del consumo. In questo corteo funebre, il corto dovrebbe scegliere: o seguire il feretro del cinema e finire sotterrato lui pure o "liberarsi e uscire da se stesso" e produrre ipertesti da affidare alla libertà dell'operatore (tornare a un'alba del cinema?). Non ha senso, insomma, pensare il corto come sistema alternativo, come modello comunicativo parallelo e altro rispetto al lungo. Si tratta di vedere piuttosto nel corto, e in tutte le forme brevi che gli si possono affiancare (sigle, trailer, spot, intervalli etc) dei formati che svolgono un preciso ruolo all'interno della comunicazione della "surmodernità" (cfr. Augé), luogo sociologico di non-luoghi che mette anzitutto in crisi la posizione e la funzione della sala come spazio privilegiato del consumo cinematografico. Al contrario, le forme brevi sembrano assecondare e ipostatizzare la frantumazione della temporalità sur o postmoderna, spezzando la rigidità elefantiaca del consumo del lungometraggio, con la sua durata standardizzata sempre più lontana dai desideri percettivi del pubblico. Nella relazione fra durata, ritmo e trattamento del tempo, il corto rivendica e manifesta proprio la flessibilità del consumo (e, dunque, del consumatore), favorendo la disgregazione di definizioni monolitiche come tempo e durata e l'apertura verso nuovi orizzonti di a) libertà, b) caos o c), salutare dissennatezza (mi pare che qui, in tutti e tre i casi, la freccia del tempo cinematografico arrivi in modo molto affascinante e gravido di conseguenze quasi a coincidere con la freccia del tempo termodinamico della fisica post-einsteiniana, indicante la direzione del tempo in cui aumenta il disordine e l'entropia anziché l'ordine e l'energia).
Infine, richiamandosi a Gianni Canova, Volpi ha accennato all'ipotesi di una "complessità temporale" anche all'interno della sala o, meglio, dentro i corpi degli spettatori (una densità ed entropia del microscopico che bilancia la fuga dalla sala e la sublima), verso una instabilità strutturale (affascinante ossimoro) che forse permetterà di riguadagnare al cinema anche una nuova moralità (ma qui il punto di domanda si impone come in ogni piano fantascientifico). Di certo, per intanto, si è seppellito il senso del sacro dell'arte cinematografica, già pallido in principio. Oggi, infine, svanito. Magari a favore di una nuova ritualità, folle e pagana e allucinata.
DEFINIZIONI, TECNICHE, STORIA ED ECONOMIA
Quanti corti e quanto corti? Ci ha provato Vito Zagarrio a dare una "tassonomia" della misura. Anzitutto, rispetto al "quanto", 30 minuti può assumersi come parametro standard (e poi può cominciare il gioco all'individuazione del più corto del corto e del più lungo del corto e del più corto del lungo ma più lungo del corto etc… e si dimostra per altra via - linguistica - la inadeguatezza del tempo-durata come parametro definitorio di un prodotto d'arte: e così, pure, si torna al punto di prima, alle rigidità del sistema e delle durate che sono anche espressioni economiche e alla sala e ai suoi spettacoli. Problema, insomma, al momento insolubile. Accettiamo i termini e compromettiamoci con coscienza).
In merito al "quanti" Zagarrio distingue:
• CORTO NARRATIVO (tradizionale):
- plot forte
- stile riconoscibile
- cura del "filmico"
• CORTO D'AUTORE (ex Soldini)
• CORTO SCOLASTICO (ex saggi di fine d'anno delle scuole di cinema)
• CORTO COME WORK IN PROGRESS, in attesa di essere espanso (Il caricatore, 1997, con i tre autori presenti a Pesaro)
• CORTO IN FILM COLLETTIVO (Intolerance)
• FILM A EPISODI (New York Stories)
• CORTO CHE DIVENTA STRISCIA (Cinico Tv)
• VIDEOCLIP
• SPOT PUBBLICITARIO
• FILM D'ANIMAZIONE
• DOCUMENTARIO (Daniele Segre, presente a Pesaro con A proposito di sentimenti)
• VIDEO D'ARTE (mèlange ibrido)
• VIDEO SPERIMENTALE
L'elenco è naturalmente perfettibile.
Un altro problema sollevato da Vito Zagarrio è quello del formato: talvolta, infatti, i corti sono realizzati in 35 millimetri. Con il 35 si ottiene, è ovvio, un'alta qualità ma, per contro, si perde buona parte della "leggerezza" tecnica che caratterizza proprio il corto (ma, è giusto ricordarlo, anche una significativa percentuale delle produzioni "lunghe", interessate, per esempio, dall'ingresso sempre più capillare del digitale: oltre a Dogma 95, andrà ricordato, per restare in Italia, Questo è il giardino di Giovanni Maderna, premiato come miglior opera prima a Venezia '99. Certo la fotografia di Luca Bigazzi rendeva tutto molto più "cinematografico"…) In effetti, la differenza maggiore fra corti video e pellicola sta proprio nella FOTOGRAFIA. in secondo ordine, nella RECITAZIONE. Ma anche nella maggiore libertà rispetto ai GENERI. Libertà, insomma, è ancora una volta la parola più ricorrente all'interno di una descrizione generale del cortometraggio.
Una storia delle produzioni corte di grande lucidità è infine venuta da Vincenzo Succimarra. In principio furono alcuni coraggiosi produttori pubblicitari (ex Arcopinto) a scoprire questo formato già piuttosto praticato in altri paesi in Europa. E poi c'era, e c'è ancora, accanto a questo fenomeno produttivo, la possibilità, normalmente praticata, dell'autofinanziamento. Si può andare dai 2 milioni (tanto à costata la versione corta de Il Caricatore) alle decine di milioni. E non ci sarebbe stato alcun inizio se questi produttori non avessero riscoperta anche la loro funzione di talent-scuot, al di fuori di certe logiche rigide e burocratiche che abitano l'industria del cinema (come qualsiasi altra industria). Intanto, negli stessi anni, e proprio per la moltiplicazione dei prodotti corti, nascevano i primi festival e concorsi (oggi 300 nella sola Italia). In questo caso, il principio è rappresentato dall'AIACE che porta i corti a Venezia e comincia anche a progettare una via di sfruttamento commerciale e di circuitazione.
In un secondo tempo, arriva lo Stato e, in modo più incisivo (almeno in Italia), il mercato privato (le pay-Tv soprattutto, come Studio Universal, Rai Sat, Tele+). Le televisioni sono anche i canali fondamentali di diffusione dei corti. Al proposito, Succimarra esibisce i bilanci '97, '98 e '99 di un noleggiatore di cortometraggi, Marco Gallo. Se il fatturato è cresciuto esponenzialmente dal '97 al '99, le voci di bilancio riguardo agli introiti (comunque, generalmente, molto bassi), contano un 15-20% di incassi derivanti da rassegne che noleggiano i corti; una percentuale che oscilla dal 60% del '97 al 45% del '98 per attestarsi sul 50% nel '99 di noleggio della Tv italiana e una restante quota di introiti derivanti dalla vendita all'estero (il boom risale al '97, quando si passa dal 25% al 40%).
Il problema essenziale è insomma costituire una rete di efficace diffusione prima ancora che di produzione (a quale scopo finanziare progetti, infatti, se questi non si possono poi distribuire?). In Francia e Inghilterra la situazione appare migliore: in Francia, dove lo stato arriva a stanziare fino a 45 miliardi di lire annui per progetti audiovisivi, esiste una Agenzia del Cortometraggio con una rete di diffusione e catalogo dei titoli. Di qui le sale scelgono i prodotti che intendono proiettare dopo aver sottoscritto un abbonamento all'Agenzia per cui pagano una quota annua che consente loro libertà di noleggio. Un'analoga Agenzia del Corto esiste in Inghilterra dal 1992 (la testimonianza è di Kevin Franklin, coinvolto in prima persona nell'attività di finanziamento dei corti in Inghilterra). Dal 1998 è attiva in Uk anche una Agenzia Italia destinata a promuovere il nostro lavoro all'estero. Proprio l'Inghilterra, di cui si sono viste a Pesaro opere del passato (la retrospettiva sul "Free Cinema") e del presente (le produzioni Channel 4, per esempio, con i loro 11' di tempo obbligatorio) risulta il paese europeo più attivo e solidamente organizzato. Grazie anzitutto alle televisioni (Channel 4, la BBC, TNT), istituzioni come il BFI, produttori indipendenti, finanziamenti statali etc. Anche la rete distributiva appare meglio organizzata e, nelle voci di bilancio dei noleggiatori, una buona parte è assorbita (a differenza dell'Italia) dalle sale, soprattutto londinesi. Un fenomeno "all England" è poi quello dei Film Club (nulla che vedere coi nostri "cineforum"), ovvero serate di proiezioni, musica e poesia che permettono di proiettare su grande schermo lavori di giovani autori in 16 e 35 millimetri. Infine, il dato della formazione: in Italia esiste una sola scuola nazionale circondata da una rete più o meno qualificata di istituti regionali, provinciali e comunali. Molto più ricche e qualificate le situazioni europee di Francia e Inghilterra.
Altri contributi si possono leggere all'interno del bel catalogo realizzato dal Festival per i tipi della casa editrice "Il Castoro".
Questo l'indice:
SAGGI
- Uno, cento, mille corti di Angela Prudenzi (curatrice)
- Sul corto italiano di Stefano Della Casa
- La carica dei corti di Vincenzo Succimarra
- Lunghi per caso di Cristina Paternò
- Shortware di Stefano Martina
- Lex, dura ma breve di Dario Formisano
- L'esperienza inglese di Kevin Franklin
- La legge sul corto
INTERVISTE
AUTORI
- Bruno Bigoni
- Daniele Ciprì e Franco Maresco
- Pappi Corsicato
- Antonietta de Lillo
- Daniele Segre
- Roberta Torre
- Eugenio Cappuccio, Massimo Gaudioso, Fabio Nunziata
- Matteo Garrone
- Gianni Zanasi
- Carlotta Cerquetti
- Eros Puggelli
PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE
- Gianluca Arcopinto
- Paolo Cavalcanti
- Marco Gallo
- Roberto Gambacorta
FILMOGRAFIA
Inghilterra
Italia
Luca Malavasi
Lunedì 16 ottobre 2017, alle ore 19.30, presso il Salon Bellevue, nel centralissimo Cafè de Paris di Monte-Carlo, l'Ambasciatore d'Italia nel Principato di Monaco, S.E. Cristiano Gallo, inaugurerà la XVII edizione della Settimana della Lingua e della Cultura italiana a Monaco, che gode dell’alto patronato di S.A.S il Principe Alberto II e del Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella. La serata inaugurale, intitolata “Una finestra sul Cinema italiano“, è organizzata dall’Ambasciata d’Italia nel Principato di Monaco in collaborazione con la Movie On Pictures. Il programma della serata, che sarà presentata da Vincenzo Bocciarelli, prevede la proiezione di quattro cortometraggi (grazie alla fattiva collaborazione con la nostra associazione ILCORTO.IT): Un filo intorno al mondo, regia di Sophie Chiarello con Aldo, Giovanni e Giacomo; Ogni giorno, regia di Francesco Felli con Stefania Sandrelli e Carlo Delle Piane; Neanche i cani, regia di Alfio D’Agata con Nino Frassica; L'amore è un giogo, regia di Andrea Rovetta con Neri Marcoré. Verranno inoltre assegnati riconoscimenti alla carriera cinematografica agli attori Barbara Bouchet, Flavio Bucci e Fabio Testi. Una targa per l'attività nel campo cinematografico sarà consegnata ad Andrea Stratta Amministratore delegato dell'UCI Cinemas.
COME SI GUARDA UN FILM
Un film è fatto da fotogrammi, da immagini, suoni, musica, da parole dette, non dette, dette con gli occhi, con atteggiamenti e sguardi. E' un fenomeno comunicativo che ha molteplici sfaccettature: nella visione di un film e quindi nella sua realizzazione, niente deve e può essere lasciato al caso. Insieme cerchiamo di individuarne le componenti principali che dobbiamo analizzare quando guardiamo un film (un videoclip, uno spot,.... ed in modo particolare il nostro corto).
Nella lettura di un film lo spettatore deve riconoscere i meccanismi del suo funzionamento, deve cercare di individuare gli elementi specifici che stanno alla base della sua costruzione. Bisogna dunque che analizzi gli elementi del suo linguaggio, per comprendere come si realizza un racconto per immagini.
I codici che compongono il linguaggio cinematografico sono di tipo visivo e sonoro, in generale, oltre a quelli specifici del cinema...
LE INQUADRATURE sono composte da vari elementi, i tipi di campo usati, l'angolo di ripresa del soggetto, la distanza dalla macchina da ripresa, la profondità di campo, l'obiettivo utilizzato (normale, grandangolo o tele), i movimenti della macchina (in avvicinamento, allontanamento, dall'alto o dal basso,..), la durata, l'uso delle regole di composizione pittorica (che troviamo negli argomenti dell'educazione artistica), ...
IL MONTAGGIO può essere poco visibile, con stacchi morbidi, molto naturali, oppure molto ben visibili, con passaggi d'effetto, accompagnati da una musica che accentua il tutto; un flashback od una dilatazione del tempo narrativo (come un ralenti) è messo in evidenza da un buon montaggio... Scritte varie e didascalie ne fanno parte integrante.
LA FOTOGRAFIA ovvero l'illuminazione degli attori e della location influenza le caratteristiche del film, la luce può essere calda o fredda, l'illuminazione può essere diretta, indiretta, di taglio, controluce, ogni situazione ripresa ha bisogno del suo tipo di luce...
LA COLONNA SONORA deve sapersi adeguare ai vari momenti della ripresa, deve passare da musica di sottofondo ad elemento rafforzativo di quanto espresso visivamente, l'immagine per quanto importante può essere accentuata da uno stato d'animo espresso dalla musica idonea. Quindi andiamo dalle voci dei dialoghi, ai rumori di sottofondo, alla musica vera e propria.
LA STRUTTURA NARRATIVA deve enfatizzare la storia, i tempi narrativi, con colpi di scena al momento giusto, quando il racconto sta scendendo di tono. In film più complessi, che possono talvolta sembrare disordinati, può essere necessario ricorrere alla scoperta temporale di elementi necessari.
Spesso l'ANALISI DEL TESTO non può essere fatta se non con un'attenta lettura del copione, in libreria troviamo molti copioni stampati, ma già quello che le nostre orecchie sentono, in contemporanea alle immagini, può darci un'idea della linearità ed adeguatezza del testo. Quindi la letteratura può aiutare ad analizzare meglio un film attraverso la lettura e l'analisi dei codici narrativi (come l'incastro della storia, la descrizione dei personaggi, gli elementi dell'ambiente, i vari punti di vista, ecc.).
Lo spettatore, per creare la sua capacità personale a comprendere un filmato, ovvero i suoi valori espressivi, dovrebbe avere cognizioni sul Cinema dalle sue origini, come si è evoluto, i passi fondamentali che lo hanno fatto crescere, dovrebbe aver visto alcuni film basilari e fondamentali della storia del cinema, analizzandone le sequenze principali per valutare le motivazioni delle scelte stilistiche effettuate dai registi e dai suoi collaboratori.
Sabato 24 novembre 2012 al cinema Modernissimo di Napoli, il noto critico cinematografico Valerio Caprara ha presentato il nuovo cortometraggio cinematografico del regista teatrale, drammaturgo e cineasta napoletano Giovanni Meola (Photo©Michela Iaccarino), Una breve vacanza, che segna il ritorno al cinema, dopo una lunga pausa televisiva (soprattutto con Un medico in famiglia) e teatrale, di un bravo attore come Giulio Scarpati (presente in sala), in una storia che nella nota di regia, lo stesso Meola così descrive: «un uomo porta la sua fidanzata, di molto più giovane di lui e alquanto uterina, a fare un weekend fuori. Ma il loro rapporto, venato di gelosie e insofferenze, farà andare le cose diversamente da come previsto. Coinvolto suo malgrado in questo rapporto malato, lo stralunato barista delle terme, luogo della “breve vacanza” della coppia». Oltre a Scarpati, protagonisti Martina Liberti nel ruolo della donna e uno degli attori feticcio di Meola, Luigi Credendino, nel ruolo del barista.
A conclusione della pomeridiana, la proiezione del penultimo, pluripremiato corto di Meola, Il sospetto, protagonista un altro navigato attore di cinema e teatro, finito un po’ fuori dai circuiti: Massimo Dapporto, nel ruolo di un prete problematico molto diverso dal parroco televisivo di Un prete tra noi.
Anche se il nome dirà poco ai non addetti ai lavori, Giovanni Meola ha alle spalle una solidissima carriera teatrale, fatta di testi originali (Frat’’e sanghe, L’infame, Lo sgarro) e rivisitazioni “alte” (Molière), oltre che un cospicuo numero di cortometraggi (Il pinocchio carognone, In apnea, Bando di concorso), tutti prodotti con la sua “Virus Teatrali”, i suoi fedeli attori e la sua precisa idea di teatro della legalità.
Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
Virus Film
“UNA BREVE VACANZA”
sceneggiatura | regia GIOVANNI MEOLA
con | GIULIO SCARPATI
e | LUIGI CREDENDINO | MARTINA LIBERTI
e con | CHIARA VITIELLO | MASSIMILIANO FOÀ | MELANIA BALSAMO
dir.fotografia | ROBERTO LUCARELLI
musiche originali | ENRICA SCIANDRONE
scenografia | VIVIANA PANFILI
sound design | IGNAZIO VELLUCCI
costumi | ANNALISA CIARAMELLA
trucco | ANTONELLA NASTRO
aiuto regia | SERGIO PANARIELLO
ass.te alla regia | ANDREA VALENTINO
durata | 22’00″
Gli attori protagonisti sono Totò Onnis, interprete di numerosi film diretti da maestri del grande schermo come Fellini e Benigni, e Nadia Kibout, attrice francese di origini algerine con alle spalle molte esperienze internazionali in ambito cinematografico, teatrale e televisivo.
Sepalone, come è nata questa storia? Parliamo della sua genesi.
Desideravo girare un cortometraggio riguardante la notte e i suoi mille volti. La notte può essere dolce ma allo stesso tempo fredda, può essere materna ed anche estranea. Con il passare del tempo sono nati Raul e Laura, i due protagonisti del film. Alla fine ho girato un film che racconta l’incontro notturno di due solitudini.
Calarsi poi sul set, nel personaggio, nella storia, a 360° gradi: come avete vissuto questa nuova esperienza di lavoro e passione, e cosa, in questo nuovo film, vi ha presi coinvolti in maggior modo?
LORENZO SEPALONE: Il set è un luogo magico, una dimensione difficile da raccontare e meravigliosa da vivere. Ci sono i sogni del regista (e non solo) che si animano davanti alla macchina da presa. Il set è poesia in movimento. Essendo anche il produttore sono stato coinvolto in ogni fase del progetto.
NADIA KIBOUT: Il set è la mia passione maggiore. Cuore, anima e corpo vengono coinvolti pienamente. È sempre una nuova esperienza arrivare su un set. Per questo film è stata una bella sorpresa vedere un gruppo di lavoratori così compatti. Tutte le iniziali preoccupazioni, i primi timori sono scomparsi subito. Dal primo momento mi sono sentita “a casa”.
TOTÒ ONNIS: Sicuramente il personaggio arriva in un momento in cui qualunque uomo della mia età fa dei bilanci. Non ho dovuto interpretare nulla di diverso da quello che sono io in questo momento. Mi incuriosiva invece che un regista giovane come Lorenzo Sepalone volesse affrontare anzitempo questo aspetto della vita che prima o poi coglierà tutti. Perché tanta fretta…
La nascita di un film è sempre una grande emozione, a lavoro terminato si ha come la nostalgia dei giorni trascorsi sul set. Vorrei domandarvi: dai vostri esordi a oggi, come vi percepite?
LORENZO SEPALONE: I giorni che seguono la fine del set sono malinconici. È come se all’improvviso terminasse un incantesimo. Durante le riprese riesco ad esprimere completamente la mia personalità, ossessioni comprese.In questo progetto molti membri del cast mi hanno detto di aver vissuto un’esperienza magica. C’è stato un clima di festa e allo stesso tempo di intenso lavoro. Abbiamo lavorato, quasi sempre di notte, con gli occhi gonfi per il sonno e lucidi per l’emozione.
NADIA KIBOUT: Per me arrivare sul set di un nuovo film è come se fosse sempre la prima volta in assoluto: quindi agitazione, paura, timori, tremori in fondo sono quasi il mio motore. Cerco sempre di entrare nel mondo del regista. Mi incuriosisce l’universo che il regista si porta dentro ed il viaggio che mi porterà a fare. Oggi ogni volta che sono su un set mi ritengo, per prima cosa, fortunata e poi onorata per essere stata scelta. Amo osservare da lontano il regista, come si muove, come si relaziona con gli altri. In questo film in particolare c’è stata da subito una gran sintonia tra tutti noi. Tutti insieme avevamo voglia di fare un bel lavoro, che ci toccasse e ci facesse fare un bel viaggio. Ed in più ci siamo pure divertiti, malgrado le lunghe ore notturne! Tutto questo ha fatto sì che alla fine delle riprese sia stato difficile il distacco.
TOTÒ ONNIS: Ai miei esordi ero molto preoccupato della mia interpretazione, di fare al meglio possibile, con l’unico risultato spesso di fare peggio. Faccio sempre tutto con la stessa passione ma con molto più distacco di prima. Sono quasi spettatore di me stesso e di quello che succede. Non ho più nessuna ambizione (e in questo senso sono come il protagonista del corto ) e questo paradossalmente mi fa stare molto più tranquillo sul set e in qualunque altra situazione. (le foto sono di Mimmo Brunetti)
Ogni film è un microcosmo a sé stante. Come affrontate, ogni volta, una nuova storia, un nuovo personaggio?
LORENZO SEPALONE: Con felicità e dolore. Sono, a dir poco, lunatico e paranoico nei confronti dei miei progetti. Provo felicità quando trovo collaboratori straordinari e quando mi riconosco completamente nell’opera che sto realizzando. Provo dolore quando non riesco a trovare un equilibro tra i miei desideri e le cose realizzabili, quando cresce in me un fastidioso bovarismo.
NADIA KIBOUT: Prima di tutto la curiosità di capire il più possibile il copione che ho davanti, tante letture dell’insieme, poi preparo le mie domande al regista, chiedo di parlarmi del personaggio, di dirmi tutto quello che si aspetta. Infine faccio delle mie proposte e comincio a lavorare sulla vita del personaggio in questione per trovare il modo migliore per renderlo mio.
TOTÒ ONNIS: Prima di tutto vedo se ed in cosa assomiglia a me, se poi il personaggio è particolarmente distante da me parto da come si muove nello spazio , qual è la sua postura, come vestirebbe. Capito tutto questo, il resto viene da sé.
Il cinema italiano attuale. La vostra opinione.
LORENZO SEPALONE: Una parte del cinema italiano è distrutta da alcune regole produttive ed è ancorata a convenzionali scelte narrative e stilistiche.Le produzioni non rischiano, non realizzano un cinema diverso perché non vogliono allontanarsi dalle abitudini dello spettatore medio e così la qualità viene accantonata. Alcuni registi girano subendo questi problemi e realizzano pellicole anonime dove la poetica e lo stile diventano invisibili. Non voglio generalizzare. Da sempre amo e difendo il nostro cinema. Esistono anche produttori intelligenti e spettatori curiosi.
Nel mondo dei cortometraggi, ad esempio, risiede molta libertà creativa. Non essendoci un mercato dei corti in Italia gli autori dei film brevi non sono vittime di determinate logiche commerciali.
NADIA KIBOUT: Oggi tutto è reso più difficile. A parte la crisi che stiamo vivendo, bisogna ammettere che sono anni che il cinema italiano soffre. Soffre per un mercato che non c’è, per una politica della cultura che non esiste e per voler emulare altri paesi, altri mercati difficilmente raggiungibili. Io mi auguro solo che tutto ciò non uccida la creatività dei giovani talenti che malgrado tutto portano avanti i loro sogni.
TOTÒ ONNIS: A questa domanda non so rispondere, perché onestamente è come parlare di una festa alla quale non si è invitati. A 50 anni posso dire che non ho capito come funziona. Noi attori siamo gli ultimi a sapere della produzione di un film ed anche gli ultimi a dover dare un’opinione. Una volta gli attori incontravano i registi senza il filtro dei casting o delle agenzie. In questo modo ho avuto la fortuna di lavorare con Fellini, con Giuseppe Bertolucci, con lo stesso Roberto Benigni, ma ricordo con molto, e se possibile, più affetto gli incontri nei quali non sono stato poi preso, incontri che sono stati per me esaltanti: Marco Ferreri, Dino Risi, Luciano Salce. Era un’esperienza solo poterli incontrare. Ora ti trovi un ragazzino con una videocamera, quando ti va bene, pure un po’ rotto di palle. Il regista quando lo vedi mai!!!
Il rapporto fra regista e attore.
LORENZO SEPALONE: Un attore può migliorare o peggiorare il personaggio presente in sceneggiatura. Totò e Nadia sono stati bravissimi ed hanno regalato a Raul e Laura volti, voci, corpi, silenzi che mi hanno emozionato. Solitamente, prima delle riprese scrivo agli attori una serie di appunti sui personaggi e poi, ovviamente, sul set fornisco le indicazioni necessarie. Ogni interprete ha il suo modo di approcciarsi al lavoro.
NADIA KIBOUT: È la cosa che preferisco in assoluto. Mi piace l’idea di fare un tutt’uno con il regista, mettermi a sua disposizione e farmi guidare. Noi siamo lo strumento che lui suonerà. Lorenzo Sepalone in questo è stato una bella scoperta, avendo le idee chiarissime su ciò che voleva. Penso di poter dire che abbiamo suonato insieme una bella musica. Ha una sensibilità che non ti aspetti da un ragazzo cosi giovane. È stato bello vedere come il suo entusiasmo contagia la troupe.
TOTÒ ONNIS: Gli appunti? E chi li ha letti? Confesso che vedere Sepalone spiegarmi i problemi della “mia” senilità incipiente, lui che è questo giovane di “60 anni”, mi faceva molto ridere. Ho amato il suo set, la sua troupe e tutta la festa mobile intorno a lui di familiari, amici, nonni, compagni di scuola. Fantastico! È nato per girare e vedevo nei suoi occhi il terrore di quando tutto questo sarebbe finito. Ho un unico rimpianto: avrei voluto girare con lui almeno per un altro mese. Lo aspetto al suo lungometraggio che gli auguro al più presto.
Progetti in campo?
LORENZO SEPALONE: Attualmente il mio unico progetto reale è finire “La Luna è sveglia” e presentarlo nei vari festival. Poi, probabilmente, il prossimo anno mi dedicherò alla lavorazione di un nuovo cortometraggio. È ancora prematuro parlarne soprattutto per questioni economiche. È davvero arduo in questo paese reperire fondi per la cultura.
NADIA KIBOUT: Attualmente va in onda sulla Rai una fiction alla quale ho lavorato, “Sposami”. Poi il 21-22 novembre sarò a Berlino per l’uscita di un film lungometraggio tedesco girato qualche mese fa. Il prossimo set sarà di un film in Francia del quale non posso dire nulla al momento. Un mio desiderio è quello di tornare a recitare in teatro ed un sogno grande è lavorare di più in Italia.
TOTÒ ONNIS: Sono impegnato in teatro con il regista Mario Martone nel testo di Elsa Morante “Serata a Colono” al fianco di Carlo Cecchi ed altri attori fantastici. Tutto questo sino ad Aprile. Cosa potrei desiderare di più?
di Marco Mazzanti per periodicodaily.com
“La Luna è sveglia” è il cortometraggio scritto e diretto da Lorenzo Sepalone, regista foggiano di soli 22 anni con alle spalle già diversi progetti e molti premi nazionali. La pellicola è prodotta dal Movimento ArteLuna, casa di produzione fondata dallo stesso Sepalone, con il sostegno dell’Apulia Film Commission e con il patrocinio della Provincia di Foggia.“La Luna è sveglia” racconta l’incontro notturno di due solitudini. I protagonisti intraprendono un viaggio esistenziale sospeso tra passato e presente. Personaggi principali della vicenda sono Raul, cantautore cinquantenne entrato nel dimenticatoio, e Laura, giovane prostituta di origini africane.
La domanda è classica: Quanti soldi servono per realizzare un buon cortometraggio? Iniziamo a dire che essendo già in possesso di una piccola videocamera, sia con schedina di memoria che con nastro miniDv, i costi possono essere quasi azzerati. Non metto in elenco le videocamere dei cellulari, essendo, normalmente il loro risultato di qualità inferiore o di manegevolezza minima. Costi azzerati, dicevamo, Sembra strano, ma è così.
La nostra domanda iniziale era "fare un buon cortometraggio". Che significa "buon cortometraggio"? Che bisogna avere una buona idea iniziale, un buon punto di partenza, che non sia troppo vago e generico.', 'Iniziamo a riportare su carta tutte le nostre idee: non lasciamole nella nostra mente perchè possono dissolversi facilmente come in un attimo ci sono apparse. Dobbiamo iniziare quindi a scrivere una buona sceneggiatura. Scegliere i personaggi. Scrivere le battute. Pensare alle location.
Dove si svolge l'azione? in un appartamento? allora non ci sono spese. Per le vie di una città? ancora spese zero. Se invece vogliamo girare il nostro 'capolavoro' a Bombay o a NewYork, il discorso è naturalmente diverso. Ma dobbiamo svolgere l'azione ideata prorpio lì? o possiamo cambiare la location?
Possiamo modificare la location dell'idea iniziale impossibile a costo zero, modificando, ovvero adattandola alla nostra città, alla cittadina dove abitiamo... Nulla è impossibile. La storia è ambientata nel medio evo? o nel futuro? proviamo a riambientarla al nostro tempo, nei giorni attuali. Con un piccolo sforzo possiamo riuscirci. Siamo o non siamo bravi?
Il segreto di un buon cortometraggio è la buona scrittura della sua sceneggiatura. Stiamo attenti agli errori ed orrori di scrittura. Un semplice consiglio? facciamoci aiutare da chi ha tanta fantasia e buoni voti in italiano. Poi, una volta scritta la sceneggiatura, lasciamola sedimentare un poco. Chiudiamola in un cassetto per una settimana. Poi avventiamoci su quanto troviamo scritto con il più gran numero di critiche possibili. Questo passo possiamo farlo anche con l'aiuto dei nostri amici!
Discutete, pensate, ipotizzate. Ma non abbiate fretta. Correggete la vostra sceneggiatura più volte. Potrebbe cambiare la sua struttura, l'inizio od il finale. Alla fine deve essere perfetta. Nessuna critica deve distruggerla. Potrebbe servire un mese o più per arrivare ad un buon prodotto finito. Ma alla fine sarete soddisfatti. Ed avrete fatto il 1° passo, quello più importante per il vostro cortometraggio.
Ed ancora non avete speso un euro del vostro budget iniziale che resterà a zero. Contenti?
Arrivederci alla prossima lettura.
L'idea di realizzare un corto in auto ci balenava nella testa da parecchio, ma le molte difficoltà tecniche si potevano riassumere con: come fissiamo la camera (una reflex, nel nostro caso)? Le abbiamo pensate tutte: dal usare un green-screen, tenere l'auto ferma e fissare la camera sul suo solito trepiede (come fanno nelle sitcom, per intenderci), dal costringere un amico a fare da cameraman contorsionista (ma sarebbe stato illegale), al realizzare una moltitudine di supporti in compensato per fissare la camera nelle varie inquadrature, etc, etc...
Poi l'illuminazione: un giorno, nel reparto "auto" di un negozio i miei occhi cadono per caso su uno di quei supporti snodabili per smartphone/navigatore-satellitare (vedi foto) da applicare con una ventosa al cristallo della macchina ed il gioco (con meno di 10€) è stato fatto.
Il corto è stato girato con uno smartphone Asus Zenfone 2 Deluxe, montato con Adobe Premiere CS6, stabilizzato (alcune inquadrature vibravano parecchio) con uno strumento interno al software e il tutto sfumato con un filtro video in post produzione.
Spero che questo consiglio e trucchetto possa essere utile a qualcuno di voi e che il corto girato vi diverta.
di Simone Wolfgang Brunelli
Come fare un film, od un cortometraggio? Ecco alcuni validi consigli per aspiranti cineasti, non tanto per riuscire a fare un capolavoro (quello, ahinoi, dipende solo da voi), ma perlomeno un lavoro presentabile ai concorsi di qualità ed ai professionisti. Sono consigli per i giovani cineasti in erba, e non solo.: Ecco alcune cose da tenere a mente prima ancora di girare la prima inquadratura.
RIFLETTETE BENE SULLA VOSTRA STORIA. Le cose sono 2: o siete così geniali da riuscire a tirare fuori la meraviglia dai soggetti più elementari e banali (sotto questo punto di vista, molti horror hanno insegnato che basta poco a scatenare l'inferno), oppure dovrete veramente lavorare tantissimo sulla storia. Studiate gli sceneggiatori più schizzati, non accontentatevi della banalità, di cose già viste altre milioni di volte altrove. Una cosa difficilissima, ce ne rendiamo conto, ma se dovete solo cavalcare i cliché, forse avete sbagliato mestiere.
NON FATE TROPPO L'ARTY. Dentro di voi potete anche ritenervi degli artisti, ma per il mondo là fuori siete solo – per ora – uno dei tanti che vogliono entrare nell'industria. Non potete permettervi delle elucubrazioni troppo dilungate, troppo meditate ed elaborate ma che non approdano a nulla. Se c'è un regista che ha un suo pubblico che lo seguirebbe anche se si mettesse a inquadrare una foglia per 3 ore non-stop, quello non siete voi: se lo fate voi, vi mandano a quel paese dopo 10 minuti.
CASTIGATE IL MONTATORE. Magari avete radunato il materiale più evocativo e super del mondo, ma se il vostro montatore toppa l'editing, tutto il vostro lavoro è automaticamente cestinato. Punto 1) sceglietevi un montatore di cui vi fidate anima e corpo. Punto 2) nonostante la fiducia, non lasciatelo un secondo da solo durante il suo lavoro. Punto 3) assicuratevi che il film sia asciugato da inserti inutili, scene non necessarie e intermezzi privi di senso.
CURATE IL SONORO NON BENE, MA BENISSIMO. La gioventù pensa che bastino delle immagini super per concepire qualcosa di geniale, dimenticandosi, spesso, l'importanza del sonoro. Il problema è questo: se avete delle immagini imperfette, potete trovare 50 mila giustificazioni o addirittura definirlo uno stile; un sonoro fatto male, invece, è solo segno di dilettantismo lontano dalla professionalità. Se volete iniziare a farvi prendere sul serio, curate alla perfezione questo lato.
CONOSCETE AL MEGLIO LE VOSTRE STRUMENTAZIONI. E qua è veramente l'abc. Se non conoscete la videocamera che avete in mano, come potete pretendere di cavarci fuori qualcosa di guardabile? Attenzione soprattutto ai setting cromatici, alle opzioni fotografiche e alle funzionalità automatiche. Abbiate, insomma, una conoscenza tecnica totale del vostro strumento. E se studiarlo è troppo faticoso, allora datevi ai telefonini cellulari.
ASSICURATEVI CHE FINIRETE IL LAVORO – Ovvero, mai e poi mai iniziare a girare qualcosa se non siete convinti al 100% di poterlo finire. Non iniziate nemmeno i preparativi se non avete il budget completo. Non ci sarebbe nulla di più frustrante, per i tuoi collaboratori, di un film iniziato ma non finito.
ABBIATE UN PIANO B – Qualcuno della vostra crew potrebbe abbandonare la nave in mezzo al lavoro. Non fatevi ritrovare senza una risorsa alternativa!
INIZIATE A MONTARE IMMEDIATAMENTE – Portate il vostro montatore sul set già durante la prima scena. Non limitatevi a dargli il girato una volta che avrete finito. In questa maniera, potrà iniziare immediatamente a mappare il successivo lavoro di editing, facendo un lavoro migliore ed evitando perdite di tempo.
APPREZZATE LA VOSTRA CREW... E DIMOSTRATELO – Insomma, trattate i vostri collaboratori come fossero le persone più preziose del mondo. Assicuratevi che abbiano sempre del cibo commestibile e caldo, che si sentano a loro agio, che si trovino bene. E ringraziateli ogni volta che potete.
DIFFIDATE DELLE ILLUSIONI - Sognare è una cosa bella, ma l'importante è non illudersi. Non c'è nulla di più deprimente di un'illusione, e se credete che con il vostro primo film andrete al Sundance, troverete un accordo con la Warner Bros, e farete un sacco di soldi, allora avete già perso in partenza, perchè al 99,99% non succederà.
di Pierre Hombrebueno per farefilm.it
La Fotografia è morta, proprio mentre stiamo vivendo nell'epoca dell' immagine compulsiva che ci accompagna 24 ore su 24 come mai era accaduto prima. È questa la tesi, davvero interessante, espressa da Michele Neri nel saggio Photo Generation pubblicato da Gallucci. Figlio di Grazia Neri, fondatrice della più importante agenzia fotografica italiana, si è dovuto arrendere all' evidenza dei fatti, alla rivoluzione cominciata poco più di dieci anni fa con il lancio sul mercato degli Smartphone che ha sovvertito il nostro rapporto con le immagini. E dunque ha deciso di chiudere i battenti perché le fotografie hanno trovato un modo diverso per diffondersi e vivere.
Leggi tutto: La Fotografia? è morta tra selfie, social e smartphone
Certo, con una fotocamera digitale le foto vengono meglio. Ma non sempre ne abbiamo una a disposizione. Si possono ottenere foto accettabili anche con il cellulare-fotocamera? Certo che si, a patto di osservare alcune semplici regole. Se il foto cellulare è uno di quelli potenti, dell’ultima generazione, con una fotocamera integrata da 2 o più megapixel potremo ottenere stampe in formato più grande. Altrimenti ci accontenteremo del piccolo formato. Quel che conta è scattare belle foto.
1 – Distanza dal Soggetto Un errore classico dei fotografi principianti è quello di includere nell’inquadratura tanto "ambiente", penalizzando il soggetto. "Guarda come è venuta bene la Giulia", oppure "Osserva l’espressione di Fuffi". Poi se Giulia è piccolissima e Fuffi un puntino, poco importa. Con i cellulari, che dispongono di obiettivi con una focale corta, l’errore è ancora più comune. Che fare? Basta avvicinarsi al soggetto e abituarsi a controllare sul display le proporzioni nell’inquadratura. Non troppo vicino però, per evitare la distorsione degli obiettivi grandangolari (detta "a barilotto"). Attenzione anche all’inclinazione del cellulare rispetto al soggetto che provoca orrende deformazioni.
2 – Luce Ambiente – Illuminazione Artificiale "Più luce c’è, meglio è": non è sempre così, ma quasi. Meglio, se è possibile, scattare in luce ambiente, all’aperto. Non occorre che ci sia il sole a picco, vanno bene anche e nuvole. Il cielo diventa una sorta di bank naturale, con louce diffusa e ombre poco marcate. Quando si è costretti a fotografare in interni meglio accendere le luci. Attenzione però al tipo di luce. Per controbilanciare le dominanti di colore basta sperimentare con il Bilanciamento del Bianco. Se poi si ha la fortuna di possedere uno dei più recenti camera phone, dotato di flash, beh, basta utilizzarlo. Il flash torna utile anche in esterni, ad esempio per illuminare un volto in controluce.
3 – Zoom Digitale E’ una funzione da evitare accuratamente sia sulle fotocamere digitali sia sui cellulari con fotocamera. Quel che si guadagna in termini di ingrandimento del soggetto lo si perde, con gli interessi, in termini di qualità della foto. Se lo zoom è ottico (sempre su uno dei telefonini di ultima generazione di cui sopra) il discorso si ribalta. Spazio allo zoom.
4 – Risoluzione Impostare sempre la massima risoluzione consentita dal cellulare. Tutte le informazioni che non vengono registrate al momento dello scatto… non ci sono. Saranno ricostruite dal software, ma in modo approssimativo, quando pasiamo alla stampa. A paritò di formato di stampa, la qualità dell’immagine scade progressivamente con l’abbassarsi della risoluzione.
5 – Foto Mosse Il mosso è comune fotografando con i cellulari. E’ del resto comune anche con le piccole fotocamere compatte. E’ certamente più facile impugnare saldamente una reflex o una compatta con un certo peso e con un abbozzo di impugnatura che un piccolo foto cellulare. Per ridurre il rischio di mosso ci vuole attenzione. Corpo stabile e impugnatura salda. Se c’è poca luce il rischio di mosso diventa quasi una certezza.
6 – Ritardo allo scatto Anche di questo fattore dobbiamo tener conto: il tempo che ci mette la fotocamera a registrare l’immagine dopo che abbiamo premuto lo scatto. Il ritardo è minimo, quasi innavertibile sulle reflex digitali, è breve ma avvertibile su buona parte delle fotocamere compatte e avvertibilissimo su molti cellulari. Anche in questo caso mano ferma e un soggetto… disposto a non muoversi fino al nostro OK.
7 – Scatti a profusione I fotografi professionisti possiedono spesso buona tecnica , esperienza e eccellenti attrezzature. Ma il loro principale vantaggio su un dilettante è sapere che solo da un gran numero di scatti è più probabile ricavarne di buoni. Ora che fotografiamo in digitale non dobbiamo neppure più preoccuparci della spesa per la pellicola. Perché allora lesinare gli scatti? Meglio esagerare e scegliere poi con calma gli scatti super.
8 – Pulizia Può sembrare un discorso banale, ma la pulizia della lente della fotocamera integrata ha la sua importanza. Il cellulare è un oggetto che ci portiami sempre appresso, che maneggiamo in continuazione e che perciò si sporca facilmente. Polvere, ditate, umidità: tutto finisce nella foto.
9 – Fotoritocco Alcuni cellulari consentono di ritoccare le immagini direttamente, senza passare da un computer. La cosa può essere divertente per ridere con gli amici, ma non produce grandi risultati. Meglio conservare la foto così comìè per elaborarla con calma a casa e con l’ausilio di un computer.
10 – Bilanciamento del Bianco Diversi cellulari con fotocamera includono la funzione del bilanciamento del bianco. Saperla usare può migliorare di molto le foto. Conviene spendere un po’ di tempo a leggere il capitolo dedicato sul manuale d’istruzioni e poi sperimentare con diversi tipi di luce.
E in più: Un pizzico di Fantasia
Il brutto delle foto con il cellulare riguarda la qualità delle immagini, specie in condizioni di luce difficile, la bassa qualità delle ottiche (non tutte, naturalmente), la difficoltà di inquadrare con mano ferma con un oggetto così piccolo e leggero. Ma c’è anche il bello delle foto con il cellulare. Prima di tutto l’immediatezza, poi la discrezione, poi… Insomma, un nuovo modo di fotografare, dove e quando si vuole, senza doversi portare appresso "arnesi" pesanti. Valgono le regole della fotografia classica ma se ne possono anche inventare di nuove. Perciò: sotto con gli esperimenti e la fantasia.
da dphoto.it